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 Paola Mastrocola, Una barca nel bosco, Guanda
 
 
La scuola dell’ amaro in bocca

CIM, Compresenza Interdisciplinare Multipla.

Non so se è un’abitudine delle scuole di Torino o se è un’invenzione della Mastrocola, ma nemmeno nella mia scuola, da sempre all’avanguardia nelle attività di accoglienza, si è mai usata questa formula. Abituata ormai a tutto, nella scuola, pensavo di poter passare indenne anche a certe assurdità de “Una barca nel bosco” di Paola Mastrocola, invece il racconto dei primi giorni di scuola del ragazzino siciliano catapultato a Torino per frequentare il liceo ti lascia davvero l’amaro in bocca.

Intanto la settimana di accoglienza: vista dagli occhi di chi già sa le regole fondamentali della grammatica italiana è una inutile perdita di tempo; poi la CIM, appunto, e il braingstorming per evitare l’impatto Strong e la festa subito dopo la CIM per socializzare. Ma davvero la scuola è così? E il prof. di latino che dice che Orazio è troppo difficile e non gratifica l’alunno che ne è appassionato…

E altri aspetti, più sociali: il ragazzo quasi emarginato perché ha le scarpe di pelle marrone e non le Nike, anzi NAICHE come  dice la mamma, il suo trascorrere gli intervalli attaccato al termosifone, la ricerca di una cintura di pesce(!!), l’improvviso cambiamento dei compagni che diventano gentili e socievoli quando comincia a passare le frasi tradotte!

L’ultimo romanzo della Mastrocola ci presenta la scuola italiana con la competenza di chi nella scuola vive e lavora, esasperandone alcuni aspetti, ma cogliendone spesso le contraddizioni più forti.

La trama è semplice: un adolescente di “un’isola” non meglio identificata si trasferisce a Torino con la madre in casa della zia perché l’insegnante delle medie dice che”il ragazzo merita”.

Qui comincia la sua avventura fra gruppi di coetanei che parlano un linguaggio per lui sconosciuto, che hanno aspettative e desideri lontanissimi dai suoi. Gaspare in un primo tempo non capisce, cerca di continuare a ragionare secondo i principi trasmessigli dal padre (arriva a calcolare i ritardi di ingresso in classe dei docenti, lo comunica alla preside, la quale lo manda all’ora di ascolto, ovvero il CIC!!!), continua a leggere e studiare, poi si stufa (e te lo credo!) e si sforza di prendere solo 7 in latino per acquistare in popolarità.

La scrittura è piana e piacevole, nella parte iniziale sembra imitare il linguaggio giovanile, poi il tono si innalza, quando si entra nella “vita”, che per Gaspare o Felix (nome che il protagonista assume per farsi bello con una ragazza francese) è dominata dalle perdite -il padre, la madre, la zia muoiono in rapida successione anche se il lettore ne viene a conoscenza nelle pagine finali del romanzo- ma anche dal proliferare delle piante che il ragazzo comincia a coltivare durante il liceo e che diventano la sua ragione di vita, fino ad occupare ogni spazio libero della casa, anzi intorno alle quali si organizza lo spazio della casa. Ecco il bosco del titolo e la barca è quella del padre che Gaspare non vuole vendere, anche se “a cosa serve una barca su un’isola a uno che vive a Torino?”.

                                                                                           Patrizia Franceschini

 


 

Gaspare, o delle passioni

 

Gaspare è una ragazzo e, come tutti i ragazzi della sua età,  ha delle passioni.

O forse no. Forse non tutti i ragazzi della sua età hanno delle passioni.

Comunque lui ce l’ha una passione, forte, importante. Gliel’ha insegnata una professoressa antica.

E spera che questa sua passione possa essere coltivata a scuola. Pensa che coincida con il fare scuola.

Gaspare infatti ama studiare, soprattutto i classici e tutto ciò che lo conduce “indietro” e “oltre” e “sopra” il vivere quotidiano, che per lui non può prescindere da questo mondo infinito di conoscenza.

Invece  a scuola è considerato un extraterrestre e,  quel che è peggio, proprio dai suoi stessi insegnanti.  E tutti, espressamente o tacitamente, lo spingono a cercare un “adattamento”.

Adattarsi a cosa. E perché?

Gaspare, prototipo di adolescente fuori dal branco,  scopre che nella grande città le cose funzionano in questo modo: per essere “considerati dagli altri”  è necessario “diventare gli altri”, mutuarne linguaggi e costumi fino a conquistarsi un posto dentro il gruppo. Ma lui ha già uno specchio dove riconoscersi e  presto si accorge  che questa appartenenza al gruppo gli provoca un’infelicità diffusa. Ritorna quindi a leggere  Orazio.  

Con questo bellissimo romanzo Paola Mastrocola  ci introduce nell’ universo degli adolescenti e stimola  il lettore a  riflessioni sul mondo della scuola che conducono al di là degli attuali dibattiti sulla  riforma,  oggi in fase di applicazione.

Richiedono queste riflessioni  risposte ad antiche domande sul ruolo dell’insegnamento.

Da più parti proviene il richiamo di “ritornare” a fare scuola, che forse vuole dire educare l’allievo alla riflessione critica ed etica, in altre parole educarlo a diventare quanto  più possibile  un uomo libero.

 

Gaspare ce la farà. Nonostante una  scuola facilitata e impoverita che poco  ha fatto per lui e contro  gli ostacoli di una  società falsamente strutturata, egli riuscirà ad esprimersi nelle forme possibili. Perché grazie all’incontro con un’insegnante “all’antica” saprà disporsi appassionatamente alla vita. Lui chiede in fondo questo: mio maestro, conducimi nel passato per capire dove andremo, fammi conoscere ciò che hai amato, e dimmi la tua.

                                                                                                                    Patrizia Bovo 

 (Da “ Professione docente” di gennaio 2005)