Riordino dei cicli: una riforma malata di ideologia ...

 Venerdì 3 novembre il Ministro dell’Istruzione Tullio De Mauro presenterà al Governo un documento politico sul Riordino dei cicli. Restiamo in attesa di poterlo leggere (poche e preoccupanti informazioni ci giungono per ora dai massa-media).

La Gilda ha  da tempo preso  una posizione nettamente  critica nei confronti di una legge quadro, passata indenne attraverso la Commissione istruzione del Senato e blindata in aula dalla maggioranza di Governo.

Preoccupa la Gilda non solo l’ingegneria di un sistema che riduce il percorso d’istruzione  e  conduce alla distruzione della scuola elementare e media, ma anche e soprattutto la natura di un progetto  che conduce all’abbassamento del livello di competenze generali e ad una alterazione della professionalità docente, mettendo  fra l’altro fortemente a rischio il ruolo internazionale dell’Italia..

Come Associazione professionale, la Gilda  ha voluto coniugare  alla “critica” il momento propositivo. Per questo il Centro Studi ha aderito ad un “Progetto per la riqualificazione della Scuola italiana” promosso dalla fondazione Internazionale “Nova Spes”, progetto a cui hanno aderito anche l’Istituto italiano per gli studi filosofici e l’Associazione Prisma (vedi i numeri 8 e 9   di “Professione docente”).

Questa azione si è rilevata tanto più necessaria in quanto l’intera questione dei  cicli è stata affrontata,  come ha rilevato  la collega Renza Bertuzzi, che  fa parte della Commissione dei saggi ministeriale, in modo  palesemente ideologico.

La situazione di stallo verificatasi all’interno della Commissione, che ha evidenziato le problematiche in campo senza pervenire ad alcuna scelta, pone d’altro canto  le condizioni per poter avvalorare qualsiasi scelta successiva.

E’ quello che sostiene anche Giuseppe Bertagna in questo articolo (tratto dall’ultimo numero di “Cultura, scuola, educazione”) che, oltre a mettere in luce due grossissimi nodi problematici (quello della divisione della scuola di base e del passaggio dagli ambiti disciplinari alle discipline vere e proprie) evidenzia come questioni di così grande rilevanza siano state affrontate con un metodo pedagogicamente sbagliato:un metodo “giacobino”... che non porta lontano, visto che come ricordava Kant, è impossibile mettere le braghe alla realtà”...

 

 

COMMISSIONE DE MAURO

- prime  conclusioni -

 

Il 12  settembre scorso la Commissione De Mauro ha chiuso quella che sembra essere stata la prima parte dei propri lavori. Prima parte perché è probabile che possa essere riutilizzata, con integrazioni, nella seconda fase del processo riformatore, quella riguardante la stesura dei piani di studio e dei programmi. La Commissione era stata costituita a giugno per “predisporre il programma quinquennale di progressiva attuazione della legge 10 febbraio 2000, n° 30 sul riordino dei cicli d’istruzione” che il Governo era obbligato a presentare al Parlamento entro il 26 settembre. L’incarico era poi stato ridimensionato alla predisposizione di “proposte generali” per la stesura da parte del Ministro del programma quinquennale in questione. Il Ministro, nella seduta conclusiva del 12 settembre, infine, ha ricordato che è soprattutto servita “per confrontarsi con lo spirito della riforma” e per identificate “tutti i nodi problematici”. Il Forum informatico attraverso cui si è sviluppata è stato un successo, se lo si misura dai contatti intervenuti tra i partecipanti e dalla mole di materiali prodotti. Chi si aspettava, tuttavia, che la commissione sciogliesse i problemi posti sul tappeto dalla legge di riforma, avanzando proposte di soluzioni operative e universalmente condivise deve rimandare ancora la propria soddisfazione.

La Commissione si è limitata a mettere a fuoco i problemi e, sulla base dei contributi e della sensibilità dei partecipanti, ha prospettato le differenti modalità con cui si potrebbero risolvere. E’ probabile che il Ministro e il suo staff restringano, però, questo ventaglio di possibili soluzioni e presentino al Parlamento una proposta di programma quinquennale più netta e determinata.

 

Scuola di base

 

Cominciamo dal problema “scuola di base”. La Commissione non poteva respingere un vincolo posto dalla legge: la scuola di base non deve risultare dalla mera sommatoria delle attuali scuole elementare e media, ma deve costituirsi come “un percorso educativo unitario ed articolato in rapporto alle esigenze di sviluppo degli alunni"”(art. 3, legge 30/2000). Che cosa vuol dire, tuttavia, questo in concreto? Data per acquisita l’unitarietà della scuola di base (nelle finalità, negli assetti istituzionali, nei programmi, negli organici e nelle risorse), come interpretare l’articolazione? La relazione finale del Gruppo di lavoro dedicato a questo problema contabilizza soltanto 4 ipotesi, sebbene nel dibattito informatico ne siano state avanzate ben sei. Le quattro presenti nella relazione finale sono queste: 2+2+2+1; 3+4; 2+5; 1+5+1. Le due tralasciate proponevano il 4+3 (taciuta nella relazione finale, ancorché condivisa da parecchi interventi, perché avrebbe troppo scopertamente evocato l’accostamento dell’attuale scuola elementare accorciata di un anno e dell’attuale scuola media) e il 4+2 (forse lasciata cadere per le stesse ragioni, anche se l’anno intermedio di cogestione tra maestri e professori attenuava il carattere di duplicazione dell’esistente).

