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INDICAZIONI NAZIONALI E PROPOSTE DI POLITICA SCOLASTICA E PROFESSIONALE

 

La Gilda degli Insegnanti di Palermo, alla luce dei primi documenti di cornice e orientamento predisposti dal Ministro Fioroni e dalla Commissione ad acta da lui nominata e legati alla imminente stesura delle “Indicazioni Nazionali”, cui ha fatto seguito il comunicato della Direzione Nazionale del 20 Aprile 2007, formula contestualmente ulteriori, ancorché parziali, rilievi, anche sulla scorta di quelli già espressi dal Centro Studi Nazionale. 

         Il documento intitolato “Il curricolo nella scuola dell’autonomia” (di seguito “DOC”), al di là di ogni valutazione su singoli passaggi in esso contenuti, che possono produrre aperto dissenso o cauto consenso, desta più che fondate preoccupazioni e presenta elementi di forte contraddittorietà in  merito ad alcuni dei cardini su cui si regge il valore istituzionale della Scuola nel nostro Paese.

 

A. ALCUNE PREOCCUPAZIONI

1. Sul valore legale dei titoli di studio: “Una concezione non nozionistica del sapere è interessata non tanto a ciò che un alunno sa, ma a quello che sa fare e sa diventare con quello che sa (pag. 6 DOC, § 7,Promuovere le competenze essenziali”).

         Se un insegnante dovrà valutare ciò che un alunno “sa fare e sa diventare con quello che sa”, quale potere predittivo (“sa diventare”!) dovrà possedere o costruirsi un insegnante per valutare qui ed ora cosa “sappiano diventare” i propri alunni con quello che hanno imparato da lui (o insieme a lui)?

          Sorge il dubbio che, con questa visione della scuola e delle attività didattico-educative, si chieda agli insegnanti di divenire degli osservatori di comportamenti e di dover tenere conto nelle proprie valutazioni prevalentemente, se non esclusivamente, di essi, tralasciando del tutto, o significativamente, quelle sugli apprendimenti, affinché non li si possa accusare di possedere, professare e praticare una concezione nozionistica del sapere; si profilerebbe, cioè, una rinuncia a quello che dovrebbe essere il principale ruolo della Scuola: la trasmissione del sapere e la formazione culturale e umana dei cittadini attraverso la complessità dei processi di insegnamento-apprendimento.

         Quale valore legale potrà avere, allora, il titolo di studi acquisito, se esso è destinato a divenire mera certificazione della frequenza e della partecipazione alle attività predisposte per il curricolo personale ed individuale di un alunno, e, al limite, delle capacità relazionali acquisite?

2. Sulla libertà di insegnamento: quale posto potrà mantenere questo principio costituzionale (art. 33), se la concezione “comunitarista” della scuola formulata alla fine del documento, almeno nelle prime tre delle quattro enunciazioni con cui tale concezione viene declinata (“comunità di pratiche”, “comunità di dialogo”, “comunità di diversità”), ha già sancito che “le pratiche didattiche collaborative svolgono una insostituibile funzione sociale” (pagg. 8-9 DOC, § 9, “Crescere in una comunità di apprendimento”, punti a, b, c)? Se un insegnante operasse non applicando per nulla o in misura limitata “le pratiche didattiche collaborative”, considerato che esse, in “funzione sociale”, sono dichiarate “insostituibili”, commetterebbe illecito disciplinare? L’apprendimento collaborativo è senz’altro una metodologia didattica studiata, osservata, sperimentata, misurata e valutata, (ed è bene precisarlo, tra gli estensori di questo documento, i più, secondo necessità, fanno un uso frequente di questa metodologia), ma da questo a dire che esso svolga una “insostituibile funzione sociale” ne corre! E, detto per inciso, si vorrebbe sapere se il Ministero abbia anche previsto un Piano Nazionale di Formazione e Aggiornamento degli insegnanti, affinché essi possano entrare solidamente in possesso di tale metodologia!

