SCUOLA E PERSONA
PER UNA RIDEFINIZIONE DI
SENSO
UN CONTRIBUTO AL DIBATTITO
L’Assemblea dei
Coordinatori della Gilda degli insegnanti del Veneto, riunita a Verona il
3/5/2007, in ordine al documento del MPI Cultura scuola persona. Verso le
indicazioni nazionali per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo di
istruzione, sottolineando le dichiarazioni del ministro Fioroni che
assegnano al documento stesso un valore propedeutico all’apertura di un largo
dibattito nel Paese, porta al dibattito dell’Assemblea Nazionale le presenti
riflessioni, articolate come segue:
Ø
COSA
DOVREBBE ESSERCI – E NON C’E’
Ø
CENTRALITA’
DELLA PERSONA – STUDENTE: UN DIVERSO PUNTO DI VISTA
Ø
MOZIONE
COSA DOVREBBE ESSERCI
– E NON C’E’
di Giorgio Quaggiotto
Nel documento di indirizzo
con cui il Ministro della Pubblica Istruzione dà il via alla revisione delle
Indicazioni Nazionali è indispensabile qualche accenno a:
- Dovere: la scuola
è luogo in cui ci sono diritti, inalienabili, e doveri. La Scuola proposta è la
Scuola che ricalca la famiglia dei figli unici: grandissime e
meravigliose dichiarazioni di intenti e poi deroghe continue ad esse, legate
alle sempre peculiarissime caratteristiche del singolo.
- Merito: tutti
hanno il diritto di andare a scuola, alcuni lavorano per meritare di
essere “promossi”.
Occorrerebbe metter in
evidenza che tutti hanno diritto ad avere delle opportunità, cioè ognuno deve
essere messo nelle condizioni di raggiungere il proprio successo formativo, ma
che i suoi diritti si fermano qua. Raggiungere il successo è frutto di lavoro in
proprio, “di imprenditoria privata”.
- il Docente che sa e
l’Alunno che non sa, come realtà fondanti della scuola. E’ questa
asimmetria, questa disparità “strutturale” che rende credibile ed efficace
l’Istituzione Scuola.
- l’Idea che la persona
si forma, a scuola, soprattutto, con quello che apprende da chi “sa”. Per
questo va a Scuola. Per questo ci sono cinque ore di Scuola e un quarto d’ora di
intervallo e non viceversa.
- l’Idea che la persona
concreta si realizza strutturandosi attorno ad un progetto:
-
teorico,
sovrapersonale, perché si può realizzare solo con relazioni interpersonali
positive;
-
culturale (sorvegliatissimo
e non ideologico)*;
-
mirato ad
una scala di valori e non attorno o in conformità ad un vissuto
equi/pluri-valente, nel quale i valori vengono dal contesto (il contesto non è
sano o lo è poco), o dalle eccezioni che trovano validità.
- la Persona della
Scuola non è l’individuo, il singolo misura del mondo e di se stesso.
La
società sta diventando multietnica, ma l’individuo è “etnico”. Se gli togli
l’appartenenza, (Marque ha detto: se vuoi essere veramente universale, parla del
tuo paese), uno diventa nessuno, numero del branco.
È ora che il ministero
della Pubblica Istruzione Italiana dica quali sono i valori che pretende si
realizzino nella sua Scuola. Se è la convivenza proficua fra diversi, deve dire
(capire) che essa non si realizza enfatizzando ciò che ognuno ha di peculiare,
non la si realizza creando degli egocentrici figli unici, ma
proponendo/pretendendo il rispetto dei valori della comunità di appartenenza.
L’illuminismo ha aggiunto ai valori “classici” dell’Occidente la tolleranza.
Ecco, la tolleranza è uno di questi.
CENTRALITA’ DELLA PERSONA
– STUDENTE: UN DIVERSO PUNTO DI VISTA
di Lino Giove
Al di là di alcune
affermazioni condivisibili, all’interno del documento buonista o meglio burroso,
ci sono alcuni criteri tradizionali pericolosi che sono alla base della deriva
attuale del processo educativo.
E’ evidente che il fine
dell’educazione scolastica è lo studente, e che lo studente è centrale, non
l’insegnante, e che noi dobbiamo rispecchiare in lui il senso e la validità del
nostro operare. Ma si tratta di capire che cosa questo vuol dire, quale forma
del rapporto insegnante-allievo sottintendono alcune affermazioni, come
viene declinata la centralità dello studente...
1.
