Una lettura ragionata - seppure schematica -
della Legge 53 del 28 marzo 2003 ci rimanda ad un cospicuo numero di
documenti. Fra i più importanti, oltre alla legge stessa, ricordiamo: il
decreto attuativo n° 59 del 19 febbraio 2004 (pubblicato in GU il 2 marzo
2004), la circolare applicativa n° 29 del 5 marzo 2004, e gli allegati A,
B, C, D, che contengono rispettivamente: i piani personalizzati delle
attività educative della scuola dell’infanzia, i piani di studio
personalizzati della scuola primaria, i piani di studio personalizzati della
scuola secondaria di 1°grado e il profilo educativo, culturale e
professionale dello studente alla fine del 1° ciclo di istruzione.
Va rilevato il carattere di transitorietà
degli allegati, che valgono in attesa del definitivo assetto pedagogico,
didattico e organizzativo da disciplinare mediante regolamento governativo.
La riforma si avvia, con il prossimo anno
scolastico, nella scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nel primo
anno della secondaria.
La lettura tiene ovviamente conto di
moltissime altre cose: riforma costituzionale, sperimentazioni, decreti o
bozze di decreto (sulla valutazione, sull’alternanza scuola-lavoro, ecc.).
Cercheremo di dare un
panorama della riforma analizzando:
- le trasformazioni
strutturali;
- le trasformazioni
didattiche e professionali.
Le trasformazioni strutturali
1) L’assetto del sistema
La prima importante trasformazione è già
prevista nel testo di legge e riguarda l’articolazione della scuola
italiana in due cicli anziché tre: il primo ciclo che comprende la scuola
primaria e la scuola secondaria di 1° grado ed il secondo ciclo che è
costituito dalla scuola secondaria di 2° grado. I cicli hanno inoltre una
suddivisione interna in periodi didattici, che configura lo schema 1+2+2,
per la scuola primaria e lo schema 2+1 per la secondaria di 1° grado. Il
secondo ciclo (per il quale mancano i decreti attuativi) è costituto dal
sistema dei licei e da quello dell’istruzione e formazione professionale; a
partire dal quindicesimo anno di età i diplomi e le qualifiche si possono
conseguire in alternanza scuola-lavoro o con l’apprendistato. I licei sono
otto: artistico, classico, scientifico, economico, linguistico, musicale e
coreutico, tecnologico e delle scienze umane (scansione: 2+2+1); dopo il
quarto anno di frequenza è possibile l’accesso all’istruzione e formazione
tecnica superiore.
I due cicli erano previsti anche nella riforma
Berlinguer (dopo la scuola dell’infanzia 7 anni di scuola di base e 5 anni
di scuola secondaria: – licei: aree umanistica, scientifica, tecnica e
tecnologica, artistica, musicale).
Rispetto alla riforma Berlinguer, la Legge 53
prevede un anno in più di scuola (inserito dopo le numerose proteste; il
progetto originario Bertagna tagliava infatti un anno della scuola
superiore). Scompare il biennio unico delle superiori per passare ad una
articolazione diversa dei percorsi dopo la primaria. Quello che sta
succedendo con i percorsi integrati regionali mette però in discussione
questa prima impostazione.
Nella sostanza fra le due riforme sono
maggiori gli elementi comuni che quelli di divergenza.
In particolare:
-
logica (ideologia) della continuità (la
divisione fra scuola primaria e scuola secondaria. tende a zero: si
insiste moltissimo sui raccordi);
-
logica della flessibilità: la divisione in
segmenti, indirizzi, funzionale alla configurazione dei piani
personalizzati ed ai passaggi interni ai due sistemi e fra un sistema e
l’altro.