 

B. ALCUNE CONTRADDIZIONI

1. Della prima, rilevantissima, si è già detto (A. 1), ma è bene ripeterla: “la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione educativa appartengono a tutti i docenti e rappresentano tratti essenziali della funzione docente” (pag. 8 DOC, § 8, “Orientamenti per l’azione didattica”): cosa si valuterà, se gli apprendimenti sono solo strumenti e non interessa il “sapere nozionistico” (dove, è bene chiarirlo, per nozione si intende “ciò che è noto”, ad uno studente, in termini di conoscenza disciplinare)? Quale responsabilità valutativa comporta la segnalazione della costruzione delle competenze, quando esse, nella massima parte dei casi, si manifestano in modo evidente solo dopo l’esperienza formativa scolastica? E quali competenze si possono costruire in uno studente, se esse non sono o non saranno più costruite sugli apprendimenti delle conoscenze e sui processi che realizzano tali apprendimenti? Non è ancora chiaro ai cosiddetti esperti che, ai fini della costruzione delle competenze, sono i medesimi processi di insegnamento e apprendimento ad avere una valenza formativa in sé e per sé?

 2. Altra contraddizione riguarda la difficoltà degli estensori del documento di distinguere e specificare quanto nelle indicazioni nazionali sia “prescrittivo” e quanto “di orientamento”, “nel rispetto dell’Autonomia delle Istituzioni Scolastiche”, (si rinvia alla lettura integrale dei paragrafi 3, 4 e 5 del documento. Per tutte, basti l’estrapolazione di questo passaggio:Indicare i processi di alfabetizzazione culturale comuni all’intero sistema scolastico italiano - in termini di conoscenze e di competenze - è compito del centro, cui compete stabilire i principali assi culturali del curricolo, le discipline che ad essi si riferiscono, le competenze da sviluppare. Spetta poi ad ogni istituzione scolastica meglio specificare gli obiettivi da raggiungere, eventualmente integrando la gamma degli insegnamenti proposti agli studenti, prestando particolare attenzione alle specificità del contesto di riferimento, alle attese e ai problemi che lo caratterizzano, alle risorse che si possono utilizzare”, (pag. 3 DOC. , § 4 “Tra istanze nazionali e istanze della comunità scolastica”), dove in quel “meglio specificare” sta tutta l’assurdità di questi surreali e improbabili “salti mortali” volti a conciliare l’inconciliabile: una “migliore specificazione” dell’obiettivo nazionale prescrittivo che si adegui “al contesto di riferimento, alle attese e ai problemi che lo caratterizzano, alle risorse che si possono utilizzare”, quanto potrà mantenere dell’originario obiettivo nazionale prescrittivo?

3. Una terza contraddizione riguarda la produzione della documentazione educativa: in cosa consiste la documentazione educativa da curare se “si vuole … riconsegnare tali pratiche alla dimensione pedagogica, sottraendole a quella burocratica ed amministrativa” (pag. 8 DOC, ibidem), quando a fronte di un ricorso avverso una eventuale “non promozione” (ma saranno ancora possibili i giudizi di “non promozione”?), sarebbe proprio quella documentazione - dall’esclusivo valore burocratico ed amministrativo - a fornire al “giudice” gli elementi di valutazione della correttezza e buona fede di azione di quegli insegnanti che l’avessero deliberata?

4. Una quarta contraddizione, al limite della burla: come si può “consentire un insegnamento individualizzato negli obiettivi da raggiungere ed un apprendimento personalizzato nei modi per conseguirli” (pag. 8 DOC, ibidem), se nelle nostre classi ci sono trenta e passa alunni o se, in caso di minor numero di alunni, la presenza di uno o più di uno studente portatore di handicap richiedono quelle dovute attenzioni che distolgono da tali individualizzazioni e personalizzazioni?

5. Un’ultima (ma qui si sono segnalate solo le più evidenti) contraddizione, già rilevata nel comunicato della DN: “L’asincronia degli interventi e la mancanza di raccordo tra i programmi dei diversi ordini di scuola rappresentano evidenti limiti, per di più aggravati dall’assenza di un effettivo collegamento ai programmi della scuola secondaria di II grado” (pag. 1 DOC, § 1. “La tradizione italiana dei Programmi per la scuola”). Innanzitutto, non si ravvisa il motivo per cui, in questo passaggio, non si sia sottolineato anche il collegamento con l’Università; inoltre, se dal contesto da cui è tratta la citazione è possibile evincere un tono di disappunto sulla mancanza di organicità con cui si sono attuati o si sono tentati di attuare i processi riformatori, come mai in questa occasione si continua ad agire con lo stesso metodo apparentemente deprecato?

