inchiesta sulla sperimentazione
(ai sensi della Circolare 101 del 18 Settembre 2002)
della Legge 53/28 Marzo 2003
“Riforma degli ordinamenti scolastici”,
condotta da “Professione docente”,
mensile della Gilda degli insegnanti,
in 9 regioni italiane
L’inchiesta di “Professione docente” tra le scuole che stanno attuando la sperimentazione degli ordinamenti scolastici, ai sensi della circolare ministeriale n. 101 del 18 Settembre 2002, si è svolta in 9 regioni italiane (Lombardia, Veneto, Friuli - Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Sicilia).
Si è avvalsa :
a) di interviste a:
q ispettori responsabili regionali della sperimentazione,
q ispettori responsabili provinciali,
q dirigenti,
q responsabili dei progetti,
q tutor,
q docenti;
b) di lettura ed analisi attenta delle slide ministeriali relative alle indicazioni per
l’applicazione della sperimentazione.
Sono state interessate scuole statali e scuole paritarie, in numero quasi uguale. L’accoglienza da parte degli ispettori, dei dirigenti e degli insegnanti è stata aperta e cordiale, se si escludono pochi casi, di scuole anche statali che non hanno ritenuto di dover rendere note le osservazioni sull’ andamento della sperimentazione, quasi che, non di esperienza pubblica si trattasse, ma di segreto d’ufficio.
Le domande sono state pressoché omogenee, poiché è stato prevalentemente usato lo stesso questionario, predisposto da Gianfranco Claudione. In alcuni casi, a seconda della situazione, si è preferito un colloquio abbastanza libero, anche se orientato ad approfondire la conoscenza dei medesimi elementi della Riforma.
Infatti, anche se l’inchiesta si è posta l’obiettivo di raccogliere argomenti di prova, certi e verificati, che fornissero una base per i giudizi seri ed oggettivi sull’impianto generale della Riforma, i punti che si sono intesi approfondire sono stati:
q la funzione del docente tutor;
q il Portfolio e la sua stesura;
q l’azione della famiglia dentro la scuola;
q l’individualizzazione dell’insegnamento.
Considerazioni generali sulla sperimentazione
Nelle scuole paritarie, la Riforma non ha introdotto significativi cambiamenti. Il modello di un insegnante tutor si è sovrapposto a quello del docente unico o prevalente di queste scuole. Il modulo cosiddetto “stellare” (un docente che si occupa delle materie di base, e altri che si dedicano all’ insegnamento della lingua straniera, dell’educazione fisica e dell’informatica) è applicato di norma in quasi tutte le scuole non statali che attuano un orario che va dalle 27 alle 30 ore settimanali.
Nelle scuole statali, la Riforma si è inserita armonicamente in alcune tipologie di scuole. Si tratta di istituti che presentano queste caratteristiche:
v scuole ben integrate nel contesto sociale (in genere comuni di media grandezza), i cui rapporti con la comunità sociale (e quindi con le famiglie) sono sistematici e costruttivi;
v organizzazione didattica già predisposta per laboratori;
v organizzazione didattica attenta alla continuità (tra scuola materna e scuola elementare);
v dirigenti che si occupano di didattica, interessati ancora all’insegnamento, tanto da occuparsi, in prima persona, di alcuni laboratori;
v dirigenti che hanno scelto di utilizzare i docenti in base alle professionalità ed alle attitudini, e non seguendo rigidamente le disposizioni ministeriali;
v clima aperto all’innovazione e quindi superamento - in questa fase sperimentale – di problemi già piuttosto evidenti (aumento del carico di lavoro, difficoltà di un insegnamento tutto basato sull’ individualizzazione dell’insegnamento, stesura del Portfolio ecc…).
Considerazioni particolari
A) Il Tutor
Il suo orario deve contemplare l’attività didattica nella classe di appartenenza, in misura prevalente rispetto alle attività dei laboratori. Le indicazioni ministeriali indicano, per questa figura, un orario tra le 18 e le 21 ore.
Come è stato l’ orario nelle scuole sperimentali?
Nelle scuole paritarie, il docente tutor è coinciso con il maestro prevalente, per cui ha svolto un orario di norma di 24 ore e si è occupato delle materie “di base”: italiano, storia, matematica, mentre ai laboratori sono state affidati: inglese, educazione fisica, informatica.
Nelle scuole statali invece l’orario del tutor è oscillato tra le 16 e le 18 ore, con completamento orario in qualche laboratorio, e per il coordinamento (in genere 3 ore).
Che differenza si può identificare tra le due possibilità?
Il primo modello affida la maggior parte dell’istruzione ad un solo docente, concentrando in esso il riferimento culturale e psicologico della classe.
Il secondo, invece, attribuisce ad altri docenti (quelli dei laboratori) un ruolo non secondario. In alcune scuole, infatti, i laboratori si occupano anche di storia.
E’ da rilevare un dato importante sulla gestione dei laboratori. Questi hanno funzionato bene nelle scuole a cui si faceva riferimento prima: ben inserite nell’ambiente sociale, di dimensioni medio piccole, con classi non numerose.
Nelle scuole dei grandi centri urbani, invece, il numero elevato di studenti non ha addirittura permesso di poterli attivare.
Funzione Come si è svolta questa funzione, abbastanza nuova per la scuola italiana? Anche qui la panoramica non è omogenea.
Cominciamo dalle scuola paritarie, dove troviamo due tipi di modello: il docente tutor che sovrintende ai laboratori, per verificare anche le modalità didattiche dei colleghi e, se del caso, per intervenire a indicare anche mutamenti di metodo; e il docente tutor che programma con i colleghi, ma non partecipa alle attività di laboratorio o che partecipa solo in parte, ma che non ha alcuna possibilità di indirizzo sulla didattica dei colleghi.
E’ intuibile che tra le due modalità esiste una differenza fondamentale: la prima contiene una responsabilità che si trasforma in rapporto di gerarchia con i colleghi; la seconda, no.
