Dieci anni il fallimento del “concorsone” berlingueriano, la valutazione
degli insegnanti è tornata di attualità in relazione alla Proposta di legge
953 dell’on. Aprea, che tra l’altro prevede una progressione di carriera
per il personale docente, e al decreto applicativo della Legge 15 del 4
aprile 2009, che prescrive la sistematica valutazione della performance
dei dipendenti pubblici, con conseguente collocazione in tre fasce di merito
e relativa applicazione al personale valutato di incentivi o disincentivi
economici e di carriera (anche se, almeno per ora, tale disposizione non si
applica al personale docente della scuola statale). D’altra parte, il
recente sondaggio SWG commissionato dalla Gilda ha rilevato che la
maggioranza delle categoria è attualmente favorevole all’introduzione di una
progressione di carriera e di un sistema di valutazione ad hoc per i
docenti. (1)
L’argomento, a parere di chi scrive, andrebbe affrontato da un’ottica non
pregiudiziale, non ostile né favorevole a priori. La valutazione ed il
consequenziale riconoscimento del merito (o del demerito) dei
docenti non sono certamente la panacea di tutti i mali della
scuola, come la propaganda governativa tende a far credere all’opinione pubblica
(forse per distrarre l’attenzione dal continuo taglio di risorse al sistema di
istruzione statale). Infatti, dove li si è sperimentati per anni, ad esempio
negli USA e in Gran Bretagna , valutazione e meritocrazia non sembrano
aver prodotto risultati apprezzabili sulla qualità dell’apprendimento
degli allievi; nei casi peggiori, sistemi di valutazione semplicistici e
inadeguati hanno invece sicuramente depresso la considerazione sociale
e il morale della categoria; hanno impoverito l’insegnamento,
riducendolo a semplice addestramento al superamento di prove strutturate (teaching
to the test); hanno demotivato i docenti migliori e prodotto
fenomeni negativi di competizione esasperata e mancanza di collaborazione
fra colleghi.
D’altra
parte, occorre riconoscere che quello del riconoscimento del merito individuale
nel lavoro è un principio difficilmente contestabile (soprattutto da parte di
coloro i quali lo applicano – o dovrebbero applicarlo- alla valutazione dei
propri allievi). Inoltre, un sistema di valutazione efficace ed equo,
accompagnato ad un generale incremento dello stipendio base e ad
una equilibrata gestione di incentivi economici, che premino la reale
efficacia di un insegnante e la sua capacità di allacciare relazioni
corrette con tutti gli attori del sistema scolastico (allievi, famiglie,
colleghi, ecc…) può produrre effetti positivi: migliorare la
percezione sociale e l’auto-stima degli insegnanti e la
appetibilità della professione docente; incoraggiare i comportamenti
virtuosi e scoraggiare quelli deteriori; contribuire alla valorizzazione
delle eccellenze e alla soluzione delle criticità. Tutto ciò si
tradurrebbe probabilmente in un incremento della qualità complessiva
dell’insegnamento.
Dunque,
il problema da discutere non è quello di stabilire a priori se la
valutazione dei docenti sia da considerarsi un fatto positivo o negativo
in sé, ma definire praticamente a quali condizioni essa possa migliorare la
qualità dell’insegnamento e della scuola, senza produrre “effetti collaterali”
indesiderabili e controproducenti. Un buon sistema di valutazione potrebbe
rivelarsi vantaggioso per la categoria. Invece, un sistema di valutazione
inadeguato e/o iniquo sarebbe ovviamente una vera iattura e andrebbe combattuto
a qualunque costo.
Occorre
anche preliminarmente sgombrare il campo da un altro falso problema: quello se
sia possibile o meno valutare l’insegnamento. Alcuni sono convinti che ciò sia
pressoché impossibile e cercano di dimostrarlo evidenziando gli aspetti negativi
di ogni soluzione che potrebbe essere adottata a riguardo. Altri sono invece
persuasi che la questione sia relativamente semplice e possa essere risolta
rispolverando sistemi tradizionali (p.e. una riedizione dei concorsi per merito
distinto) o ricorrendo a mezzi “moderni”, più sbrigativi ed efficienti, come la
valutazione quantitativa degli apprendimenti degli allievi effettuata
tramite prove strutturate di conoscenza (soluzione che pare risulterebbe gradita
al ministro Gelmini).
