Il
pedagogo tedesco Bernhard Bueb rovescia i luoghi comuni educativi
« Ci ha rovinati Hitler. E il Sessantotto»
L' autoritarismo e il permissivismo hanno distrutto l' idea di disciplina
Quando gli storici faranno i conti, le generazioni che hanno guidato le società
europee - soprattutto dagli anni Settanta in poi - avranno parecchio di che
arrossire. Non solo la perdita dell' ottimismo; nemmeno solo il pianeta
surriscaldato; o il carico insostenibile delle pensioni future. Ai giovani, ai
ragazzi, si è negato e si continua a negare anche «il diritto alla disciplina»,
dice Bernhard Bueb, filosofo, teologo, pedagogo. Lui ne sa qualcosa: è stato per
trent' anni, dal 1974, rettore del collegio privato più famoso della Germania,
la Schule Schloss Salem, al confine con la Svizzera; ed è un tedesco del 1938,
cioè si porta dentro le ferite degli opposti estremismi che sull' albero della
disciplina sono germogliati al loro peggio nel Vecchio Continente. Bueb ha
aperto un dibattito serio, in Germania, con un libro che mette in discussione l'
intero impianto pedagogico tedesco del dopoguerra. E lo stesso dovrebbe
succedere in Italia ora che il testo - Elogio della disciplina, Rizzoli - è
andato in libreria proprio mentre la scuola di massa mostra i segni di quello
che è forse il suo momento peggiore: violenze, bullismo, squilli di cellulari,
genitori interventisti oltre il segno, insegnanti in fuga, dalle responsabilità
quando non fisicamente. È il crollo - sostiene il professore tedesco - di un
sistema fondato sull' idea sbagliatissima che della disciplina un giovane può
fare a meno, che la disciplina, anzi, è reazionaria e in qualche modo limita la
mitizzata creatività del pargolo. Storie, sia che lo sostenga un insegnante sia
- attenzione - che lo sostenga un genitore: perché su queste cose non ce la si
cava dando la colpa a scuola e a società, su queste cose si deve riflettere e
cambiare cominciando dalla famiglia. Herr Bueb sa bene che in Germania la
disciplina è come la corda in casa dell' impiccato. Anzi, dice che il problema
nasce proprio da lì. «In Germania - scrive - il nazionalsocialismo ha minato le
fondamenta stesse della cultura dell' educazione. I valori e le virtù che
costituiscono il cuore della pedagogia patiscono ancora le conseguenze dell' uso
improprio che ne fece il nazionalsocialismo: anche la variante tedesca della
rivolta giovanile post-sessantotto non è stata altro che una conseguenza della
catastrofe in cui il Paese era precipitato». Dopo gli anni bui in cui la
disciplina era stata drammaticamente ridotta a passo dell' oca, il corno è stato
spostato, come spesso accade quando si reagisce, eccessivamente dall' altra
parte. Qualcosa che è successo anche in Italia, dopo la caduta del fascismo?
Probabilmente sì, adattato alle differenze che il termine disciplina ha nelle
culture dei due Paesi. Per apprezzare il saggio di Bueb, fondato su un'
esperienza pedagogica lunghissima, non su teorie, è necessario cancellare molti
pregiudizi. E forse è più semplice farlo sapendo che la sua denuncia del
fallimento educativo degli ultimi decenni non è mossa da sadismo o da rigidità
ideologiche: anzi, l' umorismo, la ricerca da parte del pedagogo della
specificità individuale di ogni singolo giovane, la sua disponibilità
incondizionata sono caratteristiche che Bueb ritiene indispensabili. Come la
necessità di avere tempo per i figli: cosa che molti genitori credono di poter
sostituire con un allentamento delle regole (fondamentali nell' educazione) che
certe volte arriva ad annullarle. I due estremi della metodica pedagogica sono
«guidare i giovani o lasciarli crescere da soli»: bene, dice il professore
tedesco, «chi vuole trovare la giusta via di mezzo tra gli estremi opposti dell'
educazione dovrebbe prima valutare il proprio rapporto con il tempo, e dovrebbe
registrare tra i profitti personali il tempo che trascorre con i figli».
Stabilito che parlare di disciplina non è un tentativo di aggressione a dei
poveri ragazzi ma prima di tutto un carico che gli adulti si devono prendere
sulle spalle - molto più comodo lasciar fare ai bimbi quel che vogliono sin da
piccoli -, Bueb può forse essere letto in modo non ideologico. E si scopre, per
esempio, che dietro al rifiuto di concetti come «autorità» e «obbedienza» - «che
hanno perduto il loro ovvio valore anche tra i borghesi conservatori» - sta in
realtà il fallimento dei genitori e degli insegnanti che dietro quei concetti
vedono - per limiti loro - solo un fatto di potere e non l' autorevolezza. O che
un' educazione senza castighi e punizioni non funziona. Libro serio, insomma,
che solleva problemi veri. Per chi ha figli da crescere e studenti da educare.
Se poi lo leggeranno anche quei politici che si rendono conto che gli opposti
«eccessi educativi» del Novecento hanno fallito, meglio. Il libro: Bernhard Bueb,
«Elogio della disciplina», traduzione di Monica Bottini, Rizzoli, pagine 156,
12,50 * * * L' autore Bernhard Bueb (nella foto) è nato nel 1938 e ha studiato
filosofia, teologia cattolica, pedagogia. Per trent' anni, dal 1974 al 2005,
Bueb è stato rettore del collegio privato più famoso della Germania, la Schule
Schloss Salem, sul lago di Costanza, fondata nel 1920 dal Principe Max von Baden
e da Kurt Hahn.
Taino Danilo
(25
giugno, 2007, Corriere della Sera)
Contenuto
Constatato il fallimento dei metodi educativi antiautoritari e libertari che
hanno caratterizzato la pedagogia dopo il Sessantotto, il filosofo Bernhard Bueb
- per trent'anni direttore di un prestigioso collegio tedesco - afferma con
forza che è giunta l'ora di riscoprire una virtù dimenticata e di ritrovare il
coraggio della severità. Attingendo alla sua esperienza di educatore e di padre,
in questo saggio che in Germania è già un caso editoriale, Bueb offre un
contributo originale e provocatorio all'acceso dibattito che oggi, anche in
Italia, investe i temi dell'educazione e della scuola. La libertà non è solo
indipendenza, né arbitrio: genitori e insegnanti devono ricercare un equilibrio
fra intransigenza e amore, giustizia e bontà, controllo e fiducia. La vera
autorità non incute paura, ma anzi genera sicurezza: è la mancanza di punti
fermi, piuttosto, a rendere gli adolescenti di oggi disorientati e insicuri.
Solo così i nostri figli sapranno conoscere se stessi e il mondo, vivere con
pienezza le loro esistenze ed essere felici.
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