Il documento parla del
doversi riferire dell’insegnamento ai bisogni e ai desideri
individuali dello studente fin dai primi anni. Questa impostazione pone al
centro la soggettività di fatto dello studente-allievo: in questo senso
sembra interpretare la centralità dello studente. Dietro ci sta una
tradizione che risale a Rousseau o meglio a una sua caricatura, che pensa
l’educazione come un mero accompagnamento alla crescita naturale.
Dimentica l’aggressività, la volontà di potenza, l’egocentrismo che è proprio
degli anni della crescita (da questo punto di vista sarebbe più utile semmai
rifarsi a S.Agostino, che rileva come nell’immediatezza del vivere domina un “amor
sui” pericoloso).
Da questa visione
antropologica errata nasce l’idea della decisionalità-autonomia dello
studente come presupposto e non come fine da conquistare. La singolarità
(il rispetto del valore della persona-singolo) è una conquista non un dato da
cui partire. La coscienza è conquista faticosa che chiede modelli, esempi alti,
educazione nel senso etimologico della parola. La persona non coincide con
l’immediatezza dell’io.
La strada è quella del
rapporto tra l’io e il proprio sé profondo.
2. Da questa impostazione
sostanzialmente individualistico-narcisistica nasce anche la diffidenza per le
norme, per gli standard, per precisi contenuti, che mi pare contenga il
documento ministeriale.
Solo una ragionevole
(ovviamente con una qualche flessibilità) normatività di contenuti e di standard
permette di valorizzare l’eccezione, qualche volta la singolarità della
vocazione e la sua faticosa scoperta. Diceva una grande pedagogista e pensatrice
europea, Jeanne Hersch: “L’insegnamento è stato eccessivamente “psicologizzato”.
La formazione pedagogica che si da ai maestri può portarli a considerare
l’allievo come un oggetto di trattamento. Il maestro deve invece incontrare
l’allievo nella materia d’insegnamento: è questo il luogo puro del loro incontro”.
“ Mi sono persuasa che
non ci sia una testa ben fatta dentro la quale ci sia niente, Gli strumenti di
pensiero ,gli esempi, le verifiche, non si possono adoperare se non mediante ciò
che si è fatto entrare dentro la testa” ( Da Atti del Convegno Padova 20
Ottobre 2006).
Come l’esperienza insegna
la mancanza di una chiara normatività aumenta le disuguaglianze tra gli alunni
(termine desueto), accentua la tendenza a un autoritarismo ideologico tra i
docenti, impedisce un reale recupero degli alunni in difficoltà.
3.
Il documento ministeriale parla poi di valori del territorio, del contesto
storico sociale, accatasta enti e soggetti del processo educativo ecc.
Anche qui ci pare prevalga
una antropologia sostanzialmente individualistica. Il rischio grandissimo
è quello di considerare come valori della persona, con un rovesciamento degli
intenti, l’immediatezza ideologica dei mass media, la manipolazione di modelli
mercantili e consumistici.
Il processo educativo come
ci ha insegnato H. Arendt implica una qualche distanza dal presente e dalle sue
urgenze. Il crescente conformismo dei nostri studenti è un segnale nella civiltà
tecnologica del si dice, si parla così ecc; è il segnale di una crescente
debolezza e incertezza dei valori propri a fronte dell’illusione di una
narcisistica padronanza di sé, dell’essere nell’assoluto presente, della
supponenza infantile verso epoche e mondi passati (si pensi solo alla supponenza
rispetto ai grandi classici, per la verità distrutti da un insegnamento
formalistico o da attualizzazioni dannose).
4.
Interdisciplinarietà. Il problema dell’unità della cultura viene
rimandato all’interdisciplinarietà (non si cita Edgar Morin ma il riferimento
nobile è lì). Non è possibile in due righe affrontare il complesso problema.
L’esperienza degli esami
di maturità in proposito è devastante e questo a un primo approccio empirico
potrebbe bastare almeno a mettere sull’avviso. Cosa ci sta dietro?
C’è poi l’idea di
ricomporre l’unità umana (della cultura-formazione) attraverso una non
distinzione tra sapere umanistico, che ha a che vedere con la dimensione dei
valori, e le scienze della natura: nel suo fondamento ci sta una concezione
positivistica del sapere sull’uomo in termini di sole scienze umane sul modello
delle scienze della natura.
E’ problema su cui dovrà
riflettere un’eventuale struttura di Formazione della Gilda.
Qui ci accontentiamo di
una citazione di quello che è forse il più grande psicopatologo del ‘900,
Binswanger, parlando dei limiti della conoscenza oggettiva:
“Ma noi sappiamo ormai
che la scienza naturale non costituisce la totalità dell’esperienza dell’uomo da
parte dell’uomo. In quanto essa mette tra parentesi la persona e la
comunicazione, oltre che, come vedremo, l’ipseità e il significato o senso, in
una parola l’esistenza”.
