|
||||||
home | chi siamo | redazione | newsletter | links | contattaci |
RIFORME A CONFRONTO.
QUEI “10 PUNTI” CHE FANNO LA DIFFERENZA…O L’ANALOGIA
Quali sono le analogie e/o le differenze fra la riforma della scuola Berlinguer-De Mauro e la riforma Moratti che sta seguendo il suo iter parlamentare (1)?
Cercheremo di abbozzare un’analisi contrastiva, che offra degli spunti, evidenzi le problematiche e ponga le basi di una più ampia discussione. Per comodità indicheremo con A) la legge 30/2000 e con B) la legge successiva.
Sia in A) che in B) il sistema viene chiamato Sistema educativo di istruzione e di formazione, ad indicare la volontà – evidentemente presente in entrambi i Governi - di riconoscere la dimensione educativa della formazione professionale (2), conferendole spazio e quindi dignità all’interno di un sistema unico.
La finalità è sia in A) che in B) “la crescita e la valorizzazione della persona umana”, che deve essere perseguita “nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva” e “delle differenze e dell’identità di ciascuno”. La più recente legge delega prevede però anche il rispetto, a tutti i livelli, delle “scelte educative delle famiglie”.
Appare evidente che: a) alle famiglie, e quindi alla cosiddetta utenza, viene dato un peso maggiore; b) che alla scuola viene conferito un ruolo educativo per alcuni versi passivo (deve rispettare i dettami della famiglia, cioè delle famiglie!?) e viene quindi esaltata la dimensione del “servizio” – che la nostra Associazione non condivide - rispetto a quella dell’ “istituzione”. Lo spazio ed il ruolo professionale del docente subiscono una contrazione.
La legge A) configura un sistema di “obblighi” (“scolastici” e “formativi” – vedi art. 1, c. 3 e c. 4) ; la legge B) un sistema di diritti (“…è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l’attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e di formazione, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione e mediante i regolamenti di cui all’art. 17, comma 2 della legge 23 agosto 1988, n° 400 e successive modificazioni. La fruizione dell’offerta di istruzione e di formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato” – legge B), art. 2, comma c) (3). L’obbligo per lo studente di frequentare si coniuga, nella legge A), all’obbligo per l’istituzione scolastica di garantire il “successo formativo”; nella legge B) il diritto all’istruzione e alla formazione si coniuga al dovere del singolo di impegnarsi nel percorso educativo, come si evidenzia all’art. 2, comma c e all’art. 3, comma 1-a.
Questa impostazione, che appare libera dalle scorie demagogiche del “successo formativo”, chiamando in causa la responsabilità dell’allievo, può senz’altro condurre a risultati qualitativamente migliori.
Lasciando da parte l’istruzione e la formazione superiore che hanno carattere facoltativo, la legge A) stabilisce che si acceda al sistema all’età di 6 anni e si esca a 18 anni; la legge B) stabilisce che si possa iniziare la scuola anche prima di aver compiuto i 6 anni (il meccanismo previsto, oltre ad essere facoltativo, è graduale e sottoposto a controlli) e che l’uscita sia a 18 o a 19 anni, a seconda del momento dell’ingresso e del percorso scelto. La legge A) prevede dunque un tempo di permanenza nel sistema di 12 anni per tutti, la legge B) prevede che la permanenza sia di 13 anni per coloro che optano per il percorso d’istruzione, di 12 per coloro che intendano fare un percorso professionale secco, di 13 per coloro che, pur avendo seguito il percorso professionale, intendano passare alla formazione tecnica superiore o all’Università.
E’ innegabile, al di là delle varie problematiche (ad esempio quella dell’opportunità di anticipare l’inizio degli studi, molto discussa sia a livello di docenti di scuola materna che di docenti di scuola elementare) , che l’ipotesi B) offre tempi complessivamente più lunghi e che questa scelta non può certamente essere recepita in modo negativo.
La legge A) prevede un sistema dell’obbligo suddiviso in: Scuola di base unica (anni 7) e Scuola secondaria (anni 5: 2+3), formata dai licei. L’obbligo d’istruzione arriva fino ai 15 anni, e copre perciò il biennio delle superiori; coloro che a 15 anni abbandonano il percorso d’istruzione e quindi i licei, hanno “l’obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del 18 anno di età… secondo le disposizioni di cui all’art. 68 della legge 17 maggio 1999, n° 144”. L’art. 68 della legge 144 precisa che rientrano fra le attività formative i percorsi “anche integrati di istruzione e formazione”, e l’esercizio dell’apprendistato.