Nelle scuole statali, il docente tutor fa alcune ore di compresenza nei laboratori, senza attuare alcuna azione “direttiva” nei confronti dei titolari dell’insegnamento laboratoriale, programma con i colleghi, in assoluta parità (è stato assicurato, da alcuni ispettori) e senza che vi sia prevalenza delle sue indicazioni.
Risvolti della funzione del tutor La novità di questa ruolo prefigura alcune possibili conseguenze. E’ infatti indubbio che il tutor diventerà un punto di riferimento per gli alunni e i genitori. Sarà un ruolo su cui si concentreranno attenzione, autorevolezza, ed anche autorità. Un ruolo che, inevitabilmente, modifica la condizione di pariteticità delle figure docenti – e che è alla base della libertà di insegnamento.
Quali sono, nella prima applicazione delle Riforma, le reazioni dei docenti?
In alcuni casi, la scelta del tutor sembra non aver determinato reazioni negative, almeno secondo la testimonianza dei dirigenti , che affermano di aver prestato molta attenzione nella scelta, distribuendo gli incarichi e non attribuendo al loro ruolo un’aura di eccessiva importanza.
In altri casi, invece, ispettori e dirigenti, hanno dichiarato che il tutor ha creato alcuni problemi, soprattutto nel tempo pieno, dove, a volte, non si è proceduto alla nomina, per non creare tensione in un rapporto didattico che è efficace solo se si basa sulla parità di funzione.
Alcuni ispettori hanno sottolineato le delicatezza del problema, poiché in questa figura “si incarna a un livello più alto l’idea di responsabilità del docente”. Per cui, secondo questa opinione, sembrerebbe più proficuo, non tanto identificare una figura di tutor, quanto creare un clima tutoriale.
A tutt’oggi, tuttavia, i risvolti di questa figura sono esclusivamente di natura operativa. Il tutor ha un carico di lavoro eccessivo, in cui si assommano l’attività di aggiornamento sulle slide ministeriali, le ore di programmazione, che variano da scuola a scuola: alcune prevedono incontri settimanali, altre più distanziati. Queste ore straordinarie in alcune scuole statali vengono retribuite con i fondi destinati alla sperimentazione, mentre in altre - dove i fondi sono stati utilizzati per l’acquisto di computer e altri materiali - l’aumento di lavoro è tutto volontario - come capita quasi sempre con i docenti! Poi, gli incontri con i genitori e la stesura del Portfolio. Per queste due ultime attività, per motivi che vedremo più avanti, l’impegno orario è maggiore nelle scuole statali che in quelle paritarie.
B) Il Portfolio [si veda allegato 1]
Novità o meno (nel senso che esisterebbero già nella normativa scolastica indicazioni sulla stesura di libretti che accompagnano la vita scolastica degli studenti), nella ratio della Riforma il Portfolio deve raccogliere la documentazione significativa ed essenziale – attraverso gli elaborati scolastici – del percorso formativo dell’alunno. Deve anche registrare le osservazioni dei docenti e delle famiglie sugli apprendimento dei ragazzi.
E’ su quest’ultimo punto che si concentrano le perplessità e i dubbi.
Come e con quali poteri le famiglie potranno inserire le loro osservazioni in un documento ufficiale della scuola pubblica? Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte ad una vera rivoluzione: dal “ visto per conoscenza” del padre e della madre dello studente - una semplice presa d’atto - si passa all’esercizio di giudizio che permane nel documento ufficiale.
L’inchiesta ha rivelato alcune curiosità nella sua realizzazione.
Quale modello Intanto, non esiste ancora un modello “ufficiale” di Portfolio redatto dal MIUR, per cui alcuni intervistati hanno parlato di “questo sconosciuto”.
Le scuole si sono quindi regolate, in parte utilizzando modelli già in uso (per esempio gli istituti comprensivi che hanno la tradizione di accompagnare il bambino dalla scuola materna alla scuola media) di schede riassuntive delle caratteristiche relazionali e di rendimento degli alunni.
Quale ruolo dei genitori nella sua stesura Il problema delicatissimo delle osservazioni dei genitori è stato affrontato in modi diversi.
Nelle scuole in cui il rapporto con i genitori è sistematico e costante, dove le scelte didattiche vengono comunicate fin dalla scuola materna, non sembrano esservi stati problemi: il giudizio dei docenti è stato sottoposto ai genitori, che, a tutt’oggi, lo hanno condiviso e sottoscritto.
In alcune scuole, si sottolinea come il Portfolio vada “gestito con il contributo delle famiglie e non con la loro imposizione. Anche i genitori vanno educati ed indirizzati alla compilazione del Portfolio affinché esso non diventi uno strumento che si ritorce contro l’insegnante.”
In altre scuole, è stato predisposto un questionario da sottoporre alle famiglie.
La scelta del questionario è comune alle scuole paritarie e a quelle statali. Tuttavia, c’è un‘interessante differenza.
Nelle scuole paritarie, il questionario in genere verte a domandare “che cosa i genitori si aspettavano dal proprio figlio”, mentre nelle scuole statali si chiede al genitori “quali progressi vede nelle competenze scolastiche, per esempio rispetto alla scrittura e alla lettura“.
Tra le due modalità passa un infinito di differenza: la prima modalità realizza quasi un‘azione di tutoraggio nei confronti della famiglia, che viene aiutata a comprendere le proprie aspettative nei confronti del figlio (e magari a modificarle in rapporto alla realtà dei fatti, che, si suppone, è data dal rendimento scolastico che la scuola rileva).
La seconda invece attua una verifica dell’attività didattica. E’, in buona sostanza, un controllo da parte delle famiglie sul lavoro dei docenti – come un dirigente ha francamente ammesso e come una docente ha dichiarato: “Ogni docente deve rispondere del suo operato, interloquendo quotidianamente con i genitori”.
