Il governo della
scuola ora
Il
governo della scuola è ora regolato dal DPR 416 del 1974 recepito dal
Testo Unico del 1994.
Il DPR
del ’74 ha avviato, sulla scia dell’ideologia post sessantottina, un
modello di tipo ‘partecipativo organico’. La partecipazione di genitori e
studenti alla vita della scuola avviene cioè ora, sulla base di quella
riforma, attraverso la loro presenza anche deliberante negli organismi di
governo – Consigli di istituto e Consigli di classe. Da qui l’uso della
paratassi ‘partecipazione organica’ (si parlerebbe di partecipazione non
organica nel caso in cui genitori e studenti avessero dentro la scuola
organismi propri che interloquissero con gli organismi di governo).
Il
modello ‘partecipativo organico’ si è progressivamente assestato su di una
linea caratterizzata da una duplice tendenza:
-
la progressiva riduzione della
partecipazione di genitori e studenti e quindi della rappresentatività reale
(le elezioni hanno registrato nel tempo presenze sempre più basse);
-
il lento ma inesorabile aumento della
pressione generale sulla scuola dell’utenza genitori-studenti.
Genitori e studenti hanno da un lato partecipato in maniera sempre più
stanca alla vita della scuola sentita come bene pubblico, dall’altro
esercitato pressioni sempre più forti laddove e allorquando sono emerse
insoddisfazioni personali. Si pensi ai Consigli di classe in cui sono stati
intentati ‘processi’ ai professori, ai vari ricorsi al TAR e via dicendo.
In
aggiunta alla ‘deviazione’ già evidenziata, si notano altre ‘deviazioni’, la
cui origine va ricercata nella trasformazione dei presidi in dirigenti e
nell’introduzione delle RSU di scuola.
Modello
partecipativo e modello dirigenziale, sindacal-aziendale hanno una difficile
convivenza e ciò che risulta maggiormente mutilato è allo stato attuale il
Collegio dei Docenti, che sopravvive come organo di ratifica di decisioni
prese altrove. E tutto questo non solo per le trasformazioni sopraggiunte,
ma anche per le oggettive complessità legate alla scuola dell’autonomia.
Tra la
pressione dell’utenza e la pressione dei dirigenti, i docenti coprono un
ruolo sempre più limitato ed esecutivo nella funzione (della docenza e
valutativa), anche quanto si sentono e sono creatori di progetti. Non
essendo - questi ultimi – nient’altro che l’esecuzione del mandato
esplicito e soprattutto implicito che viene dall’utenza.
Il governo della
scuola previsto
L’ultimo testo relativo agli Organi Collegiali di scuola è quello
predisposto dall’On. Giovanni Bianchi Clerici. Approvato alla camera in VII
Commissione il 15 dicembre dello scorso anno esso risulta dall’unificazione
delle proposte di legge C. 774 Angela Napoli, C. 1186 Grignaffini, C. 1954
Gambale, C. 2010 Adornato e C. 2221 Titti De Simone.
Vediamone in sintesi le caratteristiche salienti.
-
La nuova proposta non prende atto del fallimento degli organi collegiali e
ripropone il modello esistente della ‘commistione partecipativa’
Nulla appare cambiato
nella concezione del governo della scuola. Il modello in vigore dal 1974,
che vede la presenza di genitori e studenti negli organi della scuola con
potere decisionale, non viene messo in discussione.
Ora, questo modello,
come già abbiamo detto, ha gradualmente mostrato i suoi limiti, producendo
una disaffezione che è da tempo sotto gli occhi di tutti.
Sorretto – ripetiamo - dall’imperante ideologia partecipativa post
sessantottina, esso è fra l’altro sopravissuto anche in forte odore di
incostituzionalità, poiché un’amministrazione pubblica, responsabile cioè di
fronte a tutti i cittadini, conferendo la titolarità dei suoi organi ad una
parte di essi – per lo più, nello specifico, contro-interessata – cessa di
fatto di operare nell’interesse di tutti. E perde così il suo carattere
pubblico.
-
La nuova proposta amplia le competenze del Consiglio, sovrapponendole a
quelle del Collegio e creando i presupposti per un contenzioso senza fine;
-
la nuova proposta enfatizza l’aspetto gestionale-amministrativo e
marginalizza la didattica e la docenza;
-
la nuova proposta mortifica la funzione valutatrice docente e formalizza
definitivamente la scomparsa della valutazione degli allievi come “cosa
pubblica”;
-
la nuova proposta conferisce maggiore autonomia professionale alle scuole
pubbliche private che alle scuole pubbliche statali;
-
la nuova proposta accentua la logica attuale, estendendo il modello della
‘commistione partecipativa’ anche agli organismi di valutazione.
La filosofia del cambiamento
Quali sono le
ragioni che inducono a supportare il modello partecipativo, enfatizzando il
peso di alcune componenti (utenza, dirigenza gestionale e amministrativa?).
La
prima si può ravvisare nel passaggio che la riforma del Titolo V della
Costituzione pare giustificare a molti: ci riferiamo a quello dalla
cosiddetta “cittadinanza statalista” alla “cittadinanza societaria”, il cui
fine ultimo sarebbe la trasformazione dello Stato in “organismo al servizio
delle autonomie dei soggetti sociali, individuali e collettivi” dei quali
vengono riconosciuti i diritti originari (1). La seconda sta nella
trasformazione della natura della scuola. In passato si considerava che la
scuola avesse il compito primario di istruire e che l’educazione-formazione
passasse attraverso la trasmissione delle conoscenze. Ora si delinea, sia
pure in modo ancora sfumato, una sorta di dicotomia: da un lato sta la
formazione-educazione (vedi le Educazioni alla convivenza civile
introdotte dalla riforma nella scuola secondaria di 1° grado), che resta in
carico ai docenti, chiamati non tanto a trasmettere conoscenze specifiche
quanto a sistematizzare la mole d’informazioni che proviene
dall’extra-scuola, dall’altro stanno le conoscenze specifiche – soprattutto
professionalizzanti – affidate… a non docenti all’interno della scuola
stessa!
