MERITO O PROFESSIONALITA?
Per una riflessione sul "merito"
Ritengo che Il dibattito, che ha alimentato lo sciopero degli insegnanti del 17 febbraio, richieda una pausa di riflessione sul concetto di "merito" e sulla volontà di far leva su di esso per trasformare in modo radicale la figura professionale del docente.
Va detto prima di tutto che nella società post-industriale la "meritocrazia" trionfa come ideologia e come tale si impone in ambienti lavorativi diversi, nei quali già definisce nuovi rapporti di forza. La spiegazione di tutto questo risiederebbe secondo Daniel Bell (nota 1) nel fatto che "la società post-industriale, nella sua logica iniziale, è una meritocrazia. Differenze di status e di reddito sono basate su abilità tecniche e su di una più alta istruzione e sono aperti pochi posti elevati senza tali abilità". Per istruzione "più alta" deve intendersi unalfabetizzazione di base, che iinclude non solo le tradizionali capacità di leggere, scrivere, far di conto ma anche delle abilità informatiche elementari e la conoscenza di una lingua straniera.
Il concetto di Bell è semplice: laddove e allorquando si richiede istruzione per lavorare, il "merito" legato ai talenti naturali posseduti ed allo sforzo per svilupparli diventa elemento che determina la posizione sociale, in maniera più netta di quanto lo facesse in passato.
Fin qui nulla da dire. Sappiamo anche che I difensori della meritocrazia vedono con favore e sostengono le differenze invividuali a differenza degli egualitaristi che, che pur ritenendole socialmente efficienti, le considerano però " sospette", in quanto moralmente lo stato naturale degli uomini è luguaglianza.
A me non interessa qui stabilire quale delle due posizioni sia più corretta; mi interessa piuttosto riflettere su alcuni elementi.
E indubbio che il Ministro e più genericamente la classe politica al governo hanno fatto proprio il concetto di meritocrazia, mettendosi per questo verso sulla scia di analoghe tendenze che hanno informato la politica scolastica anglosassone per poi diffondersi in altri paesi dellunione.
A ognuno secondo il proprio merito dunque, cosa che sembrerebbe ricondurre a quella "valorizzazione delle risorse umane" che è diventata la parola dordine dei documenti ministeriali, dal rapporto Monteil sulla valutazione degli insegnanti elaborato nel mese di giugno del 1999 dal Ministero dellEducazione Nazionale francese, fino al Libro verde della Pubblica Istruzione italiana a cura di Federico Butera (nota 2).
Ma, arrivata a questo punto del ragionamento, non posso che guardare esterefatta al panorama appiattito ed informe degli studi, che si svolge davanti ai miei occhi. Perchè credo che mai come ora ci sia stata una scarsa correlazione fra merito e risultati.
Mi riferisco ovviamente qui al percorso degli allievi essendo questi ultimi - e non tanto i loro insegnanti - destinati allingresso in una società spiccatamente meritocratica.
Come fa presente Fabrizio Polacco,(nota 3)"... nelle scuola italiana, senza che nessuno lo abbia esplicitamente dichiarato, tutte le materie, tutte (anche quelle poche considerate "utili") sono diventate facoltative: infatti da quando il Ministro DOnofrio ha abolito nel 1995 gli esami di riparazione (i famosi "esami di settembre") ogni professore come ogni alunno sa perfettamente - anche se per un istintivo e comprensibile pudore è restio ad ammetterlo - che è possibile e legale uscire dal liceo classico senza aver mai studiato una parola di greco, dallo scientifico senza sapere nessuna legge della fisica, dal linguistico senza riuscire a tradurre una frase inglese".
La mancanza di correlazione tra merito e "retribuzione" , banalmente costituita in passato dalla promozione, è stata ulteriormente enfatizzata dalla riforma degli esami di maturità, laddove, fra gli altri, il principio della media dei voti allinterno dei 20/100 messi a disposizione della scuola, conduce inevitabilmente allappiattimento.
Il principio dell achievement su cui si basa la meritocrazia, che è il principio secondo il quale la posizione nella società - i risultati quindi nella scuola - vengono raggiunti grazie allo sforzo ed alla perseveranza, congiunti con le doti naturali, certamente non informa la progressione attuale degli studi.
