GILDA E SISTEMA RETRIBUTIVO "MERITOCRATICO"

Il fascino delle fasce (di merito).

Il contratto 1998/2001 è stato presentato all’opinione pubblica come un contratto rivoluzionario, perché sancirebbe l’abbandono dell’uniformità retributiva dei docenti e il riconoscimento economico del merito.

I sostenitori del sistema retributivo "meritocratico" intendono farsi interpreti dell’esigenza di premiare economicamente chi nella scuola si impegna di più e si attendono anche un effetto di trascinamento dei docenti migliori sulla restante parte della categoria, con un conseguente innalzamento generale della qualità della prestazione.

Ma la differenziazione dei docenti per fasce di merito, cioè in base al diverso livello qualitativo della loro prestazione docente, può rappresentare la soluzione del problema di una maggiore equità retributiva o non rappresenta, al contrario, un rimedio peggiore dei mali che intende sanare? Proverò a dimostrare, con considerazioni ispirate a una impostazione da ordine professionale, e quindi del tutto immuni da pregiudizi egualitari e antimeritocratici tardo-sessantotteschi, che tale sistema comporta, oltre ad altri inconvenienti (aleatorietà, arbitrarietà e scarsa quantificabilità di molti parametri che concorrono a determinare il merito di un docente), implicazioni gravissime per la credibilità e l’immagine professionale dei docenti.

 

Contro il sistema retributivo "meritocratico".

