Le
esternazioni ferragostane del neo ministro Moratti in merito al
“superamento” del monopolio statale dell’istruzione hanno destato non poco
sconcerto e – fondate – preoccupazioni in gran parte del mondo scolastico
nostrano.
Scontati
gli apprezzamenti del mondo
cattolico e la “levata di scudi” dei gruppi più radicali del
centro-sinistra in un contesto socio-politico che rischia di trasformare il
dibattito in una “rissa” ideologica.
Scopo
di questa nota è quello di formulare – nella maniera più chiara possibile
– le mie, personali, perplessità sul modello scolastico fin qui abbozzato
dall’esecutivo di centro-destra (sul “solco” – è opportuno rammentarlo
– già scavato dal centro-sinistra) in modo particolare per quanto attiene la
parità scolastica e la “concorrenza” scuola pubblica/privata.
***
In
primo luogo ritengo necessario manifestare riserve e critiche nei confronti di
un modello culturale e di un quadro normativo (già esplicitato e, in gran
parte, realizzato da Berlinguer e dal centro-sinistra) orientato soprattutto
verso l’acquisizione di abilità, competenze e saperi “verificabili” e
“misurabili”, in funzione di una scuola
progettata in previsione della competizione sociale ed economica
generalizzata anziché porre al centro delle sue attenzioni la formazione
umana e culturale della persona, la visione di una democrazia pluralista,
multietnica e positiva, finalizzata al bene comune e non vista come una
semplice composizione di istanze, culture ed esigenze diverse. La stessa cultura
imprenditoriale – a ben vedere – ritiene sempre più importante la
formazione umana in quanto tale piuttosto che l’acquisizione di specifiche
abilità e competenze avulse dal contesto socio-economico “globale” di
riferimento. E’ opinione diffusa che chi è umanamente e culturalmente
“maturo” non avrà problemi ad impadronirsi delle tecniche necessarie alla
risoluzione dei problemi con cui dovrà misurarsi.
Eppure,
l’assillo del “prodotto” scolastico, l’esigenza (divenuto diritto) al
“successo formativo” dello studente, l’obiettivo della prestazione
ottimale (la “performance”, il “top”…), la rappresentazione
economicistica del lavoro docente (in termini di diplomati/laureati
“sfornati” dalle scuole/aziende), la rimodulazione (che alcuni sindacati
chiamano, senza pudore, riconversione) professionale standardizzata degli
“operatori” scolastici, l’impegno ossessivo a favore dell’efficacia e
dell’efficienza (due espressioni ormai immancabili in qualsiasi documento
ministeriale, sindacale e … giornalistico!!) talvolta danno l’impressione
che qualcuno “lassù” consideri la mente umana alla stregua di una macchina,
di un computer, il cui valore (e potenzialità) può essere stimato in funzione
della memoria e della quantità di funzioni che è in grado di svolgere. Ai
docenti – sempre più impiegatizzati - si chiede sempre di più in termini
di quantità (sulla prestazione oraria, ad esempio) a discapito sia della
qualità del servizio sia di diritti soggettivi costituzionalmente garantiti (si
veda, per questo aspetto, l’incredibile nota scritta da un gruppo di genitori
che hanno ottenuto da un dirigente - timoroso di perdere i “clienti” - la
rimozione di una insegnante “colpevole” di maternità pubblicata nel Forum
Mobbing del sito GILDA all’indirizzo: www.gildains.it) e – nella scuola –
si fa sempre più strada la manipolazione pubblicitaria. Il che comporta – di
conseguenza – l’elaborazione di strategie di marketing scolastico
(CEPU docet!!) finalizzate ad
attrarre, coinvolgere e soddisfare il cliente/studente.
Dario
Generali* ha mirabilmente
sintetizzato questo aspetto riportando un efficace esempio di customer
satisfaction realizzato negli Stati Uniti.