Certo è che la
tecno-scienza e l’umanesimo correttamente inteso si devono, e non possono non
farlo, interrogare, ma questo è altro problema.
Non ci troviamo di fronte
a un nuovo umanesimo, ma semplicemente alla sua distruzione.
5. Un’ultima osservazione.
In genere
nei documenti buonisti circola l’idea che bisogna fare a meno
dell’autorità in nome dell’auterevolezza dell’insegnante.
Si tratta di una
concezione apparentemente ragionevole e democratica, in realtà devastante. L’auterevolezza
dell’insegnante presuppone una chiara autorità. Poi può essere più o meno
autorevole, ma nessuna istituzione sopravvive se vien meno la carica simbolica
dell’autorità (vedi J. Hersch, Atti del Convegno Padova 20 Ottobre 2006). Il
risultato è un esasperato sindacalismo di genitori e studenti con delegittimanti
che noi tutti conosciamo.
E’ ovvio che bisognerebbe
studiare con chiarezza quali garanzie dare alle famiglie e agli studenti
(all’università mi pare ci sia la figura del garante?).
MOZIONE
L’Assemblea dei
Coordinatori della Gilda degli Insegnanti del Veneto, riunita a Verona il
3/5/2007, in ordine al documento del MPI Cultura scuola persona. Verso le
indicazioni nazionali per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo di
istruzione, sottolinea che il documento pur presentando delle interessanti
aperture rispetto alla gestione Moratti, è ancora vago o addirittura evasivo su
quegli aspetti che lo dovrebbero qualificare.
Ritiene quindi opportuno
che in questo documento siano specificati con maggior chiarezza gli ambiti dei
seguenti concetti:
La persona.
La Persona della Scuola
non è da intendersi come l’individuo, il singolo misura del mondo e di se
stesso.
Il Ministero della
Pubblica Istruzione Italiana, a nome dell'Istituzione repubblicana, dica quali
sono i valori che pretende si realizzino nella Scuola. Ad esempio se è la
convivenza proficua fra diversi, deve dire (capire) che questa non si raggiunge
enfatizzando ciò che ognuno ha di peculiare,ma proponendo/pretendendo il
rispetto dei valori della comunità.
Fondanti devono essere
l’Idea che la persona si forma, a scuola, soprattutto attraverso ciò che
apprende da chi “sa”, cioè dagli insegnanti; e l'idea che la persona concreta si
costruisce attorno ad un progetto essenzialmente teorico e sovrapersonale,
culturale, mirato ad una scala di valori strutturati e non legati alla
relatività di un contesto.
Diritti e doveri
La scuola è luogo in cui
ci sono diritti, inalienabili, ma anche doveri di cui non si ravvisa traccia nel
documento; tutti hanno il diritto di andare a scuola, ma non tutti lavorano per
meritare di essere “promossi”.
Occorrerebbe mettere in
evidenza che, se tutti hanno diritto ad avere delle opportunità e ad essere
messi nelle condizioni di perseguirle, il "successo formativo" e l'autonomia
decisionale sono, per gli studenti, fini da conquistare e non presupposti
scontati.
La funzione del docente
Nella Commissione che ha
redatto il documento risultano esclusi per l'ennesima volta gli insegnanti con
tutto il loro "esistere professionale": viene quindi a mancare la possibilità di
una seria e competente analisi dell'attuale sistema scolastico, dei sui elementi
di valore e, di conseguenza, una qualificata ridefinizione del progetto di
Scuola. I processi di riforma non possono essere governati dai soli pedagogisti
universitari che raramente nelle scuole mettono piede.
Va affermata la relazione
strategica tra il Docente che sa e l’Alunno che non sa, come realtà fondante
della scuola. E’ questa asimmetria, questa disparità “strutturale” che rende
credibile ed efficace l’Istituzione Scuola.
Il costo della qualità
Non è credibile promuovere
un progetto centrato sulla qualità della proposta didattica e, nel contempo,
praticare politiche scolastiche basate essenzialmente sul taglio dei costi.
14
giugno 2007
I Coordinatori della Gilda degli
Insegnanti del Veneto
Rischiarare l’oscuro
1986, alcune annotazioni.
da Jeanne Hersch*
Riportiamo in appendice
alcuni passi di una conversazione di una pensatrice che oggi è
considerata una delle maggiori sul piano europeo, anche perché parte da
un’esperienza concreta di insegnamento sia in una scuola superiore legata alla
nascente nuova pedagogia sia nell’Università. Purtroppo per il momento non
abbiamo potuto procurarci il suo celebre testo Antitesi in cui critica
duramente e profeticamente la logica delle riforme scolastiche che si andavano a
sviluppare in Svizzera e in Europa.