La legge B) assicura a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione fra i 5-6 anni e i 18-19 all’interno di un sistema suddiviso in due cicli: un primo ciclo “costituito dalla scuola primaria, della durata di 5 anni, e dalla scuola secondaria di primo grado della durata di 3 anni” (5+3), ed un secondo ciclo”costituito dal sistema dei licei (5 anni) e dal sistema dell’istruzione e della formazione professionale”(4+1).
La differenza sostanziale fra i due sistemi è la seguente:
- nel sistema A) il percorso di studi è sostanzialmente unico fino alla fine del biennio delle superiori, cioè fino ai 15 anni, poiché un biennio che voglia essere terminale e propedeutico al contempo e che contempli infinite possibilità di transiti orizzontali ha ovviamente una debole caratterizzazione di area e di indirizzo; per la formazione professionale, nel cui ambito può essere concluso il percorso dai 15 ai 18 anni, si fa sostanzialmente riferimento all’esistente;
- nel sistema B) il percorso unico si conclude all’età di 14 anni – esattamente come avviene ora – alla fine cioè del primo ciclo; alla fine di esso il sistema si biforca in un doppio canale: il canale dell’istruzione ed il canale della formazione professionale. Per il secondo canale è prevista un’architettura articolata che offre sbocchi anche diretti verso l’istruzione e la formazione superiore.
Il sistema A) fa proprio il concetto dell’uguaglianza delle opportunità che ha gradualmente soppiantato il concetto dell’uguaglianza dei diritti. L’assunzione di questo concetto conduce inevitabilmente al percorso unico o unicizzante, alla svalutazione della cultura del lavoro – peraltro teoricamente esaltata – e alla concomitante dequalificazione dei percorsi d’istruzione (vedi art. 4. comma 6 della legge 30/2000 e il documento finale della Commissione ministeriale insediata con il compito di attuare la Riforma, commentato nel n° 6/2001 di “Professione Docente” )(4). Esso inevitabilmente provoca l’ appiattimento dell’intero sistema e l’ inevitabile, graduale, nascita di sistemi alternativi privati di qualità atti ad assicurare la formazione della classe dirigente. Facendo della formazione professionale una scelta di fatto residuale e quindi di serie b) ne impedisce la razionalizzazione, il potenziamento e lo sviluppo.
Il sistema B) appare senz’altro più equilibrato e più atto a garantire la qualità dell’istruzione-formazione e quindi la preparazione generale delle future generazioni. Esso si situa però all’interno di un processo di revisione costituzionale che va attentamente controllato pena la destrutturazione del sistema educativo nazionale. L’attribuzione alle Regioni dell’ ”istruzione e formazione professionale”, da non confondersi con l’istruzione tout court (che è peraltro materia di legislazione concorrente) potrebbe creare una dualità difficilmente componibile. Nell’ipotesi un cui la legge Moratti completi il suo iter, risulta essenziale la presenza - forte - dello Stato, non solo per garantire “i livelli essenziali delle prestazioni” come previsto dalla Costituzione, ma per garantire un’offerta reale ed equilibrata su tutto il territorio nazionale, la praticabilità dei passaggi dal sistema dell’istruzione a quello dell’istruzione-formazione e viceversa, la garanzia del mantenimento di livelli di contrattazione nazionale per tutti i docenti, la possibilità per i docenti di usufruire di passaggi sia orizzontali che verticali all’interno del sistema, e via dicendo (5).
Sia il sistema A) che il sistema B) si strutturano intorno alla categoria della continuità (6). La scuola dell’infanzia, recita la legge 30/2000 “realizza i necessari collegamenti da un lato con il complesso dei servizi dell’infanzia, dall’altro con la scuola di base” (art. 2, comma 3) E ancora: la scuola di base “è caratterizzata da un percorso educativo unitario… e… si raccorda da un lato alla scuola dell’infanzia e dall’altro alla scuola secondaria” (art. 3, comma 1). La legge Moratti precisa che “nel primo ciclo è assicurato il raccordo con la scuola dell’infanzia e con il secondo ciclo” (art. 2, comma f) e oltre: “ i licei e le istituzioni formative del sistema dell’istruzione e della formazione professionale, d’intesa rispettivamente con le università, con le istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica e con il sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore stabiliscono, con riferimento all’ultimo anno del percorso di studi, specifiche modalità per l’approfondimento delle conoscenze e delle abilità richieste per l’accesso ai corsi di studio universitari, dell’alta formazione ed ai percorsi dell’istruzione e formazione tecnica superiore” (art. 2, comma i).
