Il termine burnout compare per la prima
volta negli Anni '30 nel gergo sportivo e indica il fenomeno per il quale un
atleta, dopo alcuni anni di successi, si esaurisce, si brucia e non può più
dare nulla agonisticamente. A partire dagli Anni '70 entra nella
terminologia dell'ambito lavorativo, in particolare nella letteratura
riguardante le professioni d'aiuto.
Recentemente, soprattutto in seguito ad alcune
importanti evidenze scientifiche, si sta iniziando a parlare di burnout
anche in altri ambienti lavorativi, in particolare in quello scolastico.
E' un termine che non è ancora contemplato dal DSM-IV, cioè dal sistema di
classificazione internazionale delle patologie psichiatriche, non ha
ricevuto nessun riconoscimento istituzionale ed è trascurato dai sindacati,
ma sembra riguardare i docenti in misura maggiore rispetto ad altre
professioni.
Viene spesso erroneamente interpretato come
scarsa motivazione, incompetenza, fragilità psicologica.
Il termine è stato
introdotto in psicologia per la prima volta da Maslach (1982) per indicare
una malattia professionale degli operatori d’aiuto. Oggi il suo campo di
indagine si estende e diventa una patologia comportamentale a carico di
tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.
Occorre distinguere il
burnout dallo stress: il burnout può manifestarsi in
concomitanza dello stress e lo stress può esserne una concausa, ma non
necessariamente quando c'è una situazione di stress c'è anche burnout.
Quando si parla di burnout si parla di una sindrome, cioè di una
costellazione di sintomi e segni.
Il burnout è
diverso anche dalle nevrosi: si tratta di una patologia comportamentale più
che di un disturbo della personalità.
Sono state date più
definizioni del termine, l'argomento è piuttosto recente e i nuovi studi
ricerche aggiungono continuamente conoscenze del fenomeno. Inizialmente per
Maslach, (1975) era una perdita d’interesse nei confronti delle persone con
cui si lavora, successivamente si è notato che se questa perdita d'interesse
si accompagna a stress e insoddisfazione eccessivi può portare ad una
ritirata psicologica dal lavoro (Cherniss, 1983).
Edelwich e Brodsky
(1980) definiscono il burnout come una progressiva perdita di
idealismo, energia e scopi, vissuta da operatori sociali, professionali e
non, come risultato delle condizioni in cui lavorano.
Riportiamo la definizione che è stata data del
burnout nel Progetto di Legge
4562 del 2 maggio 2000: "Sindrome di esaurimento emozionale, di
spersonalizzazione e di riduzione delle capacità professionali che può
presentarsi in soggetti che per mestiere si occupano degli altri e si
esprime in una costellazione di sintomi quali somatizzazioni, apatia,
eccessiva stanchezza, risentimento, incidenti"
Quali sono gli elementi principali
che caratterizzano questa sindrome? L'affaticamento fisico ed emotivo,
quello che una volta si definiva semplicemente esaurimento; l'atteggiamento
distaccato e apatico nei rapporti interpersonali, per quanto concerne gli
insegnanti sia nei rapporti con gli studenti, con i genitori che con i
colleghi; il sentimento di frustrazione dovuto alla mancata realizzazione
delle proprie aspettative professionali.
Recentemente da
Folgheraiter (1994) è stato individuato un quarto sintomo: la perdita della
capacità di controllo rispetto alla propria attività professionale, che
porta a una riduzione del senso critico e quindi a una errata attribuzione
di valenza alla sfera lavorativa.
La sindrome del
burnout è caratterizzata da particolari stati d'animo (ansia,
irritabilità, esaurimento fisico, panico, agitazione, senso di colpa,
negativismo, ridotta autostima, empatia e capacità d’ascolto),
somatizzazioni (emicrania, sudorazioni, insonnia, disturbi
gastrointestinali, ecc.) e reazioni comportamentali (assenze o ritardi
frequenti, distacco emotivo, ridotta creatività, ecc.).
Come si fa a rilevare la presenza di
burnout? Uno dei primi e dei più importanti strumenti è il Maslach
Burnout Inventory. In questo test vengono individuati tre ambiti di
burnout. Il primo riguarda l'esaurimento emotivo, cioè lo svuotamento
delle risorse emotive e personali. Prevalgono la stanchezza, la fatica e i
sintomi psicosomatici. Può presentarsi in concomitanza a sindromi ansiose o
depressive, ma non necessariamente. Il secondo ambito riguarda la
depersonalizzazione, cioè il soggetto si sente inadeguato al suo compito ed
assume atteggiamenti e sentimenti negativi, cinici, di distacco nei
confronti degli altri. Il terzo riguarda la bassa realizzazione
professionale, il soggetto si valuta in modo negativo sul lavoro, ha bassa
autostima, viene meno il desiderio di successo, è frustrato per la mancata
realizzazione delle sue aspettative, perché sente che la propria
soddisfazione dipende da agenti esterni, dalle istituzioni, dalle riforme,
ecc.