Nell’opera
già citata l’Autore cita l’esempio dei magazzini Nordstrom che hanno
fondato la propria strategia di penetrazione economica creando un’immagine
della propria organizzazione commerciale nella quale si garantisce a priori al
cliente – in caso di reclamo - di “avere sempre ragione” anche quando…. ha
chiaramente torto. E cita – a sostegno di questa tesi – due esempi
clamorosi: il primo si riferisce al rimborso di un cliente che lamentava di aver
acquistato pneumatici risultati usati e lisci e ciò nonostante il fatto che i
magazzini Nordstrom ….non hanno mai venduto pneumatici per auto!! Il secondo
episodio – filmato dalle telecamere con, ovvia, “ricaduta” pubblicitaria
– si riferisce al rimborso di un capo d’abbigliamento acquistato altrove.
Non credo sia necessaria molta immaginazione per ipotizzare quello che potrebbe
accadere nella scuola se dovesse prevalere il modello “americano”. Le
“imprese” scolastiche dello stivale si adeguerebbero immediatamente alle
richieste – anche quelle più astruse - dei clienti (almeno una volta, in
Italia, questo è già accaduto!! Basta leggere – per credere – il Forum
Mobbing del sito GILDA già citato).
E la cultura diventerebbe una “merce” sottoposta alle medesime regole
del mercato.
Questo
aspetto socio-economico è stato mirabilmente affrontato da Jeremy Rifkin**
che rileva – a mio avviso con argomenti validi – come i professionisti del
marketing siano alla ricerca di significati culturali per trasformarli in
esperienze mercificate utilizzando lo strumento delle sponsorizzazioni delle
iniziative sociali e culturali. Cosa che genera un enorme potere delle
multinazionali della comunicazione, che controllano sia le reti
di comunicazione che i contenuti. I “nuovi guardiani della cultura”
(secondo il Rifkin) regolano l’accesso ai giornali, al palinsesto della TV,
all’industria editoriale, al mercato dell’arte. Viaggi e turismo globale,
parchi e città a tema, centri specializzati per il divertimento e il benessere,
moda e ristorazione, sport professionistico, gioco d’azzardo, musica, cinema e
televisione, oltre che il mondo virtuale del ciberspazio e
dell’intrattenimento elettronico stanno diventando il nucleo di un nuovo
ipercapitalismo fondato sull’accesso a beni culturali. Arti,
feste, sagre, movimenti sociali, pratiche spirituali, impegno civile vengono
trasformati in intrattenimento individuale a pagamento. Le trasformazioni
socio-culturali descritte nell’opera rifkiana presentano analogie con quelle
legate alla nascita del capitalismo commerciale e industriale e la loro –
intrinseca - radicalità mette in discussione gli aspetti costitutivi
dell’assetto sociale ed economico precedente e risulta difficilmente
comprensibile con gli strumenti di analisi consolidati e, finora, conosciuti.
Contro questa logica economicistica e disumanizzante propria dell’era
dell’accesso il Rifkin propone una “nuova missione” (così la
definisce) per la scuola il cui fine è quello di preparare gli studenti a
“un’economia globale basata sulle reti e alle realtà virtuali del
ciberspazio, senza, con ciò, sacrificare la loro capacità di partecipare ad
una cultura più ampia.” E – citando l’esempio della civil education
americana - rammenta che l’educazione (…)”deve alimentare la
fiducia sociale e l’empatia (..) promuovere rapporti di intimità con gli
altri e con le altre creature (…) Poiché (…) le abilità richieste dal
mondo del lavoro sono secondarie e derivate dalle capacità richieste dalla
società, proprio come i mercati sono secondari e derivati dalla cultura; per
quanto importanti, non devono prendere il sopravvento a spese della civil
education, di cui possono essere un necessario complemento (…)” (Jeremy
Rifkin op. citata pagg. 336/339).
Il
Rifkin – in ultima analisi - ribadisce,
con forza, il primato (ed il valore!) della cultura sul mercato, del rapporto
umano sul “business”, della conoscenza empirica e spirituale sul …
possesso materiale della “merce”. Anche di quella particolare – nell’era
dell’accesso – forma di “merce” nota come … cultura.