Se le preoccupazioni sollevate (ma sono preoccupazioni solo per chi scrive o, in effetti, il valore legale del titolo di studi e la libertà di insegnamento non sono più per tutti norme e principi da tutelare?) e le contraddizioni emerse sono condivise (ma la loro evidenza non dovrebbe lasciar dubbi), ci pare che la causa di tutto ciò sia da rinvenire dallo smarrimento dei basilari elementi di buonsenso. Ecco perché, nelle successive proposte di metodo, di merito e di politiche professionali chiediamo ai nostri governanti di impostare le proprie scelte ed azioni politiche, ispirandosi principalmente al buonsenso, (che sembra ormai appartenere solo al passato, cfr. Mario Pirani, La carica dei 500 in nome della Falcucci, La Repubblica, 14.05.2007).

 

C. PROPOSTE DI METODO

1. Preliminarmente, chiediamo che negli interventi riformatori si adotti una tempistica più distesa che consenta il più ampio dibattito all’interno della cosiddetta società civile e che preveda il coinvolgimento, in primo luogo, degli insegnanti, i veri protagonisti di qualsivoglia  riforma da concepire, elaborare, definire, applicare, verificare, rivedere e valutare, in un continuo processo di ri-verifiche e ri-definizioni.

2. Riteniamo, poi, che si debba denunciare pubblicamente quanto tutte le “disquisizioni” in corso su “individualizzazioni” e “personalizzazioni” siano fuorvianti rispetto ai risvolti operativi del “fare scuola”, dal momento che ciascun insegnante ha di fronte, comunque e sempre, un alunno con le sue domande da porre (o, come sempre più frequentemente avviene, senza alcuna domanda –e di questo sì che ci si dovrebbe preoccupare!), con le sue ansie, con il suo bisogno di sentirsi rispettato (come persona o come individuo, poco importa), apprezzato (nel bene e nel male) e, se possibile, amato, come biologicamente avviene per tutti i “cuccioli” degli esseri viventi!

3. Riteniamo improcrastinabili degli interventi istituzionali volti alla responsabilizzazione di tutte le componenti (famiglie, studenti, amministrazione scolastica), affinché cessino i continui attacchi che si indirizzano nei confronti degli insegnanti, in una difesa ad oltranza degli studenti, al di là della ragionevole tolleranza e di ogni pedagogia di buonsenso. Farebbe bene il Ministro a indirizzare specifiche indicazioni anche a studenti e genitori per la valorizzazione dell’impegno scolastico!

4. Inoltre, ma per gli stessi effetti di moralizzazione della vita pubblica sarebbe bene dire “innanzitutto”, la si smetta di parlare di riforme se non si mette mano al portafoglio! E non si dica che i soldi non ci sono, perché si direbbe una bugia (si pensi agli sprechi di denaro pubblico e ai fenomeni di corruzione della pubblica amministrazione)

5. Infine, la si smetta di continuare a scaricare sulla Scuola e sugli Insegnanti responsabilità che in altri luoghi hanno la loro origine (crisi della famiglia e concezione del lavoro, consumismo, esaltazione dei disvalori…) e la si smetta di chiedere alla scuola di costruire orizzonti valoriali che sono poi smentiti a tutti i livelli nelle pratiche quotidiane.

 

D. PROPOSTE DI MERITO

Di seguito, quel che a nostro avviso non può mancare in un serio progetto di rivalorizzazione della Scuola. Serio in quanto all’efficacia (se veramente si intende perseguirla). Serio in quanto ispirato al buonsenso (se veramente esso è ancora un valore).

