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Trasformazioni epocali, quali  la fine del cosiddetto “monopolio statale” nell’istruzione e l’avvio del “virtuoso” circolo dell’emulazione fra le scuole – come disse a suo tempo il confindustriale Vittorio Oliva - avvengono spesso  senza che se ne colga del tutto  la portata e se ne valutino appieno le conseguenze.
In queste note, redatte per il Centro Studi Gilda, Grazia Perrone vuole penetrare l’opaca superficie dei nuovi  slogans politico-culturali.
Se ne può condividere o meno l’impianto, non si può evitare di interrogarsi ponendosi domande di senso.
 
E più che mai attuale risulta questa riflessione nel momento in cui si delinea in maniera netta la volontà politica  del nuovo Governo di continuare sulla via dell’efficientismo aziendale. Con docenti ai quali, come ribadisce l’autore di questo articolo, vengono richieste  prestazioni visibili sempre più dilatate nel tempo.
In quell’ossessione quantitativa che sempre più  misconosce il lavoro intellettuale e, insieme ad esso, la specificità della scuola.

 
 

Verso la nuova scuola…

 Tra competizione, regionalismo ed efficientismo “aziendale”

Ovvero: contro la “glocalizzazione” culturale

 
 

Le esternazioni ferragostane del neo ministro Moratti in merito al “superamento” del monopolio statale dell’istruzione hanno destato non poco sconcerto e – fondate – preoccupazioni in gran parte del mondo scolastico nostrano.  

Scontati gli apprezzamenti  del mondo cattolico e la “levata di scudi” dei gruppi più radicali del centro-sinistra in un contesto socio-politico che rischia di trasformare il dibattito in una “rissa” ideologica.  

Scopo di questa nota è quello di formulare – nella maniera più chiara possibile – le mie, personali, perplessità sul modello scolastico fin qui abbozzato dall’esecutivo di centro-destra (sul “solco” – è opportuno rammentarlo – già scavato dal centro-sinistra) in modo particolare per quanto attiene la parità scolastica e la “concorrenza” scuola pubblica/privata.

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In primo luogo ritengo necessario manifestare riserve e critiche nei confronti di un modello culturale e di un quadro normativo (già esplicitato e, in gran parte, realizzato da Berlinguer e dal centro-sinistra) orientato soprattutto verso l’acquisizione di abilità, competenze e saperi “verificabili” e “misurabili”, in funzione di una scuola  progettata in previsione della competizione sociale ed economica generalizzata anziché porre al centro delle sue attenzioni la formazione umana e culturale della persona, la visione di una democrazia pluralista, multietnica e positiva, finalizzata al bene comune e non vista come una semplice composizione di istanze, culture ed esigenze diverse. La stessa cultura imprenditoriale – a ben vedere – ritiene sempre più importante la formazione umana in quanto tale piuttosto che l’acquisizione di specifiche abilità e competenze avulse dal contesto socio-economico “globale” di riferimento. E’ opinione diffusa che chi è umanamente e culturalmente “maturo” non avrà problemi ad impadronirsi delle tecniche necessarie alla risoluzione dei problemi con cui dovrà misurarsi.  

Eppure, l’assillo del “prodotto” scolastico, l’esigenza (divenuto diritto) al “successo formativo” dello studente, l’obiettivo della prestazione ottimale (la “performance”, il “top”…), la rappresentazione economicistica del lavoro docente (in termini di diplomati/laureati “sfornati” dalle scuole/aziende), la rimodulazione (che alcuni sindacati chiamano, senza pudore, riconversione) professionale standardizzata degli “operatori” scolastici, l’impegno ossessivo a favore dell’efficacia e dell’efficienza (due espressioni ormai immancabili in qualsiasi documento ministeriale, sindacale e … giornalistico!!) talvolta danno l’impressione che qualcuno “lassù” consideri la mente umana alla stregua di una macchina, di un computer, il cui valore (e potenzialità) può essere stimato in funzione della memoria e della quantità di funzioni che è in grado di svolgere. Ai docenti – sempre più impiegatizzati - si chiede sempre di più in termini di quantità (sulla prestazione oraria, ad esempio) a discapito sia della qualità del servizio sia di diritti soggettivi costituzionalmente garantiti (si veda, per questo aspetto, l’incredibile nota scritta da un gruppo di genitori che hanno ottenuto da un dirigente - timoroso di perdere i “clienti” - la rimozione di una insegnante “colpevole” di maternità pubblicata nel Forum Mobbing del sito GILDA all’indirizzo: www.gildains.it) e – nella scuola – si fa sempre più strada la manipolazione pubblicitaria. Il che comporta – di conseguenza – l’elaborazione di strategie di marketing scolastico  (CEPU docet!!) finalizzate ad attrarre, coinvolgere e soddisfare il cliente/studente.  

