LA SCUOLA AMERICANA E “IL LIMITE DELL’UTILE”

 

“Riguardo all’uomo che ammette la morale utilitaria, si può dire che il cielo si richiude su di lui: egli disconosce la poesia, la gloria, e il sole ai suoi occhi è solo una fonte di calore” (Georges Bataille).

 

Un libro molto utile per aiutarci a capire il sistema anglosassone, che nelle scuole americane trova la sua espressione più estremistica, è quello di Marianella Sclavi, A una spanna da terra, edito da Feltrinelli nel 1994.

La scrittrice, che manifesta spesso  la sua predilezione per il sistema usato oltre-oceano, sul quale è ricalcato il Riordino dei cicli, ci dà in questo passo una chiara visione delle deviazioni - dal nostro punto di vista – a cui può condurre una centralità dello studente che si configura come centralità dello studente-cliente, soggetto a cui devono essere offerte opzioni di tutti i tipi, fino a quella – non interiore e soggettiva e pertanto degna di rispetto, ma avallata dall’istituzione -  di “non fare”

La scrittrice, che usa per il suo studio la tecnica dello shadowing, segue cioè, come un’ombra, una studentessa americana, assiste ad un colloquio fra il counselor (consigliere degli alunni) e due studentesse “in crisi”.

 

“Dunque...” fa una studentessa che lo fissa (il counselor, n.d.r.) con aria interrogativa, a disagio.

La ragazza ripete che non ce la fa assolutamente a continuare il corso di ginnastica; dice che non può sopportare la professoressa. Robinowitz (il counselor) la scruta perplesso come se stesse sondando abissi inaccessibili e poi di scatto prende da una pila un modulo e mentre scrive chiede:

“Hai un’idea di che materia vuoi al posto di ginnastica?”

“Io preferirei un periodo libero ... tanto sono senior...”

Va bene. Le consegna una copia del modulo. Fatto. Se ne va come una che sta uscendo da uno studio dentistico incredula di non aver sentito dolore.

Uno studente con un filo di voce vuol sapere cosa deve scrivere in “queste righe qui” della domanda di ammissione al college; Robinowitz glielo dice e lo spedisce:

“Torna, quando hai bisogno, ma ricorda che sei tu che devi scrivere la domanda, non io...”

Un altro studente cambia idea e se ne va senza aver chiesto niente, dice di non avere le idee chiare e che tornerà un’altra volta.

Una ragazza dall’aria ordinata e giudiziosa vuole un consiglio sull’opportunità di lasciar cadere chimica AP (Advanced Placement), nelle altre materia ha una media molto alta, 95 (il voto massimo è cento), ma nei tests di chimica non riesce a salire sopra una media di 80... se  va avanti così... e non crede di riuscire a migliorare di molto... anche la professoressa non l’ha incoraggiata molto... si rovina la media generale. Chimica, con questi voti, porta più danno che vantaggio per il college... Si mettono d'accordo che prima di prendere una decisione così drastica conviene che entrambi ne parlino più a fondo con la professoressa di chimica. Robinowitz promette di farsi dare un giudizio franco sulla possibile resa della ragazza. Anche lei comunque sarebbe propensa a non scegliersi un'altra materia e tenersi l'ora libera.

Rimango sbalordita per la brutale franchezza di questi dialoghi e la logica commerciale con cui le materie vi vengono soppesate.

Lo scorso anno, ogni volta che, come mamma di Bianca, capitavo nell’ufficio di Robinowitz per qualche rapido scambio di informazioni, mi presentava agli studenti e con tono forense chiedeva:

“Ci sono counselors nella scuola italiana?”

“No”, rispondevo.

“E perché non ci sono?”

“Perché gli studenti non hanno nulla da scegliere!” replicavo ridendo.

“Capito?” tuonava rivolto agli astanti “Siete dei privilegiati. Non dimenticatelo”.

 

Ci sarebbe di che far rabbrividire Georges Bataille.. Il “limite dell’utile” è ampiamente dimostrato dai risultati della scuola americana, tanto bassi da far parlare di un’emergenza scuola. Negli Stati Uniti “malgrado l’alto livello degli studi universitari avanzati e di alcuni celebri collegi, un quarto degli studenti all’ultimo anno delle scuole medie risultano – come scrive l’Economist del 4 novembre - illiterate, analfabeti o semi-analfabeti” (dal Corriere della sera del 13/11/2000, La doppia faccia del grande boom).

 

a cura di Se. G.