LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO
Riflessioni ragionate di Margherita Colasuonno, coordinatrice regionale delle Gilde di Puglia.
Sullo sfondo già disegnato dagli articoli della Costituzione n. 9 (“ La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica…”) e n. 21 (“ Tutti hanno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione ”), il principio della libertà d’insegnamento è più direttamente asserito nel famoso incipit dell’articolo 33, degno di essere letto come espressione altamente significativa dei valori ideali che ispirarono i padri costituenti:
“ L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi ”.
Ancora, a distanza di quasi tre decenni, l’articolo 4 della legge 477/1973, garantiva la “ libertà d’insegnamento, intesa come autonomia didattica e libera espressione culturale dell’insegnante nel rispetto dei principi costituzionali e secondo gli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, nonché nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni e del diritto di questi al pieno e libero sviluppo della loro responsabilità ”.
E’ evidente che, nei testi citati, la libertà di insegnamento corrisponde all’ autonomia del singolo docente, che nelle sue scelte e nei suoi indirizzi didattici raccorda la libertà del suo pensiero e della cultura che professa alle “ norme generali sull’istruzione ” dettate dallo Stato e la sostanzia dell’essenziale impegno etico a riconoscere, rispettare e coltivare l’altra libertà, quella dei propri alunni: è una libertà rivolta, con piena consapevolezza deontologica e professionale, ad ampie e profonde finalità formative ed educative e pertanto regolata all’interno di ognuno dal nomos di forti valori etico-culturali di riferimento.
Tale concezione veniva confermata nell’articolo 2 del DPR 31 maggio 1974 n. 417 ( lo stesso che istituì gli organi collegiali) , che in seguito fu trasfuso nell’articolo 395 del T.U. sull’istruzione (D. lgs. 16 aprile 1994 n. 297). Quest’ultimo fondamentale testo legislativo, che in molti altri loci suona significativo per la nostra questione ( a cominciare proprio dall’articolo 1, intitolato appunto alla “formazione degli alunni e libertà d’insegnamento” e dedicato alla definizione dettagliata della libertà di insegnamento nei suoi aspetti qualificativi e nelle sue finalità educative), così recita dunque all’art. 395 :
“(Funzione docente) 1. La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo all’elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità.
2. I docenti delle scuole di ogni ordine e grado, oltre a svolgere il loro normale orario di insegnamento, espletano le altre attività connesse con la funzione docente, tenuto conto dei rapporti inerenti alla natura dell’attività didattica e della partecipazione al governo della comunità scolastica. In particolare essi:
a) curano il proprio aggiornamento culturale e professionale, anche nel quadro delle iniziative promosse dai competenti organi;
b) partecipano alle riunioni degli organi collegiali di cui fanno parte;
c) partecipano alla realizzazione delle iniziative educative della scuola, deliberate dai competenti organi etc.”
Qui, la funzione docente, mentre appare nei termini di principio ancora riccamente coerente con la libertà di insegnamento finora attestata (comma 1), è anche decisamente orientata sugli spazi operativi e collaborativi già tracciati dalla legislazione degli anni settanta (comma 2), in una concezione della scuola come “ una comunità sociale e civica”, nella quale i valori individuali sono lumeggiati sul fondale, profondo e avvolgente, animato da quelli collettivi e collegiali.
In questo dettato di legge si potrebbe individuare, allora, il nucleo iniziale di un processo di spostamento progressivo della nozione di libertà di insegnamento dalla sfera individuale alla sfera collegiale, dall’autonomia interna del singolo docente, sostanziata di personali motivazioni intellettuali, culturali, etico-sociali, alla dimensione esterna della sua azione e del suo ruolo, calibrata anche su regole, principi e funzioni organizzativi e gestionali della comunità scolastica.