Il
primo processo – il riconoscimento, in primis, dei diritti dei
“composti sociali” (“rappresentati dal lavoro, dalla famiglia, ecc.) sfocia
nella esaltazione della presenza organica nella scuola della cosiddetta
utenza. Cosa che avviene nel testo unificato conferendo al genitore, che
manterrà la presidenza del Consiglio d’Istituto denominato Consiglio della
scuola, poteri maggiori di quelli detenuti in passato: il
presidente-genitore “convoca il Consiglio e ne fissa l’ordine del giorno”.
Il
secondo conduce alla presenza organica (con potere di voto e diritto,
dunque, decisionale) all’interno del Collegio di non docenti – appunto -
liberi professionisti, dipendenti dalle industrie o da altre
amministrazioni: i cosiddetti esperti introdotti dalla Legge 53 di riforma
della scuola.
Il commento professionale
Professionalmente non
si può che essere perplessi e preoccupati di fronte alla situazione che si
prospetta.
Ciò che
emerge è infatti inequivocabilmente una professionalità mutilata ed
emarginata.
Ridurre il ‘peso’ dei docenti e la loro reale
possibilità di incidere in tutti gli organismi di gestione, spostare
sull’utenza la decisionalità di scelte necessariamente didattiche, deprivare
il docente di quell’elemento cardine dell’esercizio della professione, che è
costituito dalla valutazione professionale, ospitare nella scuola esperti
non-docenti dando loro ugual peso, ebbene, tutto questo significa
unicamente ridurre il docente a trasmettitore tecnico di quanto deciso
altrove.
Ed è a questo docente che si chiederà di
rendere conto dei risultati? I risultati?!? Laddove il cosa e il come sono
stati decisi da altri…
I nodi da sciogliere
I nodi da sciogliere sono dunque molteplici.
Il primo è relativo al ruolo della cosiddetta
utenza. Pare del tutto improponibile la posizione radicale, quella cioè che
tenderebbe ad estromettere tout court genitori e studenti dalla
scuola. Essa si presenta infatti in netta controtendenza, non solo nel
panorama italiano ma anche nel panorama europeo. In questo contesto restano
delle soluzioni che ipotizzino:
- la
presenza di genitori e studenti nella scuola con organismi propri che
interloquiscano con gli organismi di governo, che assumono l’intera
responsabilità decisionale, nel rispetto del mandato che essi hanno verso
l’intera società (concezione della scuola pubblica);
-
la presenza
negli organi di governo di una sorta di garante dei genitori eletto
all’interno di un organismo dei genitori di cui diventi il vero portavoce
(l’attuale rappresentante dei genitori non rappresenta ora di fatto che se
stesso); si potrebbe considerare la presenza anche di un eventuale garante
degli allievi nel secondo ciclo dell’istruzione secondaria.
Il secondo nodo è relativo agli ambiti reali
di competenza e di decisionalità. Risulta assolutamente necessario:
-
stabilire in
modo netto e deciso, senza interferenze, chi debba fare che cosa. Risulta
ovvio che debbano rimanere in toto al Collegio le scelte didattiche;
al Consiglio di scuola le scelte decisionali nell’ambito
gestionale-amministrativo e puramente propositive nell’ambito didattico.
Dovrebbe essere chiarito in modo preciso il balletto del POF (deliberato dal
Collegio e adottato dal Consiglio; che cosa succede se il Consiglio non lo
adotta? E se lo rende operativo anche laddove ci siano scelte contrarie del
Collegio?).
Il terzo grosso nodo è quello strettamente
connesso alla natura della dirigenza. E’ concretamente adeguato alla nuova
realtà dell’autonomia un dirigente che sia al contempo preside? Non sarebbe
forse più che mai opportuno e necessario riflettere su quella figura di
preside elettivo da vari anni richiesta dalla Gilda? Senza contare il fatto
che un dirigente gestionale – sollevato dall’incombenza della didattica –
potrebbe operare anche su base territoriale, a tutto vantaggio
dell’amministrazione.
Problema non da poco pone la prevista presenza
di esperti nel Collegio dei docenti e negli eventuali organismi di
valutazione. A quale titolo? Con quale posizione? Deliberante? Va da sé che
la sottrazione ai docenti delle scelte di natura didattica e, ancor peggio,
l’invasione dello spazio valutativo degli stessi ne minerebbe fortemente il
profilo professionale e provocherebbe uno stato di impotenza ancora maggiore
di quello attuale. La scomparsa del Consiglio di classe, sostituito da
gruppi di valutazione autonomamente identificati dalle scuole, rischierebbe
di uccidere la valutazione sostituendola definitivamente con la pura
certificazione.
Discorso a parte meriterebbe poi l’estensione
dell’impostazione della ‘commistione partecipativa’ anche agli organismi di
valutazione della scuola.
Nella confusione totale si pone
l’improrogabile necessità di definire e difendere lo spazio di pensiero ed
operativo che nella scuola non può che competere al docente: unica figura
professionalmente deputata a coniugare cultura, educazione e formazione.
Tutto il resto sono giochi e compromessi
politici di cui la scuola e gli allievi pagherebbero fortemente lo scotto.
· Per
una trattazione più ampia vedere
www.gildacentrostudi.it, Gli organi
collegiali oggi e domani.
· 1.
Alessandro Pajno, Giorgio Chiosso, Giuseppe Bertagna, L’autonomia delle
scuole, La Scuola , Brescia 2003, pag. 243.