Mentre in Italia  si preme ora  sull’acceleratore per far passare una riforma scolastica, chiaramente ispirata al modello anglosassone,  che decreta la morte non solo della scuola elementare e della scuola media, ma anche del tradizionale “liceo” in nome di una scuola breve ed efficiente, in cui trionfano progetti ed educazioni, in America ci si accorge che il percorso di studi regolamentare non è sufficiente ed prendono piede  le “prep schools” che offrono un anno di scuola in più... a pagamento!

 E IN AMERICA CI INVIDIANO IL LICEO 

L’America detta legge, nell’istruzione come in ogni altra cosa. Ovunque ci si fa in quattro per imitarla: per seguire l’esempio di questa terra fortunata, intelligente e felice. Nel caso delle scuole secondarie, ben vengano i quattro anni invece che cinque, il self-service dei corsi a scelta, i tests “oggettivi” (corretti dal computer) fatti apposta per insegnanti con cinque o  sei classi e dunque del tutto incapaci di commentare in modo significativo i temi di duecento studenti. Al termine di un così brillante itinerario si tratta di decidere chi andrà ad Harvard, al Mit o alle altre (relativamente poche) prestigiose istituzioni universitarie che promettono una carriera sicura e contatti d’alto livello.

Il divario fra chi entra e chi rimane fuori sigilla per sempre la più profonda distinzione di classe in questo paese senza classi, la più profonda cesura d’élite in questa società assolutamente democratica: da un lato i dottori, gli avvocati ed in generale i professionisti, che accumulano milioni di dollari e pompano all’infinito il mercato azionario, dall’altro (nel migliore dei casi) i travet che cercano alla meglio di sbarcare il lunario, oppressi da affitti proibitivi e carte di credito anche troppo generose (che ad ogni momento minacciano di mandarli in bancarotta).

In che modo assicurarsi che i nostri figli cadano dalla parte giusta della barricata? Come spesso capita, l’idea originaria è sensata. Non vogliamo studenti che sappiano solo studiare, annunciano i templi delle future classi dirigenti: vogliamo persone che sappiano destreggiarsi con successo tra le mille diverse esigenze della vita moderna. Quindi, se vuoi essere uno dei 1.600 ammessi a Stanford (su 18mila domande), uno dei 4.200 eletti che si fregeranno quest’anno del rango di matricola a Ucla (su 37.700 candidati) o uno dei 3710 nuovi iscritti a Berkeley (su 33.000 che bussano alla porta) avere il massimo dei voti (qui si danno A, B, C, D ed F, che valgono rispettivamente 4, 3, 2, 1 e 0 punti nel conteggio complessivo; quindi il massimo è una media di 4) non è sufficiente. Bisogna anche dimostrare di essere dei leaders e di avere a cuore gli interessi della comunità. Per il primo aspetto, conta soprattutto lo sport: chi sa guidare una squadra in campo saprà guidare con la stessa aggressività e sicumera un’azienda. Per il secondo si tratta di fare del gran volontariato, creando così la situazione più divertente che si possa immaginare: i perfetti egoisti di domani sono oggi dediti anima e corpo alla salvezza e al ristoro di infelici (drogati, anziani, malati di Aids), cui per la maggior parte della propria vita non mostreranno alcun interesse.

Il risultato però è tragico, non solo per quegli infelici ma per gli stessi futuri padroni del vapore. Perché a questo punto non basta più disperarsi sui quiz attitudinali, i famigerati Sat (Scholastic Aptitude Test), che gli studenti delle superiori cominciano a prendere già nel secondo anno e continuano a ripetere finché non raggiungono un risultato accettabile (pagando ogni volta una cifra cospicua all’ente che li organizza e che in questo modo ha davvero scoperto l’America). Né bastano i corsi Ap (Advanced Placement) orrendamente nozionistici perché anch’essi indirizzati a un test “oggettivo” finale in cui la storia dell’arte e le scienze politiche sono ridotte a una competenza da elenco del telefono, ma in grado di offrire crediti universitari (così magari diminuiscono gli anni di college, che costano più di trentamila dollari l’uno) e soprattutto di alzare la media: si tratta infatti di corsi “tarati” in cui una A vale 5 punti e una B ne vale 4.

Bisogna  anche rimpolpare il proprio curriculum con attività extra-curriculari. Ci sono la pallacanestro e il baseball, il football americano ed il calcio, il tennis e il volano: spesso due o tre insieme, il che, fra allenamenti e gare, significa decine di ore settimanali trascorse perlopiù senza gioia, in un ambiente di competitività esasperata. Ci sono i parlamentini scolastici, che distribuiscono preziosi incarichi di presidente, segretario, tesoriere e quant’altro; e chi non arriva a tanto si arrangia partecipando a clubs di ogni genere (il club francese, per esempio, la cui missione è quella di vendere merendine o caramelle ai compagni e usare il ricavato per andare a cena in un ristorante pseudo-gallico  una volta al mese), a loro volta dotati di un ricco e titolato organico. Ci sono le attività volontarie: “se vado in spiaggia”, mormora desolato uno studente, “è solo per pulirla dalle cartacce”. E c’è il lavoro: un paio d’ore al giorno passate a far pacchi al supermercato o a servire in un ristorante pesano molto nel proiettare l’immagine di un capitano che sa anche obbedire, di un individuo determinato che sa salire uno per volta i gradini della scala sociale.

Non c’è naturalmente niente di sbagliato in queste attività. Sono semmai lo spirito e la motivazione con cui vengono scelte e condotte a preoccupare, anche perché è facile rendersi conto che spirito e motivazione sono quel che resta, quel che si finisce per imparare: le attività non contano, conta invece essere assurdamente impegnati quattordici ore al giorno e primeggiare in tutto quel che si fa.

Schiacciati da tanti impegni, alcuni ragazzi contemplano il suicidio; per altri i genitori cercano assistenza fra i “consulenti educativi” che per la modica cifra di oltre cento dollari l’ora (un “pacchetto” complessivo di assistenza costa fino a 2.500 dollari) guidano gli studenti nell’interminabile percorso a ostacoli che prelude alla loro luminosa carriera. Ma l’aspetto forse più ironico della situazione è questo: molti hanno scoperto che per essere avvantaggiati nella loro corsa al college, i loro figli hanno bisogno di studiare più a lungo. Così, mentre in Italia impazza il modello americano di una scuola più breve ed efficiente, in America prosperano prep schools che offrono un anno supplementare di scuola superiore. Privatamente, è ovvio, cosicché solo chi si può permettere qualche decina di miglia di dollari in più partecipa a tale allargamento del sapere. E’ uno strano paese, questo: tutti si lamentano degli alti costi della benzina, ma nessuno vorrebbe pagare un centesimo di tasse in più per avere servizi pubblici che funzionano, tutti si fanno in quattro per tagliare i fondi all’istruzione (creando classi sempre più numerose e insegnanti sempre più oberati) ma sono ben contenti di investire fondi propri (e assai più rilevanti) per controbilanciare a livello personale gli effetti di questa politica. Misteri del “liberismo”!

 

di Ermanno Bencivenga (Sole 24 ore)

 

a cura di Se.G

 

31/10/2000