Il testo
unificato sugli OOCC predisposto dall’Onorevole Giovanna Bianchi Clerici e
adottato dalla VII Commissione della Camera (15/12/04), si presenta come un
testo relativamente innocente. Abbandonata la tentazione dell’assemblearismo
esasperato, come quella del dirigismo, esso sembra dettato dalla volontà
politica di aggiungere un altro tassello al disegno globale di riforma,
piuttosto che dalla preoccupazione di rendere efficacemente operativa quell’autonomia
additata dai più come unica panacea dei mali della scuola.
Innocente, dicevamo. Ma non troppo. Esaminiamolo in alcuni suoi punti
essenziali, seguendo la traccia di alcuni enunciati.
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La
nuova proposta non prende atto del fallimento degli organi collegiali e
ripropone il modello esistente della ‘commistione partecipativa’
Nulla appare cambiato
nella concezione del governo della scuola. Il modello in vigore dal 1974, che
vede la presenza di genitori e studenti negli organi della scuola con potere
decisionale - si parla in questo caso di “partecipazione organica” - non
viene messo in discussione.
Si consideri che questo
modello, adottato dapprima con grande entusiasmo, ha gradualmente mostrato i
suoi limiti, producendo una disaffezione che è da tempo sotto gli occhi di
tutti.
Sorretto
dall’imperante ideologia partecipativa post sessantottina, esso è sopravissuto
anche in forte odore di incostituzionalità, poiché un’amministrazione
pubblica, responsabile cioè di fronte a tutti i cittadini, conferendo la
titolarità dei suoi organi ad una parte di essi – per lo più, nello specifico,
contro-interessata – cessa di fatto di operare nell’interesse di tutti. E
perde così il suo carattere pubblico.
Questa
‘lettura’ della Costituzione (1) non conduce all’estromissione dalla scuola
di genitori e studenti, ma alla loro riconduzione ad un ruolo di
partecipazione non organica, non interna cioè agli organi di governo.
Genitori e studenti con organi propri, con rappresentanti propri eletti che
cessino di operare come singoli (in nome di chi? e di che cosa? e per
rispondere a chi? e di che cosa?) e che si facciano responsabilmente
portavoce dei loro punti di vista e delle loro esigenze.
Esigenze e punti di
vista che potrebbero essere ‘portati’ all’amministrazione tramite la figura di
un garante – delle famiglie, degli allievi - consultato dall’organo
dell’amministrazione laddove e allorquando si delineano decisioni per le quali
risulta necessaria la consultazione.
Questo
passaggio opererebbe quella distinzione dei ruoli e delle responsabilità che
risulta necessaria in ogni amministrazione che voglia essere, come si suol
dire ora, “efficace ed efficiente”.
Se questo
pare ovvio ai più anche a fronte della farsa che vede in campo a parità di
titolo chi ha specifiche competenze e chi non le ha (si pensi al rito annuale
della scelta dei libri di testo), c’è da chiedersi perché non appaia
altrettanto ovvio ai legislatori attuali, ormai lontani dagli epigoni del
sessantotto.
Due sono,
a nostro avviso, le ragioni.
La prima
si può ravvisare nel passaggio che la riforma del Titolo V della Costituzione
pare giustificare a molti: ci riferiamo a quello dalla cosiddetta
“cittadinanza statalista” alla “cittadinanza societaria”, il cui fine ultimo
sarebbe la trasformazione dello Stato in “organismo al servizio delle
autonomie dei soggetti sociali, individuali e collettivi” dei quali vengono
riconosciuti i diritti originari (2). La seconda sta nella trasformazione
della natura della scuola. In passato si considerava che la scuola avesse il
compito primario di istruire e che l’educazione-formazione passasse attraverso
la trasmissione delle conoscenze. Ora si delinea, sia pure in modo ancora
sfumato, una sorta di dicotomia: da un lato sta la formazione-educazione (vedi
le Educazioni alla convivenza civile introdotte dalla riforma nella
scuola secondaria di 1° grado), che resta in carico ai docenti, chiamati non
tanto a trasmettere conoscenze specifiche quanto a sistematizzare la mole
d’informazioni che proviene dall’extra-scuola, dall’altro stanno le conoscenze
specifiche – soprattutto professionalizzanti – affidate… a non docenti
all’interno della scuola stessa!
Il primo
processo – il riconoscimento, in primis, dei diritti dei “composti
sociali” (“rappresentati dal lavoro, dalla famiglia, dalla con-fessione
religiosa nelle diverse comunità ecclesiali, dalla libera associazione in
gruppi, dal gruppo assistenziale, dalla cooperazione comunitaria e della
mutualità, dai partiti politici, dalle autonomie locali,… dalla comunità
scolastica composta da allievi, genitori, docenti…”) (3) sfocia nella
esaltazione della presenza organica nella scuola della cosiddetta utenza.