Commenti e perplessità Diversi sono stati i commenti e le perplessità.
In primo luogo :
a) la dimensione voluminosa dell’ipotetico raccoglitore che accolga molti elaborati durante tutta la frequenza scolastica dei ragazzi;
b) l’impegno orario piuttosto gravoso che si prevede per la sua compilazione, durante riunioni con i genitori;
c) il fatto che possa impedire il “diritto alla dimenticanza” da parte degli alunni: dimenticanza delle prove negative, dei fallimenti ecc…
d) l’inopportunità di far inserire nel Portfolio già dalla scuola elementare note e osservazioni anche da parte dei bambini;
e) titubanza rispetto allo scarto tra il giudizio effettivo sulle prestazioni e ciò che effettivamente è opportuno “schedare”.
Queste perplessità hanno suggerito, per esempio, la possibilità di uno strumento riassuntivo di tipo informatico e fatto dire ad un ispettore che non è tanto importante lo strumento, quanto il “problema categoriale della cultura della documentazione”.
C) L’azione della famiglia dentro la scuola [si veda allegato 2]
Concatenata al problema del Portfolio è l’azione della famiglia dentro la scuola.
Le indicazioni ministeriali insistono con molta determinazione nell’indicare che il ruolo educativo dei genitori, all’interno della scuola, deve diventare protagonista anche nelle osservazioni sulle attività didattiche.
In molti punti le slide affermano: “I genitori sono ora uno dei soggetti che contribuiscono a costruire il progetto educativo”; “L’intero ordito del mutato tessuto istituzionale e ordinamentale… si fonda… sul rispetto delle scelte educative della famiglia, sulla cooperazione tra scuola e genitori, sul rispetto… di Regioni, Comuni e province e dell’autonomia degli Istituti…”; “La famiglia è il primo interlocutore necessario per l’esercizio stesso dell’autonomia”.
Come sono state intese queste indicazioni La lettura di queste indicazioni ha mostrato una differenza radicale tra scuole paritarie e scuole statali, in un certo senso inaspettata e probabilmente precorritrice di una mutazione genetica della fisionomia della scuola pubblica, mutazione non certamente auspicabile e forse esiziale per la tenuta della scuola pubblica e laica.
Come è stato inteso Anche in questo caso, dobbiamo tracciare una differenza tra le scuole paritarie e quelle statali.
Le prime hanno inteso ed attuato l’individualizzazione come intervento di recupero nei confronti di difficoltà dell’apprendimento. A domanda precisa, rispetto ad un‘interpretazione che prevedesse itinerari didattici fortemente personalizzati, alcuni tutor di scuole paritarie hanno dichiarato essere non condivisibile un tale progetto. Infatti, hanno sostenuto, i bambini di oggi che si nutrono di individualismo eccessivo, hanno bisogno di modalità di relazione e di apprendimento che contemplino più uno stare insieme (anche studiando le medesime cose), che un cammino individualistico. E’ necessario - hanno affermato - educare i ragazzi ai valori della solidarietà, dell’aiuto reciproco, della pazienza.
Le scuole statali, invece, hanno introdotto una individualizzazione dei percorsi, alcune in maniera graduale, altre in maniera più decisa.
Molte sono state le osservazioni.
Ø Il dato più ricorrente si riferisce alle fortissime difficoltà di gestione di classi numerose, nelle quali si debbano seguire bambini che hanno dei curricoli individuali. Anche in classi sperimentali, con numeri ridotti di bambini, i problemi e le difficoltà dei docenti sono considerevoli.
Ø Altra osservazione riguarda la formulazione del curricolo con i genitori. Questa operazione impegna molte ore, che sottraggono tempo all’attività fondamentale che è quella di insegnare.
Ø Infine, molti docenti hanno detto che c’è il rischio concreto che si creino degli individualismi e non delle individualità, cioè ragazzini attenti al loro “io” e del tutto distratti rispetto alle dinamiche della convivenza e delle relazioni.
Conclusioni
Questo viaggio nelle scuole che hanno anticipato la Legge 53 ha messo in evidenza alcuni elementi particolari.
Non vi sono ancora modelli orari unificati, la tipologia che prevarrà non sarà neutrale: da essa dipenderà anche la fisionomia pedagogica e culturale della scuola.
I punti che rappresentano una novità (tutor, Portfolio, presenza dei genitori nelle scuole, individualizzazione dell’insegnamento) hanno avuto una applicazione molto differenziata, tale da non poter tracciare un modello omogeneo, pur con qualche inevitabile e comprensibile differenza.
Infatti, se si rileggono le fondamentali differenze rispetto alla stesura del Portfolio, della presenza delle famiglie e dell’individualizzazione dell’insegnamento, si noterà che le possibilità sono a volte del tutto opposte.
Allora, si pone il dubbio: prevarrà un unico modello? Se sì, quale? Oppure verrà lasciata ampia libertà alle scuole? In quest’ultimo caso, l’inevitabile differenziazione che ne conseguirà potrebbe rendere aleatorio il raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni omogenei su scala nazionale.
Infine, il grande impegno di formazione dei docenti, da parte del MIUR, che è stato considerato molto positivo (ma anche eccessivo), sembra prevedere un‘imposizione di modelli, e anche di ideologia didattico-pedagogico-comportamentale, che contrasta con l’autonomia delle scuole e con un indirizzo politico che si dichiara antistatalista.
- Giuliana Bagliani
- Micaela Baruffi
- Renza Bertuzzi
- Gaetano Bonaccorso
- Gianfranco Claudione
- Stefania Cocozza
- Santi Coniglio
- Gianluigi Dotti
- Antonio Gasperi
- Serafina Gnech
- Raffaella Lanari
- Rita Tamba
Allegato 1
I mercanti nel Tempio: il Portfolio delle competenze individuali.
