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ESAMI DI STATO: ANNO DUE.

 

Osservazioni sugli esami di stato e qualche ipotesi embrionale

per la riapertura di una libera discussione sui meccanismi di selezione.

 

di Lino Giove

 
 

A partire dalla sospensione della Riforma dei cicli, si apre la necessità di accentuare la nostra dimensione di associazione professionale.

L’esperienza concreta - ormai biennale -  degli esami di maturità ha fatto toccare con mano alla stragrande maggioranza dei colleghi delle superiori la necessità di aprire una “battaglia”, insieme ai colleghi delle medie e delle elementari, per la revisione di tutto il sistema di selezione della scuola italiana (per selezione evidentemente intendiamo non in primis il sistema delle bocciature, ma il rispetto della diversità di capacità, di impegno, di interesse, ecc). Si tratta, in altre parole, di pensare  ad una scuola per tutti almeno fino ai 18 anni che rispetti le differenze, e non ad una scuola di massa, uniforme e dequalificata.

Il problema della selezione, com’è facile intuire, investe sia il problema dell’articolazione della scuola che la qualità della docenza e della professionalità.

E’ necessario perciò avviare una seria e rigorosa discussione, oltre ad una raccolta d’esperienze - non solo italiane. Questo per non trovarci disarmati rispetto ad un’indispensabile ridiscussione non solo della riforma dei cicli, ma anche dell’esperienza di dieci anni di cattive riforme della scuola.  Con il rischio di incorrere in rimedi peggiori dei mali e di passare da una demagogia ad un’altra.  

 

1. Breve analisi-proposta relativa agli esami di maturità. 

Questo modello d’esame, che evidentemente influisce sullo studio disciplinare a monte, e i meccanismi selettivi ad esso collegati impongono una particolare didattica, ledendo gravemente la libertà d’insegnamento.

Mi limito a fornire un esempio: attraverso la prova letteraria si sta ora privilegiando l’analisi   testuale  e cancellando di fatto, con gravi conseguenze sullo studio durante l’anno, ogni altro modo di leggere ed interpretare un’opera. Eppure non mancano le alternative interpretative: dalla scuola di Costanza (Jauss, Jser, ecc.) e dalla scuola della ricezione (Weinrich),  al  belga americano Paul DeMan, senza contare il modo di leggere e di fare critica nel senso del commento di un Claudio Magris, d’Ermanno Krumm  ed altri. Non discuto evidentemente l’analisi testuale, ma è un fatto che,  nella realtà concreta e povera della scuola, si tende ad annientare il rapporto con il carattere problematico della tradizione in nome di una scientificità asettica. Molto spesso si allontanano gli studenti dalla lettura, escludendo una riflessione esistenziale-problematica (ad es. la commozione d’Adorno, cioè il tremare dell’esistenza e delle proprie convinzioni) che costituisce poi il vero scopo della lettura (Genette, ad esempio, va bene per gli insegnanti che lo devono conoscere, non certo per lo studente, se non in modo molto indiretto). Va detto, fra l’altro, che nella concretezza dei testi proposti dagli esperti ministeriali non trionfano certo Genette o Segre, e l’analisi testuale si riduce, di fatto, alla banale comprensione di un “branetto”  (vedasi ad es. il testo di Pavese proposto dal ministero). Per non parlare della banalità della modellistica:saggio, articolo di giornale, ecc. Dati poi gli altri componimenti proposti dagli esperti, dobbiamo dire che scompare di fatto la letteratura. Com’è noto, in Francia c’è una vivacissima discussione sulle tendenze ministeriali ad eliminare il tema di letteratura: “Le monde de l’éducation” del mese di giugno rileva che su questo  il ministero francese ha dovuto fare una parziale marcia indietro (L’assassinat de la littérature). Tornando a noi, senza negare evidentemente che si possa fare analisi testuale - per chi la vuol fare e la sa fare – quello che è contestabile è l’imposizione di un’autorità sulla didattica  che tende a sostituire una qualche rigidità sugli autores o sul canone letterario.  E, per carità di patria, è meglio non soffermarsi a parlare delle caratteristiche degli altri esempi della prima prova. Tale modello di tipo anglosassone(?) tende a deprofessionalizzare l’insegnante, a trasformarlo in un mero esecutore.  Lo dimostra il fatto che sono  sempre più numerosi non solo gli studenti, ma anche gli insegnanti, che leggono poco e male.      