Cosa che avviene nel testo unificato conferendo al genitore, che manterrà la
presidenza del Consiglio d’Istituto denominato Consiglio della scuola, poteri
maggiori di quelli detenuti in passato: il presidente-genitore “convoca il
Consiglio e ne fissa l’ordine del giorno”.
Il
secondo conduce alla presenza organica (con potere di voto e diritto, dunque,
decisionale) all’interno del Collegio di non docenti – appunto - liberi
professionisti, dipendenti dalle industrie o da altre amministrazioni: i
cosiddetti esperti introdotti dalla Legge 53 di riforma della scuola.
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La
nuova proposta amplia le competenze del Consiglio, sovrapponendole a quelle
del Collegio e creando i presupposti per un contenzioso senza fine
Questa la definizione
delle attribuzioni che la proposta unificata avanza rispettivamente per il
Consiglio della scuola ed il Collegio dei Docenti:
“Il
Consiglio della scuola ha compiti di indirizzo e programmazione delle
attività dell’istituzione scolastica, nel rispetto delle scelte didattiche
definite dal Collegio dei docenti e nei limiti delle disponibilità di
bilancio”;
“Il
Collegio dei docenti ha compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento e
monitoraggio delle attività didattiche ed educative. Esso provvede, in
particolare, alla elaborazione, secondo i principi di cui all’art. 1, comma 5,
del piano dell’offerta formativa, comprensivo delle attività educative e
didattiche, sia obbligatorie che facoltative-opzionali, sulla base dell’orario
per esse previsto dalle norme emanate in attuazione della legge 28 marzo 2003,
n° 53”.
Si può
notare facilmente come vengano attribuiti al Consiglio compiti più estesi di
quelli che aveva in passato o che venivano previsti in precedenti proposte di
legge. Esso assume infatti compiti di indirizzo e di programmazione
delle attività dell’istituzione: compiti analoghi a quelli che il
Collegio assume per le attività didattiche ed educative. Di quali
attività si dovrebbe occupare il Consiglio, considerato che tutte le attività
dovrebbero - in una scuola - avere finalità didattiche ed educative? C’è
materia per cominciare fin d’ora a discutere; ci sono i presupposti per una
progressiva erosione – o, se preferiamo – un ‘congelamento’ del Collegio.
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La
nuova proposta enfatizza l’aspetto gestionale-amministrativo e marginalizza
la didattica e la docenza
Il Dpr. 275 del 1999,
ovvero il Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche,
emanato in applicazione della Legge Bassanini, potenzia il livello di scuola,
conferendole autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione
e sviluppo. Autonomia didattica, in primis, cosa che inevitabilmente
chiama in campo i docenti, le loro competenze specifiche, la loro
progettualità.
Vulnus della
scuola autonoma è il Piano dell’offerta formativa, elaborato dal Collegio dei
docenti “tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e
dalle associazioni anche di fatto dei genitori e, per le scuole secondarie
superiori, degli studenti” (art. 3, comma 3).
Dal decreto si evincono
due fatti: primo che l’autonomia delle scuole è soprattutto autonomia
didattica, secondo che la presenza di genitori e studenti è vista soprattutto
come presenza organizzata in organismi ed associazioni autonome, nella logica
partecipativa non organica alla quale facevamo riferimento prima (ripetiamo:
genitori e studenti si esprimono all’interno di organismi loro, eleggono loro
rappresentanti, si pongono in relazione con gli organismi di governo
dell’amministrazione).
Poco chiaro risulta,
partendo dai presupposti legislativi a cui abbiamo fatto cenno, come il
Consiglio di Scuola possa prevedere una presenza docente percentualmente più
bassa dell’attuale, la pariteticità dei docenti con i genitori (4/4) o con
genitori-studenti nella scuola secondaria di 2° grado (4/ 2+2). Ancor
meno chiare appaiono le motivazioni che inducono non tanto a fare del
direttore dei servizi generali e amministrativi un membro di diritto, quanto a
conferirgli diritto di voto per tutte le delibere, fatta eccezione per quelle
relative al bilancio e al conto consuntivo.
Gli obiettivi indicati
dalla Bassanini indicherebbero la via di una valorizzazione della docenza e
della didattica, con una autonomia organizzativa posta ad ancella. Sembra
invece quest’ultima a godere della priorità con una soluzione peraltro
pasticciata, poiché appare poco probabile che l’efficienza posa trarre
giovamento dalla valorizzazione di un membro (genitore-presidente che, come
dicevamo, convoca il Consiglio e decide l’ordine del giorno) necessariamente
non esperto o, comunque, non inserito nelle problematiche
dell’Amministrazione.