L’effetto conseguente a questa diversa
articolazione consiste, come già nella riforma Berlinguer, nella riduzione
degli esami, che passano da due a uno (per l’anno in corso resta in vigore
l’esame di quinta elementare). Per quello che riguarda l’eventuale
ripetenza all’interno dei due cicli, la circolare 29 formalmente non esclude
– come sembrava fare la legge – la possibilità della ripetenza anche
all’interno dei periodi, ma richiede per essa una “deliberazione motivata”,
limitandola inoltre nella scuola primaria a “casi eccezionali”. Per la
scuola primaria la decisione deve inoltre essere assunta all’unanimità
(circ. 29). Sia nella scuola primaria che in quella secondaria sono oggetto
di valutazione gli apprendimenti (sia quelli obbligatori che quelli
facoltativi opzionali) e il comportamento. La legge 53 è molto chiara su
questo punto. Essa parla infatti di una “valutazione, periodica e annuale,
degli apprendimenti e del comportamento degli studenti” (art. 3, comma a).
Resta solo da vedere se il comportamento avrà, nella valutazione, “pari
peso” rispetto all’apprendimento come previsto dal padre della riforma,
Giuseppe Bertagna (Rapporto finale del gruppo ristretto di lavoro).
Ai fini della validità dell’anno scolastico,
“ciascun alunno (della scuola secondaria di 1° grado, n.d.r.) deve maturare
una frequenza minima di ¾ dell’orario annuale obbligatorio e facoltativo
prescelto” (sono possibili deroghe ai limiti massimi di assenze).
Questi elementi, coniugati al Portfolio,
che è uno strumento promozionale piuttosto che valutativo, e al
recentissimo avvio di una valutazione di tipo burocratico che si sovrappone
(sostituisce nei fatti?) la valutazione professionale ci conducono ad una
riflessione sulla nuova natura della nostra professionalità e sulla nostra
reale possibilità di esercitarla.
2) L’impianto dell’orario
Parlavamo prima di apprendimenti obbligatori e
facoltativi-opzionali. Come già sappiamo, la riforma prevede la
suddivisione del monte ore in due pacchetti, di cui il primo comprende le
ore “di lezione” ed il secondo le ore di “attività e insegnamenti” che
vengono organizzate dalle singole scuole o dalle scuole in rete “tenendo
conto delle prevalenti richieste della famiglie”. Una volta effettuata
l’opzione delle ore facoltative, la frequenza diviene obbligatoria.
Si configura il seguente monte ore:
·
Scuola dell’infanzia: da 875 a
1700 ore annue (da 25 a 51 sett. circa);
·
scuola primaria: 891 + 99 (30
ore: 27+3);
·
scuola sec. di1°grado: 891+198
(33 ore: 27+6)
L’impostazione della dotazione oraria della
riforma Berlinguer era sostanzialmente identica (oltre alla quota nazionale,
una quota locale – 80% - 20% - ed un numero di ore per specifiche esigenze
delle famiglie e socio-culturali. Per la scuola di base De Mauro aveva però
previsto 1000 ore e 330 per le famiglie…; mancava nella Berlinguer la quota
regionale – la riforma del Titolo V non era stata fatta).
Pur con le differenze sul monte ore, anche qui
la logica è identica. E’ quella della domanda e dell’offerta (famiglie).
La riforma Moratti fa però un passo avanti
nella direzione che tende a fare della scuola uno dei tanti ambienti di
apprendimento. Nella configurazione dei due pacchetti e nella facoltatività
del secondo è insito il concetto che la scuola sia riferimento unico solo in
relazione ad un servizio minimo, mentre per ‘il di più’ ci si può volgere
anche altrove.
Significativo quanto dice Bertagna a proposito
del percorso formativo strutturato in tre itinerari (Rapporto del gruppo
di lavoro):
Il primo è obbligatorio per tutti, a garanzia
dell’integrazione sociale e culturale di tutti;
il secondo è facoltativo, meglio è
obbligatoria la sua offerta da parte delle scuole riunite in rete, mentre
facoltativo il suo consumo;
il terzo non finge che la scuola sia l’unico
ambiente di apprendimento esistente nel sociale, ma tematizza il contributo
specifico che le esperienze e le opportunità formative dell’extra-scuola
possono garantire al raggiungimento del profilo educativo,culturale e
professionale atteso per lo studente alla fine del ciclo di studi, delle
conoscenze e delle abilità nelle quali si articola nelle previste scansioni
biennali dei piani di studio.