In
realtà, gli studiosi che hanno studiato approfonditamente l’argomento (tra gli
altri, il prof. Bottani) evidenziano che valutare un docente è un’operazione per
nulla semplice, che pone problemi metodologici, pratici ed economici di non
facile soluzione: e questo perchè l’insegnamento è un lavoro complesso,
che produce risultati complessi, non sempre immediatamente misurabili e
valutabili. Tuttavia, non ci sentiamo per questo di concludere che valutare l’insegnamento
sia impossibile, anche perché dovremmo ammettere in tal caso che è
impossibile valutare pure l’apprendimento, fenomeno altrettanto complesso
e difficilmente misurabile.
Gli
insegnanti, che sono costretti a valutare professionalmente l’apprendimento dei
propri allievi, sanno che tale valutazione è possibile ma che richiede
molta cautela, essendo influenzata da un’ampia gamma di fattori, alcuni dei
quali difficilmente rilevabili e controllabili. Un insegnante sa, per esempio,
che la sua valutazione è più attendibile e precisa se si basa su un numero
consistente di dati riguardanti l’allievo, i suoi processi di
apprendimento e i loro risultati, raccolti con un gamma di strumenti
idonei (osservazioni sistematiche, correzione di prove di vario genere,
interazioni in classe e colloqui periodici alunno-insegnante , ecc…) lungo un
arco di tempo abbastanza ampio (valutazione trimestrale, quadrimestrale,
annuale) misurati e valutati in modo metodologicamente e
deontologicamente corretto e infine discussi con gli altri insegnanti della
classe (non a caso, la valutazione periodica del profitto e del comportamento
dei discenti è un’operazione collegiale).
Un’altra cosa che gli insegnanti sanno bene è che la valutazione è sempre
permeata di elementi di soggettività (v. l’esempio dell’effetto alone),
dei quali un buon insegnante dovrebbe essere consapevole e di cui dovrebbe
cercare, per quanto possibile, di spogliarsi; e che si dovrebbe evitare un
eccessivo coinvolgimento emotivo (prodotto, ad esempio, da relazioni di amicizia
o di parentela) che ostacolerebbe un’equa valutazione dei risultati conseguiti
dall’allievo. Sappiamo anche che la valutazione dovrebbe avere sempre una
finalità formativa, dovrebbe cioè servire alla crescita dell’alunno,
guidarlo al miglioramento di se stesso attraverso la consapevolezza dei punti
deboli della sua preparazione e abituarlo ad auto-valutarsi: quindi dovrebbe
essere chiara, coerente e trasparente nei principi che la informano e nei
criteri che la guidano, che l’allievo dovrebbe comprendere e condividere.
D’altra parte, conosciamo bene quali effetti distruttivi sulla motivazione e
sull’applicazione allo studio dei discenti possa produrre una valutazione
palesemente sbagliata, arbitraria o iniqua (o percepita come tale).
Non ci
sembra dunque irragionevole chiedere, da docenti, che un’ eventuale valutazione
del merito dei docenti sia basata su principi analoghi a quelli che dovrebbero
guidarci nella corretta valutazione dei nostri alunni.
Dopo
questa premessa, nelle osservazioni che seguono cercheremo innanzitutto di
analizzare alcuni dei problemi che potrebbero sorgere nella implementazione di
un eventuale sistema di valutazione dei docenti , discutendo in breve due
questioni cruciali: 1. chi (valuta) ? e del 2. cosa ( viene
valutato) ? Successivamente, proveremo ad enunciare alcuni dei principi a cui
potrebbe essere ispirato un sistema di valutazione del merito degli
insegnanti.
