Per dirla con le parole
del Ministro le Indicazioni Nazionali “non possono pretendere di dettare una
pedagogia di Stato in un Paese in cui i principi dell’autonomia delle
Istituzioni Scolastiche e della libertà di insegnamento sono principi sanciti
dalla Costituzione”.
Dunque il Governo,
incapace di seguire il normale iter per varare nuovi programmi, si appresta a
correggere le Indicazioni del precedente governo.
La presentazione del documento di base al quale si ispireranno le nuove
Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di
istruzione è avvenuta poco tempo fa, in verità credo se ne parli pochissimo tra
noi docenti.
Ciò che subito mi meraviglia è che dei 16 componenti nominati nella commissione
istituita
per l’individuazione dei criteri generali e delle linee guida per la revisione
delle Indicazioni Nazionali morattiane non c’è un solo maestro.
Filosofi,
cervelloni , politici, presidi ideali per i docenti (tra cui quelli
che organizzano corsi di
aggiornamento dal 28 giugno al 2 luglio per i loro docenti!)
professori universitari, amici delle case editrici di settore, direttori di
collane e riviste specializzate, autori di guide didattiche, membri a vita di
commissioni di vari governi, orfani dell’INVALSI e dell’
IRRSAE,
ex “saggi”, hanno scritto un
documento di base nel quale si pone un forte accento sulle parole cultura,
scuola e persona.
La
CULTURA
viene nominata per la prima volta a pagina 12 per ricordare che “
fino a tempi assai recenti la scuola ha avuto il compito di formare cittadini
nazionali attraverso una cultura omogenea”.
Viene da pensare che,
almeno da un po’, quei signori non siano entrati in una vera scuola.
La
SCUOLA
delineata si pone obiettivi che risentono
del pensiero di
Edgar Morin basato sulla
necessità di una nuova conoscenza che superi la separazione dei saperi e sia
capace di educare gli educatori ad un pensiero della complessità.
Si intravede la nota
proposta di una riforma non programmatica ma paradigmatica, che sappia
organizzare la conoscenza dentro ad una "testa ben fatta", mettendo fine alla
separazione tra le due culture, per rispondere alle sfide della globalità e
della complessità nella vita quotidiana, sociale, politica, nazionale e
mondiale.
Viene
chiaramente suggerita una didattica ispirata all'epistemologia costruttivista (la
nostra conoscenza della realtà è una costruzione individuale e sociale).
Le
discipline, viste come espressione storica che dimostra l’evoluzione del
rapporto dell’uomo con il mondo e, non più come descrizioni oggettive di
realtà, orientano verso curricola focalizzati sul succedersi di modelli
interpretativi e sulle variazioni di significato dei concetti chiave delle
discipline, legati a contesti geografici, epocali e culturali.
Nella Scuola
pubblica statale, dove non si riescono a togliere i Crocefissi, viene
legittimata la profonda diversità tra le culture e il dialogo.
I modelli di
spiegazione degli allievi (guai a considerarli errori!), sono il punto di
partenza per impostare qualsiasi azione didattica.
Si insiste
sullo sviluppo di un’attitudine metacognitiva e riflessiva che fondi l’idea di
un apprendimento costante durante tutta la vita.
L’acquisizione dell’AUTONOMIA, secondo la
Commissione, rappresenta un momento decisivo per le istituzioni scolastiche,
sostengono che questo processo di sempre maggiore responsabilizzazione
sia condiviso dai docenti e dai dirigenti. Non mi piace questo inciso sulla
responsabilità, sono gli standards che,
secondo Lucio Guasti, tendono a responsabilizzare il maggior numero possibile
di persone, si aprirà una nuova stagione di valutati e valutatori e la caccia
all’insegnante “più bravo”?