·        L’attuale esame tende a distruggere le materie orali, in primis le materie umanistiche. Confinando infatti il controllo disciplinare a 50 minuti in cui si presenta la cosiddetta tesina imparata a memoria (15 minuti), ci sono poi 20 minuti per controllare lo studio delle discipline (7/8!) e poi 5/10 minuti per vedere i compiti. E’ chiarissimo che si tratta d’ipocrisia e finzione. Questa contrazione vergognosa dell’orale corrisponde ad una diffidenza per l’autonomia professionale degli insegnanti. Non solo: c’è una demenziale politica portata avanti dai cosiddetti ispettori ministeriali, che sostanzialmente tende ad imporre che non si discuta veramente (si deve tacere durante tutta la recita per mettere a proprio agio lo studente in modo tale che spesso risulta impossibile capire se lo studente sa quello che dice).  Vertecchi, il Mike Buongiorno della Didattica, pensa, tra le altre cose, che si debba diminuire il peso dell’orale. Si muove così in controtendenza rispetto alla critica inglese (“ The Guardian”) che individua proprio in questa limitazione una delle ragioni del basso livello di preparazione degli studenti anglosassoni. A questo proposito è opportuno seguire anche il vivace dibattito condotto ora in Francia (“Argos” n°26, 2001, p. 96). 

·        La distruzione dello studio disciplinare prosegue con il modello della terza prova scritta (quattro o cinque materie). Il meccanismo americaneggiante tende a distruggere sia il ragionamento che la riflessione ed ad imporre il modello Bignami  (sarà per questo che lo Stato impone burocraticamente la giornata della creatività    nelle scuole?). Il nostro Mike Buongiorno della Didattica inoltre, accorgendosi solo adesso degli imbrogli che da due anni gli insegnanti (compreso il sottoscritto) intravedevano in questo meccanismo, pensa che la terza prova dovrebbe essere stabilita dal ministero (quiz?), alla faccia della libertà dell’insegnamento disciplinare. 

·        I famosi debiti (che hanno sostituito gli esami di settembre)  introducono meccanismi di recupero non selettivi, che fanno sì che molti studenti possano “passare” con quattro o cinque materie insufficienti e trascinarsele per tutto il percorso scolastico fino agli esami. Veicolo dello studio approssimativo, i corsi di recupero costituiscono forse – perlomeno alle superiori – il problema più drammatico. Tale meccanismo fa sì che in un Liceo Scientifico si possa andare avanti negli anni con gravissime e mai recuperate insufficienze, anche in matematica ed in fisica. E  le lacune aumentano con il tempo… e questo non perché gli insegnanti siano tutti lassisti, ma perché il meccanismo di recupero crea situazioni irrisolvibili. E’ un meccanismo che, affrontando in modo ipocrita il problema delle bocciature e degli abbandoni, abbassa il livello degli studi, danneggiando gravemente i capaci e scoraggiando l’impegno e la motivazione degli studenti più deboli anche socialmente.  Gli insegnanti, dal canto loro,  per non fare massacri sono costretti, lo sappiamo bene, a barare…  

·        La formazione delle commissioni attraverso chiamate solo locali può produrre situazioni a dir poco imbarazzanti (tu interroghi i miei e io interrogo i tuoi, ecc).  Il fatto poi che la commissione sia per metà interna non può che facilitare pratiche d’autoreferenzialità delle scuole contrarie allo spirito del dettato costituzionale  (che pure contempla la validità del titolo di studio e quindi la necessità di una ragionevole oggettività), quando non incentiva in alcune situazioni veri e propri brogli. Per essere chiari, come succede anche nelle scuole medie, si sa prima , in alcune materie, in che cosa si verrà interrogati e si conoscono le domande della terza prova. E’ – mi permetto di dirlo – perlomeno cretino appellarsi ad una professionalità astratta, anche perché la maggior parte degli insegnanti vede il fallimento dei propri studenti come il proprio fallimento. Il broglio,, ormai sotto gli occhi di tutti, era ampiamente prevedibile e previsto due anni fa. 

