Benché
non ancora chiarissima nelle sue modalità applicative, la mozione è un atto
di indirizzo politico, non una proposta di legge dettagliata, l’idea è di
costituire classi distinte per gli alunni che non dimostrino, a un apposito
test d’ingresso,
una sufficiente conoscenza della lingua italiana
Benché
non ancora chiarissima nelle sue modalità applicative, la mozione è un atto
di indirizzo politico, non una proposta di legge dettagliata, l’idea è di
costituire classi distinte per gli alunni che non dimostrino, a un apposito
test d’ingresso,
una sufficiente conoscenza della lingua italianaNel caso italiano, non siamo
all’anno zero. In molte scuole, anche se su basi locali e volontaristiche,
sono stati sviluppati laboratori di italiano come lingua seconda, sono stati
introdotti facilitatori e
mediatori, sono stati distaccati insegnanti con funzioni di
sostegno dell’apprendimento. Il problema è semmai che già sotto la gestione
di Letizia Moratti, il ministero aveva tagliato le
risorse per queste
attività. Il lieve incremento successivo è rimasto ben lontano dal
compensare l’aumento della popolazione scolastica di origine immigrata.
(1) La
percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento
delle risorse per fronteggiarla.
Le vistose concentrazioni in certe scuole e classi, inoltre, non sono un
dato per così dire “naturale”. Spesso derivano da
scelte organizzative che
addensano in alcuni plessi e classi gli alunni di origine straniera. Il
fatto stesso che alcune scuole abbiano investito maggiormente nella
didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare
verso di esse gli alunni immigrati, “sgravando” le altre. Il volontarismo e
l’attivazione locale hanno come contraltare il disimpegno e la resistenza
passiva di altre istituzioni scolastiche. Un impegno per l’integrazione
scolastica dovrebbe cominciare con il superamento di queste
segregazioni di fatto,
non giustificate da ragioni di concentrazione urbana.
Vengono poi alcuni problemi di merito. Il primo, già espresso da Giovanna
Zincone su La Stampa,
riguarda i destinatari
della proposta del test di ingresso: tutti gli alunni di nazionalità
straniera, oppure solo quelli nati all’estero? E in questo secondo caso,
tutti, compresi quelli giunti nei primissimi anni di vita, o solo a partire
da una certa età? Che dire poi dei bambini adottati all’estero? E dei figli
di emigranti italiani di ritorno? E dei figli di stranieri provenienti da
paesi sviluppati? E dei figli di coppie miste? La proposta appare
essenzialmente una dichiarazione di intenti che vuole marcare un confine,
senza preoccuparsi di introdurre specificazioni.
Un altro problema riguarda le
modalità di uscita dalle classi-ponte: che ne sarà degli
alunni che non riusciranno a raggiungere il livello di competenza
linguistica richiesto? Resteranno nelle classi-ponte? Fino a quando? Non si
rischia di reintrodurre surrettiziamente le classi differenziali abolite
ormai da tanti anni, perché ghettizzanti?
C’è infine una questione relativa ai luoghi e alle modalità
dell’apprendimento linguistico. La lingua si impara in classe, ma anche
negli intervalli, in cortile e in mensa, giocando, chiacchierando, passando
del tempo insieme. E poi invitando ed essendo invitati a casa dei compagni
nel tempo libero. L’apprendimento in
contesti informali non è
meno importante di quello formale. E in più produce integrazione reciproca.
Si può sostenere che le classi ponte non vietano di entrare in rapporto con
i bambini italiani, ma resta certo che non producono un ambiente favorevole
agli scambi quotidiani e all’instaurazione di rapporti di amicizia.
Non è forse un caso che nessun esperto noto di scuola e di pedagogia
interculturale si sia espresso a favore del provvedimento. D’altronde,
immaginare che la forza politica che ha presentato la mozione, con il suo
curriculum, abbia davvero a cuore l’integrazione dei minori immigrati,
appare vagamente surreale. Ma se pensiamo che gli obiettivi siano altri,
anzitutto di raccolta del consenso, allora si comprendcomprendono meglio le
ragioni della proposta e del suo successo.
(da www.lavoce.info del 28 ottobre 2008)
(1)I dati sono
Usr Lombardia-Miur. Si veda M. Santerini,
School mix e distribuzione
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