***
“Uno
dei grandi temi della nostra epoca è la ricerca di omogeneità, la voglia di
stare tra i propri simili, tra coloro che ci assomigliano di più da tutti i
punti di vista. Una delle grandi forze della democrazia (e della scuola –
aggiungo io – nota di gp), invece, è consistita nel far sì che gente
diversa – dal punto di vista etnico, religioso o politico – potesse vivere
insieme e sottoscrivere valori comuni. Se tutti vivessimo in comunità locali
cementate da omogeneità etnica, il nostro sarebbe senza dubbio un mondo
abbastanza orribile; non fosse altro perché la pulizia etnica non è mai
completa”(…). Le parole di Ralf Dahrendorf*** mi riconducono –
ancora una volta - al ragionamento di Dario Generali citato in precedenza.
Se
la logica scolastica è quella della “competizione” (e del profitto!!) tra
aziende erogatrici del medesimo “servizio” essa non può che essere
quella dell’impresa privata che è sempre finalizzata ad un unico obiettivo: soddisfare
il maggior numero di clienti, facendone proprie, anche, le esigenze. La
“devolution” regionale in materia scolastica richiesta, a gran voce,
dall’esecutivo di centro-destra costituirebbe, in questo caso, il
“grimaldello” giuridico per formulare una legislazione finalizzata ad
impedire – o a limitare fortemente – l’accesso a soggetti e gruppi sociali
non graditi. Oppure potrebbe conservare una “parvenza” di imparzialità
consentendo – in linea teorica – l’accesso a tutti ma rendendo
difficoltosa, onerosa e spiacevole l’iscrizione e la frequenza in un,
determinato, istituto ai gruppi indesiderati al fine di provocarne
l’allontanamento spontaneo. Oppure -
come rammenta, a pag. 14, dell’opera già citata
Dario Generali – qualora ci si accorgesse che – in qualche regione
del nord – i bisogni latenti di qualche potenziale cliente fossero quelli di
non avere insegnanti meridionali promuovere una legislazione “ad hoc” che
consenta la “soddisfazione” del cliente nella logica della customer
satisfaction. Ovvero dell’accoglimento – sempre e comunque – delle
richieste/pretese del cliente/studente/genitore.
Tutto
questo – è evidente - non solo è l’esatto contrario della logica dell’interesse
pubblico (che è finalizzato alla fornitura di un servizio scolastico
moderno ed efficiente per tutti i cittadini e non adattato -
a livello locale - alle esigenze della…maggioranza) ma costituisce alla
creazione di quel preoccupante fenomeno che Ralf Dahrendorf chiama “glocalizzazione”
che (…)”non è localismo in senso stretto, ma piuttosto regionalismo,
che io trovo particolarmente indesiderabile perché presenta una sfida più
insidiosa ai valori dell’ordine liberale” (…) poiché
“…. Le comunità locali costruite sull’omogeneità tendono
invariabilmente ad essere intolleranti all’interno e aggressive all’esterno
(…)”.
La
devolution regionale in materia scolastica – unitamente all’appoggio
incondizionato alla scuola privata che, in Italia, è prevalentemente di tipo
religioso-confessionale – rappresenta, per dirla con Dahrendorf, “una delle
grandi minacce alla democrazia nella nostra era” poiché in nome
dell’autogoverno regionale si “vogliono disegnare confini”, produrre
steccati, sancire divisioni, imporre modelli culturali…. In una parola è il
preludio (culturale!) alla pulizia etnica.
L’esatto contrario della
società liberaldemocratica, multietnica, interreligiosa, tollerante, solidale e
pacifica rappresentata – o che dovrebbe esserlo - dalla scuola e …. dallo
Stato!
Grazia Perrone
*Dario Generali: Direttore della rivista “Il
Voltaire”. L’intervento citato è tratto dal numero 2, anno 1999 della già
citata rivista.
** Jeremy Rifkin: economista, autore di numerosi saggi
sulle cause e sugli effetti della globalizzazione. Le citazioni riportate sono
tratte dal libro: “L’era dell’accesso”. Mondatori, Milano, 1998.
***Ralf Dahrendorf: sociologo. E’ considerato il
naturale allievo di Karl Popper che ha sostituito nella direzione della London
School of Economics. La citazione è tratta dal libro: “Dopo la
democrazia”. Laterza Editori, Bari, 2001.
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