La parola
PERSONA
è centrale in tutto il discorso, ricorda proprio lo Slogan del Liceo Malpigli di
Bologna (Scuola di persona) diretto dalla Dott.ssa Ugolini,
del Comitato Direttivo
dell'INVALSI, già membro della "Commissione dei saggi" e componente del gruppo
ristretto di lavoro istituito dal Ministro dell'educazione Letizia Moratti per
la predisposizione degli indirizzi concernenti il nuovo sistema di valutazione
del sistema scolastico italiano.
Si
valorizzano, forse pensando anche alla didattica cooperativa, l’aspetto sociale
della conoscenza e le potenzialità della classe come gruppo, nell’imparare dagli
altri e con gli altri attraverso relazioni interpersonali.
Ispirandosi ancora al
costruttivismo nello scritto si precisa che la formazione di importanti legami
di gruppo non contraddice la scelta di porre la persona al centro dell’azione
educativa, ma è al contrario condizione indispensabile per lo sviluppo della
personalità di ognuno.
Ogni alunno,
insomma, ha bisogno sia di venire confermato e di sentirsi parte di una
comunità, che di trovare in essa l’opportunità di realizzare le proprie
potenzialità.
Purtroppo la parola
INSEGNANTE
o
DOCENTE
viene citata raramente, sempre per evidenziare, garbatamente, qualche mancanza.
Si fa notare che
le relazioni con gli
strumenti informatici sono assai diseguali fra gli studenti come fra gli
insegnanti.
Ci si spinge a
sottolineare l’ inadeguatezza delle trasmissioni standardizzate e normative
delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti, pensati per individui
medi, quasi come se le nostre scuole dell’Infanzia e Primaria fossero basate su
accademiche lezioni di baroni universitari.
E’ questa la
critica generalizzata del costruttivismo al modello attuale di scuola, critica
assolutamente distante dalla pratica quotidiana della maggior parte dei docenti
dei nostri ordini di scuola.
Mi pare si legga anche una
richiesta di competenza deontologica del docente, cara a Frabboni, che sappia
salvaguardare il singolo nel mondo globalizzato dei mercati, dell’informazione e
della cultura.
Si raccomanda, in modo un
po’ irritante, ai docenti di pensare e realizzare i loro progetti educativi e
didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che
sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di
significato.
Ai docenti si chiede
infine di definire le proposte didattiche in una relazione costante con i
bisogni fondamentali e i desideri dei bambini e degli adolescenti, valorizzando
simbolicamente i momenti di passaggio che segnano le tappe principali di
apprendimento e di crescita di ogni studente.
Insomma,
l’immagine dell’insegnante che se ne ricava è quella di un ignorante informatico
che tiene lezioni cattedratiche di tipo nozionistico a bambini “astratti”,
incapace di vederne bisogni e desideri, impreparato persino quando dovrebbe
gratificarli , se apprendono, malgrado tutto!
Da quanto
ho capito, nelle nuove guide didattiche, troveremo una serie di esperimenti e
metodi ispirati a questa filosofia, sarà la scuola dell’intercultura, della
multiculturalità, dell’educazione alla cittadinanza, dell’educazione ambientale,
della cooperazione.
Una
scuola piena di bambini, tutti uguali e diversi, stipati in classi dove il
sostegno ai portatori di handicap non è più una certezza ma dove si porrà
particolare attenzione al sostegno
delle varie forme di diversità o di svantaggio.
Una scuola, senza
risorse, che invece di rispondere ai bisogni degli stranieri, con l’alibi di
dichiararli “una ricchezza”, invece che un problema, li lascerà, nella speranza
del dialogo, nelle loro classi ad imparare la lingua come meglio potranno.
Una scuola delle persone,
cittadine del mondo, dentro ad edifici fatiscenti, con meno insegnanti, mal
pagati e sempre meno interessati a queste belle teorie perché presi ogni giorno
dall’emergenza.
A scuola, comunque,
ancora una volta, inascoltati e appassionati, staremo noi, con quei bambini
davvero poco astratti, che ogni giorno condividono con noi l’arte di
arrangiarsi. |