E altrove:
Con appositi incentivi ed interventi, si
tratta di creare le occasioni perché genitori, mass media, attori sociali,
imprese, enti locali, centri culturali, imprenditori del tempo libero
possano diventare risorsa culturale ed educativa per gli allievi e si
facciano sempre più carico della loro maturazione (Rapporto, cit.).
Bisogna soffermarsi un attimo su questo punto.
La motivazione che il Ministro Moratti adduce a questa strutturazione è
quella della libera scelta, di un arricchimento dell’offerta che soddisfi
le richieste dell’utenza, e si adegui alle capacità e potenzialità degli
allievi, riducendo dunque anche la dispersione.
In realtà tutto ciò è dettato dalla logica del
risparmio e dal progetto di liberalizzazione dell’istruzione che non investe
solo il nostro paese (WTO). L’istruzione, insomma, deve diventare uno dei
tanti beni del mercato. Si tratta sostanzialmente di offrire, nella scuola
come nella sanità, soltanto un minimo.
Capiamo come una delle maggiori conquiste – la
scuola come diritto della cittadinanza - vada persa e come il problema
non sia tanto il sistema paritario in sé (Legge 62), ma la privatizzazione
della scuola pubblica.
La scuola è un peso economico da
scaricare. La riduzione del nucleo culturale e la configurazione di un
pacchetto accessorio va in questa direzione. Anche perché il pacchetto
accessorio può essere perso per strada…
3) L’orario e le conseguenze
Concretamente che cosa succede nella scuola
media, che diviene scuola secondaria di 1° grado?
Le materie sono:
Italiano
Storia
Geografia
Matematica Scienze e Tecnologia (unica area
disciplinare)
Inglese
2° Lingua comunitaria
Musica
Scienze motorie e sportive
Religione
C’è poi l’informatica che ricade su tutti i
docenti e l’Educazione alla convivenza civile (alla cittadinanza, stradale,
ambientale, alla salute, ecc.) che è, anch’essa, in carico a tutti i
docenti.
Il monte ora globale annuo prevede la
possibilità di variazioni di numero di ore per materia all’interno di un
minimo e di un massimo.
Perdono sicuramente la 1° lingua e
l’educazione tecnica. Per essi la circolare 29 recita: “Per quel che attiene
alle posizioni di servizio e all’impiego dei docenti di educazione tecnica,
in via transitoria e in attesa della revisione delle classi di concorso, ai
sensi dell’art. 14 comma 6 del decreto legislativo, tali docenti saranno
assegnati all’insegnamento di tecnologia nel quadro degli insegnamenti
previsti nell’area disciplinare “matematica, scienze e tecnologia”. Per
l’eventuale quota oraria non coperta (- 66), i docenti in questione
troveranno utilizzazione nelle attività facoltative opzionali (ivi comprese
quelle di laboratorio), secondo le competenze prof. possedute (art. 14,
comma 5)”.
Appare evidente che si pone un problema di
organici e di professionalità: non immediato il primo (per quest’anno
“restano confermati l’assetto organico delle scuole di 1° grado secondo i
criteri fissati dal DPR 14 maggio 1982 …”). Sicuramente futuro, anche
perché la legge prevede che le ore di attività facoltative opzionali
possano essere coperte anche da esperti, assunti secondo le modalità della
Legge Biagi. In ogni caso il concetto dell’utilizzo dei docenti in rete non
potrà essere senza conseguenze.
Il destino dei docenti di educazione tecnica è
dunque carico di incognite, come cariche di incognite sono le materie
facoltative-opzionali.
