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Antonio Scurati, Il sopravvissuto, Bompiani

 
 

 

Il sopravvissuto è Andrea Marescalchi…

Con un linguaggio denso, ricco, straniante che cerca di trasmettere, nello stesso tempo, il degrado e il fascino di ogni esperienza vissuta,  l’autore organizza un libro avvincente…

di Gaetano Bonaccorso

 

 

Il sopravvissuto è Andrea Marescalchi  insegnante di storia  e filosofia in un Liceo Scientifico a ordinamento speciale di Casalegno, un paesaggio senza respiro sulle rive dell’Adda,  sede di agenti di commercio e di autotrasportatori in sosta, nel quale, in un istituto simile ad una serra per specie animali, insegna ai figli dei commercialisti e dei piccoli imprenditori edili.

In un  afoso giorno d’estate del 2001,  uno studente , Vitaliano Caccia, si presenta al suo esame di maturità con una pistola e fa strage di tutti gli insegnanti della commissione, risparmiando soltanto lui.

Il professore subisce tutte le conseguenze dell’orribile gesto e trascorre tutta l’estate  a curare gli effetti  della sua dolorosa  testimonianza.

Sorvegliato a vista dalla polizia, giacché si teme una vendetta ritardata del giovane allievo,  subisce  interrogatori di ogni tipo nella vana speranza che possa dare un contributo decisivo alle indagini al centro dell’attenzione dell’intera nazione, e si rende conto della superficialità  di commissari, magistrati ed ispettori di fronte al mistero dell’educazione.

L’unico modo per salvarsi dagli effetti catastrofici di quella tragedia, che rischia di condurre il professore al suicidio , è  di andare dietro nel tempo e  ricostruire il  percorso vissuto insieme con i protagonisti di quella vicenda.

Attraverso le pagine di un diario emergono, a tutto tondo, i personaggi e le motivazioni che, apparentemente, possono spiegare il gesto insano di Vitaliano scomparso nel nulla dopo la strage..

Lo studente   ha la  prorompente bellezza e l’inquietudine vivace dei suoi venti anni, ma  deboli legami familiari,  carenze perpetrate attraverso inutili debiti, un pessimo rapporto con la maggior parte degli insegnanti,  un vitalistico ed aggressivo rapporto con le ragazze ne fanno un ragazzo difficile per il quale la scuola dimostra una sostanziale incapacità  di organizzare un percorso formativo ed educativo coerente con i suoi mezzi e le sue risorse.

I colleghi uccisi( per non parlare del dirigente, ridotto ad una larva umana), risultano inadeguati alla loro funzione, piccoli borghesi scoppiati  nel vano tentativo di uscire dalla loro condizione sociale immiserita, persi  dietro  il tatticismo esasperato ed assoluto cui s’impronta la conduzione media dei docenti nei rapporti con gli studenti, umanamente insoddisfatti delle presenze e delle assenze che caratterizzano la loro vita,  fisioterapisti  destinati a procurare un modesto e temporaneo sollievo ai loro clienti.

Marescalchi  scopre di disprezzarli profondamente e gli viene il dubbio di avere trasmesso anche al suo allievo tale disprezzo, per via di un rapporto speciale che ha con Vitaliano, che comprende ed aiuta dal punto di vista umano, fino ad accettare, con  un comportamento permissivo e complice, alcune sue gravi mancanze..

Ma anche Marescalchi ha i suoi limiti  e tradisce in più occasioni, sul piano didattico e sul piano dei rapporti umani, la vocazione all’attimo fuggente che sembra impersonare grazie alla sua maggiore consapevolezza e alle sue qualità misconosciute sul piano economico e riesce anche a deludere Vitaliano dimostrando la profonda dicotomia tra il  modello che rappresenta agli occhi del giovane e la bassa tensione etica nella quale vegeta, in certi momenti della sua vita, dal punto di vista umano.

In fondo, come gli altri, è un individualista, incapace  di  uscire da una visione solipsistica e narcisistica del suo mestiere.

Le evidenti responsabilità del sistema e dei singoli che Marescalchi riesce a delineare come concause del fatto tragico non bastano, tuttavia, secondo l’autore, a giustificare l’inammissibilità e l’atrocità dell’evento.            

L’analisi della società alla ricerca di effimere soddisfazioni edonistiche,  le riflessioni sulla scuola che il potere di turno gestisce in modo strumentale per tenere a bada le masse del momento, la lettura del secolo nel quale siamo vissuti,dominato da guerre e olocausti, conduce alla constatazione che ciascuno di noi è , in fondo, in qualunque momento, sottoposto ad una pressione mortale e ad un malessere profondo destinato a trasformarci , a secondo del caso, in vittime e assassini.

Nel mondo in cui viviamo, dominato dal contrasto profondo tra l’eccessiva tensione e l’eccessivo desiderio di evasione, siamo sottoposti al rischio di ictus esplosivi, padri e figli,  giovani e anziani, uomini e donne.

