Una riflessione sulla scuola elementare nel Riordino dei Cicli

(ovvero sulla scuola zippata)

Il Riordino dei Cicli è stato da tutti definito un grande contenitore vuoto e come tale sta generando preoccupazioni solo sul fronte degli organici.

In realtà il contenitore stesso apre ad una totale ristrutturazione dei contenuti, delle formule organizzative, della composizione dei gruppi e forse anche degli orari inserendosi su una già pesante stratificazione di orientamenti pedagogici, obiettivi sociali e incerti profili della docenza .

Immaginare un accorciamento del segmento di base e una reimpostazione della fase seguente generano l’ovvio risultato di una riduzione dei tempi che porta con sé una diversa collocazione dei saperi e una nuova metodologia, oltre ad una possibile miscellanea di competenze e di professionalità con esiti ancor più drammatici rispetto alla situazione attuale se per raggiungerla si ricorrerà a riconversioni improvvisate e motivate solo dal rischio di perdere la cattedra.

Tutte operazioni possibili se il sistema nuovo fosse stato pensato globalmente, in modo logico e armonico, supportato da una realtà sociopolitica che creda in un innovazione. Purtroppo l’origine del Riordino sta nella perdita di un anno di istruzione e si inserisce in un contesto istituzionale ormai fragile e incapace di distinguere gli aspetti caratterizzanti della scuola, in un principio di funzionalità cioè di risparmio

Rivisitando rapidamente le formule educative del nostro secolo verifichiamo un passato storico che chiaramente articolava l’educazione in formazione del carattere, istruzione, formazione - preparazione – gestione del lavoro garantendo nelle diverse modalità le basi di un processo formativo e attribuendolo a istituzioni diverse, con modalità chiare e differenti.

Fino ad una certa epoca erano la famiglia e la Chiesa a contribuire, anche se con motivazioni spirituali indotte, alla formazione del carattere. L’individuo maturava all’interno di una canalizzazione di energie regolato da un rapporto che poteva anche essere autoritario ma che di fatto armonizzava esigenze razionali, affettive e morali .

A questo si accompagnava la preparazione intellettuale, il sapere di varie discipline a cui seguiva l’apprendistato al lavoro.

Successivamente, con le nuove esigenze del mondo del lavoro, questi parametri sono cresciuti e si sono articolati in formazione diretta (avviamento) e preparazione intellettuale.

La scuola aveva chiare finalità di istruzione , non si confondeva con altri aspetti formativi e procedeva in modo alfabetico e consequenziale.

Anche la scuola elementare, pur fornendo nella figura del maestro un sostegno alla formazione del carattere di origine familiare e di origine ecclesiale, permaneva nel suo taglio istruttivo con la singolare continuità e complicità affettivo/comunicativa che la faceva un prolungamento della famiglia.

La pluralità era dunque garantita dalle componenti che nella giornata si susseguivano senza confusione di ruoli, in un modello comunitario in cui nessuno faceva confusione con il tutto.

La L.820/71 e la L.517/77 hanno rappresentato, sull’onda di un clima culturale e politico di rinnovamento, il tentativo di realizzare una scuola Attiva, ma diversi ordini di problemi legati al divario tra teoria e volontà hanno prodotto il loro insuccesso.. Qualcuno ha ancora l’idea di aver vissuto un cambiamento solo per averne tanto parlato.

Da questa fase siamo rapidamente transitati a modelli confusi, inneggianti alla centralità dell’alunno e legittimati da una filosofia della complessità che nella realtà scolastica si è tradotta in complessificazione e disordine: il tutto in nome dell’ educazione.

I principi pedagogici del primato dell’esperienza, sono stati frettolosamente sostituiti da:

  1. prolungamenti del tempo scuola
  2. pluralità dei docenti
  3. estenuanti condomini programmatici

I Programmi del 1985 e il Nuovo Ordinamento L.148/90 hanno posto la scuola elementare in una centralità strategica della vita della persona con l’esito di apparire sostitutiva al ruolo delle famiglie, ma di fatto rendendosi servizio sociale e quindi sempre più colpita da richieste ed esigenze che poco hanno a che fare con l’istruzione.

L’impianto organizzativo che doveva assicurare l’efficacia e l’efficienza dei nuovi Programmi si è rivelato un disordine incessante di personaggi diversi attirati dalla forza centrifuga programmatica in un nucleo ansioso che li rigettava con ugual forza all’esterno nell’estremo tentativo di recuperare uno spazio e una dignità professionale.

Altro errore della nostra scuola è stato il falso democraticismo che gradualmente ha portato, nella scuola elementare, ad un’omologazione tra livelli alti e bassi, configurando tale ordine di scuola sempre meno con l’istruzione e sempre più con un servizio compendio delle famiglie.

Solo sulla carta lo sviluppo delle potenzialità, in realtà il tentativo di eliminare differenze ha sortito l’effetto del nascondere le variabili delle singole capacità, portando le classi ad un unico pastone di media capacità.

L’idea di non scindere il curricolo in materie principali e secondarie era ammirevole se una mirata formazione e l’organizzazione avessero permesso di applicarle come in un rinforzo reciproco.