1)
Chi valuta ? Nei paesi europei e negli USA sono state sperimentate soluzioni
diverse. Semplificando, le principali alternative sono: a) valutazione affidata
ai dirigenti delle scuole; b) valutazione affidata a ispettori
ministeriali; c) valutazione affidata a docenti esperti appositamente
reclutati e formati dal ministero; d) valutazione affidata a valutatori
(docenti e dirigenti) esterni all’amministrazione, reclutati e formati da
agenzie terze. Per discutere rapidamente le varie soluzioni, in base alle
esperienze di altri paesi e alla situazione del nostro:
a) in
estrema sintesi, i dirigenti spesso non si assumono la responsabilità di
una valutazione negativa (todos caballeros ): valutazione inutile; i
dirigenti spesso valutano guidati da antipatie/simpatie personali nei confronti
dei docenti: valutazione iniqua; i dirigenti spesso valutano in fretta e
superficialmente per mancanza di tempo: valutazione imprecisa; ai dirigenti
viene richiesto di valutare anche docenti che insegnano discipline diverse dalle
propria: valutazione inattendibile; se si aggiunge che i dirigenti scolastici in
Italia sono stati reclutati sovente con modalità discutibili e che anche i
migliori non sono stati addestrati a valutare il loro personale, si può
concludere che la valutazione dei docenti non dovrebbe essere affidata
ai dirigenti scolastici;
b) il
ricorso ad ispettori ministeriali garantirebbe una maggiore indipendenza di
giudizio e una maggiore attendibilità, a patto che si faccia ricorso a
ispettori tecnici, specialisti delle materie insegnate dal docente da
valutare e che tali ispettori non abbiano rapporti pregressi diretti o
indiretti né con il soggetto in valutazione né con il suo superiore (il
dirigente scolastico); occorrerebbe tuttavia prevedere una intensa attività di
formazione e addestramento per gli ispettori italiani (che non hanno alle spalle
la lunga e gloriosa tradizione dell’Ispettorato scolastico di Sua Maestà, come
in Inghilterra) e incrementarne notevolmente il numero: questo richiederebbe
investimenti. Resterebbe ineliminabile comunque un aspetto negativo: gli
ispettori, come d’altra parte i dirigenti, non hanno un rapporto diretto con
l’insegnamento: non vanno in class;
c)
docenti davvero bravi ed esperti, selezionati dall’amministrazione
scolastica e formati adeguatamente, sarebbero senz’altro qualificati a
valutare l’insegnamento di un collega che insegni le loro stesse
discipline (sempre fatta salva la presunzione di imparzialità
rispetto al soggetto da valutare) meglio di chiunque altro, per la loro
conoscenza e esperienza diretta delle problematiche dell’insegnamento. Un
compito del genere potrebbe costituire, fra l’altro, un possibile sbocco di
“carriera” dell’insegnante. Le difficoltà in questo caso riguarderebbero le
modalità di reclutamento dei docenti valutatori e, ancora una volta, gli
investimenti necessari alla loro formazione e agli eventuali compensi per la
loro attività.
d)
negli USA varie agenzie esterne (fondazioni, centri di studio e ricerca)
all’amministrazione scolastica sono abilitate a valutare la qualità
dell’insegnamento, tramite diversi protocolli messi a punto dai loro
esperti e applicati da staff di valutatori da loro reclutati e formati
tra docenti e dirigenti (principals). La soluzione appare simile a quella
relativa alla Certificazione di Qualità delle aziende (ISO, EFQM) , presenta il
vantaggio della sicura terzietà e di una generale efficienza, chiarezza
metodologica e trasparenza e, forse, minori costi. Il sistema scolastico
statunitense, però, è assai differente dal nostro: si basa su tradizioni
diverse; è caratterizzato da una presenza assai più cospicua e qualificata
dell’istruzione privata (e alla logica del privato tende ad uniformarsi anche la
gestione delle scuole statali); inoltre è fortemente differenziato sul piano
locale. In Italia per ora esiste un sistema scolastico unitario e l’unica
agenzia abilitata alla valutazione del sistema scolastico nazionale (e in
futuro, sembra, dei suoi docenti) è l’INVALSI, che peraltro non è completamente
autonoma rispetto all’amministrazione né è risultata, almeno per ora,
particolarmente efficiente o trasparente.
