Professor Ameli, molti nel nostro gruppo
guardano con simpatia alla proposta storica della Gilda sulla contrattazione per
i soli docenti. Io stesso nel mio libro ho scritto:La richiesta della Gilda per
un contratto separato per l’area docente è non solo sacrosanta (quali
problematiche abbiamo in comune con i bidelli, i presidi e gli impiegati che
lavorano nelle segreterie scolastiche?), ma ha una sua razionalità innegabile,
plausibilissima, è nell’ordine naturale delle cose, se solo l’assurda
opposizione confederale in nome dell’avvilente etichetta comune di lavoratori
della scuola l’avesse permessa. Cominciamo con il ripercorrere la genesi e
l”ideologia” sottesa a quello che molti considerano l’hobby horse, il cavallo di
battaglia della Gilda.
Ridare agli insegnanti italiani prestigio professionale e dignità sociale:
per questo la GILDA è nata e si batte da 17 anni.
Un prestigio ed una dignità persi per effetto di scelte politiche mortificanti
ed insulse; un prestigio e una dignità persi per colpa di scelte sindacali
“ideologiche” e “punitive” nei confronti di una categoria considerata, a torto,
“privilegiata”.
Nascono da qui le politiche di appiattimento e di impiegatizzazione che hanno
portato la condizione degli insegnanti all’attuale stato di degrado
professionale, economico e sociale. Ridotti a insegnare in classi numericamente
ingestibili, senza strumenti disciplinari, senza strumenti educativi, e tra
poco, con la riforma Moratti, senza finanche le materie e gli strumenti
valutazione. Siamo stati trasformati in travet, compilatori di fogli inutili, in
badanti di stato, socialmente marginali ed economicamente poveri, come si lasciò
scappare pure il ministro De Mauro. La nostra battaglia si è posta, fin
dall’inizio, l’obiettivo di un riscatto professionale tale da consentire agli
insegnanti di uscire da una condizione di marginalità, che è poi divenuta la
marginalità della cultura, della ricerca scientifica, del pensiero critico e del
lavoro intellettuale.
Nel nostro progetto non c’è ovviamente negazione dei diritti delle altre
categorie che pure lavorano nella scuola, non è una battaglia “contro”, come
qualche organizzazione sindacale con la coda di paglia va sostenendo, ma una
lotta “per”. Per vincere questa battaglia di civiltà è necessario, anche
simbolicamente, lo strumento della separazione delle aree di contrattazione, uno
strumento, si badi bene, non un fine, a sostegno del quale non basta portare
argomentazione “culturali” o “morali”, né basta l’ ”ovvietà” di differenze note
a tutti. Diciamo che, per quanto possa sembrare “ovvio” e naturale che ci sia un
contratto per chi insegna e un contratto per chi “fa altre cose”, pure ci
troviamo nella condizione di doverlo ogni volta dimostrare: ai decisori
politici, all’opinione pubblica, ai media. Per farlo è necessario possedere
argomenti inconfutabili sotto il profilo politico, del diritto sindacale e più
in generale della “convenienza sociale”.
In questo quadro la sentenza della Corte costituzionale del luglio del 2005
segna un passaggio decisivo proprio sul versante argomentativo, ricollocando,
fuori dalla retorica delle posizioni, la figura del docente in una dimensione di
appartenenza professionale definita attraverso il rigore terminologico di
principi giuridici. Ed è tanto più straordinaria, questa sentenza, nelle sue
affermazioni, perché è stata emessa per negare ad un docente un privilegio che
invece contrattualmente viene accordato al personale non docente.
Una disparità di trattamento giustificata proprio in nome delle differenze
profonde che segnano le due categorie.
Le motivazioni di questa sentenza quindi si aggiungono alle altre ragioni
storiche e soprattutto culturali, alla base delle scelte della Gilda, e
completano un quadro divenuto decisamente sempre più difficile delegittimare.
Quando la Gilda nacque, nell’ ormai lontano 1988, aveva ben presente che l’ area
di contrattazione separata non rappresentava un proprio visionario obiettivo, ma
scaturiva quasi naturalmente dall’assetto normativo posto a fondamento dello
stato giuridico degli insegnanti.
Oggi va molto di moda parlare di legalità, la nostra richiesta di esaltare,
attraverso un contratto specifico, ruolo e funzione, profilo professiona-le,
compiti, competenze e responsabilità dei docenti è una richiesta di ripristino
di legalità.
Lo dicono le leggi non abrogate e lo dice soprattutto la nostra Costitu-zione,
la quale, nell’ attribuire la libertà d’ insegnamento con l’ art. 33, aveva in
mente l’ idea che alla scuola dovesse essere affidato il compito di istruire ed
educare i giovani al pensiero critico e che agli insegnanti fosse conferito un
“mandato sociale”.