Con esso risulta assente la dimensione etica del merito, che rientrava in quella scala di valori socialmente condivisi che listituzione scolastica trasmetteva ad individui in formazione.
La contraddizione, presente nei fatti, non esiste però nelle enunciazioni: gli architetti della nuova scuola stabiliscono infatti, con una buona dose di ipocrisia, una puntuale e addirittura scientifica corrispondenza tra merito e risultati.
Perché mai in questo panorama di appiattimento, che la riforma della scuola, renderà ancora più desolato, si impone per gli insegnanti, quasi con frenetica follia - e si badi bene non solo in Italia - lassunto della meritocrazia?
Temo che, nonostante quel che dice Butera, pochi passi avanti siano stati fatti dai tempi della relazione Gardner del 1983, che scaricava essenzialmente sugli insegnanti la responsabilità dei mali della scuola e ravvisava nella costruzione della carriera docente un modo di porvi rimedio. Certo nessuno può negare che la scuola non tragga giovamento da un corpo insegnante preparato e motivato, ma questo non risolve che una piccolissima parte del problema.
E molto probabile che di fronte alla complessità dei problemi sociali - fra i quali determinanti sono, sui risultati scolastici, i nuovi livelli di povertà e di degrado - il fatto di fare degli insegnanti una cible, cioè un bersaglio, offra da un lato sfogo ad un malessere generale (sono meccanismi storicamente collaudati) dallaltro metta il governo al riparo da possibili critiche.
Su questo punto ritorna più volte Nick Davies, nel Guardian del 14 settembre 1999. Egli espone i risultati di una ricerca condotta da Peter Mortimore e da un gruppo di ricercatori che giungono alla conclusione che migliorando le scuole si possa ottenere un miglioramento dei risultati pari solo ad un 8-10%, ben poca cosa se si pensa allentità del problema.
Avvertimenti di questo tipo sono stati sistematicamente ignorati e tutti gli interventi degli ultimi 15 anni prendono lavvio, scrive Nick Davies. dalla affermazione che il fallimento degli allievi va fatto risalire alle scuole ed agli insegnanti. Se questo assunto è errato, une enorme quantità di denaro e di energia sono stati sprecati in progetti destinati al fallimento.
Nick Davies lancia la sua accusa alla classe politica: " ... school effectiveness was immensely attractive to politicians. By pinpointing the work of teachers and administrators, it completely absolved central government of all possible responsibility for failure. By sidelining the impact of intake, it permitted policies which focused on detail in the school and were therefore relatively cheap (...) And so the department for Education and Ofsted were committed to hunting down failing schools and attributing their failure entirely to the weakness of techers and managers, ignoring the destructive impact of an intake which had become progressively more delinquent as the new poverty swept through the country" (nota 4)
Questa è la linea che viene tuttora seguita dal governo laburista di Tony Blair, poiché David Blunkett, oltre a proporre un premio -guarda caso - di 6 milioni annui ai docenti i cui studenti otterranno buoni risultati agli esami, ha già fatto una lista di 70 scuole a rischio di chiusura. Con relativi licenziamenti, naturalmente.
Lenfasi sul "merito" degli insegnanti appare dunque, più che legata alle caratteristiche della società post-industriale, funzionale a programmi politici deboli, a basso costo ed a basso respiro.
Essa appare inoltre perfettamente coerente con nuovi assetti sociali, che vedono il trionfo di un falso pensiero liberale. E notorio infatti che alcuni liberali stabiliscono uno stretto legame fra il merito e la selezione operata dal mercato e quindi le retribuzioni. Questo legame sarebbe secondo altri improprio e pericoloso. Non è mia intenzione addentrarmi in ragionamenti che esulano dal mio ambito, ma vorrei far notare come sotto questa spinta il concetto di merito si sposti dal piano etico (alla base del messaggio educativo nella "vecchia" scuola) a quello operativo-pragmatico, venendo a coincidere con "le abilità richieste per svolgere un certo lavoro o assolvere un certo ruolo". "Come ha osservato Michael Young (nota 5) lodierna mentalità meritocratica in realtà ha in mente una specifica forma di abilità: lintelligenza intesa come lastratta capacità di risolvere problemi".