La
situazione italiana peraltro sembra evolversi in direzione della
regionalizzazione del sistema scolastico e del relativo personale. Se le regioni
arriveranno a gestire direttamente le scuole e il loro personale, non è
irragionevole supporre che ne gestiranno anche l’eventuale valutazione (come
avviene già, ad esempio, nella provincia autonoma di Trento): si verrebbe così
a creare una situazione simile a quella USA, con la coesistenza di differenti
sistemi scolastici e valutativi.
Considerazioni conclusiva: nei sistemi più sofisticati la valutazione dei
docenti non è a cura di individui singoli, ma di piccoli staff di 2 o 3 unità
che lavorano insieme sullo stesso soggetto; inoltre è previsto un controllo
periodico dell’operato di coloro che valutano da parte di altri valutatori. Ciò
allo scopo di garantire l’ affidabilità/obiettività del processo e l’
attendibilità dei risultati.
2)
Cosa valutare ? in che cosa consiste il merito per un insegnante ?
Su cosa potrebbe basarsi una valutazione di performance di un docente?
Anche in questo caso, vi sono più risposte alternative: a) sui risultati di
apprendimento dei suoi allievi; b) sul possesso di titoli che ne
certifichino la preparazione culturale e la competenza professionale; c) sul
superamento di apposite prove concorsuali; d) sull’osservazione sistematica dei
suoi comportamenti professionali “sul campo” (cioè in classe);
a)
sembrerebbe la soluzione più semplice e logica e lo sarebbe in effetti se tra
apprendimento efficace e insegnamento efficace ci fosse un rapporto
causale diretto ed esclusivo. Ma è appurato che l’apprendimento è influenzato da
molti altri fattori individuali (legati alle caratteristiche del soggetto
discente) e ambientali (legati soprattutto alle caratteristiche del contesto
familiare, socio-economico e scolastico - clima della scuola e del gruppo
classe, composizione dello stesso) spesso concorrenti con il fattore
insegnamento. Risulta inoltre difficile 1) valutare correttamente gli effetti
reali dell’insegnamento sui risultati di apprendimento degli alunni a breve
termine e 2) isolare gli effetti dell’operato di più insegnanti che si siano
alternati sullo stesso allievo nel tempo (in Italia, ciò si verifica spesso
anche nel corso dello stesso anno scolastico). In Inghilterra hanno cercato di
risolvere il problema facendo ricorso a complesse procedure di analisi
statistica dei risultati di prove strutturate somministrate agli allievi nel
corso degli anni, mediante le quali si dovrebbe riuscire a misurare il valore
aggiunto (added value) dell’insegnamento (differenza fra livello di
apprendimento in ingresso e livello di apprendimento in uscita), al netto
dell’influenza delle variabili individuali e ambientali citate. Questo sistema
sembra funzionare discretamente se applicato alla valutazione di un gruppo di
docenti o di un’intera scuola, mentre è dubbia la sua affidabilità se applicato
alla valutazione dei risultati dell’azione di singoli insegnanti. In ogni caso,
nel nostro sistema scolastico, stante la crescente precarizzazione
dell’insegnamento, la difficoltà costituita dal frequente avvicendarsi di più
docenti sul gruppo classe risulterebbe certamente ineliminabile.