·        Al di là del carattere  modesto del punteggio aggiuntivo, il meccanismo dei crediti formativi per studi all’estero, teatro, attività sociali, oltre ad essere socialmente discriminante, poiché non tutti possono permettersi altre attività al di fuori dello studio (es. soggiorno in Inghilterra - non si capisce poi perché non considerarne solo gli effetti disciplinari!) impone l’ideologia buonista e totalitaria del politicamente corretto e tende ad incentivare un modello di studio fallimentare in cui si fa di tutto e male, sul modello dei fast-food o dei grandi magazzini. Qui va aggiunto, in margine al ragionamento, che il modello del genitore come utente sta trasformando molte scuole in un grande magazzino e questo dovrebbe portare perlomeno ad interrogarci sulla validità del modello concorrenziale imposto alle scuole. 

·        Il modello di giudizio a punteggio, oltre ad imporre delle mostruosità nel calcolo appiattendo situazioni di studi e di preparazione molto diverse , non tiene conto del diverso peso delle discipline nel tipo di scuola (es.: un dieci in  educazione fisica e un quattro in matematica portano in un liceo scientifico alla media del sette che influisce sul credito). Sulla mostruosità del meccanismo e sul suo carattere deprofessionalizzante sarebbe opportuno rileggere gli ottimi interventi di Guido Armellini. 

Questo modello d’esame sottintende un’antropologia e una pedagogia che sono alla base di un modello selettivo fallimentare. Certo non possiamo ignorare alcuni problemi epocali, quali la fuga da alcune mansioni dure che caratterizza la società post-industriale; la spinta sindacalese dei genitori che non ammettono più che il loro figlio possa perdere un anno; la distorsione del rapporto scuola-sbocchi professionali; la crescente deresponsabilizzazione dei genitori, e via dicendo.

Il nodo è che si presuppone una forte autonomia e si pretende troppa responsabilità dallo studente. Togliendoli così il riferimento all’autorità razionale dell’insegnante, e chiedendogli autoeducazione, creatività, ecc.

Al contempo, se lo studente non deve attraversare una fase di dipendenza autorevole, allora compito dell’insegnante è quello di mettersi al suo fianco, motivandolo, in una visione totalitaria della pedagogia che non ammette fallimenti.  A questo proposito sarebbe opportuno rileggere “Passato e presente”  di   Annah Arendt, che ho avuto modo di citare nella prolusione al Convegno di Padova “Il limite dell’utile” (www. gildains.it).  Troppa autorità da un lato e troppo poca dall’altro, dunque.

Questa è la radice della distruzione dello studio disciplinare, della prevalenza data alla costruzione di capacità formali (imparare a studiare in astratto), della pretesa di uno scientismo oggettivistico nella misurazione, che eviti la fallibilità d’ogni giudizio personale dell’insegnante, della retorica etico-politica che sostituisce l’approfondimento critico, ecc .

Dietro ci sta un ulteriore problema, cioè la rinuncia da parte della comunità nazionale - e non solo - a definire una qualche tradizione da leggere e interpretare, per cui si finisce poi con l’affidarsi al mercato.

 

2. Ipotesi per aprire la discussione su alcuni rimedi. 

Come premessa, va chiesto all’attuale governo di operare un profondo rinnovamento, sgombrando il ministero dagli esperti che in questo decennio non sono riusciti a risolvere il problema della scuola italiana ed hanno escogitato meccanismi selettivi demenziali.

Ritengo, tra le altre cose, che il governo (ed anche l’opposizione) dovrebbero istituire dei momenti di discussione sui vari temi e chiederci di designare insegnanti che insegnano per discutere, accanto ad esperti di altra natura, modelli di soluzione che non possono prescindere dall’esperienza concreta di chi vive questa nostra stramaledetta professione.  

3. Alcune tesi.

·        E’ pura idiozia chiedere un aumento delle bocciature alla fine del percorso. Se la scuola bocciasse di più agli esami di maturità dovrebbe essere chiusa perché denuncerebbe il suo fallimento e non risponderebbe alla domanda sociale.

E’ ovvio che la situazione attuale della preparazione degli studenti implicherebbe, per rispettare degli standards minimi di decenza,  almeno il doppio delle bocciature. E fino ad oggi la pressione degli ispettori ministeriali è stata rivolta nella direzione di evitare al massimo le bocciature. Fenomeni analoghi sono riscontrabili in Francia, dove l’intervento  degli ispettori è ancora più massiccio: “ Le niveau des épreuves est trop élevé , alors on donne des consignes de clémence au moment de la correction… “Le Monde de l’éducation”, op. cit.

