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Il sapere dell'unità

di Bruno Telleschi

 
 

L’unità del sapere appartiene ai grandi miti che giustificano la scuola ed offrono alla società l’occasione di celebrare le riforme con la retorica delle buone intenzioni. In realtà il progresso delle scienze provoca un’inevitabile specializzazione degli studi che culmina nella frantumazione delle università. Non a caso la nostalgia dell’unità ricorre spesso nei ritornelli  pedagogici degli insegnanti universitari che rimpiangono la scuola della loro infanzia, soprattutto negli scienziati che lamentano l’opposizione della cultura umanistica e scientifica.

Dunque anche la scuola si articola inevitabilmente e progressivamente in discipline separate secondo l’ordine epistemologico della cultura (vd passim le finalità della scuola nella riforma), ma unite dalla completezza degli studi nel velleitario sforzo dell’educazione integrale.

Per evitare che la moltiplicazione delle materie e degli insegnanti provochi disagio e disorientamento negli alunni (p.117: “Il numero degli insegnanti di una stessa scuola cresce sempre di più con l’acuirsi delle differenze tra le varie discipline e lo specializzarsi della cultura, e il numero delle materie cresce; e cresce in conseguenza il carattere enciclopedico dei programmi scolastici”, con la deprecabile conseguenza di provocare p.119: “la baraonda e l’anarchia delle menti e degli animi”) Giovanni Gentile pone l’unità del sapere nell’unità dello spirito: “Il sapere è uno come spirito, è molteplicità indefinita come cosa” (Giovanni Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica (1913), Firenze, Sansoni, 19425, vol.II. Didattica, p.64). L’unità del sapere non sta nell’enciclopedia, nelle materie di un sistema atomistico che rispecchia la molteplicità della natura, ma nell’unità dello spirito. Lo spirito che studia e conosce è sempre lo stesso ed unifica il sapere “nell’attualità spirituale” (p.66), “nell’attività creatrice dello spirito” (p.123).

Reintepretando lo spirito come persona anche Giuseppe Bertagna sostiene l’unità idealistica del sapere come rimedio alla dispersione materiale della cultura. L’identità delle cose si trasforma nell’identità della persona. Se la persona che studia aritmetica è la stessa che studia grammatica, anche l’aritmetica e la grammatica sono la stessa cosa. E così via, di tautologia in miracolo. Alla fine gli alunni sono collocati sul trampolino di lancio della pedagogia e proiettati nel cielo delle visioni mistiche: “Qualifica così l’istruzione secondaria di 1° grado il principio che vuole ogni disciplina aperta all’interdisciplinarità  più  completa,  a  cui  segue il salto transdisciplinare, ovvero il confronto con una «visione personale unitaria» di sé, degli altri, della cultura e del mondo” (dlgs 19.2.2004 n.59, Allegato C, p.3).

 

Nella colonna di sinistra si legge Gentile, a destra Bertagna.

La parte e il tutto

 

E tutto è sempre in tutto. (p.7)

 

“tutto si fa tutto”. (p.7)

 

L’individuo, il vero tutto senza parti, l’infinito assoluto è lo spirito, come unità di tutti i momenti… La scuola, se è viva, dev’essere aperta al principio e alla fine; non dev’essere un frammento dello spirito, ma lo spirito stesso tutto lo spirito, in un suo periodo: l’eterno spirito, che è sempre tutto per non essere mai tutto. (p.70)

Passare  da  una  conoscenza  primaria  ad  una  secondaria  di  1°  grado,  allora,  significa

cominciare ad essere consapevoli della necessità di rimandare sempre, nell’incontro personale (e di tutti) con la realtà, la parte al tutto e il tutto alla parte, ovvero di collegare sempre le prospettive parziali  di  lettura  rappresentativa  del  mondo  e  della  vita  in  un  sistema  unitario  e  integrato di significati  personali,  che  se  non  può  ambire  a  presentarsi  come  sintesi  compiuta  e  definitiva  dei modelli parziali che ingloba, si preoccupa, però, di chiarire e approfondire i nessi e i raccordi che individua tra loro. (p.3)

 

La sintesi e l’ologramma

 

E però s’è creata quella sorta di fette d’uomo che sono l’insegnante d’italiano, che non insegna altro che italiano, e l’insegnante di latino che non insegna altro che latino, ecc., l’insegnante di lettere che non sa di scienze, e quello di scienze che non sa di lettere, e così via; come se ci fosse l’italiano senza il latino, o il latino senza l’italiano, le lettere senza le scienze, e le scienze senza le lettere. (p.118)

 

Uno o molti che siano i maestri, la scuola è possibile a un patto: che il sapere sia uno, e ogni sua parte rispetti il tutto; in guisa che quello che non s’insegna direttamente, sia però insegnato indirettamente. La geografia si può insegnare per mezzo d’un insegnamento speciale a patto che non trascuriate occasione, che ad ora ad ora vi si presenti, per impartire le opportune nozioni geografiche; e l’aritmetica si appoggerà a un concreto interesse dello spirito, quando dai racconti più attraenti del “libro di lettura” saprete trarre accortamente, e senza parere, problemi che ricevono la loro soluzione dall’aritmetica. (p.119)

 

La seconda consapevolezza ricorda che gli obiettivi specifici di apprendimento indicati per  le diverse discipline e per l’educazione alla Convivenza civile, se pure sono presentati in maniera analitica,   obbediscono,  in  realtà,  ciascuno,  al  principio  della  sintesi  e  dell’ologramma:  gli  uni rimandano agli altri; non sono mai, per quanto possano essere autoreferenziali, richiusi su se stessi,

ma sono sempre un complesso e continuo rimando al tutto. Un obiettivo specifico di apprendimento di  una delle dimensioni della Convivenza civile, quindi, è e deve essere sempre anche disciplinare e viceversa;  analogamente,  un  obiettivo  specifico  di  apprendimento  di  matematica  è  e  deve  essere sempre,  allo  stesso  tempo,  non  solo  ricco  di  risonanze  di  natura  linguistica,  storica,  geografica, espressiva, estetica, motoria, sociale, morale, religiosa, ma anche lievitare comportamenti personali adeguati.  E  così  per  qualsiasi  altro  obiettivo  specifico  d’apprendimento.   Dentro  la  disciplinarità anche più spinta, in sostanza, va sempre rintracciata l’apertura inter e transdisciplinare: la parte che si  lega  al  tutto  e  il  tutto  che  non  si  dà  se  non  come parte. E dentro, o dietro, le “educazioni” che scandiscono l’educazione alla Convivenza civile vanno sempre riconosciute le discipline, così come attraverso  le  discipline  non  si  fa  altro  che  promuovere  l’educazione  alla  Convivenza  civile  e, attraverso  questa,  nient’altro  che  l’unica  educazione  integrale  di  ciascuno  a  cui  tutta  l’attività scolastica è indirizzata. (p.7)