b)
questa soluzione avrebbe almeno il pregio dell’obiettività e della semplicità
(oltre che del basso costo). Tuttavia, si tratterebbe più di valutazione
della professionalità eventualmente acquisita che della
performance o merito in senso stretto : non ci sono garanzie che
un insegnante professionalmente titolatissimo sia poi davvero motivato e
realmente efficace in classe, anche in considerazione della formazione
universitaria e in servizio di cui fruiscono i docenti italiani,
qualitativamente poco omogenea e in generale di non eccelso livello. Tra
l’altro, il crescente ampliamento dell’offerta dei titoli post-universitari
(corsi di perfezionamento, master ecc.) acquisiti spesso solo per la scalata
delle graduatorie ad esaurimento, ne ha prodotto una tale inflazione che il loro
reale valore dovrebbe essere valutato con molta prudenza.
c)
considerazioni analoghe valgono per la soluzione basata su eventuali
riedizioni del famigerato “concorsone” berlingueriano e, sia pur con minori
riserve, dei vecchi concorsi per merito distinto. Il ricorso a procedure
concorsuali, in verità, sembrerebbe più appropriato per il reclutamento
iniziale dei docenti o per la successiva verifica della loro idoneità allo
svolgimento di ulteriori funzioni, diverse dall’insegnamento: p.e. quella di
“Tutor” o di “Valutatore” o di “Coordinatore del Collegio”, che, in successione,
potrebbero eventualmente costituire una “progressione carriera” del docente.
d)
soluzione incentrata sull’ attività core dell’insegnante,
l’insegnamento delle sue discipline in classe, nel quale egli
dispiega le proprie competenze (disciplinari, pedagogiche e
didattiche : progettazione/pianificazione del percorso formativo e delle
singole lezioni; loro implementazione; verifica e valutazione in itinere e
finali; eventuali interventi di recupero – comunicative e relazionali:
conduzione della classe, rapporti individuali con gli allievi e le loro
famiglie, cooperazione con i colleghi, con il dirigente, con il personale
amministrativo…). Le ragioni alla base di questa soluzione sono riconducibili
alla natura della professione docente che, analogamente a quella dell’avvocato o
del medico, è un’obbligazione di prestazione, non di risultato; alle
considerazioni svolte al punto a); e alla constatazione che quello che
contraddistingue davvero un bravo insegnante da un insegnante “scarso”, alla
fine, è il modo di lavorare, il complesso dei comportamenti professionali messi
in atto durante il lavoro d’aula o ad esso collegati. Un’ osservazione
sistematica seria dell’azione didattica di un docente è sicuramente un’efficace
strategia valutativa, ma è senz’altro piuttosto costosa: richiede infatti
l’impegno di considerevoli quantità di tempo e di risorse umane qualificate.
Da
quanto detto finora, si evince chiaramente che quello della valutazione del
merito dei docenti è un problema complesso, che non è possibile risolvere
ricorrendo a soluzioni semplicistiche e unidimensionali , cioè che
prendano in considerazione un solo fattore/dimensione (p.e. solo i
risultati degli allievi) appunto perché l’insegnamento è una prestazione
professionale complessa. Si evince inoltre che le soluzioni più economiche non
sono generalmente anche le più efficaci. Comunque, sulla base di tutte le
osservazioni finora compiute, potremmo almeno provare a suggerire alcune qualità
che un sistema ideale di valutazione del merito nell’insegnamento (chi
scrive preferirebbe il termine “efficacia”) dovrebbe possedere: una
valutazione di merito ideale dovrebbe essere:
1.
pertinente:
dovrebbe essere principalmente centrata sul lavoro d’aula, sull’
attività sul campo, quella che qualifica davvero un docente; se dovessero essere
presi in considerazione anche altri elementi, come titoli conseguiti,
esperienze professionali e di aggiornamento in servizio, o anche i
risultati degli alunni, essi dovrebbero comunque avere un peso
specifico significativamente inferiore a quello attribuito all’attività
di insegnamento sul campo;
2.
multiprospettica
e
pluridimensionale: dovrebbe tener conto dei diversi
punti di vista di tutti i soggetti coinvolti (alunni, genitori, colleghi,
dirigente, anche…) e delle diverse dimensioni dell’attività di insegnamento
(pedagogico-didattica - comunicativo-relazionale), utilizzando metodi e
strumenti differenziati (quantitativi e qualitativi) e tempi distesi;
3.
