RIFORMA DEI CICLI E DUBBI D’OLTRALPE
In una recensione ad un
saggio francese di Marie Danielle Pierrelée e Agnes Buamier – Pourquoi vos enfants
s’ennuient en classe. Une place pour chacun dans un collège pour tous – edito
da Syros, Parigi 1999, Stefano Zappoli
esprime le proprie perplessità sulla riforma di marca italiana. Prima di tutto
perché calata dall’alto e pensata da uomini non di scuola e poi perché egli vi
intravede forti rischi.
Sono i rischi che la nostra
Associazione ha ripetutamente paventato: democratizzazione non reale ma di
facciata, netto abbassamento del livello culturale generale, negazione dei
talenti individuali, impossibilità di coltivare le fasce di eccellenza.
Riporto – riassumendo in
corsivo alcune parti - la recensione di Stefano
Zappoli, pubblicata nel Bollettino
dell’Associazione Normalisti di Pisa (Anno III, n° 2, ottobre 2000).
***
Nella prima
parte l’autrice, divenuta capo di un distretto scolastico di provincia dopo
essere stata per molti anni insegnante, mette in discussione la
“democratizzazione” del sistema scolastico francese, che ritiene essere solo di
facciata:
“... il collège (la scuola che va dagli 11 ai 16 anni), nato con l’intenzione di dare a tutti la stessa formazione di base, di “cittadini”, non sposta in realtà di un millimetro la diversità delle chances d’origine degli alunni. Queste sono infatti da ricondursi al loro ambiente sociale di provenienza, che di fatto autonomamente li promuove o li compromette. Il collège piuttosto, per come oggi è strutturato, ne deprime le potenzialità. Gli alunni più deboli infatti, che andrebbero seguiti con maggior cura, si trovano impotenti di fronte ad un sistema scolastico che li standardizza negandone i talenti individuali, spesso tecnici o comunque legati all’ambiente familiare di provenienza... , facendone degli sfiduciati in se stessi e dei potenziali violenti. L’A. fornisce poi dati percentuali impressionanti sull’adesione successiva di questa fascia sociale di giovani precocemente frustrati al Front National di Le Pen.
Leggendo questo
libro ed avendo a mente la situazione italiana viene da pensare a come non si
sia avuta finora, da noi, una discussione vera su una riforma scolastica
necessaria sì, ma che, così come si configura oggi, arriva agli insegnanti come
data dall’alto e – soprattutto –
come pensata da uomini non di scuola.
Le pagine in cui si descrive la
situazione reale dei collèges
francesi andrebbero benissimo, ad esempio, anche per una scuola di sobborgo o
di campagna in Italia, compresi i dettagli (tipologia degli alunni e degli
insegnanti, atteggiamenti diffusi, scelte dei capi d’istituto e
dell’amministrazione scolastica, contegno dei genitori, etc.): forse
illuminerebbero anche qualcuno dei nostri dirigenti ministeriali, tanto pronti
ad attaccare la presunta arretratezza del corpo insegnante quanto ignari, mi
pare, della reale situazione della scuola italiana...
Anche la seconda e
la terza parte del libro, prosegue Stefano Zappoli, sono assai interessanti per
il panorama che l’autrice ci offre della scuola francese a partire dalla Terza
Repubblica e per la vasta conoscenza che ella dimostra dei sistemi scolastici di
alcuni paesi del Nord Europa - Paesi Bassi, Germania, Scandinavia – e più in generale
dei paesi più avanzati del mondo.
Particolarmente
significativa per noi risulta la parte in cui l’autrice evidenzia le
conseguenze di quell’impostazione che, in Francia prima ancora che in Italia,
ha progressivamente trasformato la scuola da luogo delle conoscenze ad
istituzione “totale”.
“... rendere
concreta l’educazione degli alunni alla convivenza democratica, sopperire alle
carenze educative delle famiglie nella situazione lavorativa e sociale
odierna... che, fra l’altro costa assai in termini di ore scolastiche, incide
inevitabilmente sul livello d’istruzione complessivo, che tende ad abbassarsi,
a detrimento di quegli alunni che problemi “altri” non hanno. Questi dalla
scuola si aspettano solo una seria formazione disciplinare.”
Per tutti questi,
scrive Stefano Zappoli, l’autrice propone momenti di insegnamento
“individualizzati”, tarati sui loro specifici bisogni.
Facile a dirsi, non altrettanto facile a farsi, secondo il recensore “in una scuola che è pur sempre fatto collettivo (se vogliamo anche “politico”), e che di fatto rende poi fuori luogo la presenza di questa tipologia di alunni nella scuola di massa, che deve rispondere in Francia come in Italia, a necessità sostanzialmente eterogenee rispetto a quelle proprie del tradizionale ginnasio”.
Nota
Un sistema scolastico appiattito
verso il basso non rispetterebbe, secondo Aldo Corasaniti, già Presidente della
Corte Costituzionale e Senatore della Repubblica, il dettato costituzionale,
dal quale emergerebbe una volontà del tutto diversa:
“... il fine generale dell’istruzione (quale emerge appunto dalla Costituzione italiana, n.d.r.) non è per nulla necessariamente la condanna della società all’appiattimento sui livelli più bassi (la solidarietà non deve ridondare in umiliazione dei capaci, e quindi freno allo sviluppo), ma è l’elevazione nella maggior misura e con la maggior estensione possibile delle persone ai livelli più alti e comunque a livelli più alti. Così configurata, l’istruzione, e con essa la scuola, in quanto struttura organizzativa preposta all’istruzione, vengono a essere considerati come servizio sociale, cioè come servizio volto a promuovere e propiziare l’esercizio del diritto di ciascuno ad apprendere e a realizzarsi ( a perseguire cioè il libero sviluppo della personalità Freie entwiklung ver personalitat) e in pari tempo anche a selezionare i governanti nell’ambito di un sempre più ampio bacino, rendendo in tal modo realmente attuabile il ricambio continuo fra governanti e governati (alternananza democratica)” (Aldo Corasaniti, Allocuzione al Convegno Quale Scuola? promosso dall’Associazione Alunni Ricercatori e Professori della Scuola Normale Superiore di Pisa, Roma 19 marzo 1999, in I quaderni della rassegna dell’Istruzione, Le Monnier 1999, pag. 45).
a cura di Se.G.