Si parla e si
straparla
di metodi e di questioni organizzative, legislative e normative mentre non
ci si preoccupa del fatto che vengono trasmessi contenuti di livello sempre
più basso e autentici errori da matita blu. Iniziamo quindi a occuparci di
nuovo e soprattutto di programmi e contenuti. La valutazione è sempre
una questione di contenuti e, come tale, contiene un forte elemento
soggettivo. Ridurla a tecniche puramente oggettive è una illusione senza
senso. Formule come la “misurazione delle qualità” sono un ossimoro che
serve soltanto a giustificare la professione di qualcuno. Quel che conta è
la probità nel giudizio. Non esistono i tecnici dell’insegnamento e gli
“esperti” al disopra della funzione dell’insegnamento. Ho conosciuto
alcuni di questi esperti e mi hanno destato la massima diffidenza: si tratta
troppo spesso di persone che non sanno cosa sia insegnare ma credono di
saperlo perché hanno appreso librescamente una serie di precetti.
1) Professor Israel,
l’idea dell’ insegnante come animatore o come “mediatore culturale” è ormai
diffusa. Qual è il suo parere in merito?
Ritengo che sia
diffusa soprattutto tra i cosiddetti “esperti” di questioni scolastiche –
che talvolta sono persone che non hanno mai insegnato in vita loro – e che
sia molto meno diffusa nei fatti tra gli insegnanti. E quando dico “nei
fatti” intendo che quasi nessuno di coloro che pratica effettivamente
l’insegnamento riesce ad aderire ai precetti cervellotici del “cooperative
learning” e di analoghe escogitazioni. Del resto, raccolgo continuamente
testimonianze negative di insegnanti che hanno partecipato a seminari che
introducono a queste pratiche e visioni. Coloro che difendono questa visione
dell’insegnamento sono proprio coloro che più hanno bisogno di predicarla
attraverso lezioni ex-cathedra in modo da renderla esente dalle critiche e
farla passare come una sorta di dogmatica.
2) Si va verso una
standardizzazione dell’ insegnamento con l’ idea, forse, di predisporre
moduli oggettivi che uniformino i vari livelli di insegnamento. Tutti
facciano le stesse cose in modo che gli allievi raggiungano gli stessi
livelli. Lei ha già espresso un parere critico in merito. Perché?
Per il semplice motivo
che la cultura non è un fatto egualitario. Non siamo tutti uguali, non lo
saremo mai e l’unico modo per fa raggiungere a tutti lo stesso livello è
prescrivere come livello comune il livello minimo. È esattamente quel che
sta avvenendo e il degrado della scuola è in parte dovuto a tale visione
sciagurata che produce il contrario di quel che vuole ottenere: ovvero una
scuola classista che penalizza coloro che hanno maggiori difficoltà
personali e familiari. Gli altri se la cavano comunque. Occorre dare a tutti
le medesime opportunità – in questo e soltanto in questo deve intervenire la
democrazia – dopodichè occorre individuare come traguardo da raggiungere per
tutti il livello più alto e non il più basso, in modo da stimolare anche
coloro che sono in difficoltà attraverso la competizione e il premio al
merito.
3) Parliamo di
valutazione. La scuola è ormai sottoposta a processi valutativi continui.
Lei ritiene che siano efficaci, che servano o che, al limite, siano
addirittura negativi?
Non mi è chiaro, in
verità, se vi sia un quadro organico dei processi valutativi cui è
sottoposta la scuola. Sento parlare soltanto di sondaggi, analisi
statistiche o test. Non contesto l’utilità di questi strumenti, ma ritengo
che possano servire, tutt’al più, a dare un’idea degli aspetti critici che
investono la scuola, ma non a fare un’analisi raffinata di qualsiasi tipo,
tantomeno a un livello micro, ovvero d’istituto. A mio avviso, l’unico
sistema di valutazione serio è qualitativo, ovvero basato su ispezioni, sul
modello dell’Ofsted inglese o di analoghi sistemi utilizzati in Francia. Ma
occorre sempre ricordare che il criterio di una buona valutazione è
l’imparzialità mentre il mito dell’oggettività assoluta è privo di senso. La
valutazione è sempre una questione di contenuti e, come tale, contiene un
forte elemento soggettivo. Ridurla a tecniche puramente oggettive è una
illusione senza senso. Formule come la “misurazione delle qualità” sono un
ossimoro che serve soltanto a giustificare la professione di qualcuno. Quel
che conta è la probità nel giudizio.
4) Si parla sempre più
insistentemente di sistemi di valutazione delle scuole anche con l'apporto
di "agenzie terze". Cosa ne pensa e quali modalità dovrebbe tale
valutazione?
Sono contento che si
parli sempre di più di questi sistemi perché sono gli unici affidabili e
sensati. Tuttavia, bisogna stare molto attenti a cosa vuol dire “terze”. Se
significa quanto più sia possibile indipendenti dalla scuola valutata, siamo
perfettamente d’accordo: anzi, questo è il requisito essenziale. Se
significa invece affidare il sistema delle ispezioni a “esperti” scolastici,
a “tecnici” dell’insegnamento, sono in totale disaccordo. Non esistono i
tecnici dell’insegnamento e gli “esperti” al disopra della funzione
dell’insegnamento. Ho conosciuto alcuni di questi esperti e mi hanno destato
la massima diffidenza: si tratta troppo spesso di persone che non sanno cosa
sia insegnare ma credono di saperlo perché hanno appreso librescamente una
serie di precetti. Non vorrei che si ripetesse qui l’errore commesso nel
sistema sanitario, dando troppo potere ad amministrativi e manager che non
capiscono nulla di questioni mediche. Solo chi ha insegnato o insegna può
giudicare. Pertanto la valutazione deve essere affidata a organismi, enti o
agenzie composte dagli stessi insegnanti, beninteso provenienti da realtà
diverse, diciamo pure “sghembe” rispetto a quelle valutate. Una buona idea è
di fare largo ricorso agli insegnanti in pensione che danno il massimo di
garanzie in termini di imparzialità.
5) Su quali elementi
punterebbe per uscire da quello che Lei ha definito il “ disastro
educativo” dei nostri giorni?
In primo luogo su una
revisione profonda, radicale dei programmi: si dice che i “programmi” non
esistono più, ma chi abbia letto le indicazioni della legge Moratti o quelle
Fioroni sa benissimo che i programmi esistono e come, e quando non esistono
li fanno le case editrici. Una buona parte del degrado della nostra scuola
deriva dalle proposizioni deliranti – non trovo altro termine – contenute
nelle leggi o indicazioni citate e dalla diffusione di certi libri di testo
scandalosi. Per esempio, in questi giorni mi sono imbattuto di nuovo nella
cosiddetta “legge dissociativa” dell’addizione, sempre più diffusa nei testi
di matematica e che è la manifestazione di un’ignoranza vergognosa. Ho
dovuto discutere con un’ insegnante per convincerla che utilizzare la
proprietà commutativa dell’addizione come metodo di verifica che due numeri
sono stati sommati correttamente (così come è suggerito da certi libri) è
un’autentica aberrazione partorita dalla mente di una persona che non
avrebbe mai dovuto neppure superare la maturità. Come possiamo pensare di
uscire dalla crisi se continuiamo a insegnare scempiaggini simili? Si parla
e si straparla di metodi e di questioni organizzative, legislative e
normative mentre non ci si preoccupa del fatto che vengono trasmessi
contenuti di livello sempre più basso e autentici errori da matita blu.
Iniziamo quindi a occuparci di nuovo e soprattutto di programmi e contenuti.