Che cosa succederà se le famiglie non
sceglieranno affatto queste attività o le abbandoneranno?
Le trasformazioni didattiche e
professionali
1) La personalizzazione
La legge e il decreto attuativo segnano,
nell’ambito della didattica, il punto d’arrivo del percorso avviato dal
Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, ovvero dal Dpr.
275 del 1999. Il regolamento dell’autonomia parlava, all’art. 1, di
interventi di educazione, formazione e istruzione adeguati alle
“caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti”; la legge e il decreto
attuativo stabiliscono che l’insegnamento debba essere ad personam-
piani di studio personalizzati.
Mi sono posta altrove criticamente di
fronte alla scelta della personalizzazione, rilevandone i rischi sul piano
sociale e su quello della possibilità di emancipazione della scuola (vedi:
Fondamenti e limiti del riformismo in atto, www.gildacentrostudi.it).
Ho chiarito nell’intervento citato che la
personalizzazione avviene per una triplice via: 1) l’adattamento degli
insegnamenti alla persona, alle sue potenzialità e capacità, con relativa
enfasi sulle metodologie didattiche adatte a quello che viene definito lo
“stile di apprendimento”; 2) la configurazione di un’offerta che contenga
elementi variabili; 3) la costruzione di percorsi sulla persona e per la
persona.
Resta da dire che, anche in questo ambito, la
legge Moratti si pone in continuità con la Legge 30, che all’art. 1,
definiva il sistema educativo di istruzione e formazione come un sistema
finalizzato
“… alla crescita e alla valorizzazione della
persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e
dell’identità di ciascuno, nel quadro della cooperazione tra scuola e
genitori”.
E altrove:
“… la repubblica assicura a tutti
pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare
le conoscenze,le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti
con le attitudini e le scelte personali”
(Programma di attuazione Berlinguer-De Mauro).
Ma, stabilito che – per quello che ci riguarda
– la personalizzazione è carica di connotati negativi, chiediamoci a che
cosa serve.
Essa obbliga al passaggio dall’unità didattica
di insegnamento all’unità di apprendimento, che non ha come riferimento
l’oggetto dell’apprendimento ma il soggetto che apprende. Su di esso è
costruita, e laddove non si pervenga a dei risultati non viene messo in
causa il discente ma il docente, la cui programmazione non è stata adeguata.
La personalizzazione è dunque funzionale al
successo formativo – che attraversa le leggi Berlinguer e Moratti - e che
costituisce il nucleo intorno al quale entrambi i progetti si articolano.
Un successo formativo ovviamente funzionale
all’imperativo di abbassare il tetto della dispersione e ad una scuola che
non si pone il fine di elevare la qualità generale, ma quello di costituire
una struttura formalmente funzionante, formalmente efficace ed
efficiente.
2. Il portfolio
Lo strumento valutativo coerente con
l’impostazione di cui sopra non può essere una tradizionale pagella. Deve
cambiare per coerenza con l’ottica del soggetto e l’ottica del successo.
Il frutto di questa evoluzione è il
Portfolio (vedi: Serafina Gnech, Oh Dio, il portfolio,
www.gildacentrostudi.it).
Vediamo che cosa deve contenere questo
malloppo.
Nella scuola dell’infanzia esso deve
contenere:
-
“una descrizione essenziale dei percorsi
seguiti e dei progressi educativi raggiunti:
-
una documentazione regolare, ancorché
significativa, di elaborati che offra indicazioni di orientamento fondate
sulle risorse, i modi e i tempi dell’apprendimento, gli interessi, le
attitudini e le aspirazioni personali dei bambini”.