“Ho sempre pensato che la
principale disuguaglianza tra gli uomini fosse quella riguardante la
formazione….la prima volta in cui mi accorsi di questa disuguaglianza fu il
giorno in cui vedendo i miei genitori e i loro amici studenti andare tutti i
giorni all’Università finii per chiedere a mio padre e mia madre : “ ma quand’è
che la portinaia va all’Università? La incontro tutti i giorni sulle scale?”
Sono cresciuta con questa
idea , ovviamente falsa e ridicola (vedi poi), ma profondamente radicata
in me e di cui non mi sono mai liberata che la condizione adulta è quella
dell’apprendimento. Per questo motivo ho sempre detestato in seguito
l’espressione : ho finito i miei studi. Non si è mai finito di studiare”.
“ L’insegnante è come un
attore che, quando è in scena, dimentica se stesso. In una classe , si è jouè,
sono gli allievi che “ suonano “ lo strumento, l’insegnante lo suona appena…..Io
non ero come certi miei colleghi, una compagna per i miei allievi, non cercavo
di allacciare rapporti personali con loro. Finita la lezione, non ero più
assolutamente il personaggio che avevano ascoltato. Ritrovavo la mia vita,
ridiventavo me stessa.
Il che non implica affatto
che i miei allievi non mi interessassero personalmente, al contrario. Ciò
avveniva però per via indiretta. Secondo me, un insegnante non deve trattare
direttamente il suo allievo, nel senso in cui lo psichiatra tratta direttamente
il suo paziente. L’insegnamento è stato eccessivamente “psicologizzato”.
La formazione pedagogica che si da ai maestri può portarli a considerare
l’allievo come un oggetto di trattamento. Il maestro deve invece incontrare
l’allievo nella materia d’insegnamento: è questo il luogo puro del loro incontro…….non
mi è mai piaciuta nei rapporti tra maestro e allievo la Schwarmerei, come si
dice in tedesco, il sentimentalismo compiacente, che mi sembrava una sconfitta.”
La Herschel sulla sua
formazione pedagogica all’Università: “si ho seguito i corsi e i laboratori per
un anno. Più tardi quando insegnavo filosofia ho tenuto io stessa un corso di
didattica nel campo della filosofia . Credo che un minimo di formazione
pedagogica sia necessario, ma vorrei aggiungere non più. Una volta
esposti i principi essenziali della scuola attiva, in cui ci si sforza di
stimolare l’iniziativa, l’azione , la curiosità dell’allievo, si arriva
velocemente alla fine della teoria . Per tutta la vita ho sentito ripetere fino
alla noia i principi della scuola attiva… senza aver potuto constare un vero
progresso… La pedagogia è una pratica…. Essa comporta una parte di
ispirazione costante……….”
G.D.:
“Lei ha spesso sostenuto che l’insegnamento deve evitare “l’enciclopedismo
ingombrante e mirare a sviluppare le capacità e non il sapere. E’ uno dei
principi della sua pedagogia?”
Jeanne
Hersch: Queste cose non le direi più oggi, perché vanno troppo nel senso
dei clichès attuali. Tutti sono persuasi che una testa ben fatta sia
meglio di una testa piena al punto che sembra inutile mettervi dentro qualunque
cosa. Allora adesso dico il contrario.
Ovviamente resto convinta
che sia meglio avere una testa ben fatta piuttosto che una testa piena.
Ma sono persuasa che non
ci sia una testa ben fatta dentro la quale ci sia niente. Gli strumenti di
pensiero, gli esempi, le verifiche ecc, non si possono adoperare se non mediante
ciò che si è fatto entrare dentro la propria testa. Bisogna fare di ogni
argomento di insegnamento un oggetto di pensiero per teste ben fatte, e
qualunque contenuto è adatto(su questo l’estensore non è del tutto
d’accordo con questa formulazione). Dirò la stessa cosa rispetto al famoso
senso critico …Non si può sviluppare nel vuoto. Nell’esaminare quanto viene
prospettato in funzione di determinati criteri di validità presupposti. Perché
funzioni, è necessario che esso stesso abbia dei criteri di riferimento. Ritengo
assurda l’idea che non bisogna influenzare il bambino, come se, fin dall’inizio,
fosse già una persona formata. Una personalità si forma in virtù della diversità
e del pluralismo esercitate su di essa.(si riferisce qui a una età
sufficientemente sviluppata). Le teorie pedagogiche attuali sono piene di
assurdità……oggi si dice , e in certa misura a ragione, che tutti gli
insegnanti devono ricevere una formazione pedagogica generale.