Non bisogna dimenticare che la libertà riconosciuta all’ insegnante è una tutela
per lo studente e non per il docente. Infatti, il pensiero critico, e quindi la
libertà, possono scaturire solo da una dimensione “vissuta” di libertà, che si
realizza nell’esercizio pieno dell’autonomia didattica e progettuale. Tutto ciò
trova possibilità autentiche, diviene prassi didattica ed esercizio di liberta
culturale nella misura in cui si sottraggono gli insegnanti ai criteri
omologanti di contratti che confondono- dentro istituti normativi comuni-
responsabilità professionali e sociali profondamente diverse e lontane tra loro.
Ritiene allora che quella sentenza ( la 322/ 2005) della Corte costituzionale
(abbiamo pubblicato anche noi il commento del professor avvocato Carlo Pisani
nell’intervista rilasciata a Renza Bertuzzi) possa costituire davvero un passo
importante verso la realizzazione del vostro obiettivo? Il professor Pi-sani
parla di due possibili piani di azione, uno giudiziario e uno prettamente
sindacale. Avete intenzione di approfondire l’aspetto giuridico del problema?
Nei settori lavorativi pubblici e privati le categorie professionali con
responsabilità in ordine ai processi operativi interni vedono tutelata la
propria professionalità attraverso strumenti contrattuali specifici.
Restando agli ambiti scolastici, questi strumenti sono stati assicurati, ad
esempio, alle Accademie e ai Conservatori, separati dalla Scuola, e collocati in
uno specifico comparto, così pure è stato per i Dirigenti Scolastici spostati in
un’area contrattuale specifica.
Lo strumento della contrattazione per aree separate e specifiche è uno strumento
moderno e semplice, attraverso il quale si possono ottenere risultati di
qualificazione professionale altrimenti irrealizzabili.
Laddove ciò non è stato fatto, come nel caso di docenti e ATA, e si fanno
forzatamente convivere in unico contratto categorie di lavoratori con compiti e
responsabilità profondamente differenti, si vivono confronti mortificanti e
vengono perfino costruiti istituti normativi mostruosi e in genere livellati
verso il basso. Il risultato è che tutti si sentono penalizzati e schiacciati
sui o dai livelli retributivi e normativi degli altri.
La battaglia che conduciamo sul fronte della separazione delle aree di
contrattazione da 17 anni è una battaglia di modernità, di civiltà e di
sensibilità culturale.
In questo progetto abbiamo avuto contro ovviamente le resistenze di chi della
qualità della scuola e della motivazione dei docenti e degli altri operatori del
settore se ne infischia.
Le grandi organizzazioni sindacali tradizionali da molto tempo ormai hanno
sostituito, alla centralità di coloro che rappresentano, la centralità della
propria sopravvivenza. In poche parole: della sopravvivenza degli apparati.
La sentenza della Corte Costituzionale assume per noi un rilievo fondamentale,
perché nel sostenere le stesse ragioni che la Gilda invoca da sempre- che poi
sono le ragioni contenute nelle norme esistenti,- assegna loro un rilievo di
eccezionale peso, dichiarando anche che la diffe-renza tra docenti e non
docenti è, secondo le leggi in vigore, di status giuridico e non di qualifica.
In sostanza, l’ Alta Corte esalta le marcate differenze di funzioni tra docenti
e non docenti. Questa sentenza apre strade nuove sotto il profilo
giudiziario e politico,strade che stiamo esplorando. Il nostro interlocutore
privilegiato resta la politica ed ovviamente il Parlamento: a loro continueremo
a rivolgerci in via prioritaria.
Veniamo ora al piano sindacale. Per quanto riguarda ad esempio gli Unicobas
l’opposizione mi pare abbastanza netta. La CGIL, che ora ha inventato la formula
per me orribile di “lavoratori della conoscenza”(che mette insieme professori
universitari bidelli impiegati e maestre elementari) non sembra avere un
atteggiamento più incoraggiante. Avete registrato qualche apertura negli altri
sindacati confederali, nello SNALS, nei Cobas?
Un paio di anni fa abbiamo commissionato alla SWG di
Trieste un’indagine tra i docenti italiani da cui emerse un dato
incontrovertibile e cioè che la stragrande maggioranza dei docenti,
indipendentemente dal sindacato di appartenenza, condivideva l’obiettivo storico
della GILDA di avere un contratto separato che servisse a marcare la
specifi-cità del ruolo professionale docente, che desse peso al carico di
responsabilità umane culturali e sociali che i docenti assumono quotidia-namente
nell’esercizio della professione anche in termini di corrispettivi economici, di
status professionale e sociale.
Ma se tra i docenti c’è una così grande condivisione, se ci sono fondamenti
incontrovertibili sul piano giuridico, se i numeri 800.000 docenti e 300.000 ATA
giustificano ampiamente la separazione, viene legittimo chiedersi perché le
altre Organizzazioni sindacali della scuola, (mi riferisco unicamente ai
Confederali e allo Snals, che con la GILDA sono le 5 Organizzazioni
rappresentative ammesse alle trattative contrattuali, insieme raccolgono il
92,38% dei consensi del personale, nella scuola però ci sono altri 53 sindacati
con percentuali di rappresentanza prossime allo zero), non solo siano ostili
alla sua realizzazione, ma siano sempre state parte diligente perché non
accadesse anche quando la politica ha mostrato il suo interesse.