Né si considera che
questo maldestro tentativo di rafforzare la funzione amministrativo-gestionale
del Consiglio debba essere bilanciato da un maggiore peso della docenza
all’interno del Collegio, per il quale urge pensare ad un docente
Preside elettivo, che colmi l’inevitabile vuoto creato dallo spostamento
della dirigenza sul versante gestionale (cosa che renderebbe peraltro
possibile la figura del dirigente territoriale).
·
La nuova proposta mortifica la
funzione valutatrice docente e formalizza definitivamente la scomparsa della
valutazione degli allievi come “cosa pubblica”
Il testo unificato
contempla la sparizione del Consiglio di classe. Al suo posto devono essere
previsti “organi di valutazione collegiale degli alunni” strutturati “secondo
modalità organizzative coerenti con i percorsi formativi degli alunni…
indicate dal regolamento della scuola”.
Tutto ciò è evidentemente
coerente con la personalizzazione dei percorsi: poiché ogni allievo ha un
proprio percorso, determinato dalle scelte che opera nell’ambito del ventaglio
delle attività facoltative-opzionali, nonché dagli itinerari che egli segue
all’interno del sistema d’istruzione e d’istruzione formazione, il Consiglio
di classe non ha molto semplicemente più ragione di essere.
Questo passaggio è ben
lungi dall’essere puramente formale. La presenza di un organo definito
centralmente era coerente con la natura “pubblica” della scuola e con la
concezione del docente come mandatario di una funzione “pubblica”. In altre
parole: il docente valutava in nome e per conto dello Stato secondo modalità
definite a livello centrale. Ed i risultati dovevano essere resi pubblici.
Analogamente lo studente rendeva conto al mondo esterno del lavoro svolto o
non svolto. E, nel confronto, valutava anche se stesso. Questo era il senso
della pubblicazione dei tabelloni dei voti. Senso che si è andato appannando
dal momento in cui i tabelloni hanno iniziato a comunicare valutazioni non
reali (6 che nascondono in realtà dei 5, dei 4, dei 3), e in cui si è
gradualmente insinuata l’idea che la valutazione non sia “cosa pubblica” ma
“cosa privata”.
Questo passaggio – dalla
valutazione come “cosa pubblica” alla valutazione come “cosa privata”, di
fatto già avvenuto - sarà completato dal passaggio verso organi (?) di
valutazione diversi da scuola a scuola, e diversificati nelle loro
componenti.
Se la definizione
degli organi valutativi non avverrà a livello centrale e non contemplerà che
alla valutazione siano deputati unicamente i docenti (e, mai, i non-docenti
esterni) la mortificazione della funzione docente – e con essa della natura
pubblica della scuola – sarà totale e irreversibile a breve.
Né si può pensare che
questa funzione venga recuperata dal novello Invalsi che avvierà in
modo sistematico la valutazione su tutte le scuole del sistema paritario. Si
tratterà infatti di una valutazione burocratica, estranea ai docenti, e
mirante unicamente ad attestare il raggiungimento di livelli minimi. L’impatto
che essa avrà non sarà tanto sui singoli (il singolo si può confrontare solo
altro con altro singolo a lui “omogeneo” e vicino) quanto sulle scuole, come
ci dimostra l’esperienza anglosassone.
·
La nuova proposta conferisce
maggiore autonomia professionale alle scuole pubbliche private che alle scuole
pubbliche statali
Poiché la
nuova proposta rientra fra le norme generali sull’istruzione (sulle quali lo
Stato ha la legislazione esclusiva – art. 117 della Costituzione riformata),
essa si intende valida per tutte le istituzioni scolastiche, ivi comprese
quelle che, a seguito della riforma, dovessero definitivamente passare alle
regioni. Essa è inoltre vincolante per le scuole pubbliche statali e le scuole
pubbliche private.
Si rileva
però una differenza significativa: mentre nelle scuole pubbliche statali o
regionali il presidente del Consiglio di Scuola è un genitore, nelle scuole
pubbliche private il presidente è il rappresentante dell’ente gestore o
persona dal medesimo delegata.
Ora, le
conseguenze di una scelta legislativa abbastanza ovvia nelle motivazioni (si
può forse pensare di imporre ad una scuola privata un presidente esterno?)
vanno capite nelle loro conseguenze.
