Quando
fu resa pubblica l’impalcatura della Legge 53 (cosa che avvenne, come ben
sappiamo, alla presentazione nell’ambito dei cosiddetti Stati generali
del “Rapporto finale del Gruppo ristretto di lavoro” costituito nel 2001 e
guidato da Giuseppe Bertagna, ci fu una frase, fra le altre, che ebbe una
certa risonanza. Si trattava di un passo relativo alla condotta degli
studenti, o meglio, come si dice ora, al comportamento, termine – quest’ultimo
– politicamente più corretto, in quanto non evoca le asimmetrie indotte
invece dal sostantivo ‘condotta’. Sostantivo che derivando da conducere,
ovvero cum-ducere, richiama immediatamente l’idea di un conducente,
una guida…
La
frase a cui facciamo riferimento, contenuta nella parte del documento che
esplicita le cosiddette ‘leve’da utilizzare per “innalzare la qualità
complessiva di tutto il sistema educativo di istruzione e di formazione”, è
la seguente:
“La
sesta (leva, n.d.r.) si ravvisa nella nuova normativa relativa ai cosiddetti
debiti formativi che, in nome del principio dell’inseparabilità tra logica e
etica, riguardano non solo il profitto, ma anche, a pari peso, il
comportamento dei soggetti (la tradizionale condotta)”.
L’enunciazione si inseriva in un contesto che regolava i passaggi di classe
(promozioni, bocciature) in modo vincolante e formalmente rigido per le
istituzioni scolastiche e, rarefacendo gli effetti dei momenti valutativi,
stabiliva che non fosse normalmente possibile ‘fermare’ un allievo se non al
completamento del periodo didattico biennale:
“ Se
il passaggio dalla prima alla seconda classe di ogni biennio non è precluso
dalla presenza anche di numerosi debiti, resta inteso che, per ottenere la
promozione al biennio successivo, essi, durante il secondo anno, devono
essere colmati… Si dispone la ripetenza del secondo anno del biennio quando
l’allievo mantenga due debiti che siano già stati registrati l’anno
precedente (comportamento compreso). Nel caso in cui i due debiti si siano
maturati solo al secondo anno del biennio, lo studente ha l’obbligo di
recuperarli l’anno successivo. Se ciò non avviene e ad essi si aggiungono
altri due debiti nel primo anno del biennio successivo, scatta la ripetenza
di questo primo anno”.
Due
sono le cose da osservare: 1) la ripetenza scattava non tanto in presenza
di gravi e diffuse lacune (attuale impostazione) quanto in presenza anche di
due soli debiti trascinati nel tempo; 2) il comportamento veniva collocato
fra i “debiti” a pari peso con quelli disciplinari ed un ‘cattivo’
comportamento generava degli effetti sulla carriera scolastica che si
traducevano in un rallentamento dei tempi di percorso.
Che
cosa è rimasto di tutto questo nella Legge 53? Senz’altro è rimasta
l’impostazione, che prevede che l’eventuale ripetenza si collochi
normalmente alla fine del periodo didattico (non si parla più di biennio in
quanto la struttura scolastica finale ha inserito anche dei periodi
didattici annuali). E’ caduta però tutta la parte relativa alla
regolamentazione delle eventuali ripetenze. La decisione su di esse ritorna
dunque ai docenti, in modo abbastanza libero, sembrerebbe, ma con espliciti
deterrenti nei momenti intermedi, soprattutto nella scuola primaria (per la
scuola secondaria di primo grado si parla, nel decreto legislativo n° 59, di
“casi motivati”, per la scuola primaria di “decisione assunta all’unanimità”
in “casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione”).
Il
comportamento è rimasto comunque nella Legge 53, seppure genericamente
enunciato, a fianco degli apprendimenti:
“…
la valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento
degli studenti del sistema educativo di istruzione e di formazione, e la
certificazione delle competenze da essi acquisite, sono affidate ai docenti…
agli stessi docenti è affidata la valutazione dei periodi didattici ai fini
del passaggio al periodo successivo…(art. 3, comma a).
Coerentemente con la Legge delega, il decreto legislativo 59 parla, per la
scuola primaria, di “valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti
e del comportamento degli alunni”; per la scuola secondaria di 1° grado
recita, in modo più puntuale:
“I
docenti effettuano la valutazione biennale ai fini del passaggio al terzo
anno, avendo cura di accertare il raggiungimento di tutti gli obiettivi
formativi del biennio, valutando altresì il comportamento degli alunni.”
(1).
Due
sono gli elementi rilevanti: 1) il comportamento costituisce un elemento
della valutazione; 2) secondo l’enunciazione della Legge 53 (che parla di
“valutazione… degli apprendimenti e del comportamento degli studenti del
sistema educativo di istruzione e di formazione”) e del decreto 59,
esso è presente in tutto il percorso scolastico, in sintonia con quanto
enunciato da Bertagna nel Rapporto citato:
“Dai
3 ai 18 anni, ogni allievo che frequenta il sistema educativo di istruzione
e di formazione è accompagnato da un apposito portfolio delle competenze.