1. Breve profilo storico.
L'idea del Portfolio non è una novità nella scuola italiana. Già negli anni '60, infatti, fu introdotto il Libretto personale degli alunni e delle alunne. Anche il D.M. del 16/11/1992 e l'annessa C.M. 339/1992, che disciplinava il Fascicolo personale dell’alunno, si inscrive nella medesima cultura della documentazione didattica tesa ad affiancare alla tradizionale pagella uno strumento di documentazione più completo e analitico - e meno legato a una logica puramente valutativa e selettiva - della storia scolastica degli alunni. Infine, oggi, il Portfolio delle competenze individuali previsto dalle Indicazioni nazionali, ossia una sorta di "cartella" che raccoglie di ciascun alunno i documenti e i prodotti più significativi e pregnanti e lo accompagna lungo tutto il suo itinerario scolastico, documentandone la storia formativa, le tappe significative, le competenze acquisite nel tempo.
In campo educativo il Portfolio nasce in ambiente anglosassone, dove assolve essenzialmente a una funzione sia docimologica, come strumento di valutazione complementare o persino alternativa rispetto a modalità di valutazione più tradizionali, sia pedagogica, come strumento di documentazione (e certificazione) delle competenze raggiunte dagli allievi, nonché dei processi messi in atto per raggiungerle.
2. Le finalità.
a) Scuola dell’infanzia
Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, il Portfolio assolve principalmente a una funzione conoscitiva e pedagogica. Le Indicazioni nazionali, infatti, puntano l’accento particolarmente sull’«osservazione» dei bambini, che consenta di comprendere, analizzare, interpretare e contestualizzare i loro comportamenti e di «cogliere e valutare le loro esigenze». Ciò al fine di «riequilibrare via via le proposte educative in base alla qualità e alla quantità delle loro risposte e di condividerle con le loro famiglie».
La logica preminentemente conoscitiva, più che valutativa, in base alla quale adeguare e adattare l’attività didattica, è esplicitamente affermata: «i livelli raggiunti da ciascuno, al di là di ogni notazione classificatoria, sono descritti più che misurati e compresi più che giudicati.» Emerge quindi la preoccupazione innanzitutto di promuovere e sostenere i processi di apprendimento e di formazione umana, nella consapevolezza del loro carattere ancora seminale e aperto.
La finalità conoscitiva non si rivolge solo agli insegnanti, ma anche ai genitori e ai bambini stessi: il Portfolio è infatti inteso come occasione «per stimolare i bambini all’autovalutazione e alla conoscenza di sé» e «per corresponsabilizzare in maniera sempre più rilevante i genitori nei processi educativi.»
b) Scuola primaria
Nella scuola primaria il Portfolio assume una connotazione più spiccatamente valutativa delle «competenze» maturate dall’alunno. Tale connotazione, tuttavia, si intreccia inestricabilmente con una esplicita finalità di orientamento: la conoscenza quali-quantitativa delle competenze del fanciullo contribuisce infatti, secondo le Indicazioni nazionali, «a fargli scoprire ed apprezzare sempre meglio le capacità potenziali personali, non pienamente mobilitate, ma indispensabili per avvalorare e decidere un proprio futuro progetto esistenziale.»
Particolare rilevanza, inoltre, viene assegnata al Portfolio come strumento di raccordo e continuità didattica sia con la scuola primaria che con la scuola secondaria di I grado: «Il principio della continuità educativa esige, infatti, [...] che i docenti, nell'anno precedente e in quello successivo al passaggio, collaborino, in termini di scambio di informazioni, di progettazione e verifica di attività educative e didattiche, con la famiglia, con il personale che ha seguito i bambini nella scuola dell’infanzia o che riceverà i fanciulli nella scuola secondaria di I grado.»
A queste finalità di valutazione e orientamento dell’alunno, si aggiunge infine una finalità autovalutativa della scuola: «È utile, comunque, che la Scuola Primaria segua, negli anni successivi, in collaborazione con la scuola secondaria di I grado, l’evoluzione del percorso scolastico degli allievi perché possa migliorare il proprio complessivo know how formativo e orientativo, ed affinare, in base alla riflessione critica sull’esperienza compiuta, le proprie competenze professionali di intuizione e giudizio pedagogico e le proprie pratiche autovalutative.»
c) scuola primaria di I grado
Le medesime finalità (valutative, orientative e autovalutative) si riscontrano nelle Indicazioni nazionali per la scuola secondaria di I grado. Con alcune significative differenze, però. Innanzitutto, accanto alla valutazione delle competenze, coerentemente con la diversa età degli alunni, emerge esplicitamente la valutazione degli apprendimenti: il sapere si aggiunge al “pragmatismo” del saper fare. Inoltre viene maggiormente enfatizzata la centralità “strategica” assunta dal Portfolio nella scelta consapevole dell’indirizzo formativo del secondo ciclo cui la famiglia dovrà iscrivere il figlio.
3. La struttura e i contenuti.
Non esiste attualmente un modello “ufficiale” di Portfolio predisposto dal MIUR. Supponiamo che, al termine di quest’anno di sperimentazione della riforma, i vari portfoli elaborati dalle singole scuole verranno condivisi e divulgati, e che quanto meno verranno fornite indicazioni di massima relative alla sua strutturazione, al fine di garantire un minimo di omogeneità delle procedure di valutazione su scala nazionale. Tuttavia con ogni probabilità la responsabilità della sua elaborazione rimarrà affidata anche in futuro all’autonomia delle singole scuole.
In attesa dei dati relativi alla sperimentazione, è possibile ipotizzare una struttura bipartita: una parte per la trascrizione e la registrazione di osservazioni, commenti, esperienze, eventi; e una parte per la raccolta e la documentazione dei materiali prodotti.
Secondo le Indicazioni per la scuola primaria, il Portfolio comprende «1) una descrizione essenziale dei percorsi seguiti e dei progressi educativi raggiunti; 2) una documentazione regolare, ancorché significativa, di elaborati che offra indicazioni di orientamento fondate sulle risorse, i modi e i tempi dell’apprendimento, gli interessi, le attitudini e le aspirazioni personali dei bambini.»
