Corrado Ruggiero, due lauree,
una in Giurisprudenza e l’altra in Filosofia, ha insegnato per vent’anni in
un Istituto Magistrale ed è stato preside all’I.T.C. “Pucci” di Nocera. In
seguito è stato dirigente superiore per i servizi ispettivi del Ministero
dell’Istruzione e negli anni ‘80 ha collaborato alla redazione dei programmi
di studio e di esami degli Istituti professionali e al Progetto 92 di
aggiornamento a distanza per i docenti.
Ha, dunque, una lunga
esperienza all’interno della scuola, che gli ha permesso di vivere sulla
propria pelle i problemi del nostro sistema scolastico e quelli relativi al
tipo di apprendimento dei giovani oggi. In questo scritto, “Il pisello e il
fagiolo”* il cui titolo sembra rimandare ad una fiaba, delinea in modo
chiaro la situazione degli studenti alla fine del loro percorso scolastico
pre-universitario.
Dentro di loro c’è il vuoto,
assenza di cultura, ignoranza nelle scienze matematiche, nessuna
preoccupazione di chiedersi se c’è un senso dietro ogni cosa.
Ma quello che più colpisce
nei giovani di oggi è l’assenza di spina dorsale, di senso di
responsabilità, che, molto a fatica e in grave ritardo, pochi riusciranno a
conquistare.
Di chi la colpa? Diciamo
degli adulti e, tra gli adulti, anche dei docenti che vivono da vicino una
situazione scolastica difficile, tanto difficile da avere voglia di mollare
e di accettare supinamente quello che il Ministero della Pubblica
“d”’Istruzione impone. Ma proprio perché si è toccato il fondo, sarebbe
necessario da parte dei docenti uno scatto di orgoglio, un lavorare
controcorrente, un battersi contro tutti per riaffermare il diritto alla
vera istruzione, alla vera cultura, le uniche due cose che permettono di
diventare – uomini e donne - capaci di andare al di là delle parole piene di
falsità di chi pretende di guidarci e di stabilire – tout court- le regole
del vivere sociale.
Il pisello e il fagiolo
Qualche
settimana fa ho conosciuto un “fagiolo”. Una volta, quando il mondo era più
semplice e ci si divertiva con un niente, “ fagiolo” era il grado gerarchico
che distingueva gli studenti universitari che si iscrivevano al 2° anno. Le
“ matricole”, i “fagioli”, le “colonne” e così crescendo fino
all’interminabile limbo nebbioso dei fuori-corso” (“noi siamo le colonne
dell’Università”, si cantava persino, con goliardico fervore).
Dunque, qualche settimana fa, ho
conosciuto un” fagiolo”, ma era un “fagiolo” infelice o un “fagiolo” quanto
meno preoccupato. Era stato, un tempo, felice ma, ora, aveva perduto
l’antico gioioso fervore. In pratica il nostro “fagiolo”, con l’entrata nel
secondo anno dell’Università, sentiva crescere il peso della responsabilità
degli studi, provava sempre più stringenti, dentro il vivo della propria
carne, le tenaglie della severità della vita. Res severa. “Al liceo e
alla scuola media mi sono, invece, divertito. Una lunga stagione felice.
Otto anni spensierati: tra la fine delle elementari e l’uscita dal liceo.
Ora però devo recuperare quel dolce far niente. Devo darci sotto, se voglio
impadronirmi, veramente-seriamente, dei miei futuri strumenti
professionali”. Il futuro, il lavoro, le affermazioni professionali, il
guadagno.
Il nostro “fagiolo” si è appena
iscritto al secondo anno di un’università prestigiosa. Frequenta un corso di
laurea tra il giuridico e l’economico. Ma non è felice. Era felice quando
era “pisello”, quando spensierato viaggiava tra i dieci e i
diciotto-diciannove anni di età.
