FEDERALISMO E DEVOLUZIONE

UNA “INTERVISTA REALE”  (2° parte)

 

 Abbiamo recentemente pubblicato in un’”Intervista virtuale” le parti salienti di un intervento su federalismo e devoluzione tenuto da Sergio Auriemma, Magistrato della Corte dei Conti, in occasione di un recente Seminario di Studi*.

Continuiamo, con questa “Intervista reale” a Carlo Marzuoli, Professore di Diritto Amministrativo alla Facoltà di giurisprudenza di Firenze, l’approfondimento sulle riforme costituzionali già avvenute (legge costituzionale n°3 del 2001) e le riforme progettate (disegno di legge n° 1187 Berlusconi-Bossi)**.

 

Intervista reale a Carlo Marzuoli

 

In un seminario sulle recenti riforme costituzionali, Sergio Auriemma ha più volte toccato il  “tema” del regionalismo differenziato,  che non nascerebbe con il disegno di legge Berlusconi-Bossi, ma sarebbe “già attualmente inserito nell’art. 116 della Costituzione riformata”. Potremmo avere la sua opinione in materia?

 

L’immagine che ricorre spesso sui giornali, che ci dà una vera e propria demonizzazione della modifica dell’art. 117, dal punto di vista tecnico-giuridico è  priva di fondamento. 

L'art. 117, nella versione risultante dalla modifica proposta,  solleva  una serie di questioni, e contiene alcune proposizioni singolari,  ma, in punto di ampiezza dell'autonomia regionale, almeno nella materia dell'istruzione, riproduce  tratti fondamentali già scritti  nella Costituzione vigente. 

Il testo del disegno di legge (d.d.l. n.1187) si limita a inserire, dopo il quarto comma,  il seguente: "Le Regioni attivano la competenza esclusiva per le seguenti materie": (….) "b) organizzazione scolastica,  gestione degli istituti scolastici e di formazione; c) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione; (….).”.

Il comma si aggiunge ai commi precedenti, non li sostituisce. Quindi, dire che con questa norma le regioni si appropriano delle norme generali sull’istruzione è affermazione di cui non riesco a verificare la realtà.  Le norme generali dell’istruzione, intese come la competenza volta a determinare le misure generali di uniformità del sistema nazionale di istruzione, sono di  competenza dello Stato, perché ciò è esplicitamente scritto nel precedente comma 2 dell'art. 117. Le  Regioni potranno solo determinare, nella parte che sarà stabilita nelle norme generali, la quota di programmi che saranno loro devoluti.

D'altra parte, questo potere regionale di determinazione di una quota dei curricoli, è già implicito   nel testo vigente dell'art.  117, ed è stato esplicitato  nel disegno di legge Moratti (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale).

Io ragiono in questo modo. L’istruzione è un’attività tecnicamente qualificata  e si deve svolgere in condizione di libertà. Però questo non significa che il potere politico non possa occuparsi di istruzione. Mi riferisco ai livelli dell’apprendimento, agli obiettivi generali del sistema:  alla fine è il potere politico, il Parlamento,   che,   pur con l’obbligo di acquisire tutte le necessarie valutazioni dei tecnici,  deve decidere (in parte) per che cosa deve investire il denaro pubblico. In un regime democratico non possono essere i tecnici.  Il problema è solo di equilibrio: la decisione politica non può penetrare oltre una certa soglia (non ne è materialmente, cioè tecnicamente, capace) e deve essere presa con cognizione di causa, ma, poi, se i pareri (tecnici) sono discordi o privi di certezza (come normalmente può accadere), è il politico che decide. Non saprei pensare ad altro.

Sennonché, una volta stabilito che nella materia dell’istruzione vi è uno  spazio per la politica pure in tema di curricoli,  allora perché mai si dovrebbe pregiudizialmente escludere che una parte possa essere attribuita alle Regioni? Le Regioni non  hanno forse potere politico legislativo come lo Stato?

Ma vi è un altro argomento, che è quello a cui probabilmente si riferisce il Consigliere Auriemma. 

L'art. 116 prevede che alle Regioni, con una certa procedura basata su un'intesa con lo Stato, possano essere fatte particolari condizioni di autonomia in relazione a certi oggetti, fra cui rientrano le norme generali sull'istruzione (si veda l'art. 116, c. 3, prima proposizione). 

Ora, una norma come questa, indipendentemente dal fatto che intese del genere siano o non siano stipulate, di per sé dimostra che la "materia" "norme generali sull'istruzione" non è dalla vigente Costituzione considerata di necessaria appartenenza statale. A questo punto, non vi è altro da aggiungere.

 

 

Il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili e dei principi fondamentali è tassativo per ogni regione sia che essa operi in regime di legislazione esclusiva che in regime di legislazione concorrente. Fermo restante il fatto che i primi sono in via di definizione, potrebbe darci qualche chiarificazione e qualche esempio relativi ai “principi fondamentali”?

Qual è, inoltre,  la differenza fra norme e principi?

