L’allievo
di Daniel Zimmermann
traduzione di Federica Alba
Meridiano Zero
Poveri maestri illusi dalla
scuola. Un insegnante francese di recupero con allievi in
difficolta', non crede piu' nelle fantasticherie di rieducatori e
psicologi.
Meridiano Zero ha in catalogo
molti romanzi "disturbanti" (per esempio i noir dell'ultimo grande
maestro europeo del genere , il grande e disperato Derek Raymond) ma
pochi lo sono quanto questo "L'allievo" di Daniel Zimmermann
(1935-2000) che mette in discussione il molto ottimismo e le molte
illusioni dei manuali di psico-pedagogia e delle pratiche di
educazione o rieducazione. In particolare, i discorsi - chilometrici
e perlopiu' vani - sul recupero scolastico dei bambini disadattati,
sulle classi differenziali, sugli psicologi e insegnanti
specializzati in questo delicato ramo del lavoro scolastico.
Se questo vale per la tecnocratica
visione pedagogica dei francesi, figuriamoci poi per l'Italia. Di
recente, rispetto a altre etā e ad altro contesto, si e' molto
parlato del bel romanzo di Antonio Scurati "Il sopravvissuto", e in
passato vennero, ancora dal veneto le narrazioni o inchieste di
Mauro Covacich su altre categorie professionali del vastissimo campo
dell'assistenza e del recupero, diventato come ben sappiamo uno dei
motori dell'economia italiana: si direbbe che si producano malati e
disadattati per il "piacere" di curarli, di creare vaste burocrazie
e migliaia di specialisti. La "nemesi medica" di Ivan Illich e'
anche, nel mondo occidentale, "nemesi pedagogica".
Ma il romanzo di Zimmermann parla
specificamente della scuola.
L'autore e' stato insegnante del recupero nelle elementari francesi
e sa di cosa parla, conosce benissimo i riti e i linguaggi dei
presidi, degli ispettori e dei maestri, anche se la sua volontā di
stupirci, anzi di inorridirci, ci fa talvolta dubitare delle sue
capacitā professionali: e' troppo accanito nel distruggere le idee
"buoniste" e le assurditā degli addetti ai lavori del ramo di cui ha
fatto parte per convincerci davvero, e i suoi rovesciamenti appaiono
talora forzati.
Nella storia del ragazzino Patrick,
brutto sporco e cattivo, "un caso esemplare" di famiglia disastrata,
egli si compiace di tirare in ballo discorsi piu' vasti, e di
sbalordirci piu' volte nello svelare quale e' veramente la sua
storia e la sua psicologia. Ne fa insomma un caso estremo di bisogni
irrisolti, di intrico perverso e di malvagitā, liberandosi presto
della figura del maestro per dimostrare che, oltre le fantasticherie
dei rieducatori e psicologi, la realtā vera e' un'altra, ed e' sullo
sfondo, avrebbe detto uno
scrittore dell'ottocento, "l'innata pravitā dell'animo umano" (Hawthorne,
di cui Donzelli ha teste' pubblicato l'intera produzione dei
racconti, tutti appassionanti…)
Non insistiamo sulle rivelazioni
del romanzo per non rovinare la volontā di sorprendere dell'autore,
ne' sulle scontrose contorsioni psichiche del ragazzino Patrick
Leguern, mentre si potrebbe insistere molto sulle illusioni del
maestro David Kupfermann e sulle delusioni dell'ex educatore e poi
romanziere Daniel Zimmermann che e' di David l'alter ego. Il maestro
chiama i suoi allievi "scimmiette" e certamente ha una visione dei
poveri, dei marginali, dei sottoproletari, dei "cattivi" alquanto
etologica. L'Uomo con la maiuscola, il genere umano, non si e' mai
liberato della sua parte animale e l'epoca presente non riuscirā
certo, con la sua pletora di specialisti, a farlo cambiare; questo
ci dice "L'allievo", e sta in questo l'interesse del romanzo. Di
bambini molto cattivi e' piena la storia della letteratura, della
fantascienza e del cinema ("Arancia meccanica"!), del fumetto per
adulti, e di adulti cattivi e' piena la Storia, ma come rimediare se
non con l'educazione quando tutto il resto fallisce? Il problema e'
ovviamente quale educazione, e impartita da chi, dentro quale
societā.
Goffredo Fofi
fonte:Sole 24 ore del 12.11.2006
Ci sono romanzi che danno luce a una trama da punti di vista
diversi. Ci sono romanzi che, quando li finisci, ti lasciano in
bocca il sapore di una lunga frequentazione col male. "L'allievo" e'
entrambe queste cose. Eppure, nonostante la struttura composita, si
fa leggere d'un fiato. E ci regala non solo la spietatezza dello
sguardo, ma anche momenti di ilarita', di una tenerezza arresa che
fa pensare a un film di Truffaut sull'infanzia.
Ci voleva Daniel Zimmermann
(1935-2000) per raccontare questa storia: l'autore di "La citta'
dolente" (Meridiano zero, 2004), oltre a essere uno scrittore, ha
svolto attivita' pedagogica con bambini disadattati. Il Patrick
Leguern del romanzo e' un ragazzino "diversamente abile" che vive in
una casa popolare nella periferia parigina. Suo papa' e' violento, e
mamma lo subisce. Per fortuna c'e' David Kupfermann, un insegnante
di sostegno un po' svagato e proprietario di una due cavalli (e
anche qui ci vedresti un Jean-Pierre Leaud), a prendersi cura di
lui, ad aiutarlo a crescere nella giungla feroce della scuola.
Poi, a meta' del libro, la stessa
storia di solitudine e segregazione e' raccontata in altro modo.
Patrick non e' un povero "senza cervello", ma un lucido regista di
se stesso. Sul rumore di fondo del linguaggio
psichiatrico-ministeriale, e del Sessantotto in banlieue, cio' che
il ragazzo persegue e' la sua personale realizzazione del mito di
Edipo. Ma non simbolica. Un pugno nello stomaco da gustare tutto, un
romanzo pieno di suspense e vuoto di buonismo.
Leopoldo Carra
fonte: Diario del 10.11.2006