Il nodo però è un altro: se si vuole mantenere l’indicazione di una scolarizzazione massiccia (80%) bisogna rivedere tutta la struttura del percorso.

Il 71% degli insegnanti francesi stima che il modo in cui si sta muovendo l’autorità governativa – che procede con criteri analoghi ai nostri –  non ottenga l’effetto di migliorare il livello di formazione delle nuove generazioni (in barba ad Asor Rosa), ma abbassi il livello degli studi ed il valore del bac.

Quel che è certo è che questa situazione costringe le commissioni a brogliare per rispettare le percentuali desiderate dal ministero.     

·        Il problema non è evidentemente quello di eliminare totalmente le bocciature specialmente ai livelli più alti.  Bisogna ammettere sempre la possibilità del rifiuto, cioè la libertà dello studente, se non si vuole cadere nel tranello di quelle ideologie totalitarie che sostengono che la pedagogia-didattica sia onnipotente e che basti motivare. A volte è necessario  ammettere anche  l’eventuale necessità di un percorso più lento. Bisogna comunque intervenire durante il percorso, tenendo conto del fallimento dei modelli del recupero e dei debiti in vigore. 

·        Si possono ipotizzare, a mio parere, due possibilità (e mi riferisco qui, prevalentemente, alla mia esperienza delle superiori). Il recupero potrebbe terminare con una prova: recupero selettivo. Il modello del debito è assolutamente inefficace: ce lo insegna l’esperienza empirica  e l’osservazione che non è importante che uno studente venga fermato alla fine del ciclo , ma che possa lavorare qualitativamente bene negli anni di corso, senza abbassare il livello della classe. E’ evidente che questo modello implicherebbe forse un quasi obbligo nel recupero reale cosa che attualmente non avviene (Come? Aumentando i compensi e stabilendo delle ore obbligatorie. Certo non in periodo di lezione: l’esperienza mi sembra indicare che i recuperi svolti il pomeriggio recano un gran danno al normale lavoro in classe).

·        Una seconda possibilità è quella di istituire dei livelli differenziati nelle discipline, quantomeno in quelle fondamentali (ad esempio, due o  tre  livelli di matematica, Italiano, ecc. nei Licei), così come proposto dalla  Commissione Nova Spes e dal Centro Studi della Gilda. E’ ovvio che questo discorso necessita di un approfondimento, che potrebbe essere  condotto anche sull’analoga esperienza austriaca. Restano aperte delle problematiche: l’ipotesi dei livelli è estendibile a tutti i gradi di scuola? Con quali modalità? Come far sì che la creazione dei  livelli di difficoltà non configuri dei ghetti, ma divenga strumento di recupero reale? Le questioni si pongono e non sono di poco conto. Quel che è certo è che l’ipotesi dei livelli configura una soluzione possibile.

·        Si può anche ipotizzare un modello misto o il modello di alcuni Länder tedeschi

·        Fino a qui abbiamo parlato della selezione all’interno di uno stesso percorso. Affrontare seriamente il problema della selezione significa  però anche, e forse soprattutto,  contemplare un’articolazione di percorsi , cioè un’esaltazione delle diversità (d’impegno, capacità, diversità delle teste, modelli d’intelligenza ecc). Proprio il contrario di un egualitarismo basato sull’uniformità e l’omogeneità. Anche qui si possono ipotizzare modelli diversi. Interessante è il modello proposto da Nova Spes e Centro Studi Gilda per il passaggio dalle medie alle superiori. Si tratta di un modello misto, che prevede un  orientamento vincolato sulla base dei risultati delle discipline (divise per livelli: ad esempio, non si passa ad un liceo scientifico senza un livello A di Matematica e ad un liceo classico senza un Livello A d’Italiano). Laddove lo studente non accetti l’orientamento dato dalla scuola, viene previsto il superamento di una prova d’ingresso. E’ possibile anche ipotizzare,  come in alcuni Länder  tedeschi, un anno di prova a rischio. Comunque sia, è necessario pensare ad alcuni filtri selettivi differenziati. Questo se non si vuole continuare ad abbassare il livello medio, fenomeno sul quale c’è ormai piena consapevolezza degli insegnanti europei, se non dei governi. Va rilevato il fatto che i giovani insegnanti francesi dubitino sempre di più dell’utilità di una scuola media rigidamente uniforme al suo interno. Per quanto riguarda le elementari dovrebbe essere studiato qualcosa d’analogo. 