Individuarne le cause
è piuttosto difficile poiché si tratta di un fenomeno multidimensionale,
influenzato da più fattori, sia di tipo oggettivo sia soggettivo. I fattori
soggettivi sono particolarmente importanti, infatti persone diverse che
condividono uno stesso ambiente lavorativo non tutte sviluppano la sindrome.
Molto dipende dalla loro personalità, dalle strategie di coping, dalle
esperienze precedenti, dalla resistenza allo stress e alle frustrazioni.
In generale tra le
cause principali possiamo nominare una eccessiva idealizzazione della
professione, mansioni frustranti o inadeguate alle aspettative,
organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica.
L'insegnante può aver
trovato lungo la sua strada situazioni predisponenti all'insorgere del
burnout: fattori sociali e personali, fattori relazionali o fattori
professionali.
I fattori personali hanno un'importanza
rilevante per un insegnante nel suo lavoro e nella qualità
dell'insegnamento. All'insegnante viene chiesto di intervenire nel suo
lavoro con tutta la sua persona, utilizzando risorse sia professionali ma
anche e soprattutto personali: le sue esperienze, il suo modo di vedere la
vita, la sua personalità. I docenti delle scuole pubbliche in Italia sono
700.000, la scuola è l'impresa con il maggior numero di lavoratori ed è
un'impresa particolare, poiché basa tutta la sua produttività sulle persone
stesse, cioè sui docenti.
Risulta difficile fare un elenco completo di
quali siano i fattori personali predisponenti, ne nomineremo solo alcuni che
sono più frequentemente riportati nelle ricerche sull'argomento. Le prime
sono variabili di tipo socio-demografico: sesso, età, religione, condizione
socio-economica, ecc., le altre riguardano caratteristiche di personalità.
La figura classica
dell'insegnante che soffre di burnout è quella di un giovane che si è
sentito portato all'insegnamento, che ha visto il suo futuro lavoro quasi
come una missione, che lo ha caricato di ideali e di aspettative, ma che poi
negli anni si è trovato di fronte a un lavoro diverso da quello che si
aspettava, più difficile, più stancante, retribuito poco rispetto alle
energie che richiede. Spesso l'insegnante adulto per anni ha dovuto
combattere contro un sistema che non funziona, contro le resistenze al
cambiamento, contro burocrazie.
Tra i fattori relazionali può aver trovato
difficoltà nel rapporto con gli
studenti o con i genitori, classi troppo numerose, un'eccessiva competività
con i colleghi.
Oppure (o in aggiunta)
può essere incappato in fattori professionali tipici del suo lavoro: la
situazione di precariato, l'ambiguità di ruolo, la costante necessità di
aggiornamento, un sistema retributivo insoddisfacente, richieste eccessive.
Oltre ai fattori già nominati, vi è una quarta
categoria, direttamente legata ai cambiamenti sociali e culturali
dell'ambiente in cui viviamo. Essi sono:
il susseguirsi continuo di riforme, il
passaggio al lavoro d'équipe, il mancato riconoscimento della professione,
la scarsa considerazione da parte dell'opinione pubblica, l'avvento dell'era
informatica e della società multiculturale.
Quali sono le conseguenze? Come reagisce
l'insegnante di fronte ad una situazione che ritiene insostenibile? Può
mettere in atto diverse strategie, dette strategie di coping, cioè
meccanismi atti a difendersi dagli agenti stressanti.
Può adottare azioni
dirette, cioè affrontare il problema di petto, esserne consapevole, cercare
attivamente soluzioni nuove. Oppure può entrare in un circolo vizioso di
frustrazioni, mettendo in atto strategie inadeguate, che lì per lì
allontanano il problema ma che, non solo non aiutano ad affrontarlo, ma nel
tempo lo aggravano. Si tratta di strategie diversive (apatia), oppure
strategie d fuga, che portano all'abbandono dell’attività, oppure strategie
palliative, come l'assunzione di sostanze, psicofarmaci, consumo eccessivo
di caffè, sigarette, alcolici.
Esistono pochi studi
in Italia sull'argomento, ancora meno riguardo alla categoria professionale
degli insegnanti. Recentemente è stato reso pubblico uno studio svolto dalla
ASL Città di Milano che intendeva prendere in esame i lavoratori
dell'amministrazione pubblica e che a sorpresa ha fornito dei risultati
interessanti per la categoria insegnanti. Si tratta dello Studio Getsemani,
che partendo dall'analisi delle domande per inabilità presentate all'INPDAP
nel decennio 1992 - 2001, ha preso in esame 3049 casi clinici e ha
confrontato i dati di quattro macrocategorie professionali: insegnanti,
impiegati, personale sanitario e operatori.