 

1. E' forse opportuna un'avvertenza. Un medesimo fenomeno sostanziale può essere oggetto di più nozioni (o qualificazioni)  giuridiche.  Ad esempio, un certo fatto (il danno subito da un alunno)  può costituire un illecito civile, un illecito penale, un illecito disciplinare. Ancora: l'insegnamento costituisce esercizio di libertà, ma costituisce anche adempimento (per il docente) di un obbligo di servizio.  Non vi è da sorprendersi: è normale. Vi sarà solo da individuare i criteri  per stabilire, nei vari casi, quale sia la nozione volta a volta da applicare.

 

2. Il settore  in esame ne è immediata riprova.  Le nozioni con cui dobbiamo operare sono tre: i livelli essenziali delle prestazioni, le norme generali sull'istruzione, i principi fondamentali.

Alcuni fenomeni sostanziali, di per sé, potrebbero essere considerati come principi fondamentali o come livelli essenziali o come norme generali sull'istruzione. Ad esempio: potrebbero rientrare nei  principi fondamentali o invece nei livelli essenziali: gli standard sul numero di alunni di ogni  classe (o di  quella entità che, secondo i tecnici dell'istruzione, dovesse sostituire la classe), sul numero di prestazioni di istruzione per ambito territoriale, su aspetti quantitativi concernenti l'integrazione di soggetti svantaggiati (sotto vari profili), ecc.; potrebbero rientrare nei  principi fondamentali o invece nelle norme generali sull'istruzione: i tratti fondamentali della funzione docente, della libertà di insegnamento, dello statuto giuridico dei titolari della funzione docente, dei curricoli, dei  titoli di studio, del sistema di valutazione e di controllo, degli  esami, delle commissioni di esame con esterni, ecc.

In tutti questi casi, dinanzi alle possibili diverse qualificazioni (livello essenziale, norma generale sull'istruzione, principio fondamentale), il punto decisivo  è che prevale la qualificazione in termini di livello essenziale o di norma generale di istruzione. Infatti, se si dovesse dare priorità alla qualificazione in termini di principio fondamentale risulterebbe compromessa l'esigenza che ha indotto il legislatore costituente a configurare i livelli essenziali o le norme generali come  limiti  che  operano sempre.

Di conseguenza, prima occorre stabilire se una certa cosa può essere considerata e giuridicamente disciplinata come livello essenziale o norma generale sull'istruzione, e, poi, se la risposta è negativa, ci si deve chiedere se può essere configurata come principio fondamentale. 

In relazione ai livelli essenziali e alle norme generali sull'istruzione, i principi  fondamentali  hanno un ambito residuale, possono riguardare solo aspetti  ulteriori e differenti.

 

3.  Fermo quanto sopra precisato, e dunque negli spazi comunque lasciati liberi dai livelli essenziali e dalle norme generali sull'istruzione, si potrebbero considerare principi fondamentali: le funzioni degli  organi essenziali  dell'istituzione scolastica, i principi concernenti le procedure di partecipazione di genitori e di studenti, i principi e le forme organizzative di raccordo con i poteri pubblici locali e con la società territoriale di riferimento, i principi sulla gestione amministrativa e contabile, i principi sulle procedure di programmazione, i principi sulla distribuzione delle risorse,  i principi sulle  forme di tutela degli utenti interne al sistema dell'istruzione, ecc.

 

4. Norma e principio fondamentale.  La norma è una qualsiasi disposizione giuridica (prodotta da atti giuridicamente qualificati come  fonti del diritto: Costituzione, leggi,  regolamenti, Trattato dell'Unione europea,  Trattati comunitari,   regolamenti comunitari, direttive comunitarie, ecc.), indipendentemente dalle caratteristiche del suo contenuto sostanziale, che può essere generale o di dettaglio,  di rilevanza primaria o secondaria, ecc.

Il principio fondamentale, invece (nel contesto che interessa), costituisce un parametro di base per la regolamentazione di un certo oggetto (o materia), su cui deve essere misurata la coerenza di ogni ulteriore disciplina dell'oggetto (o della materia). Il principio fondamentale non deve esaurire la disciplina del settore, ma solo costituire il quadro unitario, che potrà essere specificato e completato con contenuti diversi, in attuazione delle  politiche regionali e degli interessi delle collettività regionali.  Ad esempio, per quanto riguarda l'istituto scolastico, può essere principio fondamentale quello di un'autonoma funzione per la gestione contabile-amministrativa,  mentre non lo è la puntuale disciplina dei compiti rientranti nella funzione ed i rapporti con gli altri organi dell'istituto. Ciò significa: a) che tale funzione dovrà essere mantenuta come funzione a sé; b) che la  disciplina adottata a livello regionale (in ipotesi), per quanto variabile,  non potrà giungere fino al punto da svuotare tale funzione. Oppure: è principio fondamentale il diritto di assemblea di genitori e studenti, mentre non lo sono tutte le possibili sue  modalità di realizzazione, ecc.

Un'ultima precisazione. Non vi è incompatibilità fra norma e principio fondamentale:  una norma può  o non può contenere un principio fondamentale. Sono le caratteristiche sostanziali del contenuto della norma a decidere se essa racchiude o non un principio fondamentale.

