La riforma Gentile aveva dato al Paese una scuola rispondente al contesto culturale, civile, economico-produttivo del tempo. L’esigenza di alte professionalità e di ruoli dirigenziali venivano soddisfatte dai licei - che avevano il loro sbocco obbligato nella frequenza universitaria - mentre quelle del nascente sviluppo industriale venivano assicurate dai canali tecnico-professionali.
Negli ultimi decenni il contesto è profondamente mutato: i valori etici e culturali non sono più universalmente condivisi, scienza, tecnologia, economia e produzione sono soggette ad un continuo cambiamento. Infine (ed è questo un dato di forte rilevanza) l’istruzione, anche quella accademica, non è più prerogativa di un èlite culturale ed economica ma è diventata di massa.
E’ evidente che il sistema educativo di istruzione e di formazione richiedeva una radicale riforma: gli alti tassi di dispersione conseguenti alla scolarizzazione di massa devono essere contenuti in termini fisiologici. La convivenza civile e democratica e il sistema economico e produttivo, infatti, non possono permettersi il lusso di dilapidare risorse umane, in forza anche della dimensione sempre più immateriale assunta dall’economia.
La riforma Berlinguer-De Mauro ha tenuto conto di tali elementi proponendo un’ipotesi che, a nostro avviso, ha il difetto di giocare al ribasso.
Si tende, infatti, a contenere la dispersione al prezzo di una avvilente dequalificazione culturale della scuola e di rispondere alle complicate richieste del vivere civile assegnandole il quasi esclusivo compito della così detta socializzazione. Infine si subordina la specificità dei processi educativi all’egemonia del fattore economico e del progresso tecnologico.
La riforma che noi proponiamo si situa nella complessità del contesto attuale rivendicando, però, alla scuola una specifica identità che si risassume nel suo essere il luogo delle conoscenze.
Il fenomeno della dispersione può, a nostro avviso, essere combattuto ponendo lo studente di fronte a scelte chiare e precise: sin dall’inizio della secondaria si devono tracciare itinerari distinti per lo studio teorico e per la formazione professionale che deve essere tale da fornire competenze per l’alta tecnologia e per il lavoro autonomo sul quale si basa una larga fetta del nostro sistema produttivo e della nostra economia. Infine, la scuola deve educare alla libertà nella responsabilità. In altre parole ciò vuol dire che al diritto allo studio è complementare il dovere di studiare.
Ma sono due i rischi ai quali la tentazione “al ribasso” ci espone e che vanno scongiurati. Il primo è che il tecnicismo applicativo non introduce gli studenti al metodo dimostrativo e non li abitua alla argomentazione razionale. Questa carenza impedisce sia a chi in futuro voglia dedicarsi agli studi scientifici a livello accademico e alla ricerca sia a chi voglia decifrare la realtà contemporanea, la comprensione della profonda rivoluzione scientifico culturale del XX secolo. La seconda, che un malinteso democraticismo ponga fuori dal sistema scolastico pubblico i meccanismi di riproduzione e selezione delle future classi dirigenti.
Entrambi questi errori si tradurrebbero in un declassamento complessivo del sistema Italia, tanto più grave nella prospettiva di competizione globale che caratterizzerà i decenni a venire.
E quindi nella prospettiva di realizzazione personale di ciascuno dei suoi cittadini futuri.
Tenuto conto di tutto questo la
Fondazione Internazionale Nova Spes ha deciso di tradurre le proprie
riflessioni nell’elaborazione di una organica Proposta di riqualificazione
del sistema scolastico.
Ha chiamato a partecipare al lavoro alcune rilevanti espressioni della realtà culturale e di quella professionale dei docenti. Hanno aderito all’invito, oltre i componenti la Commissione, il Centro Studi della Gilda, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e Prisma, Progetto in difesa e per lo studio del mondo antico.
Il Comitato di coordinamento