SALARI LEGATI AL MERITO E SOPRAVVIVENZA DEL SINDACATO

Riflessioni di un maestro di scuola elementare ( Lorenzo Varaldo) sottoposte all’attenzione dei docenti piemontesi nel mese di febbraio.

 

Berlinguer voleva dividerci... per costruire la sua nuova scuola, il mostruoso ibrido fatto di burocratismo e di aziendalismo improvvisato... Ora sappiamo che la nostra unità e la nostra forza si radicano nel mestiere e nella sua singolarità. Abbiamo capito che, senza la bussola del nostro mestiere, finiamo per dividerci e indebolirci sul terreno sindacale, ideologico e politico...

 A chi proporrà nuove divisioni risponderemo a partrire dall’unità e dalla singolarità del nostro mestiere.

(dall’intervento  di Giuseppe Bailone -  Liceo “Volta” di Torino , 14 febbraio 2000)

 

L’avvio di criteri “meritocratici”  è uno dei fenomeni che possono mettere  a rischio la sopravvivenza del sindacato: questa la tesi che  alcuni cominciano a sostenere e che, personalmente, condivido. Il salario legato al merito  mina infatti l’unico elemento di forza della  categoria: l’unità.

Credo che questo sia un aspetto su cui  dobbiamo riflettere, a meno che non  contempliamo  la possibilità di una mutazione genetica della nostra Associazione, simile a quella che ha trasformato i sindacati tradizionali in soggetti politici. Va da sé che con questa eventuale mutazione genetica,  il sindacato salva se stesso, ma distrugge la sua ragion d’essere..

Negli Stati Uniti, dove la new economy vede una disgregazione delle classi lavoratrici,  una diminuzione dei lavori specializzati, un forte aumento della flessibilità e  dei lavori a salario minimo il sindacato perde forza, nella misura in cui è percepito come se rallentasse “la risposta dell’organizzazione nei confronti delle pressioni esterne” (C. Maslach e Michael P. Leiter, Burnout e organizzazione, Erickson).

Lorenzo Varaldo, in una riflessione pubblicata dal periodico culturale Koiné, edito dalla Casa editrice  CRT di Pistoia, dice un “no” secco ai salari di merito non solo perché essi “rappresentano un attacco alla laicità della scuola e dello Stato, all’indipendenza della professione docente e alle libertà democratiche” nonché un freno all’autentica ricerca - tutte cose che abbiamo già sostenuto - ma altresì  perché

 

I SALARI AL MERITO RAPPRESENTANO UN GRAVE PERICOLO PER L’UNITA’ DEI LAVORATORI E CONTRIBUISCONO A DISTRUGGERE L’INDIPENDENZA DELLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI.

 

Questo l’estratto dall’articolo di L. Varaldo:

 

La domanda da cui partire per affrontare questo punto è molto semplice: che forza ha il lavoratore?

La risposta è altrettanto semplice: da solo, nessuna: Se è unito agli altri una forza enorme.

In altre parole, il movimento dei lavoratori non è semplicemente la somma aritmetica di tutti i lavoratori che ne fanno parte, con le loro idee personali, i loro problemi, le loro rivendicazioni. Se così fosse, il movimento stesso non esisterebbe nemmeno, la sua consistenza sarebbe nulla, il suo potere contrattuale pari a zero.

La dimostrazione sta nel fatto che oggi le industrie cercano sempre di più di arrivare a contratti individuali, per poter ricattare meglio il lavoratore.

Al contrario il movimento dei lavoratori può essere considerato tale solo se è organizzato e si muove in unità, se sciopera in modo compatto, se ha dei contratti collettivi nazionali di lavoro, se gode degli stessi diritti e può mobilitarsi su larga scala per difenderli.