Più dettagliati e articolati i contenuti del Portfolio nelle scuola primaria e di I grado: «1) materiali prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo, capaci di descrivere le più spiccate competenze del soggetto; 2) prove scolastiche significative relative alla padronanza degli obiettivi specifici di apprendimento [...]; 3) osservazioni dei docenti e della famiglia sui metodi di apprendimento del preadolescente [...]; 4) commenti su lavori personali ed elaborati significativi, sia scelti dall’allievo [...] sia indicati dalla famiglia e dalla scuola, ritenuti esemplificativi delle sue capacità e aspirazioni personali; 5) indicazioni che emergono dall’osservazione sistematica, dai colloqui insegnanti-genitori, da colloqui con lo studente e anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti.»
L’esigenza di una compilazione sistematica, ordinata e organizzata del Portfolio assume nelle Indicazioni nazionali particolare risalto, tanto da assumere un carattere cogente e prescrittivo: «È, perciò, preciso dovere di ogni istituzione scolastica individuare i criteri di scelta dei materiali e collocarli all’interno di un percorso professionale che valorizzi le pratiche dell’autonomia di ricerca e di sviluppo e il principio della cooperazione educativa della famiglia.»
4. Il ruolo del coordinatore-tutor.
La gestione del Portfolio è affidata al docente coordinatore-tutor, che è responsabile della compilazione e dell’aggiornamento, in collaborazione con tutte le figure che si fanno carico dell’educazione di ciascun alunno: gli insegnanti del team, i genitori, gli alunni stessi, «chiamati», questi ultimi, «ad essere sempre protagonisti consapevoli della propria crescita.»
Coerentemente con i suoi compiti di coordinamento dell’attività didattica, il docente-tutor si pone come referente principale nei rapporti con i genitori, in particolare per quanto concerne l’orientamento. Le Indicazioni raccomandano che la scelta di iscrivere il bambino alla scuola primaria prima dei sei anni d’età «sia compiuta dopo una approfondita discussione con il tutor che ha seguito l’evoluzione del bambino nel contesto scolastico e che può confrontare la sua maturità con quella di molti coetanei.» Analoghe procedure di consultazione sono previste in occasione della scelta dell’indirizzo formativo del secondo ciclo al termine della scuola secondaria di I grado, rispetto alla quale «è opportuno che il docente tutor, indipendentemente dalla decisione dello studente e della sua famiglia, esprima, a nome della scuola, il proprio consiglio orientativo», sebbene «non vincolante» per la famiglia.
Al coordinatore-tutor è infine affidato il compito di garantire la continuità didattico-educativa mediante forme di collegamento di collegamento e raccordo tra i diversi ordini di scuola.
5. Il ruolo della famiglia
La collaborazione dei genitori alla gestione del Portfolio, e quindi il loro concorso alla determinazione dei processi valutativi dei propri figli, appare sicuramente la novità più rilevante. I genitori non si limitano più ad essere semplicemente informati dei risultati scolastici dei propri figli, ma forniscono essi stessi agli insegnanti notizie significative sulla loro storia personale (eventi, interessi, aspirazioni, ecc.), sui processi di apprendimento, sui livelli di maturazione, e contribuiscono «con precise annotazioni» alla selezione dei documenti significativi che verranno raccolti nel Portfolio.
Il peso dei genitori nella gestione del Portfolio risulta progressivamente crescente da un ordine di scuola all’altro. Un’attenta lettura delle Indicazioni nazionali fornisce interessanti indizi al riguardo, nonostante l’apparente uniformità del dettato. Nella scuola dell’infanzia il Portfolio «è compilato ed aggiornato dai docenti di sezione; questi svolgono anche la funzione di tutor e, in questa veste, seguono ed indirizzano la maturazione personale degli allievi per l’intera durata della Scuola dell’Infanzia.» I genitori sono pertanto assenti. Nella scuola primaria il coordinatore-tutor compila ed aggiorna il Portfolio «in collaborazione con tutti i docenti che si fanno carico dell’educazione e degli apprendimenti di ciascun allievo, sentendo i genitori e gli stessi allievi [...]». I docenti hanno dunque la responsabilità della gestione, mentre i genitori sembrano ricoprire un ruolo per così dire “consultivo”. Nella scuola secondaria di I grado, infine, il coordinatore-tutor collabora «con tutte le figure che si fanno carico dell’educazione e degli apprendimenti di ciascun allievo, a partire dai genitori e dagli stessi studenti [...]» Qui genitori entrano a pieno titolo nella gestione del Portfolio: significativamente, il termine «docenti» viene sostituito con il più ampio «figure» e la collaborazione non avviene più soltanto «sentendo» i genitori, ma «a partire» dai genitori.
6. Più ombre che luci.
a) Il rischio della burocratizzazione.
Quante ore occorrono per programmare, preparare, effettuare sistematiche osservazioni dei comportamenti dei discenti e per approntare piani di studio personalizzati per 25-28 alunni? Quali gli spazi, i tempi, le modalità? Gli insegnanti sono davvero messi nella condizione ottimale perché facciano ciò che è richiesto loro di fare? Ora, a parte l’aspetto – non certamente secondario – del rilevante aumento dei carichi di lavoro degli insegnanti, il rischio assai fondato è che tutto si riduca a mero adempimento cartaceo, a una pura catalogazione documentaria di dati raccolti in modo superficiale ed estemporaneo. Nella migliore delle ipotesi a una semplice certificazione delle conoscenze e competenze acquisite.