Esso comprende la scheda di valutazione e la scheda di orientamento. La
prima è redatta sulla base delle indicazioni fornite dal ministero…la
seconda è costruita dalle scuole e dai responsabili del processo
educativo…”.
Siamo
però allo stato attuale in un sorta di limbo. In attesa di una definizione
che spetterebbe, secondo il D.P.R. 275 del ’99, al Ministro della Pubblica
Istruzione, chiamato a dare “gli indirizzi generali circa la valutazione
degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi” (art. 8,
1-g).
Vanno a
questo punto segnalati alcuni possibili sviluppi, delle perplessità e
delle incongruenze.
Gli
sviluppi
a)
Il ‘giudizio’ o il ‘voto’ relativi al
comportamento sono assenti o restano ininfluenti di fatto, come avviene
nella pratica attuale della scuola superiore, laddove il voto di condotta –
tuttora esistente – è puramente formale, tanto da condurre molto spesso
all’attribuzione di un voto unico per tutti gli alunni della stessa classe;
b)
il voto di comportamento vale quanto
quello di apprendimento (l’ipotesi Bertagna del “pari peso”), costituisce
debito e, se non intacca il profitto delle singole discipline, influisce
comunque sull’iter scolastico e, quindi, in ultima analisi, sul profitto
generale dello studente.
Le
perplessità
Le
perplessità relative al primo possibile sviluppo sono abbastanza ovvie. La
presenza solamente formale di un giudizio o di un voto relativi alla
condotta rimanda al mondo infantile e giovanile il messaggio di una generale
mancanza di senso, se non quello, ancora più grave, di una condivisa falsità
del mondo adulto.
Il
secondo possibile sviluppo introdurrebbe una perlomeno “disinvolta - come
ci dice Guido Armellini - equiparazione di giudizi tecnici e giudizi
morali”, che si inserisce in una sorta di valutazione “onnivora”, che parte
dalla “presunzione che la scuola possa e debba misurare tutto – dalle
attività svolte al suo esterno alle caratteristiche intellettuali e morali
dei suoi alunni” e “si configura inevitabilmente come un’arma contro la
privacy, la responsabilizzazione e l’autostima dei ragazzi e delle ragazze…”
(2).
L’ipotesi Bertagna introdurrebbe inoltre elementi di rigidità inediti.
Persino il Regio Decreto del 1925 che, al Capo III regolamentava le
“punizioni disciplinari” era più flessibile. Pur prevedendo, infatti, nei
casi più gravi anche “l’esclusione dallo scrutinio finale e da entrambe le
sessioni d’esame”, lasciava spazio ad un salvataggio dell’anno scolastico,
dando la possibilità ai docenti di comminare una sanzione che escludeva
l’allievo dallo scrutinio di giugno, ma gli permetteva di presentarsi a
settembre, facendo un esame di tutte le materie. Ed era questa, salvo casi
gravissimi, la forma maggiormente in uso.
Le
incongruenze
Resta a
questo punto da chiarire quale sorte spetti allo Statuto delle
studentesse e degli studenti della scuola secondaria, ovvero al DPR 24
giugno 1998, n° 249.
Ha da
considerarsi come automaticamente ‘non valido’ sulla base del “rapporto di
gerarchia” fra fonti che intervengono sulla stessa materia (la legge
ordinaria prevale sulla fonte secondaria, quale un decreto)?
O si
considera che esso possa funzionare in parallelo? Con le inevitabili
incongruenze che deriverebbero dalla sostanziale differenza fra lo spirito
che regola la legge (il comportamento fa parte della valutazione) e quello
che regola lo Satuto che segna una netta demarcazione fra profitto e
comportamento, e che non prevede in nessun modo che un ‘cattivo’
comportamento possa aver effetti sull’iter scolastico.
E’
comunque certo che, mentre la legge e l’ipotesi Bertagna, (nella sua pur
discutibile impostazione) sembra vogliano restituire ai docenti il
controllo della situazione, con probabili positivi effetti sull’andamento
didattico, lo Statuto spinge le scuole a costruire una struttura burocratica
complessa ed articolata, che regola in modo indipendente ciò che attiene al
comportamento degli allievi. Considerati – appare evidente – soprattutto
come soggetti da garantire contro abusi di potere, piuttosto che come
individui in crescita dei quali il mondo adulto può e deve assumersi la
responsabilità.
1. Il decreto legislativo 59, nella parte
relativa alla secondaria di 1° grado, stabilisce inoltre un vincolo alla
‘valutabilità’ degli allievi. Essa sarebbe normalmente possibile solo in
presenza di una frequenza minima, pari ai tre quarti dell’orario annuale
personalizzato:
“Ai fini della validità dell’anno, per la valutazione degli
alliev, è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale
personalizzato… Per casi eccezionali, le istituzioni scolastiche possono
autonomamente stabilire motivate deroghe al suddetto limite”
(art. 11: Valutazione, scrutini ed esami).
2. La valutazione nel progetto Bertagna,
www.edscuola.it/archivio/ped/valutazione.html |