Nella scuola che gestiamo, come marionette manovrate da esigenze che non ci riguardano e non da autentici protagonisti, trasformata in pensilina destinata a riparare dalla pioggia d’inverno e dal sole d’estate, il disinteresse, la mancanza di motivazione, la sensazione di essere anonimi trasmettitori di un sapere inutile,   la misantropia tra colleghi e tra docenti e studenti, rischia di produrre effetti nefasti, di sconvolgere le menti dei giovani, di provocare catastrofi immani.

Con un linguaggio denso, ricco, straniante che cerca di trasmettere, nello stesso tempo, il degrado e il fascino di ogni esperienza vissuta,  l’autore organizza un libro avvincente in grado di condurci, con distacco ironico, in un abisso infernale, dal quale il protagonista esce fuori, dopo l’organizzazione del suo suicidio, per  affondare nuovamente nel rito abitudinario del rapporto con gli studenti, a risentirsi docile fibra dell’universo,  come se  partecipasse ad una esistenza vegetale che germoglia e cresce nel rapporto tra tutti gli esseri umani. 

Il mondo della scuola è messo sotto torchio, anche con toni e risvolti paradossali, ma , nel campo dell’istruzione delle giovani generazioni, chiudere gli occhi  e non denunziare le inadempienze politiche  e la  deriva di bassa tensione etica di una categoria invecchiata e stanca, significa essere complici di una visione demagogica  della nostra professione spesso maldestramente difesa anche dall’ingerenza sindacale. 

(da "Professione docente", dicembre 2005)  

 
 

 

Intervista ad  Antonio Scurati, premio Campiello 2005

“  La strage nel mio romanzo è l’ emblema di ciò che è già avvenuto : l’ immaginario collettivo ha già fatto strage della scuola nella sua integra complessità

L’ autore de “ Il sopravvissuto”, Bompiani,  premio Campiello 2005, recensito nel  numero di  dicembre 2005, risponde  alle domande di “ Professione docente”

A cura di Gaetano Bonaccorso

 

Nel suo romanzo, uno studente compie una terribile strage di docenti. La strage del giovane Vitaliano ha un valore simbolico? E’ la distruzione del vecchio, il bisogno di rifondare una scuola migliore, l’esigenza di una vena rivoluzionaria alla ricerca di un nuovo ‘68?  

Certamente la strage ha un valore emblematico, ma perché è, nelle mie intenzioni, una sorta di proiezione esterna di un vissuto interno  catastrofico, un sentimento della scuola che pervade una buona parte di docenti e anche di discenti e dell’opinione pubblica, quindi, in questo senso, non è un’anticipazione di ciò che potrà avvenire , ma una retrospezione di ciò che è gia avvenuto, come se questi ultimi anni avessero di fatto compiuto, nell’immaginario collettivo della società italiana, una strage  della scuola nella sua integra complessità, indipendentemente da chi sono le vittime e chi sono  gli esecutori materiali. 

Oppure, anticipa il rischio che questo gesto folle  diventi anche da noi ( come in America) un evento destinato a verificarsi? La nostra generazione ha creato tanti giovani irosi , che non riescono a coltivare neppure un senso di colpa?  

Non  da escludere  che  l’  immaginario di scrittore , come quello della gente comune, utilizzi il repertorio di eventi catastrofici che negli Stati Uniti è più fervido e ricco, ma il mio vissuto di insegnante della scuola italiana ha come punto di riferimento il passato del nostro paese, ciò che ha prodotto il sistema dell’istruzione nella nostra società e non il futuro. Quello è certo e si può interpretare, è una trama di cui viviamo le conseguenze ed è, come ho detto, simbolicamente raffigurabile con un sentimento catastrofico, al quale, nel futuro, bisognerebbe opporre una costruzione di senso della scuola capace di ribaltare l’attuale negatività. 

I docenti. Nel suo romanzo, i modelli di insegnanti si dibattono tra il solipsismo, il disprezzo dell’ istituzione,  dei colleghi e di se stessi. Lei descrive una misantropia professionale  che renderebbe i docenti   incapaci di trasmettere un sapere adeguato all’ incertezza e alla   fragilità dei giovani . E’ così ?  

E’ chiaro che esistono docenti che andrebbero stigmatizzati per la loro incapacità di svolgere il loro ruolo con professionalità e tensione etica, ma sono molti di più gli insegnanti che infondono nella loro professione grande impegno e profonda cultura e danno molto di più di quello che ricevono . Ma né gli uni né gli altri possono essere determinanti per modificare un sistema malato che scarica sempre sulle singole biografie le sue croniche inadempienze. Lo scrittore si pone come obiettivo di descrivere il veleno del suo ambiente sociale, di  sottolineare gli aspetti più negativi, i vizi dei singoli, le velleità individuali, le soluzioni individualistiche, destinate sia per i migliori che per i peggiori, a non produrre alcun cambiamento significativo, nelle singole separatezze. 