Questo orientamento, se si può intravedere già con una certa chiarezza nel T.U. del ‘94, si evidenzia in termini sempre più netti nelle successive disposizioni legislative e normative, proprio quelle nelle quali si affermano e definiscono prima il progetto autonomistico e poi la sua realizzazione strutturale. Innanzitutto nel CCNL datato al 4 agosto del ’95, che sancisce la quasi totale e permanente rimozione dagli stilemi lessicali di contrattazione scolastica della locuzione “libertà di insegnamento” : essa , infatti, non compare affatto in questo dettato contrattuale, tutto proteso a perseguire il disegno nascente dell’autonomia scolastica, e con un unico cenno fugace ritorna nel CCNL del 26 maggio ’99, precisamente in quell’articolo 24 (ripreso in gran parte dall’articolo 26 dell’ultimo contratto) intitolato significativamente “Modalità organizzative per l’esercizio della funzione docente” e finalizzato a calare negli accordi contrattuali le disposizioni in materia di autonomia didattica ed organizzativa presenti nell’art. 21 della Legge 59/’97 e regolamentate dal DPR 8 marzo 1999 n. 275 ( articoli 3, 4, 5, 6). Ai commi 1 e 2, l’art. 24 del CCNL 1999 (e l’art. 26 di quello attualmente in vigore) così suona:
“1.Le istituzioni scolastiche adottano ogni modalità organizzativa che sia espressione di autonomia progettuale e sia coerente con gli obiettivi generali e specifici di ciascun tipo e indirizzo di studio, curando la promozione e il sostegno dei processi innovativi e il miglioramento dell’offerta formativa. 2. Nel rispetto della libertà d’insegnamento, i competenti organi delle istituzioni scolastiche regolano lo svolgimento delle attività didattiche….”. Salta agli occhi la consonanza coi testi legislativi del canone autonomistico, anzi l’identificazione espressiva anche nella ripresa del rapporto logico-funzionale col contesto, se di quei testi si considerano i seguenti loci:
art. 21 comma 9 Legge 59/’97: “L’autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema d’istruzione, nel rispetto della libertà d’insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere. Essa si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento etc.”;
art. 1 comma 2 DPR 275/’99: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà d’insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione etc.”;
art. 4 comma 1 DPR 275/’99: “Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie etc.”;
art.5 comma 1 DPR 275 /’99: “Le istituzioni scolastiche adottano, anche per quanto riguarda l’impiego dei docenti, ogni modalità organizzativa che sia espressione di libertà progettuale etc.”.
In realtà, al di là delle corrispondenze nominalistiche e logico-funzionali, una lettura un po’ più attenta dei fondamentali testi legislativi e normativi in materia scolastica dal 1995 in poi, prima induce e poi rafforza la convinzione non preconcetta che la libertà di insegnamento non trovi, nella scuola dell’autonomia, una collocazione facile ed armonica, visto che di essa si è nel tempo andata determinando o, sporadicamente, una sopravvivenza solo verbale e sostanzialmente retorica, magari usata anche strumentalmente nella fissità formulare di uno stereotipo un po’ ingombrante ma da soddisfare per la sua derivazione costituzionale, o, massicciamente, una sorta di strisciante straniamento dai “suoi” significati e di progressiva acquisizione di significati “altri” legati alle necessità strutturali dell’autonomia.
Nella logica di questo processo:
- la libertà di insegnamento, che comprende, nella vastità della nozione implicitamente ed esplicitamente articolata e complessa presente nei primi testi di legge, tutti gli aspetti afferenti alla specifica qualità umana e professionale di chi individualmente la professa, si restringe negli spazi certo più brevi di una libertà progettuale tutt’al più tecnicamente o anche metodologicamente significativa (cfr. art. 3 comma 2 DPR 275/’99 : [ il POF] “ comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti professionalità”);
- la libertà del singolo docente, che comporta anche e soprattutto il “suo” impegno etico, la “sua” cura deontologica, la “sua” preoccupazione formativa e disciplinare nel rapporto ampiamente educativo con gli alunni, si trasforma nell’autonomia rigidamente regolamentata della singola istituzione scolastica, che è chiamata di necessità ad una serie di adempimenti burocratici fisiologicamente inerenti a “quel” modello, fisso, di organizzazione;
-l’ autonomia didattica del singolo docente, che si collega direttamente con la “sua” competenza culturale e con la “sua” responsabilità professionale, diventa autonomia progettuale della singola istituzione scolastica, spesso gestita in funzione di un’immagine produttivistica da esibire di matrice aziendale e quindi anche accessibile alle incursioni vincenti di un individualismo cinico e arrogante, che in quanto tale non può “produrre” alcun vero “risultato” educativo e formativo.
Alla luce di quanto considerato, forse potrebbe suonare massimalistico affermare, coerentemente, che nell’era dell’autonomia scolastica la dimensione individuale della libertà di pensiero e di azione del docente è fagocitata da una dimensione collegiale vincolata ad una precisa concezione del “fare scuola” e a tutto il conseguente armamentario attuativo e comportamentale, ma certamente arduo, nei fatti, è per il docente libero far valere efficacemente le sacrosante ragioni della sua concezione etica, culturale, didattica, se esse non rientrano nella ritualità ingessata dell’autonomia funzionale, anzi funzionalistica.
Il problema reale, cioè quello di restituire ovvero assicurare al docente la ricchezza delle qualità professionali parallelamente alla gravità delle responsabilità morali connesse al suo compito, resta più che mai aperto. Finchè non sarà risolto, qualsiasi strategia di scuola è destinata a fallire: sempre, beninteso, che di vera scuola si tratti.