Se il merito viene ricondotto alle abilità, diventa un concetto relazionale, che acquista un significato sulla base di un contesto e può essere equo nella misura in cui è possibile identificare criteri ben definiti ed accettati di valutazione.
Applicato al lavoro degli insegnanti, data la complessità del contesto, limpossibilità di predeterminarlo e di gestirlo in toto, può condurre a due sbocchi diversi ma entrambi fallimentari: la formulazione di un criterio predefinito, estrinseco al lavoro vero dellisegnante, che diventa strumento di controllo autoritaristico della categoria (vedi tentativo per ora sventato del "concorsone"), laccettazione dellassunto che, come abbiamo già detto, è proprio ad alcuni liberali, che sta al mercato determinare il merito e la retribuzione ad esso collegata. Percorreremmo così il cammino anglossasone, che ha al proprio centro un mercato adolescenziale, i cui parametri non sono costituiti nemmeno più dai risultati ma addirittura dallindice di gradimento.
Terreno questultimo pericolosissimo, che andrebbe analizzato nellambito più vasto di una "messainscena adultomorfa" tipica, secondo Roberto Cheloni, della nuova società maniacale.
Che dire e che fare dunque?
Colpiscono di fronte a questi interrogativi, le ansie di molti docenti, il pressante bisogno che essi sempre più manifestano di assistere alla punizione dei "malfattori". Lo si chiamava un tempo. quando tirava un vento diverso, lo spirito del cameriere, pronto a spiare, dietro le porte, le altrui mosse.
Colpisce anche questa ansia di definire il "merito" quando non è quasi mai stato messo in atto listituto del "demerito" e questo non solo nel nostro paese ma anche in altri (ad es. la Francia). Eppure il "demerito" costituisce lapproccio più corretto al problema. La nozione di demerito non si riferisce infatti a criteri astratti, nè fa alcun riferimento al mercato, ma si collega alle responsabilità che lindividuo ha nei confronti della società, responsabilità i cui parametri si possono semplicemente definire con indicatori simili a quelli già usati in Francia ed ora in via di definizione in Germania.
La "meritocrazia" a cui pensa il Ministro, che non si basa su compiti inerenti alla professionalità docente, ma su di una serie di mansioni, quali lassistenza e lanimazione, che poco o nulla hanno a che vedere con linsegnamento, conduce ad un progressivo indebolimento del profilo professionale e ad uno svuotamento dellistituzione scolastica.
Si chiede alla scuola di educare oltre che di insegnare? Ebbene leducazione non è un atto astratto, ma quasi unarte che si compie, come dice Pierre Gillet, dottore di Scienze dellEducazione,"à travers la médiation de lapprentissage", cioè per mezzo ed attraverso ciò che si insegna e nei limiti di tutto ciò.
Serafina Gnech
Centro Studi della Gilda
Bibliografia:
1. Meritocracy and equality in the coming of post-industrial society, Basic books, New York 1973, p. 409
2. Franco Angeli 1999
3. La cultura a picco, Marsilio 1998, p. 12
. "... il buon funzionamento delle scuole è stato uno dei punti cardine dei vari programmi politici. Facendo risalire il buon funzionamento unicamente al lavoro svolto dagli insegnanti e dagli amministratori, il governo si liberava di ogni responsabilità in caso di fallimento. Mettendo in secondo piano il grosso problema che derivava dalle ultime generazioni studentesche, permetteva di dare lavvio a progetti che ponevano al centro la scuola e che risultavano pertanto relativamente economici. Così al Department for Education e allOfsted fu impartito lordine di rilevare quali fossero le scuole con maggiori problemi e di attribuire il loro fallimento alla inadeguatezza degli insegnanti e dei managers, ignorando il progressivo aumento di delinquenza in tutto il paese a cui la nuova povertà aveva dato origine."
4. The rise of Meritocracy, Transactions Publishers, Londra 1994