Non solo. Conoscere il bambino (o il preadolescente) significa innanzitutto attenzione, ascolto, disponibilità, paziente fiducia; implica insomma una relazione carica di coinvolgimento affettivo, oltre che di competenze professionali: l’ossessione documentaria spegne e “raffredda” l’umanità del rapporto alunno-insegnante, sottraendovi tempo (mentale, oltre che materiale) e impoverendola nell’adempimento dell’atto formale.
b) il ruolo della famiglia
Altro punto dolente è il nuovo ruolo che nella scuola riformata assume la famiglia, chiamata a collaborare attivamente alla gestione del Portfolio. Per ovvi motivi di competenza professionale, è difficile pensare che, nelle intenzioni del Legislatore, ai genitori sia affidato un ruolo istituzionalizzato nella valutazione tecnica del proprio figlio nell’ambito del Portfolio. E tuttavia la condivisione tra scuola e famiglia della gestione di questo strumento appare carica di ambiguità, determinando confusione di ruoli e, di fatto, anche indebite interferenze. Nel Portfolio, infatti, rientrano le «osservazioni» della famiglia sui «metodi di apprendimento» dell’alunno; la famiglia, inoltre, indica essa stessa, insieme ai docenti, quali «lavori personali ed elaborati significativi» debbano rientrare nel Portfolio: si tratta chiaramente di materie che pertengono per l’appunto alle competenze tecnico-professionali della docenza. Nei fatti, quindi, la valutazione degli alunni è affidata a una sorta di “contrattazione” tra scuola e famiglia. Con quali conseguenze, è facile immaginare, a cominciare dall’inevitabile conflitto di interessi che si verrà a determinare[3].
Né bisogna dimenticare che la scuola svolge semplicemente la propria attività educativa in collaborazione con i genitori, ma «nel rispetto [...] delle scelte educative della famiglia». Dalla famiglia al familismo, insomma. Quella che sta prendendo corpo, non senza connotazioni scopertamente demagogiche, è di fatto un’idea di scuola di tipo privatistico e mercantile, sostanzialmente subordinata alla famiglia- cliente e che sempre meno è messa nelle condizioni di mediare tra bisogni collettivi della res publica e bisogni (e interessi) privati e individuali della famiglia. L’insegnante diviene sempre più simile a una sorta di istitutore privato costretto per legge a “contrattare” con la famiglia-cliente le linee-guida della propria azione educativa e le stesse valutazioni sui livelli di apprendimento conseguiti: con buona pace della libertà di insegnamento e del ruolo pubblico della scuola statale.
Gianfranco Claudione
Allegato 2
La famiglia a scuola.
La legge 28 marzo 2003. n. 53, ha modificato la struttura del sistema di Istruzione. Per capire i mutamenti profondi che questa legge apporterà, è utile esaminare: il Documento Bertagna[4], le Indicazioni Nazionali e le relative Raccomandazioni per la Scuola d’Infanzia e Primaria.
In essi, secondo la prescrizione rivolta ai docenti di “operare dal particolare personale al generale culturale”, genitori e studenti sono chiamati direttamente in causa per la costruzione dei Piani di Studio personalizzati e per la stesura del Portfolio delle competenze individuali.
Sia nelle Indicazioni che nelle Raccomandazioni, il riferimento a questo nuovo ruolo è presente accanto a tutte le altre componenti, Stato, Enti territoriali, Istituzioni scolastiche, docente tutor, secondo la strategia poliarchica del nuovo sistema, strategia da intendersi come “pluralità di soggetti che interagiscono alla formazione di altri soggetti/persone”.
In realtà le indicazioni imbrigliano ogni attività, persona e o risultato, in uno schema precostituito e soprattutto autoreferenziale. E’ l’impostazione dei nuovi Piani di studio e del Profilo educativo, nei quali la consequenzialità delle motivazioni, ricche di citazioni filosofiche e di riferimenti psico–pedagogici, non impedisce di portare avanti un modello di scuola ispirato al recupero di elementi tradizionali quanto accattivanti, primo fra tutti la famiglia, lontani tuttavia dall’essere scuola oggi.
Il disegno poliarchico ad esempio è la frantumazione di quella unità istituzionale che avvalora le direzioni di senso di un progetto educativo nazionale. In cambio la pluralità dei soggetti decisionali confluisce nella funzione del tutor, come uno sciame vorticoso e ronzante.
Naturalmente questo fa rimbalzare il gioco delle responsabilità, fino a ratificare definitivamente la logica per cui, tra tante autorità che attendono risultati, il ruolo dell’insegnante funziona da centro nevralgico di un sistema, nel quale Ministero, Regioni, famiglie, studenti, una cosa non contemplano: essere disattesi.
La questione più allarmante in tal senso è la presenza, nei nuovi termini, della famiglia, che per il suo carattere privato ed il suo interesse soggettivo, snatura il senso costituzionale della scuola libera come espressione del pubblico interesse.
A tal proposito si vedano le due interviste rilasciate da prof. C. Marzuoli, docente di Diritto amministrativo, presso la Facoltà di Giurisprudenza di Firenze, al nostro giornale:
“L’interesse…è pubblico perché è stato scelto, nel rispetto della Costituzione, da istituzioni legittimate secondo le regole democratiche…” e ancora “Secondo la Costituzione il servizio pubblico deve avere certe caratteristiche, come la libertà (non della, ma) nella scuola…”[5].
“La libertà di insegnamento è un diritto di libertà riconosciuto e garantito dalla nostra Costituzione…in base al principio di coesistenza delle libertà”.
“L’istruzione pubblica si caratterizza unicamente perché deve essere un’istruzione neutra dal punto di vista ideologico, religioso, ecc..” , “…il solo strumento (dal punto di vista giuridico) capace di garantire questo risultato è la libertà di insegnamento.” [che] “è a tutela della libertà del cittadino” . [Ed] ”è certo che non vi è spazio per un potere di co–gestione dei genitori. Essi, in quanto genitori, non hanno alcuna competenza tecnica, né hanno la responsabilità del servizio, … finanziato dai cittadini (e non dai genitori).”[6]
Viceversa la nuova normativa chiama in causa direttamente ragazzi, genitori e territorio, nella costruzione dei Piani di studio personalizzati, nella progettazione e nello svolgimento delle Unità di apprendimento, e nelle verifiche (cfr. Portfolio delle competenze)[7].
