LA RISCOPERTA DELL’AUTORITÀ

Testi per genitori e insegnanti sulla crisi dei ruoli educativi

 

a cura di Giorgio Ragazzini

 

Terza puntata

 

5. Da La tradizione demolita, in Gli otto peccati capitali della nostra civiltà di Konrad Lorenz***

 

 

Il riconoscimento della superiorità gerarchica non è di impedimento all’amore. Tutti noi dovremmo ricordare che, quando eravamo bambini, le persone da noi predilette non erano quelle di rango uguale o inferiore al nostro,  ma quelle che consideravamo superiori e a cui eravamo sottomessi. Quando ripenso al mio amico Emmanuel la Roche, di quattro anni maggiore di me e morto precocemente,  capo indiscusso della nostra banda di ragazzi dai l0 ai 16 anni che egli dominava con autorità giusta ma severa, ricordo ancora con chiarezza come a lui mi legasse non solo un sentimento di rispetto e il desiderio di veder riconosciuto da lui il valore delle mie azioni, ma anche un profondo affetto. Questo sentimento era inequivocabilmente dello stesso tipo di quello che mi avrebbe legato più tardi a certi amici più anziani di me o a maestri che veneravo. Vedere nell’esistenza di un naturale rapporto gerarchico tra due uomini una frustrazione che diventa impedimento alla formazione di sentimenti affettivi è una delle colpe maggiori della dottrina pseudo-democratica.

Dove manca questa gerarchia non potrà esservi neppure la forma più naturale di amore, quello che normalmente unisce fra loro i membri di una famiglia. A causa di questo principio educativo della ‘non frustrazione’, migliaia di bambini sono diventati infatti dei nevrotici infelici. Come ho spiegato nei lavori già citati, il bambino

che vive in un gruppo privo di struttura gerarchica si trova in una situazione del  tutto innaturale. Infatti, non potendo reprimere la propria tendenza, programmata nell’istinto, ad assumere una posizione di grado più alto, egli tiranneggia i genitori indifesi e si trova costretto al ruolo di capogruppo, nel quale non è per nulla a suo agio. L’assenza di un ‘superiore’ più forte dà al bambino la sensazione di essere indifeso in un mondo ostile, sensazione giustificata in quanto i bambini ‘non frustrati’ non piacciono a nessuno. Quando, in stato di comprensibile irritazione, egli cerca di provocare i genitori e di attirare su di sé la loro collera (nel linguaggio corrente si dice che ‘si tira dietro gli schiaffi’), il bambino non incontra la risposta aggressiva che istintivamente attende e in cui inconsciamente spera, ma urta contro il muro di gomma delle frasi pacate e pseudo-razionali. Nessuno si identifica con un essere debole e sottomesso, nessuno è disposto a farsi prescrivere da lui le norme del comportamento e tanto meno a riconoscere come valori culturali quelli da lui venerati. Soltanto quando si ama una persona dal più profondo dell’anima, e al tempo stesso la si rispetta, si è in grado di fare propria la sua tradizione culturale.

Una simile ‘figura paterna’ manca evidentemente a una altissima percentuale dei giovani di oggi. Troppo spesso il padre naturale non è all’altezza del compito e l’insegnamento di massa nelle scuole e nelle università impedisce che egli venga sostituito dalla figura di un venerato maestro.

 

***  Austriaco, nato nel 1903 e morto nel 1983, è stato uno dei fondatori dell’etologia. Nel 1973 ha ricevuto il premio Nobel per la medicina. Tra le sue opere la più nota è L’anello di Re Salomone. Il brano è tratto dall’edizione Adelphi del 1974 (pp. 102-104).

 

 

 

6. Da La crisi dell’istruzione, in Tra passato e futuro

di Hannah Arendt***

 

Nell'educazione l'assumersi la responsabilità del mondo si esprime nell'autorità. Autorità dell'educatore e qualifiche dell'insegnante non sono la stessa cosa. L'autorità esige una certa qualifica, ma anche le qualifiche migliori non possono di per sé generare autorità. L'insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al fanciullo è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo.

Sappiamo bene quale sia oggi la situazione dell'autorità. Qualunque sia la nostra posizione rispetto al problema, resta pacifico che nella vita pubblica e politica l'autorità o non ha nessuna parte (infatti la violenza e il terrore dei paesi totalitari non hanno nulla in comune con l'autorità) o, al massimo, svolge una funzione molto discussa. In sostanza ciò significa che nessuno vuol pretendere che altri assuma, e affidare ad altri, una responsabilità globale: mentre quando è esistita, la vera autorità è sempre stata associata a un assumersi la responsabilità di come vanno le cose. Se l'autorità viene eliminata dalla vita pubblica e politica, potrà seguirne d'ora innanzi che ciascuno debba assumersi pari responsabilità. Ma potrà anche avvenire che si respingano, consapevolmente o no, le pretese del mondo e le sue esigenze di ordine; che si rifiuti ogni responsabilità mondana, nel dare ordini quanto nell'obbedire. Senza dubbio entrambe le ipotesi contribuiscono alla presente decadenza dell'autorità, e spesso hanno operato insieme, contemporaneamente e in maniera inestricabile.

Ma in materia di educazione una simile ambiguità non può sussistere. I bambini non possono rovesciare l'autorità dell'educatore come se si trovassero oppressi da una maggioranza di adulti (è vero che la moderna prassi pedagogica ha perfino sperimentato questo assurdo modo di trattate i bambini come una minoranza oppressa da liberare). Che gli adulti abbiano voluto disfarsi dell'autorità significa solo questo: essi rifiutano di assumersi la responsabilità del mondo in cui hanno introdotto i loro figli.

 

*** Nata ad Hannover nel 1906, fu allieva di Martin Heidegger ed autrice di numerose opere filosofiche tra le quali Le origini del totalitarismo e La banalità del male (sul processo ad Heichmann). Morì a New York nel 1975. La citazione è tratta dall’edizione Vallecchi del 1970 (pp. 206-207).