 

5. Il sistema è complesso, ma non più di tanti altri. D'altra parte è il riflesso, sul piano istituzionale, della complessità della nostra società ed in particolare  della necessità di garantire il più ampio sviluppo delle libertà e delle responsabilità individuali e collettive.  Il nuovo sistema offre l'occasione per migliorare, adeguare, modernizzare, valorizzare, ecc. (perfino per semplificare).

 

Esiste l’opportunità (secondo alcuni) o il pericolo (secondo altri) che i docenti diventino dipendenti regionali. Il  vicepremier Fini ritiene che il “passaggio”non sia  automatico, perché organizzazione significa legislazione sugli “organi” e i docenti non sono “organi”.

 

Mi limito, come ovvio,   al  profilo tecnico-giuridico. 

L'argomento secondo cui il docente non è un organo  (che peraltro esigerebbe alcune precisazioni) in ogni caso non risolve il problema, che deve essere invece  impostato in altro modo.

L'istruzione, a  Costituzione vigente, è materia di competenza regionale concorrente e dunque configura uno spazio con doppia attribuzione legislativa: allo Stato per i principi fondamentali, e alle Regioni per l'altra parte, salvi sempre i limiti delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali, dell'autonomia delle scuole, dei principi fondamentali.

Peraltro, la vita (la gestione, dall'inizio alla fine) di un rapporto di lavoro non riguarda la funzione legislativa, si pone invece sul piano delle funzioni di amministrazione. E, in tema di funzioni amministrative, l'art. 118 prevede che esse debbano essere attribuite ai Comuni, salvo che la necessità di assicurarne l'esercizio unitario imponga di attribuirle ad un ente di livello territoriale superiore (Provincia, Città Metropolitana, Regione, Stato).

Ora, per quanto riguarda il fenomeno complessivo della docenza e dei docenti, certamente vi sono esigenze unitarie, ma si riferiscono alla regolamentazione degli aspetti determinanti della funzione docente, della libertà di insegnamento, delle modalità (pubbliche, imparziali e concorsuali) di reclutamento. Questi profili  debbono essere regolati  in modo uniforme in tutta la Repubblica e   rientrano, a mio avviso (come ho detto prima),   nelle norme generali sull'istruzione di spettanza statale, in questa parte non regionalizzabili neppure con il meccanismo dell'intesa previsto dall'art. 116 Cost.

Ma la gestione del rapporto di lavoro e lo svolgimento del ruolo di datore di lavoro (procedere ad avviare un concorso per l'assunzione, pagare uno stipendio, provvedere ai trasferimenti, applicare una sanzione disciplinare, ecc.) sono altra cosa e non vedo esigenze unitarie tali da imporre la conservazione della  statualità del rapporto. 

Anzi. Il servizio dell'istruzione è tradizionalmente svolto in strutture decentrate rispetto all'Amministrazione statale,  oggi per di più costituite in enti autonomi (le istituzioni scolastiche); l'ente che ha  una competenza legislativa di tipo (in senso lato) attuativo è la regione  e da sempre (già con il precedente Titolo V) è pacifico  che le regioni abbiano personale proprio per esercitare le funzioni  relative a materie rientranti nella competenza legislativa concorrente:   insomma, non sembra esservi spazio perché continui ad essere lo Stato il datore di lavoro. Appare  invece coerente  con la nuova ripartizione delle funzioni che più non sia lo Stato.

Quello che merita maggiore attenzione è se il nuovo  datore di lavoro debba essere la regione o qualche altra amministrazione, ad esempio la stessa istituzione scolastica. In proposito, già ho espresso in altra sede il mio pensiero, nel senso che la dimensione regionale (la regione come datore di lavoro)  pare essere la prospettiva più adeguata per meglio garantire sia la mobilità del corpo docente che la stabilità del rapporto.

Ultima notazione. Un'ipotesi di regionalizzazione del rapporto di lavoro potrebbe, per un verso, giovare all'elasticità del sistema, e, per un altro, dovrebbe indurre (almeno in teoria) ad una migliore determinazione, a livello di legislazione statale (norme generali sull'istruzione), delle garanzie concernenti lo statuto giuridico della funzione docente e dei suoi titolari. Potremmo avere dunque esiti meritevoli di apprezzamento sia sull'uno che sull'altro versante.

 

a cura di Se. G.

 

* L’intervento è stato tenuto in occasione del Seminario di San Benedetto del Tronto “Enti locali e scuola” (5-6-7 dicembre 2002). Il testo, edito da Tecnodid per “Notizie della Scuola”, è stato distribuito ai partecipanti.

Sergio Auriemma collabora sistematicamente con la Casa Editrice Tecnodid.

 

** Abbiamo avuto modo di confrontarci con il Professore Carlo Marzuoli nel corso di un Seminario di Studi organizzato dalla Gilda di Firenze l’11 dicembre 2002 sul tema dello stato giuridico del docente. Il professore, che in quella sede aveva dato ai presenti  preziose chiarificazioni, ha accettato di strutturare in modo organico alcune parti del suo intervento.

Il risultato è questa “Intervista reale”,  per la quale lo ringraziamo.