Nella scuola primaria e nella scuola
secondaria di 1° grado, il dossier diviene più corposo, in quanto deve
contenere:
-
1.”Materiali prodotti dall’allievo
individualmente o in gruppo capaci di descrivere (paradigmaticamente, solo
nelle Indicazioni relative alla scuola primaria) le più spiccate
competenze del soggetto;
-
2. prove scolastiche significative (relative
alla padronanza degli obiettivi specifici di apprendimento e
contestualizzate alle circostanze, solo nelle Indicazioni relative alla
scuola secondaria);
-
osservazioni dei docenti e della famiglia
sui metodi di apprendimento del fanciullo (del preadolescente, nelle
Indicazioni relative alla secondaria), con la rilevazione delle sue
caratteristiche originali nelle diverse esperienze formative affrontate;
-
commenti su lavori personali ed elaborati
significativi, sia scelti dall’allievo (è importante questo coinvolgimento
diretto) sia indicati dalla famiglia e dalla scuola, ritenuti
esemplificativi delle sue capacità e aspirazioni personali;
-
indicazioni che emergono dall’osservazione
sistematica, dai colloqui insegnanti-genitori, da colloqui con lo studente
e anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini e agli
interessi più manifesti”.
Ai contenuti sopra elencati e comuni ai due
ordini di scuola (fatte salve le differenze elencate fra parentesi), va
aggiunta, per la scuola primaria e la scuola secondaria di 1° grado la
sezione dedicata alla valutazione, per la quale si richiamano gli indirizzi
generali enunciati dall’art. 8 del DPR 275/99.
Dalla scelta terminologica si evince in quale
misura il nuovo strumento valutativo rispetti l’imperativo del ‘soggetto al
centro’ e del ‘successo’.
Il portfolio è infatti “nel linguaggio
pubblicitario, la raccolta di testi e immagini destinate alla promozione di
un nuovo prodotto o di una linea di prodotti” (Garzanti). Uno strumento
promozionale di beni, dunque. Ma anche di individui-risorsa. Esso viene
infatti comunemente usato dai professionisti per raccogliere e presentare
titoli accumulati nel tempo, successi ottenuti, lavori fatti e via dicendo.
Uno strumento insomma che registra i successi,
non i fallimenti, nella via gia imboccata da Berlinguer .
La riforma degli esami di Stato di Berlinguer
anticipa vari aspetti dell’attuale portfolio. Prima di tutto, “con
la valutazione e la certificazione scritta delle varie componenti del
successo formativo, quali le conoscenze disciplinari, le competenze
acquisite, le capacità”, come ci dice Berlinguer (2), si dà il via alla
scomposizione della valutazione. In secondo luogo si pone al centro della
valutazione “la cultura assimilata, fatta propria e spendibile e cioè la
competenza” (3), anticipando così la cosiddetta valutazione autentica o
alternativa che caratterizza il portfolio. Terzo: si inizia a
spostare gradualmente l’asse dello strumento valutativo: da documento che
registra uno status quo personale, registrando luci e ombre,
eccellenze e difetti conoscitivi di ogni studente a strumento di promozione
individuale nel quale i “debiti” incidono molto debolmente, mentre i
“crediti” vengono amplificati. Non a caso il ventaglio dei crediti viene
allargato fino ad includere i cosiddetti crediti formativi, cioè le più
variegate attività – e anche non strettamente scolastiche – svolte
dall’allievo.
Anche Berlinguer si stava muovendo, d’altra
parte, nella direzione che avrebbe condotto all’adozione di un libretto
personale dello studente, e non mancano espliciti riferimenti ad esso.
E non dimentichiamo che il 18 febbraio del
2000 un accordo Stato-Regioni dà il via al “Libretto formativo del
cittadino” “su cui, si dice, saranno annotati anche i crediti formativi che
possono essere conosciuti, ai fini del conseguimento di un titolo di studio
o dell’inserimento in un percorso scolastico, sulla base di specifiche
intese tra Ministeri competenti, Agenzie formative e regioni interessate”.
Ma qual è uno degli elementi più dirompenti
del portfolio, a parte la sua natura essenzialmente promozionale?