IL protagonismo delle famiglie è chiaramente esplicitato nelle Indicazioni per gli insegnanti che stanno attuando, in 251 scuole, la sperimentazione delle nuova scuola primaria (slide):
“I genitori sono ora uno dei soggetti che contribuiscono a costruire il progetto educativo”
“L’intero ordito del mutato tessuto istituzionale e ordinamentale…si fonda…sul rispetto delle scelte educative della famiglia, sulla cooperazione tra scuola e genitori, sul rispetto…di Regioni, Comuni e province e dell’autonomia degli Istituti…”
“La famiglia è il primo interlocutore necessario per l’esercizio stesso dell’autonomia”.
Per questo nella flessibilità organizzativa, che prevede una nuova dinamica tra classe e laboratori, i genitori sono direttamente coinvolti nelle fasi sia di progettazione che di esecuzione; ancor più si veda ciò che riguarda l’inglese e l’informatica!
Il confine tra pubblico e privato è abbattuto. La libertà di insegnamento è minata dall’interferenza di soggetti e funzioni che si sovrappongono al compito educativo della professione docente, che, in una scuola pubblica e democratica, si fonda sull’autonoma responsabilità di questo ruolo.
A questo punto occorre chiedersi quale famiglia potrebbe far parte dello staff formativo.
I redattori del progetto pare non tengano conto di che cos’è la famiglia oggi in Italia, del multiforme contesto sociale, culturale, etnico, religioso, ancorché economico di provenienza dei giovani che hanno diritto all’istruzione pubblica.
Quali genitori si possono permettere questo tempo? E quelli che non si fanno vivi? Ci sarà il supplente per loro? Si ascolterà prima il genitore o il figlio, prima la mamma o il papà? Li abbiamo visti in questi anni di Decreti Delegati.
Le realtà familiari sono portatrici di interessi privati, più che individuali o personali, e dovrebbero a pari diritto agire nella scuola pubblica, con insegnanti pubblici, intervenire su tutte le attività, verifiche comprese, in vista dei risultati che si attendono e, in sostanza, del figlio che “da grande” vogliono.
Oltre al tutor, gli altri insegnanti dovranno rispondere a tutti, in questa sorta di contrattazione ad personam, realizzabile attraverso una prevista flessibilità organizzativa, in base alla quale, a scuola, i gruppi potranno assumere struttura oraria, giornaliera, d’aula, di laboratorio, di modulo, di stage, di attività integrativa, dentro e fuori l’edificio…, il tutto appreso secondo un piano individuale, nel quale gli altri studenti saranno compagni occasionali, più che persone con le quali si deve imparare a convivere.
E’ infine interessante immaginare quali figure di riferimento il ragazzo potrà costruirsi nel corso di una crescita, nella quale la giostra degli adulti, degli affetti e delle autorità, ruota di continuo e cambia spesso destriero.
In questo trionfo delle diversità e della compartecipazione, si può consolidare soprattutto la perdita dell’identità di ruolo, di responsabilità, ma anche di merito, in un calderone indistinto, in cui anche grandi e piccoli non sanno chi sono.
Rita Tamba
Allegato 3
La personalizzazione dell’insegnamento
Se volessimo giocare con la riforma come si giocava con le analisi di testo, ne ricaveremmo ben poco piacere. L’analisi di testo conduceva in luoghi non previsti ed inesplorati, ed era quella la bellezza. Il testo della legge di riforma e l’enorme mole cartacea che gli fa da corollario porta invece lungo sentieri ripercorsi fino alla nausea. E fino alla nausea se ne rivedono le pietre miliari: federalismo, autonomia, flessibilità, libertà (di insegnamento, di apprendimento, di scelta educativa delle famiglie). E ancora: tutor, piani di studio personalizzati, portfolio delle competenze individuali.
Alcune di queste pietre miliari non sono solo nostre (la flessibilità è venduta come valore dentro e fuori la scuola), di altre abbiamo invece l’uso quasi esclusivo. La ripetitività non è una svista e il gioco non è casuale. Esso consiste nel vendere il progetto scuola proprio come si venderebbe una batteria di pentole in televisione. Le parole ripetute in modo ossessivo acquisiscono un potere demiurgico. Lampada di Aladino del mondo moderno, esse creano la realtà e ne determinano la necessità. La presa di distanza è difficile e necessita di un’operazione razionale. Il fascino esercitato da questa realtà virtuale rende possibile la realtà concreta.
Così il fascino che esercitano le parole personalizzazione ed individualizzazione nel mondo contemporaneo è tale da non lasciare alcun margine alla critica. E tale da far automaticamente plaudere alla personalizzazione che trionfalmente entra nella scuola riformata.
Leggiamo nelle Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati:
L’insieme della progettazione di uno o più obiettivi formativi, nonché delle attività, dei metodi, delle soluzioni organizzative e delle modalità di verifica necessarie per trasformarli in competenze degli studenti, va a costituire le unità di apprendimento, individuali o di gruppo. L’insieme delle Unità di Apprendimento, con le eventuali differenziazioni che si rendessero necessarie per i singoli alunni, dà origine al Piano di Studio Personalizzato, che resta a disposizione delle famiglie e da cui si ricavano anche spunti utili per la compilazione del Portfolio delle competenze individuali.
Il Piano di Studio Personalizzato è un appuntamento cruciale anche perché, a scelta delle famiglie e dei preadolescenti, con l’assistenza del tutor, la scuola può dedicare una quota fino a 200 ore annuali all’approfondimento parziale o totale di discipline ed attività. Questi approfondimenti possono cambiare nel corso del triennio e quindi consentire, alla conclusione del triennio medesimo, una scelta degli indirizzi formativi del secondo ciclo non soltanto responsabile, ma già, per certi aspetti, collaudata; il Portfolio delle competenze dovrebbe registrarla e sancirla con adeguate documentazioni.