Nonostante gli insegnanti costituiscano
soltanto il 18% degli iscritti alle Casse Pensioni INPDAP, la categoria
rappresenta il 36,6% delle richieste d’inabilità. Le domande riguardano in
maggior misura patologie psichiatriche.
I risultati hanno evidenziato che la categoria
degli insegnanti è soggetta ad una frequenza di patologie psichiatriche pari
a due volte quella della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella
del personale sanitario e tre volte quella degli operatori. La frequenza di
questi disturbi tra i docenti è indipendente dal loro sesso e dal tipo di
scuola in cui esercitano la professione.
In sintesi quindi è stato rilevato che quasi
la metà delle domande di inabilità presentate da insegnanti riguardano
patologie psichiatriche e che ben il 75,1 % di queste vengono accolte.
Questa percentuale è superiore alla percentuale di domande accolte di utenti
appartenenti ad altre categorie (36%).
Lo studio evidenzia inoltre come si verifichi
un'anomala situazione di "mobbing atipico", intendendo con esso un processo
di allontanamento che gli insegnanti in burnout subiscono da parte
della struttura dove lavorano e dell'utenza, direttamente proporzionale alla
gravità della patologia manifestata.
Questi risultati hanno stupito l'opinione
pubblica : sono apparsi articoli sui giornali e molti esperti sono stati
interpellati per commentarli. Per chi lavora nel settore invece non sono
risultati sorprendenti: sono finalmente evidenze empiriche di una situazione
tristemente nota. Già nel 1986 la Sinascel riferiva di un'indagine campione
condotta sugli insegnanti della Lombardia che evidenziava come l'uso di
psicofarmaci e ricostituenti rappresentasse ben il 52.5 % dei farmaci
consumati dagli insegnanti di scuola elementare.
Purtroppo non è facile ottenere dati simili
per zone a noi più vicine: personalmente ho contattato le ASL di Firenze,
della Provincia di Firenze e di Prato, e l'INPS, sede locale e sede
nazionale. Non dispongono di dati relativi alla categoria insegnanti e non
registrano le richieste di inabilità rifiutate (il burnout non viene
contemplato tra le cause di inabilità al lavoro). Riferirò perciò di alcune
indagini che si sono svolte in Toscana negli ultimi anni: non vantano la
sistematicità dello Studio Getsemani, ma rappresentano dei piccoli grandi
passi per il riconoscimento della sindrome da parte della autorità
competenti.
In una ricerca svolta da alla fine degli Anni
'90 in otto circoli didattici nella provincia di Firenze si sono ottenuti
punteggi molti alti nel Maslach Burnout Inventory: su 169 test somministrati
agli insegnanti di scuola materna, ben il 35,3 % presentava valori alti in
una o più sottoscale.
Tab.1 Punteggi alti
ottenuti nel Maslach Burnout Inventory:
54,5 %
degli insegnanti di Bagno a Ripoli 2
36.8 %
degli insegnanti di Rignano sull’Arno
36.4 %
degli insegnanti di Firenze 12
35 % degli
insegnanti di Signa
33.3 %
degli insegnanti di Lastra a Signa
29.1 %
degli insegnanti di Sesto 1
26.6 %
degli insegnanti di Sesto 2
Successivamente (1997) una rilevazione
effettuata su un gruppo di 50 insegnanti di scuola materna e elementare
durante un corso di formazione a Lastra a Signa ha dato esiti molto simili:
il 30 % dei soggetti ha ottenuto punteggi alti in una o più sottoscale del
Maslach Burnout Inventory.
Come affrontare questa situazione e come prevenirla?
L’approccio deve essere necessariamente multidimensionale, cioè prendere in
esame più fattori e a più livelli, deve coinvolgere le istituzioni, le parti
sociali, l'amministrazione scolastica, le associazioni di categoria, gli
studenti, le famiglie, la sanità, e deve operare su più livelli, politico,
sociale, sanitario ed economico.
E l'insegnante che è in burnout o che
si sente ad alto rischio, che può fare? Innanzitutto deve potersi avvalere
di esperti e specialisti del settore. Gli interventi devono avere lo scopo
sia di risolvere situazioni difficili come di prevenire quelle future. La
formazione deve essere permanente: questo significa che non basta assistere
a un paio di incontri con un formatore o psicologo, occorre un'équipe che
lavori insieme sotto la costante supervisione di uno psicologo. Un'équipe
non è un gruppo di rivali né di nemici e lo psicologo non è il capo: il
gruppo lavora insieme per uno scopo comune, per essere luogo di confronto,
di critiche costruttive, di scambio, dove portare le proprie esperienze e i
propri vissuti personali. Con questo lavoro di équipe possono essere
affrontate difficoltà personali e organizzative. E' fondamentale coinvolgere
tutta la struttura in un programma di lotta al burnout, utilizzando
tutte le risorse: contesto lavorativo, alunni, insegnanti, psicologi,
dirigenti.
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