4. Alcuni rimedi empirici relativi all’esame di stato, nella prospettiva di rivedere l’intero sistema della selezione.  

·        Un primo passo è quello di abolire i crediti formativi (cioè il punteggio per attività esterne alle discipline studiate) ingiusti socialmente e dannosi perché producono un’idea di scuola totalizzante. Si tratta di restituire la scuola al suo compito fondamentale, ma parziale, nel processo educativo.

·        Si dovrebbe rivalutare l’orale come condizione per una rivalutazione dello studio disciplinare. Ad esempio si dovrebbe permettere alla commissione di dividersi in modo da condurre l’esame in due giornate e quindi non in 50 minuti. Questo permetterebbe un reale controllo-discussione della ricerca dello studente  e una reale verifica delle competenze-conoscenze disciplinari.

·        Il controllo disciplinare nelle varie materie potrebbe forse essere ridotto agli argomenti del secondo quadrimestre. Questa proposta comporta alcuni evidenti rischi, ma è bene rifletterci, poiché l’esperienza ci dice che è quasi impossibile pretendere  dagli attuali studenti una preparazione approfondita nel programma di tutte le materie dell’ultimo anno.

·        E’ necessario permettere che la ricerca dello studente sia limitata anche ad una sola disciplina (non necessariamente evidentemente) se non si vogliono quelle accozzaglie nominalistiche d’argomenti, che tra le altre cose distruggono lo studio disciplinare e che sono spesso comprate, trovate su Internet o costruite dagli stessi insegnanti. L’esperienza degli esami ci dice che, nella stragrande maggioranza dei casi, ciò ha indotto gli studenti all’abbandono dello studio disciplinare. All’infuori di frammenti appiccicati, si constata il vuoto. Non sarebbe male che fossero date istruzioni in proposito agli ispettori, magari tramite circolare o altro. Questo non esclude, ovviamente, momenti di vero lavoro interdisciplinare durante l’anno.

·        Per quanto riguarda la prima prova ,quella d’Italiano , quanto meno nei Licei, a mio parere dovrebbe essere obbligatoria la prova letteraria con modalità alternative (diversi modelli di lettura e varie alternative testuali).

·        La terza prova, spesso falsata (non vale la proposta Vertecchi di quiz nazionali) potrebbe essere una terza prova di disciplina specifica:  ad esempio.Storia o altro. Resta da valutare se essa debba essere nazionale o predisposta dalla scuola. Non sarebbe male che nei Licei scientifici venisse ripristinata la prova di traduzione dal Latino,  per lo scritto o per l’orale. Come ha mostrato Dario Antiseri, si tratta forse dell’unico esempio di ricerca scientifica in vitro del nostro Liceo scientifico. Nella realtà, per quanto riguarda il Latino, vige la più grande anarchia, frutto della demagogia del passato che la considerava materia da eliminare in quanto antipopolare.

·        Anche se non è una proposta popolare, credo, per quanto mi riguarda, che la commissione debba essere tutta esterna, con almeno il presidente di una provincia diversa da quella in cui ha luogo l’esame. Altrimenti bisogna rassegnarsi all’andazzo indecente in tanti casi che confinano con l’illecito. L’attuale situazione induce inoltre  ad una sorta d’autoreferenzialità nella valutazione del lavoro.

·        Esiste un problema nel meccanismo del punteggio che crea molte anomalie. La pratica dei colleghi cerca di limitare i danni, ma questo li costringe di fatto a falsità nell’assegnazione dei punteggi, cosa che - divenendo costume – crea, in alcune situazioni,  problemi gravissimi. Sarebbe sensato invece, considerato anche che molte ditte chiedono ora il curricolo interno per materia,  tentare di istituire un meccanismo di valutazione che non dia un voto indifferenziato, ma colga le differenze interne di preparazione.

·        Le nostre  università stabiliscono ora, sia pure in modo meno selettivo che in Francia e in Inghilterra, dei filtri selettivi. Non è questa la sede per affrontare un problema che richiede una seria riflessione, ma ritengo che una maggiore trasparenza sui risultati degli esami di maturità sarebbe  positiva ed auspicabile.