Il fatto che esso non sia compilato dai
docenti, ma dal docente-tutor con i genitori e gli studenti.
3) il tutor
Prima di tutto va tenuto presente che la
figura del tutor, che nella legge e nel decreto attuativo aveva una
rilevanza notevolissima, a tal punto da configurare dentro una scuola già
impostata sul modello privatistico, un rapporto privato esclusivo fra tutor
e famiglia, risulta un pò sfumata nella circolare attuativa. Questo
senz’altro a seguito di fondate critiche sul pericolo di una
gerarchizzazione. Dico fondate perché, come emerso in un convegno a Bologna,
il tutor già presente nella Formazione professionale è gerarchicamente su
di un altro piano (non insegna, gestisce tutti i contatti, acquisisce le
lamentele degli studenti sui docenti e li ‘indirizza’di conseguenza… con
forte alterazione della libertà d’insegnamento).
Dicevo: indebolimento dettato da prudenza
politica (non si parla più di una figura ma di una funzione), che non cambia
la sostanza della legge, ma apre la via a possibili applicazioni che
potrebbero smussarne l’intrinseca pericolosità.
Che consiste essenzialmente in un aspetto:
quello dell’ingerenza di un docente sull’insegnamento degli altri docenti.
Un costituzionalista, che ha recentemente
partecipato a un convegno Gilda, ha messo in rilievo non pochi elementi di
incostituzionalità della riforma approvata. Primo fra tutti quello della
alterazione della libertà di insegnamento, appunto, da non intendersi -
ovviamente - come garanzia per il docente, ma tutela dello studente e della
società, prima condizione della scuola pubblica.
Ed è proprio sul piano della libertà di
insegnamento e sulla autonomia professionale che la presenza delle famiglie
nella compilazione del portfolio incide negativamente.
4) Il ruolo della famiglia
Il ruolo che la famiglia assume sia nella
Legge 30 che nella Legge 53 è, come dicevamo, rilevante.
Nel caso della Legge Moratti essa entra
addirittura nella compilazione del portfolio.
Questo pone problemi di vario tipo:
sul piano della costituzionalità
(il privato invade lo spazio pubblico);
sul piano della equità (non esiste
una famiglia, ma nuclei variegati di diversa composizione, cultura, ecc. Il
rischio è quindi quello che la famiglia culturalmente più attenta e
preparata promuova l’immagine del proprio figlio in modo diverso da
un'altra);
sul piano del riconoscimento e dell’esercizio
della professione ;
sul piano dell’impegno in termini orari
(vedi il portfolio lombardo).
Proprio per chiarire meglio questo aspetto
Professione Docente, il mensile dell’Associazione, ha condotto
un’indagine lo scorso anno nelle scuole del sistema paritario statali e
private (vedi: www.gildaprofessionedocente.it).
Ne è derivata una cosa interessante.
Scuole statali e private gestiscono in modo
diverso il rapporto con le famiglie e configurano perciò diversamente il
loro ‘ingresso’ nel portfolio.
Dai questionari per le famiglie che sono stati
usati si rileva che mentre nelle scuole private si chiedeva ai genitori che
cosa si aspettavano dal proprio figlio, nelle scuole statali si chiedeva
quali miglioramenti fossero stati notati.
Mentre cioè nelle prime la scuola si poneva a
sostegno ed indirizzo delle famiglie (vi aspettavate che sapesse leggere, ma
legge troppo poco, dovreste…, ecc.) nelle seconde veniva sollecitato il
controllo sull’operato dei docenti, sui quali veniva in tal modo riversata
la responsabilità di eventuali fallimenti.
Si verifica così un fenomeno nuovo e inatteso:
la scuola privata garantisce al docente
maggiore autonomia professionale, assumendo alcuni dei tratti della scuola
pubblica, la scuola pubblica assume progressivamente caratteristiche che la
configurano come struttura-servizio privatistico.