Già
nell’ambito di un’indagine sulla sperimentazione della riforma condotta da
Professione Docente (www.professionedocente.it
- allegato al n° di settembre 2003) sia nelle scuole pubbliche statali che
nelle scuole pubbliche private, avevamo avuto modo di notare come la funzione
docente mantenesse più spessore e maggiore autonomia professionale nella
scuola pubblica privata che in quella pubblica statale. La linea di tendenza
che fa dei docenti della scuola statale i precettori al servizio delle
famiglie, si spezza quando si passa alla scuola privata. La scuola privata
chiede infatti ai genitori, che hanno liberamente operato una scelta di campo
iniziale, di accettare il progetto che la scuola propone e di concorrere alla
realizzazione di esso. Non sono quindi i genitori che dicono ai docenti che
cosa fare (come sta avvenendo nella scuola pubblica), ma i docenti che dicono
ai genitori come porsi per attuare il progetto educativo inizialmente
accettato.
Questa
divergenza tenderà ad accentuarsi nel momento in cui la scuola pubblica si
porrà ancor maggiormente in condizione di ancella dell’utenza (pensiamo a
quello che succederà quando i genitori cominceranno a partecipare
concretamente alla stesura del portfolio), mentre la scuola
privata conserverà e rafforzerà la propria autonomia progettuale.
-
La
nuova proposta accentua la logica attuale, estendendo il modello della
‘commistione partecipativa’ anche agli organismi di valutazione
Come
abbiamo rilevato all’inizio, il vero punto di criticità degli attuali OOCC,
per nulla smentito dalla proposta ora in discussione, consiste nel fatto che
gli organi di governo hanno al loro interno dei contro-interessati: famiglie e
studenti che hanno interessi corporativi che possono confliggere con
l’interesse pubblico. L’interesse dell’allievo e quasi sempre anche della
famiglia, ad esempio, è quello di portare a casa il diploma, ovvero il
cosiddetto pezzo di carta, per quanto svalutato esso possa essere; l’interesse
della società è – o dovrebbe essere – quello di dare diplomi che certifichino
una preparazione reale. Nel conflitto di interessi prevale – stante
l’equilibrio attuale ed ancor più quello futuro – la tendenza a dare
soddisfazione immediata. Cosa che conduce ad una scuola che si pone già a
monte nelle condizioni di dare questa soddisfazione, con conseguente
inevitabile parametrazione della richiesta sui livelli bassi o bassissimi o,
addirittura, come sta avvenendo, modificazione della richiesta stessa: da
richiesta di appropriazione di contenuti culturali a richiesta di
acquisizione di una generale strumentazione personale, atta da un lato a
permettere la sopravvivenza in una società complessa, e dall’altro a favorire
l’adesione al modello culturale dominante.
Un
modello partecipativo che si rileva primariamente inefficiente, appare – ad
un’analisi più attenta – decisamente dannoso e tale da alterare
definitivamente la natura della scuola.
Ora, lo
stesso modello in cui interessati e contro-interessati convivono, viene
applicato anche agli organismi di valutazione dei docenti e della scuola.
Facciamo riferimento al Comitato per la valutazione del servizio dei docenti
(il vecchio Comitato di valutazione eletto da tutti i docenti, quindi anche da
color che devono essere giudicati e che eleggono così i loro giudici) e al
nuovo Nucleo di valutazione del funzionamento dell’Istituto chiamato a
valutare l’efficacia e l’efficienza del servizio e di cui fanno parte il
dirigente scolastico che lo presiede, un genitore ed un docente.
Dunque: i
docenti giudicano – sia pure per via indiretta se stessi; il dirigente valuta
l’andamento della scuola di cui è responsabile.
Davvero
si può pensare che la valutazione sia possibile senza un organismo
tecnico-professionale indipendente?
E davvero si può pensare
che tutto questo possa essere innocente? Tradursi cioè soltanto in un
teatrino burocratico in cui tutt’al più ci sarà una gran perdita di tempo per
mettere a posto le cose?
La
valutazione burocratica della scuola – in particolare se esercitata dal
dirigente - non potrà non avere conseguenze sulla natura della docenza, non
potrà cioè non orientare principalmente verso l’appeal dei servizi ed
il successo formativo formale.
Non potrà
cioè, ancora una volta, non alterare la natura, il senso e le finalità della
scuola.
E la
mortificazione della funzione docente andrà di pari passo.
-
Si veda: Carlo Marzuoli, Istruzione e
servizio pubblico, Il Mulino, Bologna 2003
-
Giuseppe Bertagna, L’autonomia delle
scuole tra educazione, cultura e società, in “L’autonomia delle scuole”,
La Scuola, Brescia 1997, pag. 243
-
Ibidem,
pag. 238
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