Personalmente penso, che
ogni branca determinata sia collegata a una pedagogia specifica.
Una didattica
differenziata offre una ricchezza di contenuto che può considerevolmente
migliorare l’insegnamento…………. molto prima degli anni 60 avevo vissuto
importanti periodi di riforma . Per questo motivo mi è sempre venuto da ridere
quando gli studenti nel 68, pretendevano di aprire un’era di riforme che
avrebbero dovuto subentrare a un periodo di immobilismo…….
G.D.:
”La scuola negli ultimi anni sembra in uno stato di permanente riforma.”
J.Hersch:
“Ci furono numerosi cambiamenti anche in precedenza, ma si era meno ambiziosi ;
si facevano cambiamenti parziali, non se ne faceva una rivoluzione, non si
nominavano commissioni a destra e a manca per rifare il genere
umano….Ancora oggi, molti pensano che il 68 sia stato una rinascita. Niente
affatto. Si è preso qualche provvedimento, si è cambiato lo stile- forse direi
meglio si è rinunciato a ogni stile- si è tornati per certi aspetti a uno stato
selvaggio. Ci si è lasciati andare…..senza tener conto che le materie
d’insegnamento sono sempre le stesse, che le condizioni di assimilazione del
sapere restano identiche, che gli esseri umani, fondamentalmente non
cambiano, nonostante i mutamenti della società attorno a loro……….”
“ Ciò che è mancato di più
, nelle riforme seguite agli avvenimenti del maggio 68, è stato il senso
critico.
Le forme della vita
scolastica sono state enormemente soppresse o attenuate senza rendersi conto
delle loro implicazioni. Prima delle scuole c’era un cerimoniale, una specie di
ritualità che dava forma alla vita comune.
Per esempio(in Svizzera)
si entrava in classe a due a due. Un dettaglio? Non credo. Quando i bambini
stanno due per due davanti alla porta dell’aula, se uno non c’è, ce se ne
accorge subito. Non si tratta semplicemente di una questione di controllo, bensì
di qualcosa di molto più importante. Si tratta del sentimento che il bambino ha
della propria presenza tra gli altri.
Sto toccando un tema che
mi sta molto a cuore. Non si è sufficientemente consapevoli dell’importanza
rivestita dal cerimoniale che si è conservato nella vita collettiva. In una
cerimonia se uno manca c’è il vuoto. Ebbene l’essere umano ha bisogno che ci
sia un vuoto, quando manca. Se al contrario, si trova in un elemento amorfo, se
è indifferente che egli sia o non sia presente, sentirà di non essere niente. E’
un bisogno fondamentale avere un posto nel mondo.
G.D.:”I
bambini hanno il gusto del rituale……Non è colpita dal carattere radicale di
talune riforme, che non riguardano solo i programmi, ma coinvolgono
l’istituzione scolastica nella sua totalità, le sue strutture, la sua finalità,
i rapporti maestro allievo, scuola famiglia ecc……in numerosi progetti di
riforma, in Francia, Svizzera, Germania, l’integrazione nel gruppo, la
“socializzazione” vengono proposte come il fine essenziale della formazione
scolastica…. Che cosa pensa di questo orientamento?”
J.Hersch:
“Il ragazzo deve
imparare a vivere in società, ma per socializzarlo occorre aver capito che cosa
sia una società. Una società è una realtà estremamente complessa. Per la
socializzazione non basta saper recitare un catechismo sociale e proclamare che
tutti gli uomini sono eguali. Questi principi astratti non implicano alcuna
reale socializzazione della persona. La società è una realtà che comporta
livelli diversi, dal livello rituale delle forme sociali- che regolano,
quasi a nostra insaputa, mediante una sorta di consuetudini formali, il nostro
modo di vivere insieme agli altri - passando per il livello in cui ci facciamo
una certa idea dei rapporti tra gli uomini e dei loro diritti, e
arrivando al livello vitale in cui interessi e concezioni si
fronteggiano. Si possono dunque distinguere, nella struttura di una società, una
zona formale di armonia e equilibrio, una zona di concezioni teoriche più o meno
etiche e una zona di conflitti e interessi vitali, mai completamente abolita,
perché siamo esseri viventi, mortali, in situazione di pericolo, e il nostro
prossimo lo è altrettanto. Da quest’ultimo punto di vista, si arriva un po’
frettolosamente a parlare di egoismo. L’essere umano è obbligato a cercare di
sopravvivere e a far sopravvivere coloro che ama. L’aggressività non è il
rovescio dell’amore, poiché non c’è amore che non invochi la difesa di coloro
che si amano. Dimenticare questo livello vitale in cui si lotta per la vita e
la morte , è una dimostrazione di angelismo. ….non è più possibile pensare che,
per socializzare un ragazzo, basti inculcargli un qualche principio sociale.