condivisa e partecipata :
i
soggetti in valutazione dovrebbero essere messi in condizione di conoscere,
comprendere e condividere finalità, metodi, procedure e strumenti della
valutazione, partecipare attivamente alla valutazione stessa nelle sue varie
fasi e contribuire alla definizione dei suoi risultati;
4.
attendibile ed equanime
: la
valutazione potrebbe risultare attendibile ed equanime
se affidata a piccoli staff di valutatori esterni all’istituto in cui
il soggetto in valutazione insegna, che non abbiano con quest’ultimo rapporti
precedenti di conoscenza, diretti o indiretti, accuratamente selezionati e
formati e periodicamente aggiornati e controllati ; i valutatori potrebbero
essere docenti e ispettori esperti delle discipline insegnate dal soggetto in
valutazione;
5.
negoziata, trasparente e controllata:
gli
organismi rappresentativi della categoria (ordine professionale,
organizzazioni sindacali) dovrebbero partecipare di diritto alla
progettazione, alla sperimentazione e alla messa a regime del sistema di
valutazione, alla scopo di controllarne l’efficacia, la trasparenza e
l’equanimità;
6.
utile
alla crescita professionale :
qualunque sia la finalità della valutazione (verificare la competenza di
un docente neo-assunto ai fini della conferma o quella di un insegnante già in
ruolo, per l’accertamento di eventuali “demeriti” o “meriti”), essa dovrebbe in
ogni caso essere concepita per aiutare il soggetto valutato a conoscere e
valorizzare i propri punti di forza e ad individuare ed eliminare i propri punti
deboli, suggerendogli un piano di sviluppo professionale; in buona sostanza,
la valutazione dovrebbe avere carattere “formativo”, non puramente
“sommativo” e, soprattutto, non ridursi a mero criterio per
distribuire premi o punizioni ; non dovrebbe servire a risparmiare
sugli aumenti di stipendio ai docenti, ma ad elevare la qualità
dell’insegnamento; dovrebbe servire innanzitutto agli insegnanti, non ai loro
datori di lavoro;
7.
sostenibile economicamente:
un sistema di valutazione degli insegnanti serio, affidabile ed efficace
richiederebbe inevitabilmente investimenti rilevanti; per il contenimento delle
spese, si potrebbero adottare modalità di valutazione almeno in parte
centralizzate e “a distanza” (ad esempio, con analisi e valutazione di un
portfolio predisposto dall’ esaminato), in modo da ridurre la durata e il
numero delle ispezioni dirette in loco e da limitare la quantità di personale
necessario. In ogni caso, coloro che governano la scuola dovrebbe finalmente
convincersi di una verità tanto fondamentale quanto lapalissiana: la qualità
costa.
Note conclusive: performance pays for teachers in USA
La
casistica USA fornisce un’ampia esemplificazione di sistemi di valutazione del
merito nell’insegnamento , ognuno dei quali potrebbe fornire spunti
interessanti (e.g., il TAP del National Institute for Excellence in
Teaching californiano, il BEST del Connecticut, il sistema del
National Board for Professional Teaching). In particolare, a parere di che
scrive, è degno di nota il “Peer assistance and review program”della città di
Toledo (Ohio), basato su ispezioni usualmente“a sorpresa” condotte nell’arco
dell’anno scolastico da piccoli staff di valutatori (docenti esperti e
dirigenti) esterni alla scuola di servizio del valutato; alle valutazioni
periodiche e finali partecipano anche rappresentanti qualificati della categoria
( p.e. delegati delle organizzazioni sindacali) con diritto di voto.
Un
documento particolarmente interessante fra i tanti prodotti dal dibattito USA è
il recente rapporto “Performance pays for teachers”-di Teacher
Solutions/Center for teaching qualità (2007) che formula proposte articolate per
una retribuzione dei docenti legata a merito e professionalità e sostiene una
tesi che lo scrivente sottoscrive in pieno: un grande insegnante,
con ampia esperienza e competenza disciplinare e didattica dovrebbe
guadagnare come un dirigente; invece i dirigenti più incompetenti e
inefficienti guadagnano assai più dei i migliori insegnanti, che pure tutti
riconoscono come professionalità centrali nella scuola.