Il paese dei balocchi, quegli
anni. Il piacere della scoperta - della scoperta della vita e della scoperta
del sapere come chiave per scoprire la vita - sopraffatto quel piacere,
dalle fatue felicità legate all’assenza di responsabilità, di progetti, di
sogni. Un girare a vuoto più che un vero divertimento. Un girare che, alla
fine, ha lasciato un vuoto nel cuore e un vuoto nella mente. Ora però deve
recuperare. Recuperare almeno quello che può recuperare. Intanto è costretto
a partire da capo, quasi. Persino dalla lettura, persino dalla scrittura,
persino dal far di conto. Certo quando dico lettura o scrittura o far di
conto, intendo “lettura profonda”, “ scrittura smaliziata”, “ padronanza dei
livelli più reconditi dei numeri e del numerare”. In fondo il nostro
“fagiolo” sa leggere, ma non sa penetrare nel tessuto profondo del testo che
ha davanti. Sa scrivere, ma è padrone di una scrittura che arriva poco dopo
lo stile telegrafico degli sms. Sa contare, ma non sa trovare la
chiave per superare le aporie del calcolo superiore. Le finezze semantiche
di un romanzo alto, il gioco retorico dolce amaro di una scrittura che sia,
insieme, leggera e pesante, l’incontro-scontro di logiche contrastanti (le
logiche non logiche o antilogiche che descrivono l’universo! ) sono fuori
dai confini delle sue competenze. Della sua comprensione e del suo
compatimento. Il nostro “fagiolo” di oggi, una volta “pisello”, non può
compatire ciò che non ha capito! Le avventure di Renzo e di Lucia, il loro
matrimonio impedito, il loro perdersi, il loro insperato-disperato
ritrovarsi alla fine, senza aver capito niente del gran bailamme da cui
loro, Renzo e Lucia e i loro compagni, sono stati travolti: tanto rumore per
nulla! Quanti scrupoli, la Lucia! Che furibonde e improduttive incavolature,
quelle di Renzo! Per non parlare delle altre, di quelle di padre Cristoforo!
O della giovinezza di Giovanni Castorp trascorsa nell’esilio della malattia
su una “Montagna incantata”. C’è un senso nella vita degli uomini? E, se
c’è, chi ne possiede la chiave? Thomas Mann non sa rispondere. Rimane muto
di fronte al mistero del senso della vita. Il nostro “fagiolo”, fu tenuto
fuori dalla riflessione su questi drammi, nel tempo in cui doveva
apprenderli. Non bisognava turbarne l’eccitazione frenetica scambiata per
divertimento! Oggi, diventato “fagiolo”, non sa neppure che esistono queste
dimensioni e rimane sconcertato. Rimane muto. Si rifugia in un imparaticcio
puramente strumentale: bravo avvocato, bravissimo medico. Senza mai
chiedersi, che cosa bisogna sapere per essere veramente un bravo avvocato,
un bravissimo medico. Il “fagiolo” trascurato quando aveva bisogno della
massima attenzione, non ha maturato per niente il sospetto che c’è un senso
profondo (che è in fondo, che sta nel profondo) dietro il senso immediato
dell’apparire. Avrebbe dovuto imparare quando era “pisello”,
nell’interminabile ondeggiare tra l’adolescenza e la prima giovinezza.
Avrebbe dovuto almeno imparare, se non il senso profondo (senso profondo che
nessuno conosce:fosse anche Manzoni o Mann ), che esiste un senso. Il senso
della vita, delle cose che facciamo, dei sentimenti che proviamo. Un
apprendimento” inutile”: così fu nei fatti, liquidato allora e viene
liquidato oggi. Un apprendimento inutile e perciò da rifiutare perché,
dietro ad esso, non si intravede il successo professionale, il denaro, il
successo: la divinità suprema dei nostri tempi mediatici. Il “fagiolo”
avrebbe dovuto imparare queste cose quando era “pisello”, nel tempo vivo e
spensierato che oscilla tra i dieci e i diciotto-diciannove anni. Si è
divertito, dice e ridice con ingenua nostalgia. Ma non ha colpa. La colpa è
di noi adulti, noi vecchi “carciofi” (tanto per rimanere nella metafora
ortofrutticola!) che abbiamo concepito l’adolescenza dei nostri figli come
spazio di tempo vuoto, la loro felicità come assenza di ogni responsabilità,
come un parcheggio in cui si tengono a mollo i bambini che via via diventano
ragazzi e, da ragazzi, giovani.
“Purché non soffrano!”: è stata
e continua ad essere la nostra parola d’ordine. Il gusto del sapere
disinteressato, del sapere che Dante chiamava cibo della mente? Cibo perché
la mente cresca e sia quello che deve essere: pensieri, affetti. Tutto un
inutile bagaglio. Il nostro “fagiolo” crescerà. Forse diventerà un grande
avvocato, forse un prestigioso economista. Per ora è già, senza volerlo e
senza saperlo, un ottimo psico/sociologo. Sente fino in fondo, e lo sa
esprimere con inconscia puntualità, il dramma della scuola.
*
Ricavato dagli Atti del Convegno “La formazione iniziale degli insegnanti in
Europa”(24/01/03) organizzato dall’Alma Mater Studiorum dell’Università di
Bologna e dal C.I.R.E. Centro Interdipartimentale di Ricerche Educative.