D’altra parte la socializzazione di un essere umano presuppone che egli sia
anche un individuo….. occorre quindi elaborare una pedagogia che favorisca lo
sviluppo dell’individuo nella società della quale fa parte.
Quando si tratta della
scuola, la società è rappresentata dalla classe, la vita sociale dalla vita
della classe.
Lei sa che in Svizzera tedesca e, in parte, nel nostro cantone, è stato
introdotto il sistema delle classi mobili: il ragazzo non appartiene più a una
classe determinata.
La classe è in realtà per
lui qualcosa di essenziale sia dal punto di vista affettivo sia da quello
pedagogico soprattutto ai giorni nostri in cui la famiglia ha perduto la sua
importanza. Quando un ragazzo deve correre da una classe all’altra per acquisire
un sapere, quello che ne viene fuori è tutto il contrario di una
socializzazione. In una classe un ragazzo è riconosciuto per se stesso e in essa
egli riconosce gli altri, riconoscendone al tempo l’unità (da noi in alcune
scuole di Padova si è di fatto abolita la cena finale di classe con l’insegnante
per una generica festa della scuola in cui gli insegnanti o non vanno più o
sono in una logica giovanilistica).”
G.D:
“Spesso per socializzazione si intende integrazione al gruppo”.
J.Hersch:
“Qui è all’opera l’influsso della pedagogia americana che, in un certo periodo,
mette al centro dei suoi obbiettivi: to adjust. Bisognava che il
ragazzo si “adattasse” al suo gruppo. Questo principio conformista da
noi si è fuso, in maniera abbastanza paradossale, con il cosiddetto “senso
sociale” – dico cosiddetto, perché il senso sociale autentico
consiste nell’esigenza di uno sviluppo personale per ogni individuo, in ogni
società data. Abbiamo ereditato dall’America una sorta di morale della
felicità. Che pretende che il ragazzo non sia felice se non quando si sia
perfettamente adattato al suo ambiente sociale. E’ così che la ricerca della
felicità e della giustizia sociale sembrano andare in coppia. Solo che non è
questo il modo in cui è fatto un essere umano, che ha bisogno di apprendere
con fatica a subordinarsi a altro; tale fatica è naturale e necessaria, è
attraverso di essa che si diventa una persona.”
G.D.:
“In un opuscolo sulla scuola che contiene un suo contributo lei denuncia la
perdita del senso dell’autorità nei nuovi rapporti tra maestro e allievo. Non
sarà che si sono persi o sono stati ripudiati i fondamenti i fondamenti che
giustificano l’autorità come tale? Quali sarebbero secondo lei, i fondamenti
capaci di restituire un senso all’autorità?”
J.Hersch:
“Secondo me l’autorità ha
innanzitutto una tessitura sociale. Non c’è società senza un minimo di
simbolismo nei rapporti tra i suoi componenti. L’autorità si fonda in
gran parte su tale simbolismo.
Prendiamo un caso estremo:
l’autorità di un prete (la
Hersch non è credente ma interessata giustamente al mondo delle religioni
cattolica e protestante, oltre che amica del famoso padre Fessard).
Su che cosa è fondata? I
membri della Chiesa cattolica hanno-o meglio hanno avuto- un senso molto
profondo della simbolica religiosa , basato su un fondamentale realismo:
realismo dei sacramenti, realismo della funzione, caratteristica del
cattolicesimo. Pensi al prete di La potenza e la gloria di Graham Green;
l’eroe è un cattivo prete, che tuttavia non cesserà mai di esserlo. Questo
realismo del sacramento consolida l’intero sistema dei simboli della Chiesa
cattolica .
Il simbolo ha per essa una
realtà ontologica, in questo senso, è più reale dei fatti. Ciò è vero per tutti
i sacramenti , compreso quello del matrimonio; tutti coloro che auspicano un
cambiamento in questo ambito non si rendono conto che incide sulla sostanza
stessa del cattolicesimo. Questo punto…. segna la differenza fondamentale tra
cattolicesimo e la Riforma protestante.