Alcuni
spunti preziosi, in particolare, li fornisce il DECALOGO di COSA NON
FARE (“WHAT NOT TO DO”), basato sull’analisi critica delle varie esperienze
statunitensi e indirizzato ai decisori politici che intendano progettare un
sistema di retribuzione dei docenti che preveda il riconoscimento del “merito”.
Alcune suggerimenti presentano un particolare interesse:
-
non
porre un tetto artificiale al numero o alla percentuale di docenti
che possano risultare destinatari di incentivi o premi legati alla
performance;
-
non
limitare gli incentivi
solo a docenti che insegnano particolari materie sottoposte a test di
sistema (p.e. lingua materna, matematica, scienze);
-
non
legare gli incentivi soltanto a miglioramenti nei risultati delle
prove
degli studenti;
-
non
utilizzare i risultati delle prove strutturate
(p.e., quelle PISA o INVALSI) in modi che producano conseguenze
indesiderate (p.e., come indicatori dell’efficacia
dell’insegnamento);
-
non
focalizzare l’attenzione su incentivi e premi alle performances a spese
dell’incremento del sistema di retribuzione di base;
-
soprattutto, non cercare di riformare il sistema di retribuzione degli
insegnanti senza l’assistenza esperta di coloro che sanno meglio di tutti
cosa potrà funzionare e cosa no: gli insegnanti stessi.
Alcuni
riferimenti bibliografici sull’esperienza USA
1) T.
Tosch e R. Rotman, “Rush to judgement” , Education Sector, USA, 2008:
esposizione di vari sistemi di valutazione di docenti adottati in USA; la
valutazione degli insegnanti lasciata ai dirigenti è inefficace e poco obiettiva
e una valutazione percepita come tale è dannosa al morale della categoria. La
valutazioni più efficaci sono quelle “peer to peer” concordate.
2)
Lorrie A. Shepard e A. Kreitzer, “The Texas teacher test”, USA, 1986
:
esposizione dei danni provocati da un sistema di valutazione fatto male e
imposto dall’alto dai decisori politici texani agli insegnanti dello stato.
3)
Teacher Solutions/Center for teaching qualità,
“Performance pay for teachers”, USA, 2007: proposte di un panel
di insegnanti esperti per la messa a punto di un sistema di retribuzione degli
insegnanti legato alla performance didattica.
4)
McKinsey e company, “How the world’s best-performing school systems come out on
top”, USA, 2007:
rapporto che studia i sistemi scolastici “top performers” e ne svela i punti di
forza : “1) fare in modo che le persone giuste diventino insegnanti; 2)
svilupparne la professionalità fino a farne dei docenti efficaci; 3)
assicurarsi che il sistema sia in grado di fornire la migliore istruzione
possibile a ciascun bambino”.
(24 novembre 2009)
(1)
Per quanto riguarda l’avanzamento
di carriera, l’indagine rileva che i tempi sono maturi per
l’individuazione di nuovi criteri: ben l’86% degli intervistati, infatti, è
di questo parere, in particolare i laureati. Per
il 37% del campione,
l’avanzamento di carriera dovrebbe essere
determinato dalle valutazioni del lavoro svolto in classe, per
il 28% dai titoli di studio, per il 20% dall’anzianità e per
il 13% da concorsi interni.
In merito alla valutazione
degli insegnanti, il 66% ritiene che sia necessario introdurre un sistema
ad hoc: per il 40% la
formula migliore sarebbe l’osservazione sistematica da parte di un esperto
indipendente, per il 29% il
metro di giudizio potrebbero essere i risultati
conseguiti dagli studenti, per
il 19% dovrebbe spettare al dirigente
scolastico il compito di valutare
i docenti. |