Lei sembra descrivere il degrado della scuola come parte di un degrado più ampio che è ambientale, climatico, e morale. In sostanza, se questo è il mondo, come può la scuola essere meglio?  

La scuola italiana  non è lo specchio della realtà, ma è certamente un pezzo cospicuo della realtà italiana ed è una regione della contemporaneità più tormentata di altre, è un punto del corpo sociale dove la ferita sanguina perché è ancora attiva la conflittualità sociale tra le generazioni, sebbene essa si esprima con modalità nuove rispetto al passato. Dipende certamente  da quello che facciamo e da come facciamo nella scuola che in essa  si costruiscano modelli di conoscenza e di comportamento che abbiano le potenzialità di modificare il degrado della società in cui viviamo. 

Nel suo libro non pare esserci la prospettiva di un domani migliore, tanto che la fine sembra denunziare la rassegnazione ad un sistema canceroso ed insanabile. Se così è,  come vede i tentativi di riforma  della scuola sia da parte della sinistra che della destra? 

L’ossessivo riformismo delle politiche per la scuola , di sinistra e di destra, è il sintomo del malessere e non la cura. Questo, ovviamente, non significa che la scuola va bene com’è, ma bisogna mettere mano ad una riforma profonda, grazie alla quale si ripensi il valore sociale e culturale della scuola, assegnandogli l’importanza significativa che esso dovrebbe avere all’interno  dell’effettiva centralità  della vita sociale nell’intero paese. Per fare questo occorre un forte investimento economico, perché fare le riforme a costo zero significa non volere realmente modificare gli aspetti negativi del sistema –scuola e la sua effettiva incidenza nella realtà sociale e culturale del paese

E ritiene che la crescita della  consapevolezza -anche sindacale- del      fatto che i docenti abbiano una sorta di mandato sociale per la  formazione dei giovani possa rappresentare  un dato positivo ?  Una     ripresa di quella  tensione etica oggi così bassa ?

La sindacalizzazione  intesa come accresciuta consapevolezza riguardo agli aspetti professionali del proprio lavoro, è sempre cosa naturale e positiva. Sono deluso per il fatto che essa non sia presente anche nel mondo universitario. Tuttavia nasconde anche dei rischi e dei vizi. Molti insegnanti fraintendono il legame col sindacato come una statica prassi di diritti acquisiti nel passato che diventano privilegi e rendite che escludono, a loro volta, altri soggetti e i loro diritti, sullo sfondo di una spaccatura tra chi è inserito nei diritti e chi non è inserito. Inoltre troppo spesso i sindacati hanno fatto una politica di piccolo cabotaggio, facendo lotte ingenerose ed esagerate contro il criterio meritocratico, che non è un criterio migliore di altri, ma funzionerebbe da correttivo per evitare lo svilimento burocratico della professione.

Ci sono, a suo avviso, soluzioni praticabili nel breve o medio termine anche chirurgiche, dolorose e impopolari che possano restituire all’insegnamento una collocazione significativa e valida nella società in cui viviamo?   

L’obiettivo primario è quello di recuperare il prestigio sociale del docente e per questo bisogna pagarlo di più, creando un circuito virtuoso tra il riconoscimento economico e  le cresciute responsabilità della sua professione nella società complessa nella quale viviamo. Ma l’inversione di rotta fondamentale è smettere di inseguire il mondo del lavoro che mira a fare della scuola un semplice avviamento professionale, e difenderne l’autonomia e la separatezza dal mondo del lavoro. L’importanza della scuola è stata , ed è ancora, il fatto di essere uno spazio sociale ancora sottratto alle logiche del mercato ed è proprio questa distinzione che dà senso alla scuola. Ecco perché il Ministro dell’istruzione non dovrebbe essere un manager ma una persona di cultura, per evitare l’ottica assimilazionista di un’impronta manageriale ed aziendalista del sistema dell’istruzione. 

E’ la  fantasia dello scrittore  o l’esperienza  o lo studio della realtà che anima le fonti di una conoscenza così precisa di alcuni fenomeni e patologie della scuola di oggi? 

Con la fantasia lo scrittore può viaggiare nei territori sconfinati dell’invenzione  fino ad immaginare storie incredibili, ma per scrivere sulla scuola bisogna avere un vissuto nella scuola. Sono stato docente di ruolo nella scuola superiore, prima di insegnare all’università , e ho sperimentato le convulsioni dell’immissione in ruolo dei vincitori di concorso nelle scuole lombarde, ma ho anche insegnato nelle scuole private per studenti ricchi  ed espulsi dalle scuole di eccellenza. Dunque alla base del mio racconto c’è soprattutto l’esperienza e  avendo conosciuto la realtà della scuola privata come insegnante, ancor più ritengo quanto mai necessaria la difesa della scuola pubblica.

                                                                                  (Da “ Professione docente”, febbraio, 2006)