Proprio la proliferazione di queste scansioni, tuttavia, ha dimostrato che erano anche la conclusione di un metodo pedagogicamente sbagliato per affrontare la questione. I numeri non si devono dare allo scopo di impedire che nella nuova scuola di base affiori sottotraccia il profilo delle defunte, per decisione politica, scuola elementare e media. Questo modo ideologico e un po’ giacobino di affrontare la questione non porta lontano, visto che, come ricordava Kant, è impossibile mettere le braghe alla realtà.

Il vero nodo sta “nelle esigenze di sviluppo degli alunni” per richiamare il dettato della legge. I numeri devono, dunque, servire per corrispondere a questo scopo, non ad altro. E se fosse vero che ciò comporta anche un’eventuale riedizione sottotraccia di un’organizzazione didattica, metodologica, organizzativa, curricolare diversa per il fanciullo e per il preadolescente non ci dovrebbe essere nulla di scandaloso o di impronunciabile. O dobbiamo vergognarci della scoperta della diversità della pedagogia del fanciullo e del preadolescente, quella che ha portato all’istituzione della scuola media? Perché parole come scuola elementare e scuola media devono essere tabuizzate? I preadolescenti forse non esistono più? I ragazzi tra i 6 ed i 9-10 anni sono forse diventati uguali a quelli tra i 10 e i 13?

Proprio queste consapevolezze, ancorché in molti casi non confessate, vista l’impraticabilità politica di adottare un’articolazione della scuola di base che riproponesse il 4+ 3, ha portato alcuni membri della Commissione a ritenere che, piuttosto di avere imposte dal centro articolazioni tutto sommato ideologiche, fosse meglio lasciare questa responsabilità alle decisioni delle singole scuole. Chi, del resto, meglio di coloro che vivono a contatto con i ragazzi reali e ne esplorano le esigenze sa qual è il modo migliore di articolare il loro percorso formativo nell’arco dei sette anni della scuola di base?

Anche questa scelta, tuttavia, non è priva di controindicazioni. Se, per esempio, fosse un modo elegante per rimandare a valle un problema che non si riesce a risolvere a monte sarebbe un forte segno di irresponsabilità dei responsabili del governo del sistema d’istruzione. Se, invece, facesse parte di un percorso volto a valorizzare in maniera organica e significativa il principio dell’autonomia delle scuole potrebbe essere un’ottima scelta. E’ ovvio che se ci si incamminasse in questa direzione diventerebbe ancora più decisiva la responsabilità del centro di stabilire con precisione gli obiettivi specifici di apprendimento che scaturiscono dalle finalità generali della scuola di base e che devono essere comunque raggiunti dagli allievi alla fine di questo ciclo scolastico. Viceversa la libertà di articolazione interna della scuola di base si risolverebbe nel dissolvimento dello steso vicolo dell’unitarietà. Ma, in questo caso, per citare solo uno dei mille problemi che nasceranno, come potranno i libri di testo seguire articolazioni così mobili da essere diverse da scuola a scuola?

Dovranno forse essere eliminati dalla scuola di base del futuro? La prospettiva non sembra la più prudente e soprattutto la più efficace ai fini del sostegno alla riforma e della stessa professionalità dei docenti.

 

Dagli ambiti alle discipline

 

Un’altra questione è quella che riguarda l’interpretazione dell’equilibrio tra ambiti e discipline che la legge obbliga ad instaurare nella scuola di base. L’art. 3 della legge 30/220 prescrive “un progressivo sviluppo del curricolo di questa scuola mediante il graduale passaggio dagli ambiti disciplinari alle discipline”. Anche in questo caso, però, che cosa intendere precisamente con queste espressioni?

La relazione finale del Gruppo di Lavoro della Commissione De Mauro presenta due alternative. Intendere questo graduale passaggio in maniera oggettiva e diacronica (riguardante cioè la struttura del curricolo che andrebbe organizzato nei primi anni per ambiti pluritransdisciplinari e negli ultimi per discipline). Oppure intenderlo in maniera soggettiva e sincronica (ogni processo di apprendimento è sempre un passaggio da dimensioni predisciplinari a disciplinari, a qualsiasi età ci si riferisca).

La prima opzione presuppone un centro molto più direttivo ed omologante della seconda. Si tratterà di dire quando finisce l’organizzazione del curricolo per ambiti pre e transdisciplinari, una specie di continuazione dei campi di esperienza di cui si parla nella scuola dell’infanzia e quando invece comincia quella per discipline.

La seconda prende così sul serio l’autonomia delle scuole da rischiare però l’autonomia dei mille fiori che mal si combina con una logica istituzionale, necessariamente bisognosa di tratti comuni e generali. E se un allievo intendesse trasferirsi da una scuola all’altra? Anche qui, però, per rimanere alla sola questione dei libri di testo, chi mai potrà predisporre materiali generalizzabili in una situazione così destrutturata? A meno che ci sia ancora chi penda che il libro di testo di maggiore qualità possibile sia quello costituito da ciascun docente.

Come si vede, riaffiorano dall’organizzazione del curricolo i gravi problemi sollevati prima a proposito di articolazione interna della scuola di base.

Sono solo due questioni tra le tantissime aperte dal solco della riforma dei cicli. Il ministro non potrà però limitarsi a porre le alternative che si presentano. A cominciare dal programma quinquennale dovrà scegliere una strada e cercare di percorrerla con coerenza. D’altra parte, solo se esiste una precisa ipotesi di azione il Parlamento o chiunque tra i docenti e l’opinione pubblica potrà esprimere in maniera chiara il proprio accordo o dissenso, o richiedere le integrazioni che ritiene necessarie. Limitarsi a dichiarare le problematiche in campo e chiedere una discussione si di esse significa soltanto creare una discussione plebiscitaria e soprattutto porre le condizioni per poter poi scegliere l’ipotesi che si vuole, senza una reale socializzazione critica dei problemi che comporta.

 

a cura di Se.G

 

1/11/2000