COME SI STRUTTURA Il “LAVORO” DOCENTE?
Dall’unità didattica all’unità di
apprendimento
Prima di entrare nel merito del ‘lavoro
docente’ e delle modalità della sua strutturazione, va prima di tutto
preliminarmente chiarito che la Legge 53 di riforma sancisce il definitivo
abbandono del concetto tradizionale di insegnamento e della sua
impostazione. Non deve più esistere, nelle intenzioni, un insegnamento
standardizzato impartito alle classi, ma un insegnamento strutturato
sull’apprendimento di gruppi o di singoli (sia dal punto quantitativo che
qualitativo: metodo/metodi).
Ma procediamo per gradi.
L’allegato D alla legge disegna il Profilo
educativo, culturale e professionale dell’allievo alla fine del primo ciclo
di istruzione (6-14 anni). Si tratta di un documento culturalmente
avvincente che disegna il profilo di una personalità che gli psicologici
definirebbero assertiva (cioè razionale e matura) che si colloca in modo
positivo e critico all’interno della società. Cito dal Profilo: l’allievo
deve saper “prendere coscienza della dinamica che porta all’affermazione
della propria identità”, “interrogarsi sulle dimensioni e sulle difficoltà
di questo processo”, saper “gestire l’irrequietezza emotiva ed
intellettuale”, “ampliare il punto di vista su di sé e sulla propria
collocazione nel mondo”, “porsi in modo attivo e critico di fronte alla
crescente quantità di informazioni e di sollecitazioni”, saper “fare piani
per il futuro, verificare e adeguare il proprio progetto di vita”, saper
convivere, “coesistere, condividere, essere corresponsabile”.
Gli allegati A, B, C (rispettivamente per la
scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di 1° grado)
fissano gli Obiettivi generali del processo formativo condotto dal
segmento di scuola. La scuola secondaria di 1°grado, ad esempio, deve
essere la scuola “dell’educazione integrale della persona”, la scuola che
“colloca nel mondo” e che ha valenza “orientativa”, la scuola
“dell’identità”, della “motivazione”, del “significato” e della relazione
educativa; deve inoltre essere il luogo della prevenzione dei disagi e del
recupero degli svantaggi.
Gli allegati contengono inoltre gli
Obiettivi specifici di apprendimento per ogni segmento (le attività
educative nella scuola dell’infanzia, le conoscenze e le abilità relative
alle discipline e alle educazioni nella scuola primaria e nella secondaria
di 1° grado).
Gli stessi allegati stabiliscono anche che le
istituzioni scolastiche e i docenti strutturino il “lavoro” (il termine
insegnamento ci ricondurrebbe alla tradizionale concezione) progettando
delle unità di apprendimento individuali, di gruppi di livello, di
compito o elettivi oppure di gruppo classe, che, in coerenza con il
Profilo generale tracciato (allegato D) e con gli Obiettivi generali del
processo formativo relativi allo specifico segmento di scuola, tenendo
conto delle capacità dei singoli o dei gruppi o delle classi ai quali sono
dirette, definiscano degli Obiettivi formativi concretamente
raggiungibili dal singolo o dal gruppo.
Queste unità di apprendimento contengono
dunque un quantitativo di obiettivi specifici di apprendimento (conoscenze,
abilità) variabile a seconda dell’allievo, del gruppo o della classe per i
quali sono state progettate.
Esse devono inoltre esplicitare: metodi usati,
soluzioni organizzative, modalità di verifica dell’acquisizione delle
abilità e delle competenze. Il punto d’arrivo è la verifica sulla effettiva
trasformazione in competenze delle conoscenze e delle abilità acquisite.
L’insieme delle unità di apprendimento costituisce il
Piano di studio personalizzato, che resta a disposizione delle
famiglie e da cui si ricava anche la documentazione utile per la
compilazione del Portfolio delle competenze
individuali.