Nelle intenzioni, gli obiettivi specifici di apprendimento, che non sono altro che i vecchi contenuti (con relativa esplicitazione di ciò che essi permettono di saper fare) e che costituiscono il programma astratto previsto per un certo anno di un certo corso di scuola devono essere adattati al singolo (alle sue capacità-e/o attitudini-e/o interessi) divenendo così obiettivi formativi. Una volta identificato l’obiettivo e/o gli obiettivi formativi che Tizio deve raggiungere, il docente deve pensare alle strategie che permettono di raggiungerlo/i (“attività, metodi, e via dicendo) e progettare delle unità di apprendimento. L’insieme delle unità di apprendimento entrerà poi nel piano di studio individualizzato. Il docente procederà così per Caio, per Sempronio e così via…
E si avrà così l’insegnamento personalizzato…
Stranamente la prima domanda che si pone non è “Perché?”, ma “Come?”. “Come possiamo trasformarci in tanti precettori privati? E quale mole di lavoro può derivare da questa progettazione ad personam? “Ci dicono che il problema è mal posto, perché la realtà della classe è destinata a sparire… per essere sostituita da gruppi omogenei o da singoli. Forse è vero, il problema è mal posto, ma resta la difficoltà di immaginare concretamente questo nuovo modo di far scuola. A meno che il numero dei docenti non venga raddoppiato o triplicato… ma nemmeno, pensandoci bene. E comunque, non sembrano essere queste le intenzioni del Governo in carica.
Ma qui siamo ancora dentro la soglia della concretezza, oltre la quale si cela la domanda vera.
“La personalizzazione, che pone al centro l’individuo e fa della scuola uno strumento di realizzazione dell’io individuale, è un valore?”
Molti sono stati gli studiosi che hanno analizzato il fenomeno dell’individualismo. Non solo perché esso è un connotato precipuo del mondo moderno, ma soprattutto perché, a partire dagli anni ’60, è divenuto fenomeno. Fenomeno variamente discusso e interpretato, passando da Lasch a Lipovetsky a Bloom, ma riconosciuto a tal punto da generare un lessico variegato, all’interno del quale l’espressione me-generation, usata per connotare le generazioni in cui l’auto-realizzazione ha assunto le tinte dell’individualismo narcisistico, è divenuta ormai comune.
La me-generation è la generazione dell’io, quella che ha perso il senso e la visione delle dimensioni altre e alte - dimensioni quali quella eroica (Bataille). E’ la generazione che si è ristretta e concentrata sul sé. E’ quella che, disincantata, ha stabilito il primato della ragione strumentale, che misura tutto sulla base del miglior rapporto costi-prodotto, è quella che non riconosce alle cose alcun ordine intrinseco ed ancor meno sacro, è quella che non ammette gerarchie di valori, ma riconduce tutto all’io, unico strumento di misurazione e di scelta. E’ quella che riempie le nostre case e affolla le nostre scuole. E’ quella alla quale la riforma ci chiede di dare soddisfazione.
Stravolgendo così un ordine prospettico storico ed operando un’autentica rivoluzione dentro la scuola.
Ed è per questo che risulta non solo lecito ma doveroso chiedersi quali possano essere gli effetti di una scuola costruita sul culto dell’io, anche se la complessità del problema è tale da non permetterci – in questa sede - che di sfiorarlo.
Le conseguenze della concentrazione sull’io, dell’atomismo dell’individuo, ci dice Alexis de Tocqueville, sono una probabile perdita del “controllo politico sul nostro destino” a favore di una “forma di dispotismo nuova, specificamente moderna: il dispotismo morbido. Non si tratterà di una tirannia del terrore e dell’oppressione, come nel tempo andato, ma di una tirannia dal volto mite e paternalistico, che potrà perfino conservare le forme democratiche, con elezioni periodiche. Su quel potere “immenso e tutelare” gli uomini avranno ben poco controllo. “Rinchiusi nei loro cuori”, non parteciperanno alla vita pubblica, ma se ne staranno a casa a godersi le soddisfazioni della vita privata, almeno fintanto che il Governo in carica produrrà i mezzi di questa soddisfazione e ne farà una larga distribuzione.
Se queste sono le conseguenze del fenomeno dell’individualismo narcisistico, come parrebbe giudicando dalla distanza sempre maggiore che si sta scavando fra mondo politico e cittadini, una scuola che coltiverà questo fenomeno sarà una scuola che rinuncerà alla formazione del cittadino e che dismetterà la propria funzione d’istituzione politica.
Divenendo così per prima serva del potere “immenso e tutelare”.
Serafina Gnech
[1] In relazione alla possibilità che si possa creare anche in Italia un sistema di “libertà di scuole” e non di “libertà nelle scuole”, si veda il contributo di Antonio Gasperi in due puntate sulle scuole in Olanda e in Belgio, dal testo di G.Cimbalo Le regioni alla ricerca di una identità inesistente, Giappichelli editore, 2003, su “ Professione docente” di Maggio e Giugno 2003 (www.gildaprofessionedocente.it)
[3] Cfr. C. Marzuoli, Istruzione e Stato sussidiario, in “Diritto pubblico” 1/2002, pag. 150.
[4] Relazione al Seminario MIUR, 19 dicembre 2002, sul Profilo educativo, culturale e professionale della scuola primaria e secondaria.
[5] Da “Professione docente” (www.gildaprofessionedocente.it), marzo 2003, “La Riforma del titolo V della Costituzione”.
[6] Da “Professione docente” (www.gildaprofessionedocente.it), gennaio 2003, “Insegnamento e libertà”.
[7] Dalle Raccomandazioni per i Piani di studio della Scuola Primaria, p.7.