Poiché non viene addotta alcuna giustificazione pedagogica a supporto della scelta della continuità (tradizionalmente si considerava che i momenti di stacco o di rottura, spesso accentuati da rituali, avessero degli effetti positivi sulla crescita) l’assunzione di questa categoria appare prevalentemente come una scelta politica, finalizzata al raggiungimento di precisi obiettivi (fine del monopolio statale nell’istruzione, riduzione dei tassi di dispersione scolastica, svuotamento-abolizione degli esami, maggiore flessibilità del personale, etc.).
L’attuale sistema scolastico pre-universitario è strutturato su tre livelli di scuola (scuola elementare, media e superiore) con relativi esami finali. Le riforme previste dai due Governi strutturano entrambe il sistema su due livelli, definiti Scuola di base e Scuola superiore nel sistema A); Primo ciclo e Secondo ciclo nel sistema B). Il numero degli esami viene così ridotto a due in entrambi i casi. In aggiunta ai due esami di Stato, il sistema A) prevedeva una certificazione intermedia, a conclusione del periodo dell’obbligo scolastico, cioè dopo il biennio delle superiori.
A prescindere dalla selezione formale degli esami, come viene concepito il sistema selettivo nelle due ipotesi?
Prima di tutto va rilevato che nessuna delle due leggi prevede una selezione che comporti l’espulsione dal sistema. Tutte le forze politiche danno per scontato che la complessità della società attuale richiede per tutti – se non altro per la pura sopravvivenza - un certo numero di conoscenze e di competenze. A prescindere da questo, ci sono delle differenze.
Il sistema A) in un certo senso prevede il superamento del concetto stesso di selezione. Nelle intenzioni del legislatore infatti il sistema deve essere strutturato in modo da offrire ad ogni studente la possibilità di seguire un percorso adatto ai propri talenti ed alla propria vocazione. Questo risulterebbe tanto più facile in quanto un percorso scolastico e/o scolastico-formativo deriva dalla addizione parzialmente libera di segmenti, ognuno dei quali “comporta l’acquisizione di un credito formativo” (legge 30, art. 4, comma 7). Interventi di educazione, formazione e istruzione adeguati alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, permetterebbero di garantire il successo formativo ad ogni soggetto (vedi a questo proposito il Decreto 275 sull’Autonomia delle Istituzioni scolastiche).
La legge Moratti abbozza un sistema di selezione-orientativa (7). Punta infatti non tanto sulla diversificazione dei percorsi individuali, quanto sulla diversificazione dei percorsi scolastici, con un sistema di licei ed un sistema di istruzione-formazione variamente articolato. Esso riprende inoltre un sistema di blocchi-sbarramenti alla fine dei periodi didattici, praticamente abbandonato nella prassi odierna e non previsto dalla Legge 30.
Rispetto al sistema A) che riprende il modello americano dei percorsi individualizzati in un sistema modulare di crediti, modello che nella sua apparente democraticità (ognuno sceglie ciò che gli piace e si sente di fare) condanna i meno favoriti ed i meno dotati all’insuccesso e all’emarginazione, il sistema B) recupera un certo rigore degli studi. Saltano però all’occhio delle vistose contraddizioni. Se serietà ci deve essere, perché rendere automatici i passaggi all’interno dei “periodi didattici” (8)? Come conciliare questo “rigore” con lo svuotamento dell’Esame di Stato finale (9), affidato ad una commissione totalmente interna? L’esame di Stato modificato da Luigi Berlinguer nel 1997-98, pur debole ed imperfetto, permetteva di mantenere un minimo di omogeneità a livello nazionale, una qualche forma di controllo sui docenti stessi, una valenza anche simbolica, fissava delle attese che avevano un effetto positivo sui livelli inferiori; l’Esame di Stato condotto dai docenti curriculari, con la sola presenza di un Presidente esterno per ogni scuola, determinerà in tempi brevi un calo qualitativo dell’intero percorso. E questo sarà tanto più inevitabile, quanto più si accentuerà il regime di concorrenza pubblico-pubblico, pubblico-privato.
Abbiamo evidenziato sopra come entrambi i sistemi – A) e B) si pongano l’obiettivo della continuità e stabiliscano la necessità di colmare al massimo le fratture fra i vari livelli.