Semplificando, che cosa viene richiesto ai
docenti?
Viene richiesto, banalmente, di ‘dare’
unicamente ‘ciò che l’allievo può recepire’ sulla base delle sue capacità o
delle sue supposte capacità, senza alcun vincolo di – usiamo una vecchia
parola – programma.
Va da sé che questo modo di procedere
garantisce il successo formativo e, nel caso in cui – una volta programmata
l’unità di apprendimento - non si ottengano i risultati ad essa riferiti, si
procede ad una riprogrammazione adeguata.
Una sorta di percorso in lenta discesa dunque,
alla cui conclusione potrebbe situarsi, come si può ben capire, il livello
zero.
A che cosa servono allora le tabelle relative
agli obiettivi specifici di apprendimento? Giuseppe Bertagna, estensore
degli allegati, è molto chiaro a questo proposito:
Esse hanno lo scopo di indicare con la maggior
chiarezza e precisione possibile i livelli essenziali di prestazione (intesi
qui nel senso di standards di prestazione del servizio) che le scuole
pubbliche della repubblica sono tenute in generale ad assicurare ai
cittadini per mantenere l’unità del sistema educativo nazionale di
istruzione e di formazione per impedire la frammentazione e la
polarizzazione del sistema e, soprattutto, per consentire ai ragazzi la
possibilità di maturare in tutte le dimensioni tracciate nel Profilo
educativo, culturale e professionale previsto per la conclusione del 1°
ciclo di studi. Non hanno, perciò, alcuna pretesa validità per i casi
singoli, siano essi le singole istituzioni scolastiche o, a maggior ragione,
i singoli allievi. E’ compito esclusivo di ogni scuola autonoma e dei
docenti, infatti, nel concreto della propria storia e del proprio
territorio, assumersi la libertà di mediare, interpretare, ordinare,
distribuire, organizzare gli obiettivi specifici di apprendimento negli
obiettivi formativi, nei contenuti, nei metodi, nelle verifiche delle Unità
di apprendimento, considerando, da un lato, le capacità complessive di ogni
studente che devono essere sviluppate al massimo grado possibile e,
dall’altro le teorie pedagogiche e le pratiche didattiche più adatte a
trasformarle in competenze personali.
Allo stesso tempo, tuttavia, è compito
esclusivo di ogni scuola autonoma e dei docenti assumersi la responsabilità
di “rendere conto” delle scelte fatte e di porre gli allievi, le famiglie e
il territorio nella condizione di conoscerle e di condividerle.
Riassumiamo:
-
L’unità didattica costituiva un percorso di
insegnamento predeterminato circoscritto; gli allievi venivano valutati
sulla base di una media rilevata dall’andamento generale; il discente
conservava la responsabilità delle carenze;
-
l’unità di apprendimento costituisce un
percorso di insegnamento costruito sulle supposte capacità di
apprendimento; nel momento in cui l’apprendimento non si realizza non
viene messo in discussione il discente ma il docente (che non ha saputo
costruire un percorso adeguato, o usare le strategie adeguate allo ‘stile
cognitivo’ del discente);
-
l’insieme delle unità didattiche (cioè il
programma) costituiva il programma ministeriale;
-
l’insieme delle unità di apprendimento
costituisce il percorso personale;
-
sulla adeguatezza delle conoscenze del
programma si pronunciavano i docenti, in quanto ‘funzionari pubblici’ e lo
Stato assumeva il loro giudizio (valore legale del titolo di studio);
-
sulla adeguatezza dei percorsi attivati sono
ora chiamate a pronunciarsi le famiglie, divenute committenza alla quale
i docenti devono “rendere conto”….
Due domande si pongono necessariamente a
conclusione logica di questo percorso:
-
Il titolo di studio può conservare a queste
condizioni un valore legale?
-
Ha senso finanziare con i soldi di tutti i
cittadini un servizio di tipo privatistico?