 

1.      1. meno alunni per classe per procedere agli interventi individuali e alla definizione dei curricoli personali (tradotto in soldoni, piano pluriennale di investimenti sulla Scuola e sugli Insegnanti);

2.       2. ripristino del ruolo funzionale (“trasmissione del sapere”) e costituzionale (luogo di promozione sociale e di pari opportunità) attribuito alla Scuola attraverso la stipulazione di un vero e proprio “patto sociale” tra insegnanti, genitori e politica: ai primi viene “attribuito e riconosciuto” il ruolo di professionisti dell’istruzione (vale a dire di specialisti di quel livello dell’educazione che si realizza attraverso l’istruzione); ai secondi compete una “partecipazione collaborativa”, concentrata sulla genitorialità (che a Scuola si manifesta come ricerca del benessere culturale dei propri figli, e non come ruolo di difesa ad oltranza e d’ufficio di ogni loro atteggiamento o condotta) e sulla cittadinanza (intesa come diritto di vigilare sul fatto che i contesti scolastici abbiano tutte le caratteristiche qualitative di strutture, di condizioni ambientali, di rispetto delle norme di efficienza dei servizi etc, che lo Stato è tenuto a  garantire a tutti i cittadini); alla politica, infine, e agli stessi Insegnanti (Consiglio Superiore della Docenza e Codice Deontologico), la responsabilità di garantire che il “patto sociale” sia sempre rispettato;

3.       3.  riconsiderazione del ruolo e del valore delle conoscenze: il sapere “nozionistico” finalizzato alla costruzione delle competenze è sempre e comunque il primo da certificare; le competenze sono da auspicare, ma con la serena consapevolezza, dettata dal sano realismo, che la loro consistenza sarà variabile da soggetto a soggetto, anche in presenza del medesimo impegno per la loro acquisizione da parte di tutti. Dunque, la certificazione delle conoscenze resta, comunque, il più “democratico” dei sistemi di valutazione, data la misurabilità dell’oggetto stesso della valutazione;

4.       4.  ritorno al “buonsenso pedagogico”, in cui l’amorevolezza e il rispetto dovuto a ciascuno studente non sfocino in tolleranza e permissivismo (ritorno all’osservanza delle regole di “comportamento” nel rispetto di sé, degli altri, delle cose e dei contesti, nella nostra fattispecie, di quello scolastico);

5.      5. rivalutazione della fatica e dell’impegno quali strumenti di crescita psicologica e affettiva in tutte le fasi dello sviluppo, fermo restando l’obiettivo condiviso di realizzare contesti e atmosfere di serenità in ambito scolastico;

6.     6. riconsiderazione, in senso formativo, della positività delle “non promozioni” in funzione di una più solida crescita umana e culturale dello studente.

 

E. PROPOSTE DI POLITICA PROFESSIONALE

Un serio (e si è già spiegato in che senso) progetto di riforma della scuola non può chiudere gli occhi su alcune questioni di politica professionale volte a rivalutare la “figura” e il ruolo dell’Insegnante, affinché riacquisti il giusto rispetto sociale, primariamente da parte di alunni e famiglie. E ciò, al di là delle dichiarazioni di principio, non può che  passare anche da un riconoscimento in termini economici che ne sottolinei l’importantissima funzione sociale su cui l’intero Paese deve essere chiamato ai necessari investimenti.

 

1. istituzione dell’area di contrattazione separata degli Insegnanti  quale strumento insostituibile di una vera riforma della scuola e della professione (ammesso e non concesso che essa vada riformata e non piuttosto, come ci parrebbe opportuno si pensasse, “formata e aggiornata” costantemente e, una buona volta, con modalità adeguate);

2. istituzione del Consiglio Superiore della Docenza;

3. istituzione di uno specifico Albo Professionale degli Insegnanti, per cui si tenga conto della particolare fisionomia professionale di pubblico dipendente;

4. elaborazione del Codice Deontologico Professionale

Gli ultimi tre strumenti sono tutti volti alla piena definizione di un’identità della professione e potrebbero anche essere propedeutici al raggiungimento del punto 1, qualora le altre forze sindacali dovessero persistere ad ostacolarne la realizzazione.

 
 
14 giugno 2007

Gilda degli Insegnanti di Palermo