Tutti e due i sistemi prevedono però che la scuola denominata “secondaria” nel sistema A) e del “secondo ciclo” nel sistema B) sia strutturata a segmenti (la legge 30 parla genericamente di segmenti annuali o modulari, la legge Moratti configura, come abbiamo visto, dei “periodi didattici”), alla fine dei quali vengono acquisiti dei crediti formativi. Questa discontinuità verticale è funzionale, fra le altre(10), ad una continuità orizzontale, cioè alla possibilità per gli allievi di passare – per l’appunto con il sistema dei crediti - da un liceo all’altro o dal sistema dell’istruzione a quello dell’istruzione-formazione.
L’art. 2, comma i) della legge Moratti, riprendendo quasi testualmente la maggior parte dell’art. 4 della legge 30, recita: “è assicurata e garantita la possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema dei licei, nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell’istruzione e della formazione professionale, e viceversa, … la frequenza positiva di qualsiasi segmento del secondo ciclo comporta l’acquisizione di crediti certificati che possono essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi di cui alle lettere g) e h) (si intendono rispettivamente i percorsi di istruzione e di formazione, n.d.r.); nel secondo ciclo esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage… sono riconosciuti con specifiche certificazioni di competenza rilasciate dalle istituzioni scolastiche e formative…”.
La scelta di segmentare il percorso degli studi, che è solo apparentemente in contraddizione con la scelta di adottare la categoria della continuità-ciclicità, ha – anch’essa – ragioni eminentemente politiche. Non solo essa rende il sistema scuola flessibile al proprio interno, a tutti i livelli e sotto ogni aspetto, ma permette altresì delle combinazioni “modulari” al di fuori del sistema stesso.
Queste combinazioni presenterebbero il vantaggio di : a) rendere effettivo il legame scuola-territorio; b) fare della scuola uno degli anelli di un sistema formativo più complesso; c) alleggerire progressivamente il peso che l’istruzione statale ha nel Bilancio dello Stato.
Entrambi i sistemi sono concepiti come sistemi “decentrati”.
Il sistema A) prevede che, su di un orario annuale obbligatorio di 30 ore per 33 settimane, ci sia una quota obbligatoriamente riservata alle istituzioni scolastiche variabile da un 20% ad un 40%, in cui la quota del 40% riguarderebbe il triennio della secondaria (vedi il Programma quinquennale di attuazione della legge 30/2000 approvato dalla Camera e dal Senato nel mese di dicembre 2000).
Il sistema B) prevede che i piani di studio contengano “un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale” ed una “quota riservata alle Regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali”(art. 2, 1l).
Appare evidente la frattura fra i due sistemi laddove il primo conferisce protagonismo alle scuole, come previsto dalla legge Bassanini, mentre il secondo si volge alle Regioni. Appare altresì evidente che un decentramento verso le regioni, anziché verso le scuole, apre scenari politici oscuri e, per alcuni versi, pericolosi.
La legge Berlinguer-De Mauro e la legge Moratti si inseriscono nel processo di trasformazione della scuola che ha preso il via con l’approvazione della legge 59 del 15/3/97 - Bassanini - e che ha conferito autonomia alle istituzioni scolastiche. Uno degli scopi del decentramento amministrativo, che ha coinvolto la scuola, era quello di allentare la tensione del centro e di alleggerire l’elefantismo burocratico.
L’analisi della legge 30 e della legge Moratti ci ha fatto notare che, in entrambi i casi, è previsto un sistema di certificazione di crediti a conclusione di ogni periodo didattico o in concomitanza con ogni passaggio all’interno del sistema. Sia il sistema A) che il sistema B), essendo decentrati, necessitano inoltre di un meccanismo di controllo (di cui si dovrà occupare il citato Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema).
Entrambi i sistemi comportano inevitabilmente un aumento della burocrazia. Ciò è largamente provato, ad esempio, dall’analoga esperienza della Gran Bretagna che, nel processo di decentramento scolastico, ha visto un enorme aumento della burocrazia di controllo, che ha avuto effetti spesso devastanti sulla qualità dell’insegnamento e sulla natura della professionalità (11).
Va da sé – ma questo è indipendente dalla tipologia dei sistemi – che la necessità, per tutti i paesi d’Europa, di non sottrarsi alla “sfida dei dati e della comparabilità” genererà nuova burocrazia (12).
La sfida politica sarà ancora e sempre
quella di far sopravvivere - o rivivere ? - l’anima della scuola dentro il “sistema”
Se.G.
Nota: In grassetto sono indicati i punti che presentano l’interesse maggiore.