Decreto applicativo e dintorni …

di Renza Bertuzzi

 

(come ignorare la Consulta e vivere felici…)

 

Dopo innumerevoli polemiche,   il decreto applicativo della Riforma della Scuola (legge 53 /2003)  è stato varato  dal Consiglio dei Ministri. Pressoché identico al testo già licenziato il 13 Settembre 2003, se si escludono le “ correzioni” derivanti dalla Conferenza Stato Regioni  e che riguardano :

 

·  la precisazione che ci sarà  il tempo pieno alla scuola elementare e quello prolungato nella scuola media, nei  limiti dei posti in organico nello scorso anno;

  • i pacchetti di ore  facoltative e opzionali  (99 per la scuola primaria e 198 per le secondaria), che  hanno “ frequenza  gratuita. Gli allievi sono tenuti alla frequenza delle attività facoltative per le quali le famiglie hanno esercitato l'opzione”;
  • la particolare attenzione da dedicare all’ accoglienza e alla valorizzazione  delle diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilità”.

 

In sostanza, la maggioranza, con impavido ardimento, ha utilizzato i molti mesi che l’ hanno portata da Settembre a qui per  ignorare le osservazioni del mondo della Scuola,  dei tecnici, degli amministratori e, perfino, della Corte Costituzionale.

Non c’ è che dire: un coraggio da vendere.

Vediamo come sono andati i fatti e com’è la situazione nel mondo “ vero”, quello in cui  ogni giorno insegnanti, genitori, studenti cercano di capire come possono

rendere verosimile il diritto all’ istruzione, ancora costituzionalmente garantito.

 

 La Sentenza n. 13 della Corte Costituzionale :  che cosa succederà  ai docenti ?

 

Gli ultimi fatti – non certamente trascurabili- sono  la Sentenza n. 13 della Corte Costituzionale (13/01/2004), con la quale, in risposta ad un ricorso della Regione Emilia Romagna, si afferma che:

 

nel quadro costituzionale definito dalla riforma del Titolo V, giacché la materia istruzione (“salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”) forma oggetto di potestà concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), mentre allo Stato è riservata soltanto la potestà legislativa esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione” [art. 117, secondo comma, lettera n), “spetta alle Regioni la distribuzione del personale.

“Ai fini della presente decisione non è necessario definire interamente le rispettive sfere di applicazione e il tipo di rapporto tra le “norme generali sull’istruzione” e i “principî fondamentali”, le prime di competenza esclusiva dello Stato ed i secondi destinati a orientare le Regioni chiamate a svolgerli. Nel complesso  intrecciarsi in una stessa materia di norme generali, principî fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche, si può assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione delle rete scolastica. E’ infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall’art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998. Questo, per la parte che qui rileva, disponeva che alle Regioni fossero delegate le funzioni amministrative relative alla programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, alla suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa e, soprattutto, alla programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione dell’offerta formativa integrata. In una parola era conferito alle Regioni, nell’ambito della programmazione e della gestione del servizio scolastico, tutto quanto non coinvolgesse gli aspetti finanziari e la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche.

 

Una volta attribuita l’istruzione alla competenza concorrente, il riparto imposto dall’art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principî. E la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, che certamente non è materia di norme generali sulla istruzione, riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica, tuttora di competenza regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero allo Stato; sicché, anche in relazione ad essa, la competenza statale non può esercitarsi altro che con la determinazione dei principî organizzativi che spetta alle Regioni svolgere con una propria disciplina.

 

In buona sostanza, si afferma che la Riforma del Titolo V della Costituzione (Legge 3 costituzionale, 2001 ) non era uno scherzo. Infatti, ha introdotto un decentramento non secondario, se allo Stato resta -oltre alla definizione delle norme generali sull’ istruzione-  solo la  definizione di   principì organizzativi,  che ogni Regione può svolgere con criteri propri, decidendo anche, in piena autonomia,  la distribuzione del personale.

 

Si aprono, con questa sentenza scenari problematici- tanto per usare un eufemismo-

nonché inquietanti interrogativi . Con quali criteri e principì , le Regioni decideranno l’ organizzazione delle scuole e la distribuzione del personale ?

A nessuno sfugge che i criteri amministrativi non sono neutrali, ma relativi a specifiche  politiche. Né si può evitare di pensare che le Scuole autonome  sono caratterizzate da Piani per l’ offerta formativa,  per l’ appunto autonomi. Allora, è tanto peregrino pensare

che i vari POF si adatteranno –inevitabilmente e obbligatoriamente- alle linee di politica regionale, onde non inimicarsi chi “ distribuisce il personale” ?   E, ancora,   può il personale dipendere per la distribuzione da  un Ente ( la Regione) e per la retribuzione da un altro Ente ( lo Stato  ) ? I conflitti che nasceranno da questa doppia gestione non potrebbero determinare  in tempi, nemmeno tanto lunghi, un passaggio della gestione totale del personale docente alle Regioni ?

                       

                         Effetti immediati  della Sentenza

 

  Tuttavia, per tornare all’oggi, questa sentenza incide sul Decreto del Governo, il quale non si limiterebbe  a definire principì generali, ma si spingerebbe nella indicazione di atti,

invadendo così l’ autonomia legislativa delle Regioni.

Insomma, un garbuglio  di grande portata, che avrebbe richiesto una sospensione del Decreto.

Invece, l’ approvazione in ritardo ( rispetto alle iscrizioni) del Decreto  ha creato una mappa variegata di “ offerte formative”

 

 Riformando con fantasia

 

Possiamo identificare tre tipologie di scuole, dove si è attuato una sorta di “libero mercato”:

a)     scuola che propongono l’ organizzazione fedele della Riforma, anche in assenza del Decreto;

b)     scuole che propongono il modello tradizionale,  proprio perché non c’ è il Decreto;

c)      scuole che propongono sperimentazioni  (bilinguismo, tempo prolungato) tanto per mettersi al sicuro.

 Insomma, una  “fantasia “ per genitori, docenti e alunni. In verità,  una situazione già “ devolutiva” nei fatti , una disgregazione strisciante,  difficile da recuperare.

D’ accordo che la responsabilità politica , intesa coma attenzione all’ interesse  generale, è sempre più una chimera, ma qui sembra mancare anche il semplice , sano, buon senso.