Una formula organizzativa studiata a tavolino e distante dalla realtà scolastica ha ricondotto a forme di protezione delle materie "fondamentali" relegando al nulla qualsiasi altra occasione e dimostrando l’assoluta mancanza di trasformazione metodologica, l’assenza di un progresso che attesti i Programmi con una Riforma. Poi la C.M.n.116/96 ha rinviato il mancato funzionamento ai singoli Collegi, lasciando libertà di scelta e riducendone subito dopo le potenzialità con gli Organici Funzionali.

Quindi una Riforma fallita anche nelle sue intenzioni migliori per la mancanza di un riconoscimento chiaro della funzione della scuola a favore di un adeguamento alla nuova idea di cultura (supportata solo nei suoi aspetti didattici) e quindi destinata a cadere nell’inganno del cambiare senza mutare niente.

Ovviamente già nel ‘92 Maragliano trovava le colpe affermando che la scuola si era piegata su se stessa anche per via del fenomeno di un progressivo prevalere della logica degli interessi - in articolare degli insegnanti – su quella dei diritti. La cecità di queste critiche di banale fondamento sta nel non voler vedere una precisa volontà sociopolitica di conservare al massimo le condizioni esistenti togliendo forza agli attori delle riforme.

Se già gli adattamenti degli ultimi quindici anni hanno prodotto uno stato di terremoto perpetuo nella scuola elementare, allontanandola dai successi registrati nel passato, come possiamo immaginare una nuova destabilizzazione priva di reali necessità sociali, di una propria logica e di una specifica metodologia.?

Nel momento in cui Gentile pensò la sua Riforma non determinò tutto il contenuto muovendo dalla necessità di adattarlo ad un anno in più o in meno di scuola: L’istruzione Gentiliana non era meccanica bensì fondava su un’ interpretazione storicistica della cultura che implicava precisi rapporti consequenziali.

La nuova Riforma non appare altrettanto sviluppata in modo coerente, ma mostra già una rete di composizione in cui nuovo e vecchio vanno mescolandosi in modo quasi occasionale e manca di una riflessione più profonda . Sarebbe’ un’ esperienza educativa priva di originalità e priva di un indirizzo culturale e sociale : " non sappiamo se la società e la specie sono al servizio dell’individuo, se l’individuo e la società sono al servizio della specie, se la specie e l’individuo sono al servizio della società…" ("Il paradigma perduto", Edgar Morin)

Solo con un obiettivi chiari e condivisi sarà possibile adottare nuovi sistemi ma ognuno va dotato di una sua logica e di una sua metodologia.

Dobbiamo distinguere l’ipotesi dal progetto e dalle sue fasi sui vari piani:

Questo per evitare una confusione di risultati tra teoria e attuazione pratica come già è accaduto negli anni ‘70.

Devono essere ripensate : Le finalità, la modalità della progettazione educativa , una gestione più chiara delle funzioni e delle relazioni all’interno della scuola, un efficace funzionamento della continuità educativa, una strutturazione adeguata dei locali scolastici, una disponibilità economica per materiali e strumenti, una chiara definizione dei ruoli delle parti in causa dirigenza, docenti, famiglie/studenti, territorio, Asl ecc.

Se davvero dobbiamo parlare di cultura di rete, di sistemi di reti occorre ricordare chequesta è priva di dogmi , vive nell’ipotesi e ricerca risposte non opportunistiche, pronta a verificare l’errore e a sottoporsi a nuovi ripensamenti fuori da ogni inerzia e lontana da un adeguamento passivo.

Se davvero vogliamo togliere la scuola dall’isolamento (ormai una difesa di se stessa) dobbiamo rovesciare l’ipotesi di De Bartolomeis: se prima era impossibile mettere in relazione le chiare regole della comunità scolastica con lo scompiglio dei problemi sociali adesso è necessario dare ordine ai problemi della scuola per non amplificare lo scompiglio che già esiste nella società.

Se davvero vogliamo fornire un reale carattere unitario alla scuola di base, o meglio a quella dell’obbligo, sarebbe stato sufficiente attuare quanto previsto nelle disposizioni della Continuità Educativa rivisitando poi alcuni aspetti dei curricoli per snellirli, rendendoli meno ripetitivi e assegnando una più definita specificità alla scuola media togliendola dall’ombra della secondaria superiore.

Se davvero vogliamo riformare la scuola cominciamo a coinvolgere realmente i docenti in questi passaggi, prendendo atto dai recenti risultati presentati al Cnel (esito dell’Indagine Telecom Censis Istat) di un concezione nettamente individualistica del proprio lavoro dichiarata dai docenti intervistati.

L’assenza dei docenti nasce dalla presenza di una teoria che invece di essere frutto di una verifica si colloca al posto di un’ipotesi. A sua volta l’ipotesi - proprio perché mescolata con la teoria- non mostra capacità di gestione dei fatti reali e manca assolutamente di una concreta ricognizione dei dati esistenti.

Anche il Documento sui contenuti essenziali della scuola di base contiene aspetti criticabili e ne porto tre come esempio:

Privo di basi, privo di strumenti, privo di occasioni di reale dibattito, ancora con nette contraddizioni tra nuovo e vecchio, carente di una qualsiasi verifica il Riordino dei Cicli risulta difficilmente accettabile.

 

Aprile2000 Silvana Boccara