La Royal Society of Chemistry,
la stessa che qualche settimana fa aveva indetto un concorso
per trovare un finale plausibile al film «The Italian job», salvando l’oro
che sta per cadere nel precipizio, svolge davvero un’attività sempre
originale. Questa volta ha fatto salire su di una macchina del tempo 1300
tra i più brillanti studenti della Gran Bretagna, abituati a prendere sempre
i voti migliori, e li ha portati in una scuola del 1965.
Sui banchi i ragazzi hanno trovato, un compito in classe di matematica
dell’epoca, uno di quelli che i loro coetanei sedicenni nati nel 1949-50
risolvevano senza penare e senza copiare troppo.
Pochissimi tra gli
studenti arrivati dal futuro (il 15%) sono riusciti a farcela, gli altri
hanno consegnato il foglio in bianco. È andata meglio nelle tappe intermedie
che la macchina del tempo ha fatto: nel 2005 i compiti erano già più facili
e il 35% li ha risolti. Ma, complessivamente, gran parte dei 1300 piccoli
geni delle scuole inglesi si è rivelato incapace di venire a capo dei
problemi di matematica e algebra che i loro genitori risolvevano.
L’esperimento condotto dalla RSC può fare sorridere, ma è stato preso molto
sul serio da quanti si occupano di scuola. In Gran Bretagna (e un po’ in
tutti i Paesi) la qualità del livello di insegnamento e di apprendimento sta
precipitando e secondo gli esperti, se non si rimedia subito, le future
generazioni non saranno in grado di fare la più semplice delle divisioni,
figuriamoci una radice quadrata.
Per Michael Gove, ministro ombra dell’Istruzione, il test dimostra che la
scuola non sta preparando i ragazzi ad affrontare il 21° secolo: nessuno di
loro potrà diventare uno scienziato, un matematico o uno specialista nelle
tecnologie. «I ragazzi più capaci - ha notato Richard Pike, il responsabile
della Royal Society of Chemistry - non vengono istruiti su come si risolve
un’operazione matematica, perché grazie al sistema di valutazione in uso
possono prendere un ottimo voto senza essere costretti a fare un solo
calcolo. A chi si accontenta di prendere il “grado C”, il voto minimo per
essere promosso, basta dimostrare una conoscenza superficiale su molti
argomenti, senza che sia necessario comprendere i fondamentali delle
materie».
Le ragioni di questo declino nella preparazione culturale sono tante e
alcune hanno strettamente a che fare con il sistema di istruzione
anglosassone, basato sui test e sulla valutazione degli insegnanti in base
ai risultati ottenuti dagli allievi. I docenti tendono ad insegnare ai
ragazzi lo stretto necessario a superare il questionario, perdendo di vista
il quadro complessivo. I compiti con il passare degli anni sono diventati
sempre più facili, con il risultato che nessuno è più in grado di fare i
calcoli per risolvere un’equazione.
Se l’esperimento della RSC fosse condotto in qualunque altro Paese
occidentale darebbe probabilmente gli stessi risultati. Fin dalle elementari
ormai si permette ai bambini di usare la calcolatrice in classe, ritenendo
che è inutile faticare per fare operazioni che una semplice tecnologia può
fare per noi. I ragazzi hanno imparato fin troppo bene questa lezione, e
arrivano al liceo distratti e convinti che non sia più necessario mandare a
memoria le cose, poiché la conoscenza necessaria (ad esempio una data o una
biografia) sarà comunque disponibile, quando servirà, sul telefonino
collegato a Internet.
Frank Field, un autorevole e ascoltato membro del Parlamento laburista, in
un discorso all’Università di Leicester ha anche dato la colpa ai genitori,
che non esercitano più quel rigore
educativo indispensabile alla formazione dei ragazzi. Secondo Field, l’epoca
d’oro della famiglia britannica è culminata negli Anni Cinquanta, l’ultima
era nella quale i genitori stavano sempre dalla parte degli insegnanti e mai
dei loro figli, e famiglia e scuola contribuivano in ugual misura alla
crescita culturale dei ragazzi. Si dice che fra qualche anno i robot avranno
una capacità di elaborazione superiore a quella del cervello umano, mentre a
quanto pare i cervelli delle nuove generazioni faticheranno a fare una
moltiplicazione.
Lo scenario immaginato dallo scrittore Arthur Clarke nel suo romanzo,
portato sullo
schermo da Stanley Kubrick in «Odissea nello spazio», non è forse tanto
lontano dal vero: un computer di nome Hal ci guarderà presto con il suo
occhio artificiale e penserà a quanto siano ignoranti e inutili gli esseri
umani
(da
la Stampa del 28 novembre 2008) |