Il prete si limita a
rappresentare la funzione sacerdotale e il potere eucaristico, ma egli è tale
potere, non può sbarazzarsene, è prete per l’eternità. Sta qui il fondamento
della sua autorità. Il riconoscimento dell’autorità di un prete non implica
dunque nessuna umiliazione; non fa che riconoscere ciò che è. Per un cattolico,
sottomettersi all’autorità di un prete non comporta la sottomissione a una
volontà personale, è sottomettersi all’essere………….. colui che
detiene l’autorità è il più obbligato a rispettarla, deve sentirsi umile di
fronte al simbolo che incarna.……. Nemmeno il maestro è questo particolare,
con le sue qualità e i suoi difetti. E’impossibile che tutti i
maestri siano eccelsi, ma sono tutti dei maestri. In classe a essere
riconosciuta non è la loro eccellenza, bensì il fatto che incarnino il maestro.
E’ la situazione simbolica di maestro che costituisce la loro autorità.
E gli allievi provano
certamente più certamente più e fierezza nel riconoscere di avere un maestro che
nel considerarsi pari a lui in virtù del fatto che “tutti gli uomini sono
eguali”. Direi lo stesso per quanto riguarda l’autorità del padre o della madre.
Perché bisogna rispettare il padre? Non per le sue qualità eccezionali, ma
perché è l’unico padre dei suoi figli. (Cita poi una frase di un suo amico
giudice nero in Africa a suo figlio che diceva “Non è giusto Pierre ha un padre
come un amico”. Risposta: Non sarò mai tuo amico, perché gli amici te ne puoi
fare uno ogni giorno, quanti ne vuoi; ma il padre ne hai uno e io te lo
conservo”).
La società si fonda; al
livello più intimo, su rapporti simbolici di questo tipo, che le permettono di
mantenersi e di limitare lo scontro di interessi che tende a distruggerla.
Non si
dimentichi il livello cruciale dei conflitti vitali, che ho individuato nella
struttura sociale. L’essere simbolico si affronta di fronte alla lotta per la
vita e la morte
(n.b. si
pensi come esempio al modello che sta passando in modo criminale in alcune
scuole di richiedere agli alunni un giudizio scritto sulle capacità degli
insegnanti Distruggendo conseguentemente ogni autorevolezza!
……………………………………………………………………
).
La scuola, è del tutto
evidente, insieme alla famiglia ed ad altri gruppi sociali, è il luogo di
trasmissione delle conoscenze, dei costumi e della struttura simbolica della
società. La scuola non può essere luogo di un inizio assoluto. La scuola deve
suscitare negli individui delle capacità innovative. Non bisogna separare il
sapere trasmesso dalla riflessione critica…. E’ inammissibile fare della
scuola - direi lo stesso dei media - l’agente di questo o quel divenire
storico, politico o sociale. …. Nessuno ha diritto di fare della scuola uno
strumento di conservazione o di rivoluzione. Ma vorrei fare un’ultima
osservazione, riguardante l’esigenza di uguaglianza nel campo
dell’istruzione. Che lo si voglia o no, malgrado tutti i provvedimenti presi
(borse di studio ecc) l’ambiente di provenienza svolge un ruolo importante per
il livello intellettuale futuro del bambino. Non è una fatalità, ci sono
innumerevoli eccezioni. E’ in ogni caso difficile evitare che – nelle famiglie
di contadini o operai dove si parla poco, si legge poco- il bambino abbia uno
sviluppo verbale e di conseguente razionale, nonché pratico, che non è
paragonabile a quello di un bambino vissuto in un ambiente intellettuale. Questa
disuguaglianza di partenza è inevitabile, fa parte della condizione umana e
sociale. Ciò che bisogna fare è provare a costruire una società che dia a tutti,
ciononostante, opportunità più eguali possibile
(n.b. è da notare che
alcune indagini recenti avrebbero dimostrato che là dove vige il modello
meritocratico nelle scuole la provenienza sociale conta molto meno, che nelle
scuole in cui vige una tendenza non selettiva ………).
J.Hersch:
”E qui non posso non toccare l’idea di selezione. La tesi che le istituzioni
pedagogiche non debbano fare selezione tra gli allievi, che desiderano fare
studi più brevi o più lunghi mi sembra un’assurdità. E’ del tutto evidente che
allo stato dei fatti gli uomini sono diseguali in tutto, salvo che in una cosa:
nella loro dignità di esseri umani, cioè nella loro capacità di diventare esseri
liberi e responsabili. Basta aprire gli occhi per constatare che sono diseguali
in tutto tranne che su questo punto…. Inoltre, rifiutare ogni selezione e
sopprimere ogni emulazione mi sembra in contrasto con quanto i ragazzi stessi
desiderano. Essi amano situarsi. Trovano in questo una sorta di sicurezza. Basta
d’altra parte vedere le competizioni sportive…..Il rifiuto della
selezione nelle scuole si basa in realtà su un pregiudizio anti-egualitario,
secondo il quale bisogna assolutamente essere passati per l’università per
diventare un essere umano completo, e che sia necessario avere un
dottorato sotto il braccio per comparire al cospetto di S. Pietro…. E’ conforme
all’autentica tradizione socialista essere partigiani della selezione. La
democratizzazione degli studi comporta la selezione. La differenza è che la
selezione, invece di essere fatta troppo presto, quindi soprattutto in funzione
dell’ambiente familiare, avviene più tardi, in funzione dei talenti personali e
del gusto del lavoro… ho l’impressione di essere stata fedele, nel mezzo di una
sinistra che ha perso la bussola.”