La recente vicenda del “concorsone” lo dimostra: fino a quando gli insegnanti sono rimasti isolati nelle scuole, anche se avevano coscienza della distruzione portata avanti dal ministro Berlinguer, non possedevano la forza per imporre un freno a questa politica. Appena hanno trovato un’opportunità per unirsi, il ministro ha dovuto fare una prima marcia indietro.

 

a) UNA TRADIZIONE DEL MOVIMENTO DEI LAVORATORI

 

La conquista di questa unità non è affatto un dato scontato, così come il fatto che esistano dei contratti nazionali con diritti uguali per tutti.

All’inizio dell’industrializzazione, periodo che ha visto la nascita delle organizzazioni sindacali, non era così: il lavoratore aveva un contratto di tipo individuale e proprio per questo era esposto ai ricatti, alla corsa al ribasso dei salari, alla mancanza di protezione, ecc.

I sindacati si sono costituiti proprio per contrastare questa tendenza, ma questa tendenza non è mai stata abbandonata dai datori di lavoro, specialmente nel settore privato, dove solo di fronte alla forza e all’unità del movimento sindacale e delle lotte, i “padroni” (scusate la parola, ma esistono ancora e non saprei proprio come chiamarli altrimenti...) hanno dovuto accettare ciò che non avrebbero mai voluto: un contratto uguale per tutti e la possibilità che questo contratto abbia valore di legge e venga sottoscritto da organizzazioni che si battono (o dovrebbero farlo) con un unico fine migliorare le condizioni di vita dei propri iscritti, cioè dei lavoratori.

L’esistenza delle organizzazioni sindacali e la possibilità di rivendicare qualcosa sono legate esclusivamente a queste lotte.

 

2) UN CANCRO ALL’INTERNO DELLA CATEGORIA

 

La successiva domanda è dunque molto semplice; come si è arrivati a queste conquiste? Come hanno avuto la forza, i lavoratori con i sindacati, per “strappare” questi contratti collettivi e questi miglioramenti delle condizioni di vita? La risposta è una sola: con la mobilitazione unita: Ma l’unità si costruisce se ci sono degli interessi in comune, degli obiettivi da condividere, delle condizioni uguali.

La differenziazione dei salari va esattamente nel senso opposto: crea un’élite di persone che godono di condizioni diverse, che aspirano a raggiungere qualcosa non attraverso l’unità con gli altri, ma attraverso un riconoscimento personale del loro lavoro.

Non si tratta solo (e sarebbe già grave) di una parte di lavoratori meno disponibili a lottare, o che hanno qualcosa di più o di meno: quello che la differenziazione dei salari introduce è un principio ben più grave, un vero e proprio cancro all’interno del movimento dei lavoratori. Si tratta infatti di introdurre una modalità diversa per migliorare le proprie condizioni: non più l’unità con gli altri, la solidarietà reale, l’attenzione per il sociale, ma l’arrivismo, la ricerca della soluzione personale, l’imbarbarimento dei rapporti umani.

Il metodo dell’aggregazione viene sostituito da quello della personalizzazione, la concorrenza prende il posto della solidarietà.

 

 

 

Treviso, 24 giugno 2000                                          a cura di S. G.

C) IL “PROMOSSO”...

 

Non voglio farne solo un discorso teorico e mi sembra anzi importante fare qualche esempio pratico, anche perché ho l’impressione che molti di quelli che sostengono la differenziazione dei salari non abbiano mai, veramente, provato ad immaginare che cosa potrebbe succedere.

Prendiamo per esempio il caso di un insegnante che decida di sottoporsi al giudizio di una commissione per avere un avanzamento di carriera o quant’altro.

Esaminiamo i due casi, e cioè che venga “promosso” o “bocciato”.

Primo caso: “promosso”.

L’insegnante si sentirà automaticamente migliore degli altri e tenderà a considerarsi alla pari solo con quelli che hanno avuto, come lui, la promozione.

Non credo ci sia nulla di strano in questo: se gli viene riconosciuto un merito, è naturale che questo merito entri nel suo bagaglio personale, e non solo come stipendio.

