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Numero 1 - Gennaio 2014
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BES: finalmente qualche chiarimento dopo una fase confusa di avvio

La Nota 2563 del 22 novembre 2013 chiarisce diversi punti importanti sui BES, avendo recepito le osservazioni critiche dei sindacati


28 Dicembre 2013 | di Fabrizio Reberschegg

BES: finalmente qualche chiarimento dopo una fase confusa di avvio
La Direttiva del 27.12.12 ha definito i BES (bisogni educativi speciali) individuando 3 sottocategorie: quella della disabilità, quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socio, economico, linguistico, culturale. L'ultima sottocategoria era quella non ancora normata nell'ordinamento scolastico. Con la circolare n.8 del marzo 2013 si erano poste in maniera confusa le basi per una applicazione prescrittiva delle procedure per il riconoscimento dei bes, spingendo molti dirigenti scolastici e regionali a forzare i Collegi dei docenti già nell'estate del 2013 per predisporre la complicata organizzazione prevista dalla norma (approvazione dei Piani Annuali per l'Inclusività, la costituzione dei GLI - gruppi di lavoro per l'inclusione, la creazione dei gruppi di lavoro per l'inclusione provinciale (GLIP) e dei i gruppi di lavoro per l'inclusione regionale (GLIR), dei CTS ossia i Centri territoriali di supporto per l'inclusione scolastica che dovrebbero essere affiancati dai CTI, Centri territoriali per l'inclusione). Il tutto, come da copione, senza oneri aggiuntivi per l'amministrazione. Per fortuna l'intervento delle organizzazioni sindacali, e in particolare della delegazione della Gilda degli Insegnanti, ha convinto l'amministrazione a riconoscere che di fronte alle evidenti difficoltà applicative e alle astrattezze e contraddizioni della direttiva del 27/12/2012 era necessario chiarire che la circolare n.8 del marzo 2013 non aveva caratteristiche di prescrittività. Inoltre era opportuno definire ''sperimentale'' l'applicazione dei bes nelle scuole nell'anno scolastico 2013-14 lasciando maggiore libertà alle scuole di adottare strumenti e modalità operative.

Dobbiamo riconoscere che alcune indicazioni sono state recepite nella nota del MIUR prot. 1551 del 27/6/2013, anche se non sono state definite con certezza le modalità di presa in carico dei bes da parte delle scuole e dei docenti. Con un colpevole ritardo di almeno due mesi che ha costretto la delegazione della Gilda a ulteriori interventi presso il MIUR è stata finalmente emanata il 22 novembre 2013 la Nota 2563 che chiarisce in modo più preciso alcuni dei punti maggiormente contestati o di ambigua interpretazione presenti nelle precedenti circolari e note ministeriali. In particolare è stata fatta chiarezza sui seguenti punti:

- La presa in carico e il riconoscimento di una situazione di Bes non appartenente alla categoria della disabilità certificata o dei DSA deve essere fatta solo dal consiglio di classe che è sovrano nell'accogliere o meno le richieste delle famiglie anche in presenza di patologie semplicemente attestate da un medico. Tutto il consiglio di classe viene così responsabilizzato e coinvolto nella definizione dei conseguenti Pdp (Piani didattici personalizzati);
- Gli studenti stranieri, che improvvidamente erano stati inseriti di diritto nella categoria dei bes, sono finalmente riconosciuti solo come destinatari di interventi didattici temporanei finalizzati prioritariamente all'insegnamento della lingua italiana e non come soggetti ''diversi'' per legge;
- Si ribadisce in tutta la circolare che le pratiche relative all'inclusione con particolare riferimento alle situazione di svantaggio socio-economico devono essere poste in essere con flessibilità e senza prescrittività di natura burocratica e che il soggetto fondamentale delle decisioni e dell'agire resta il corpo docente.

Si tratta di un importante passo in avanti che consente ai Collegi dei docenti e ai Consigli di classe di operare con prudenza e buon senso senza cadere nel delirio certificatorio e classificatorio che l'apparato burocratico del MIUR e i dirigenti vorrebbero imporre. Ma i problemi di fondo rimangono.
La filosofia dei Bes categorizza pericolosamente una varietà ampia di alunni nella sfera dell'''anormalità'', della ''devianza'' in nome, paradossalmente, dell'inclusione per ragioni di ordine pedagogico, scientifico e culturale. Potrebbero perciò configurarsi rischi di medicalizzazione della sfera scolastica osservata troppo con sguardo clinico-terapeutico. Si rischia di considerare l'alunno con difficoltà di apprendimento non più come soggetto significante di una condizione sociale, culturale e familiare, ma come un soggetto in sè portatore di problemi e come destinatario di interventi ‘curativi' che lo devono riportare alla normalità. La didattica viva viene trasformata in pura procedura tecnica e si fa dell'insegnante un consumatore di ricette standardizzate, da applicare in tutte le situazioni, prodotte dal business editoriale o dalla malata creatività delle burocrazia pedagogica ministeriale. In questo modo si perde di vista il fatto che l'insegnamento/ apprendimento è anzitutto relazione, un processo complesso che fa dello spazio classe un ambito interattivo permanente.
La nostra preoccupazione resta quella di vedere ancora una volta sacrificate e penalizzate le professionalità dei docenti costretti a diventare sempre di più ''operatori'' sociali polivalenti inclusivi dimenticando che la scuola dovrebbe non solo essere spazio di accoglienza, ma soprattutto momento di crescita, formazione e preparazione culturale degli allievi/cittadini.


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