J.Hersch:
“La tesi
fondamentali della Commissione federale per la gioventù era che i giovani
subiscono fin dall’infanzia una repressione tanto pesante che si può
considerarla alla tregua di una violenza loro imposta…….
Intervenni perché ero
persuasa che proclamando che i giovani vivono in una società repressiva,
li si scoraggia a trovarvi un posto conveniente e, di conseguenza si blocca il
loro avvenire.
In realtà, una delle fonti
del malessere di certa gioventù contemporanea è, a mio parere, l’assenza nella
nostra società di adulti in senso proprio- non certo la repressione.
Lo slogan “tutto è
permesso”
(vecchio slogan del 68) è un modo di dire che non c’è niente-niente che
costringa, niente che valga, niente che si imponga. Non ci si aspetta niente da
nessuno perché tutto è permesso. Ho chiamato questo il vuoto nichilista. I
giovani hanno soprattutto bisogno che ci si aspetti qualcosa da loro.
La Commissione chiedeva
spazi disponibili dove i giovani potessero fare ciò che volevano. Non è di spazi
disponibili che i giovani hanno bisogno, ma di appassionarsi a qualcosa.
Altrimenti non resta che il suicidio o la droga.”
D.G:
“Mi
chiedo se questa colpevolizzazione generale degli adulti della nostra società
possa costituire un rimedio ai mali da lei denunciati”.
J.Hersch:
“Dobbiamo
ammettere la nostra colpevolezza, che consiste nell’aver lasciato crollare i
valori, le forme, le evidenze senza le quali non può sussistere nessuna società.
L’idea che scrollarsi di dosso ogni colpa costituisca un fattore di
guarigione universale è un’assurdità. Quando un bambino non sa più
cosa è permesso o vietato, perde la sicurezza che gli è indispensabile per
vivere e crescere. E quando diventa adulto, è necessario che continui ad avere
un sentimento della differenza tra il bene e il male. Altrimenti la vita non ha
più alcun significato. Il “tutto è permesso” è l’abolizione di senso.”
D.G.:
”Le sue Antithesès (il testo contrapposto alle Tesi della commissione
federale) ebbero un grande successo, soprattutto in Svizzera tedesca .
Suscitarono anche proteste indignate….”
J.Hersch:
“Perché i media condividevano l’orientamento della Commissione federale.
Se si fa un confronto tra gli articoli dei giornali, le trasmissioni
radiofoniche o televisive che criticarono aspramente il mio intervento e le
innumerevoli lettere private che mi furono scritte e che testimoniavano un
profondo accordo con le mie Antithèses, non si può che constatare che i media
non riflettono l’opinione pubblica svizzera. Si arrogano il diritto di
manipolarla.”
*Jeanne Hersch 1910-2000,
nata a Ginevra,
cresciuta in una famiglia di intellettuali ebrei dell’Est europeo
socialisti (legati alla tragica esperienza del Bund, il partito socialista
ebraico), precocissima a soli 20 anni pubblicò Le immagini nell’opera di
Bergson, che suscitò l’ammirazione di Bergson che la volle
conoscere. Fu allieva poi di uno dei più grandi pensatori europei (K. Jaspers)
nel 1930, nel ‘33 si recò a Friburgo ad ascoltare i corsi di Heidegger.
Insegnante di Latino, Francese e Filosofia all’Ecole International di Ginevra
(una scuola dove si sperimentava la cosiddetta pedagogia attiva). Aderente al
Partito Socialista, anzi considerata una delle fondatrici, tenne una posizione
fortemente critica per le ambiguità di una parte del partito rispetto al
comunismo di cui lei coglieva un nucleo essenzialmente totalitario. Dal 1956 al
1977 insegnò all’Università di Ginevra e per tutta la vita si dedico a elaborare
una filosofia dei diritti umani. Diresse anche una divisione culturale dell’Unesco
(1966-68). Oggi è considerata da alcuni la più importante discepola di K.
Jaspers (più della più nota in Italia Hannah Arendt, altra discepola di
Jaspers). |