Al contrario, i colleghi cominceranno ad esprimere su di lui dei giudizi del tipo “lo meritava” o “non lo meritava”, ponendosi a loro volta come giudici[1]. Alessandra Cenerini, Presidente dell’ADI, reputano positivamente questa funzione. Nel suo Codice etico-deontologico,  Alessandra Cenerini scrive che il docente “rifiuta la legge del silenzio e interviene nei confronti di colleghi che non rispettino le regole dell’etica professionale e possano nuocere agli allievi”.)

C’è poi l’aspetto economico, da non sottovalutare nelle condizioni di stipendio e di tenore di vita in cui siamo: si creerebbe inevitabilmente una spaccatura, dovuta in parte alle diverse condizioni, in parte al fatto di  avvertire che non si è più sullo stesso livello: la gelosia, i contrasti, le ripicche entrerebbero a gran forza all’interno della categoria, molto più di quanto succeda ora.

Conclusione: si sarebbero posti degli ostacoli alla mobilitazione unita, al fare una piattaforma comune, alla creazione di una forza per ulteriori rivendicazioni o anche solo per difendere la scuola pubblica.

 

D)... E IL BOCCIATO

 

Secondo caso: “bocciato”.

L’insegnante si troverà “a  disagio” (per usare un eufemismo) nel presentarsi ai colleghi, e quindi di nuovo in posizione di disparità, esposto ai giudizi. Tutto ciò contribuirebbe nuovamente a creare la divisione dei lavoratori: ve lo immaginate questo povero collega che nel successivo sciopero per aumenti di stipendio si unisce a quelli che sono stati “promossi”?

In questo caso subentrerebbe poi la “demotivazione” dell’insegnante bocciato, cioè il peggioramento del servizio.

C’è poi un secondo aspetto che riguarda più direttamente le organizzazioni sindacali in quanto tali e la loro possibilità di essere davvero indipendenti.

Un dirigente sindacale che firma un contratto che prevede incentivi per chi è disponibile ad attuare le riforme del governo è un dirigente sindacale che si presta ad una forma di corruzione che porta alla perdita dell’indipendenza del sindacato, poiché un sindacato non dovrebbe fare nient’altro che rappresentare gli interessi dei lavoratori, indipendentemente da ciò che dice il governo o il padrone.

Alcuni dirigenti sindacali hanno sostenuto che il governo ha posto come condizione per firmare il contratto l’accettazione dei salari del merito: ma il compito dei dirigenti non è quello di avvertire i lavoratori del pericolo per mobilitarli e spingere il governo a cambiare idea?

 

E) L’INDIPENDENZA DEI SINDACATI E’ RIMESSA IN CAUSA

 

La differenziazione dei salari non è dunque solamente un metodo per dividere i lavoratori nella lotta, ma più in generale per attaccare l’indipendenza delle organizzazioni sindacali, per mettere in difficoltà chi sostiene delle idee diverse da quelle del governo: in ultima analisi la differenziazione dei salari è un elemento di distruzione dei sindacati.

 

Voglio ritornare per un attimo alle questioni “storiche”.

Il sindacato è stato un elemento di progresso perché, attraverso le battaglie per gli aumenti di stipendio, per il miglioramento delle condizioni di vita ecc., ha in realtà contribuito a sovvertire una mentalità che mette al centro il più forte, il più furbo, il singolo, per dare a tutti gli stessi diritti, le stesse possibilità.

Oggi c’è più che mai bisogno, in una società sempre più orientata all’emarginazione, alla precarietà, all’individualismo, di recuperare questi valori, non di certo di abbandonarli per “premiare chi fa di più, chi fa meglio”.

 



[1] Nel suo Codice etico-deontologico,  Alessandra Cenerini scrive che il docente “rifiuta la legge del silenzio e interviene nei confronti di colleghi che non rispettino le regole dell’etica professionale e possano nuocere agli allievi”.