Le ragioni della loro opposizione sono molteplici e nascono innanzitutto dal
loro essere apparato prima ancora che luogo di rappresentanza autentica quindi
le strategie che vengono poste in essere sono ovviamente ribaltate rispetto a
quelle di una organizzazione di base, come la GILDA, che poi rappresenta solo la
categoria professionale dei docenti.
Nella nostra Associazione gli interessi della “base” si traducono in scelte di
politica sindacale, nelle altre organizzazioni gli interessi degli apparati e
dei vertici sindacali e politici si traducono in “scelte” anche contrattuali che
poi si fanno “digerire” alla base.
Si pensi al contratto scuola del 1995 che fece arretrare pesantemente le
retribuzioni degli insegnanti e a quello del 1999 con il famoso “concorsone”.
L’ostilità alla separazione dei contratti nasce dal fatto che una delle
organizzazioni sindacali tradizionali rischierebbe, in una costituenda area
docente, di non avere rappresentatività, con la perdita di una serie di
privilegi sindacali o comunque rischierebbe di avvicinarsi pericolosamente alla
soglia minima di rappresentanza.
Il “patto di sangue” sull’unità sindacale impone agli altri una solidarietà di
apparato che porta al risultato che conosciamo.
Lo Snals che non ha gli stessi interessi di solidarietà vive, ormai da anni, una
politica sindacale poco coraggiosa, senza identità, andando quasi sempre al
rimorchio delle scelte fatte dagli altri.
Sono personalmente convinto che questo arroccamento dei vertici dei sindacati
tradizionali possa essere battuto.
Per farlo è necessario attivare nella scuola tra i docenti, ma anche tra i non
docenti, aderenti alle varie sigle sindacali, un forte movimento di opinione che
costringa i loro rappresentanti a mutare atteggiamento sul sistema contrattuale.
Anche per questo siamo costantemente presenti nelle scuole attraverso le
assemblee sindacali e il confronto diretto con i colleghi.
Avevo avuto l’impressione che, nel mondo politico,il governo di
centro-destra avesse mostrato una certa disponibilità a trattare sulla
contrattazione per soli docenti, o sbaglio? Avete trovato simili aperture
nell’ambito del centro-sinistra?
E vero! Pensi che lo stesso ministro Moratti in più occasioni ha uffi-cialmente
dichiarato la sua volontà di procedere alla separazione delle aree di
contrattazione, credo ne abbia parlato, riscuotendo grandi consensi, anche ad un
meeting di “Comunione e Liberazione”, qualche anno fa. Poi evidentemente ci ha
ripensato, forse la nostra dichiarata e praticata autonomia politica non è stata
gradita.
La Gilda ha costruito la propria credibilità sulla sua “non appartenenza” oltre
che sulla sua capacità di proposta e continuerà, come Associazione, a custodire
con grande gelosia, la sua “trasversalità” politica- che non significa certo
inerzia. Semplicemente rivendichiamo il diritto, chiunque governi, di dire ciò
che pensiamo in nome degli interessi della scuola italiana e degli insegnanti
che rappresentiamo, senza peli sulla lingua e senza finzioni.
E, tanto per essere chiari, abbiamo posto, oggi, in tempi non sospetti, sul
tavolo del confronto politico la nostra proposta per cambiare la scuola.
Si tratta di un documento in 12 punti, già inviato ai responsabili del
pro-gramma scuola dell’ Unione, (si trova nel nostro sito
http://www.gildains.it), e che porteremo
all’attenzione di tutti coloro che si presenteranno per assumere responsabilità
di governo.
Noi chiediamo innanzitutto sulle politiche scolastiche un chiaro segnale di
discontinuità con il passato e con ciò che oggi tutti contestano.
Chiediamo l’apertura di un confronto e di un dibattito sulle questioni centrali,
che non si esaurisca nella breve stagione della costruzione dei programmi
elettorali.
In questo dibattito, che è necessario aprire nel paese a fondamento di ogni
serio progetto politico sulla scuola, la Gilda propone di inserire come elementi
irrinunciabili di confronto: la separazione delle aree di contrattazione docenti
e Ata; I’abrogazione della riforma Moratti; il ripristino del principio
costituzionale dell’obbligo scolastico; la revisione dei processi di devoluzione
di competenze alle regioni in materia scolastica; il ripensamento dell’autonomia
delle scuole; la ricostituzione di una centralità di ruolo dei docenti; la
restituzione agli stipendi di tutti i docenti di risorse sperperate con i fondi
di istituto; una politica delle retribuzioni degli insegnanti che le allinei ai
livelli più alti esistenti in Eu-ropa; la stabilizzazione di tutto il personale
precario; l’ incremento della quota percentuale di PIL da destinare alla scuola
statale.
Una serie di proposte per cambiare la scuola, sulle risposte che ci verranno
costruiremo l’azione sindacale futura. |