Dario Generali* ha mirabilmente sintetizzato questo aspetto riportando un efficace esempio di customer satisfaction realizzato negli Stati Uniti.  

Nell’opera già citata l’Autore cita l’esempio dei magazzini Nordstrom che hanno fondato la propria strategia di penetrazione economica creando un’immagine della propria organizzazione commerciale nella quale si garantisce a priori al cliente – in caso di reclamo - di “avere sempre ragione” anche quando…. ha chiaramente torto. E cita – a sostegno di questa tesi – due esempi clamorosi: il primo si riferisce al rimborso di un cliente che lamentava di aver acquistato pneumatici risultati usati e lisci e ciò nonostante il fatto che i magazzini Nordstrom ….non hanno mai venduto pneumatici per auto!! Il secondo episodio – filmato dalle telecamere con, ovvia, “ricaduta” pubblicitaria – si riferisce al rimborso di un capo d’abbigliamento acquistato altrove. Non credo sia necessaria molta immaginazione per ipotizzare quello che potrebbe accadere nella scuola se dovesse prevalere il modello “americano”. Le “imprese” scolastiche dello stivale si adeguerebbero immediatamente alle richieste – anche quelle più astruse - dei clienti (almeno una volta, in Italia, questo è già accaduto!! Basta leggere – per credere – il Forum Mobbing del sito GILDA già citato).  

E la cultura diventerebbe una “merce” sottoposta alle medesime regole del mercato.  

Questo aspetto socio-economico è stato mirabilmente affrontato da Jeremy Rifkin** che rileva – a mio avviso con argomenti validi – come i professionisti del marketing siano alla ricerca di significati culturali per trasformarli in esperienze mercificate utilizzando lo strumento delle sponsorizzazioni delle iniziative sociali e culturali. Cosa che genera un enorme potere delle multinazionali della comunicazione, che controllano sia le reti  di comunicazione che i contenuti. I “nuovi guardiani della cultura” (secondo il Rifkin) regolano l’accesso ai giornali, al palinsesto della TV, all’industria editoriale, al mercato dell’arte. Viaggi e turismo globale, parchi e città a tema, centri specializzati per il divertimento e il benessere, moda e ristorazione, sport professionistico, gioco d’azzardo, musica, cinema e televisione, oltre che il mondo virtuale del ciberspazio e dell’intrattenimento elettronico stanno diventando il nucleo di un nuovo ipercapitalismo fondato sull’accesso a beni culturali. Arti, feste, sagre, movimenti sociali, pratiche spirituali, impegno civile vengono trasformati in intrattenimento individuale a pagamento. Le trasformazioni socio-culturali descritte nell’opera rifkiana presentano analogie con quelle legate alla nascita del capitalismo commerciale e industriale e la loro – intrinseca - radicalità mette in discussione gli aspetti costitutivi dell’assetto sociale ed economico precedente e risulta difficilmente comprensibile con gli strumenti di analisi consolidati e, finora, conosciuti.  Contro questa logica economicistica e disumanizzante propria dell’era dell’accesso il Rifkin propone una “nuova missione” (così la definisce) per la scuola il cui fine è quello di preparare gli studenti a “un’economia globale basata sulle reti e alle realtà virtuali del ciberspazio, senza, con ciò, sacrificare la loro capacità di partecipare ad una cultura più ampia.” E – citando l’esempio della civil education  americana - rammenta che l’educazione (…)”deve alimentare la fiducia sociale e l’empatia (..) promuovere rapporti di intimità con gli altri e con le altre creature (…) Poiché (…) le abilità richieste dal mondo del lavoro sono secondarie e derivate dalle capacità richieste dalla società, proprio come i mercati sono secondari e derivati dalla cultura; per quanto importanti, non devono prendere il sopravvento a spese della civil education, di cui possono essere un necessario complemento (…)” (Jeremy Rifkin op. citata pagg. 336/339).

Il Rifkin – in ultima analisi -  ribadisce, con forza, il primato (ed il valore!) della cultura sul mercato, del rapporto umano sul “business”, della conoscenza empirica e spirituale sul … possesso materiale della “merce”. Anche di quella particolare – nell’era dell’accesso – forma di “merce” nota come … cultura.

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Uno dei grandi temi della nostra epoca è la ricerca di omogeneità, la voglia di stare tra i propri simili, tra coloro che ci assomigliano di più da tutti i punti di vista. Una delle grandi forze della democrazia (e della scuola – aggiungo io – nota di gp), invece, è consistita nel far sì che gente diversa – dal punto di vista etnico, religioso o politico – potesse vivere insieme e sottoscrivere valori comuni. Se tutti vivessimo in comunità locali cementate da omogeneità etnica, il nostro sarebbe senza dubbio un mondo abbastanza orribile; non fosse altro perché la pulizia etnica non è mai completa”(…). Le parole di Ralf Dahrendorf*** mi riconducono – ancora una volta - al ragionamento di Dario Generali citato in precedenza.  

Se la logica scolastica è quella della “competizione” (e del profitto!!) tra aziende erogatrici del medesimo “servizio” essa non può che essere quella dell’impresa privata che è sempre finalizzata ad un unico obiettivo: soddisfare il maggior numero di clienti, facendone proprie, anche, le esigenze. La “devolution” regionale in materia scolastica richiesta, a gran voce, dall’esecutivo di centro-destra costituirebbe, in questo caso, il “grimaldello” giuridico per formulare una legislazione finalizzata ad impedire – o a limitare fortemente – l’accesso a soggetti e gruppi sociali non graditi. Oppure potrebbe conservare una “parvenza” di imparzialità consentendo – in linea teorica – l’accesso a tutti ma rendendo difficoltosa, onerosa e spiacevole l’iscrizione e la frequenza in un, determinato, istituto ai gruppi indesiderati al fine di provocarne l’allontanamento spontaneo. Oppure  - come rammenta, a pag. 14, dell’opera già citata  Dario Generali – qualora ci si accorgesse che – in qualche regione del nord – i bisogni latenti di qualche potenziale cliente fossero quelli di non avere insegnanti meridionali promuovere una legislazione “ad hoc” che consenta la “soddisfazione” del cliente nella logica della customer satisfaction. Ovvero dell’accoglimento – sempre e comunque – delle richieste/pretese del cliente/studente/genitore.  

Tutto questo – è evidente - non solo è l’esatto contrario della logica dell’interesse pubblico (che è finalizzato alla fornitura di un servizio scolastico moderno ed efficiente per tutti i cittadini e non adattato - a livello locale - alle esigenze della…maggioranza) ma costituisce alla creazione di quel preoccupante fenomeno che Ralf Dahrendorf chiama “glocalizzazione” che (…)”non è localismo in senso stretto, ma piuttosto regionalismo, che io trovo particolarmente indesiderabile perché presenta una sfida più insidiosa ai valori dell’ordine liberale” (…) poiché  “…. Le comunità locali costruite sull’omogeneità tendono invariabilmente ad essere intolleranti all’interno e aggressive all’esterno (…)”.  

La devolution regionale in materia scolastica – unitamente all’appoggio incondizionato alla scuola privata che, in Italia, è prevalentemente di tipo religioso-confessionale – rappresenta, per dirla con Dahrendorf, “una delle grandi minacce alla democrazia nella nostra era” poiché in nome dell’autogoverno regionale si “vogliono disegnare confini”, produrre steccati, sancire divisioni, imporre modelli culturali…. In una parola è il preludio (culturale!) alla pulizia etnica.  

L’esatto contrario della società liberaldemocratica, multietnica, interreligiosa, tollerante, solidale e pacifica rappresentata – o che dovrebbe esserlo - dalla scuola e …. dallo Stato!

 

Grazia Perrone

 

*Dario Generali: Direttore della rivista “Il Voltaire”. L’intervento citato è tratto dal numero 2, anno 1999 della già citata rivista.  

** Jeremy Rifkin: economista, autore di numerosi saggi sulle cause e sugli effetti della globalizzazione. Le citazioni riportate sono tratte dal libro: “L’era dell’accesso”. Mondatori, Milano, 1998.  

***Ralf Dahrendorf: sociologo. E’ considerato il naturale allievo di Karl Popper che ha sostituito nella direzione della London School of Economics. La citazione è tratta dal libro: “Dopo la democrazia”. Laterza Editori, Bari, 2001.