  1. La stratificazione per merito, infatti, parte da un assunto che è già contestabile: il merito va premiato. Non il merito va premiato (per quanto assurda e paradossale tale affermazione possa sembrare), ma va punito il demerito (che non è la stessa cosa): chi opera in modo meritorio compie, infatti, nient'altro che il proprio dovere e offre la prestazione per la quale è retribuito. Al contrario, è chi non compie il proprio dovere che va penalizzato, sia per la truffa che compie nei confronti del proprio datore di lavoro e dei fruitori del servizio scolastico sia per il discredito che getta sull'intera categoria dei docenti. Ciò che va riconosciuto economicamente non può essere dunque il merito, ma soltanto il maggiore impegno derivante da mansioni funzionali che rappresentano un di più rispetto agli obblighi connessi alla normale prestazione docente, oppure l’aggravio di lavoro che affligge obiettivamente e selettivamente alcuni docenti.
  2. La stratificazione per merito è basata su una indimostrata ipotesi di criminalizzazione dell’intera categoria dei docenti. Questa viene, infatti, ritenuta nel suo complesso inaffidabile e poco credibile (e perciò degna di una retribuzione di livello impiegatizio) ad eccezione dei pochi che dimostrano di essere meritevoli di un particolare riconoscimento economico. Il presupposto è inaccettabile: l’intera categoria dev’essere ritenuta meritevole, ad eccezione dei pochi che dimostrano di non esserlo, e che di questo risponderanno personalmente, senza che il resto della categoria ne risulti coinvolta. Che a sostenere questa ipotesi diffamatoria sia la nostra controparte è perfettamente comprensibile: su di essa è fondata pretestuosamente la giustificazione della sottoretribuzione dell’intera nostra categoria e il disconoscimento della nostra dimensione professionale. Che a sostenere la stessa ipotesi (e ad assumersi quindi il compito di procedere a una "benemerita" opera di bonifica e di vero e proprio killeraggio nei confronti dei presunti colpevoli) sia un sindacato che intende rappresentare l’intera categoria dei docenti è invece una scelta suicida: su tale posizione si raccoglierebbe, sì, il consenso di alcuni docenti (l’esigua minoranza che si autocolloca o aspira a collocarsi nella fascia di merito superiore), ma si incapperebbe anche inesorabilmente nel rigetto della stragrande maggioranza della categoria.
  3. La stratificazione per merito vanifica l’aspirazione dei docenti a farsi riconoscere come categoria professionale.
  1. La stratificazione per merito inquina irrimediabilmente e rende invivibile l’ambiente di lavoro dei docenti, perché inocula il germe della conflittualità (tra docenti da una parte e alunni e genitori dall’altra) e della divisione (all’interno del corpo docente) in un ambiente in cui essenziale è un rapporto di fiducia e di rispetto reciproco tra le varie componenti. A quali classi, infatti, verrebbero assegnati i docenti di serie B? Quali studenti accetterebbero di farsi preparare e valutare da tali docenti? Quali genitori accetterebbero di affidare i propri figli a tali docenti? Quale autorità avrebbero tali docenti nelle proprie classi? Come potrebbero pretendere rispetto ed impegno dai propri alunni, dal momento che essi stessi sarebbero esempi viventi di scarso impegno? A chi fa notare che tale stratificazione di fatto è sempre esistita tra i docenti di ogni istituto è da obiettare: ma tale situazione è da istituzionalizzare e legittimare con una diversa retribuzione, o non è invece da rimuovere come dannosa per gli alunni e offensiva e controproducente per l'immagine professionale dei docenti?
  2. La stratificazione per merito non porta al miglioramento della qualità della prestazione docente, che si può conseguire soltanto con una rigorosa selezione in ingresso e un serio sistema di formazione in servizio che porti a un innalzamento generale del livello di competenze professionali, esteso quindi a tutto il corpo docente (come la Gilda ha peraltro sempre riconosciuto, nel momento in cui ha fatto riferimento al docente medio di qualità). Il sistema meritocratico può portare invece a due esiti, il primo drammatico, il secondo grottesco e paradossale: 1) se viene portato alle logiche conseguenze delle sue premesse, deve prevedere l'effettuazione di esami periodici, l’espulsione dei docenti individuati di volta in volta come non meritevoli e il loro rimpiazzo con nuove leve, le quali non darebbero certo maggiori garanzie di professionalità, dal momento che sono selezionate con le stesse modalità dei docenti espulsi. Quanto tempo, poi, i docenti dedicherebbero agli esami periodici, sottraendolo alla normale attività docente? 2) Se poi si dà al sistema meritocratico un’applicazione morbida, all’italiana (niente verifiche periodiche o verifiche "elastiche"), e quindi i docenti non meritevoli vengono lasciati nella scuola, sia pure con una minore retribuzione, allora, accanto al riconoscimento del merito, si avrebbe anche il riconoscimento e la legittimazione del demerito, perché si riconoscerebbe di fatto ai docenti "non meritevoli" il diritto di fornire una prestazione di più basso livello qualitativo in cambio di una minore retribuzione, con conseguente abbassamento generale della qualità della prestazione docente (i "non meritevoli" costituirebbero sistematicamente la maggioranza dei docenti!).
  3. La stratificazione per merito sancisce la rinuncia a migliorare la qualità del servizio scolastico da parte dello Stato, che, dopo aver preso atto che tra i docenti possono riscontrarsi differenze anche vistose di preparazione e di professionalità, invece di provvedere ad uniformare le prestazioni al livello qualitativo più alto possibile, legittima e perpetua l’esistente, ad un tempo dichiarandosi incapace di assolvere al meglio la sua funzione formativa, disperdendo la residua credibilità della scuola pubblica e calpestando il diritto degli alunni ad una formazione la più qualificata possibile. La scuola privata ringrazia!
  4. La stratificazione per merito si configura come un’improvvida istigazione all'arrivismo, al protagonismo e alla competizione in un ambiente di lavoro in cui, al contrario, è essenziale un atteggiamento collaborativo, non competitivo. La stessa aspettativa secondo la quale la competizione e la prospettiva di miglioramenti economici e di carriera possano stimolare i docenti ad una gara al miglioramento della prestazione è illusoria. La figura del docente in carriera (del tutto estranea, peraltro, alla nostra tradizione culturale) non esercita, infatti, alcun fascino su una categoria che ha compiuto una scelta di vita non rivolta alla conquista di fette di mercato, al successo economico, alla scalata sociale e all’avere, ma ispirata ai valori della cultura, della conoscenza disinteressata e dell’essere. L’atteggiamento competitivo all’interno della scuola può riuscire, inoltre, controproducente proprio ai fini dell’efficacia didattica. Il docente in carriera tenderà forse a mettere a disposizione degli altri docenti (e quindi a vantaggio degli alunni) le proprie maggiori competenze (tutte da dimostrare, peraltro) o non tenderà piuttosto a tenerle gelosamente nascoste, per evitare "attentati" al proprio (presunto) monopolio di conoscenze? Potrà contare sulla collaborazione degli altri colleghi, i docenti-ascari, o non verrà piuttosto lasciato solo, dal momento che, retribuito meglio degli altri, ha il dovere di lavorare più degli altri? La competizione è esaltante per i pochi vincitori, ma umiliante e disperante per i perdenti. Come può dunque produrre risultati apprezzabili un sistema che prevede la gratificazione per una ristretta minoranza di docenti e disistima di sé e demotivazione per tutti gli altri? Potranno docenti demotivati motivare a loro volta i propri alunni?
  5. La stratificazione per merito poggia sulla convinzione che si possa valutare e quantificare in modo immediato, obiettivo e completo un’attività che, per la sua complessità, è difficile da quantificare in modo attendibile. L’unico dato che si può valutare con certezza è il possesso dei contenuti disciplinari (possesso già accertato, peraltro, al momento dell’abilitazione all’insegnamento). Ma sapere non coincide con saper insegnare: un profondo conoscitore della propria disciplina non è, ipso facto, anche un buon docente. Se poi si vuole giudicare il merito di un docente dalla qualità del suo "prodotto", si deve tener conto del fatto che l’esito educativo risulta condizionato sia dal tipo di alunni che da tutto un insieme di parametri, esterni ed interni alla scuola, che sfuggono al controllo del docente. Come ripetutamente fa notare Romei, la relazione che si può stabilire tra la prestazione di un docente e i risultati effettivi conseguiti dal suo intervento educativo non è di tipo deterministico, ma soltanto di tipo probabilistico: a migliore preparazione professionale del docente è soltanto più probabile, ma non è certo, che corrispondano migliori esiti educativi (ma siamo poi così sicuri che la bocciatura di un alunno sia da ritenere in ogni caso un fallimento, e un fallimento del docente?). Oltre a ciò, sfuggirebbero comunque a qualsiasi quantificazione e parcellizzazione atteggiamenti, abilità e obblighi deontologici che sono tipici di un’attività professionale e quindi inscindibili dalla normale attività del docente (disponibilità, pazienza, sensibilità, premura, capacità di introspezione psicologica, attenzione a proporsi costantemente ai propri allievi come modello positivo di comportamento, capacità di gestire la classe, di infondere fiducia, di trasmettere interesse per la propria disciplina e di suscitare interessi culturali più vasti, ecc.). Inoltre non si può ignorare che il docente non è soltanto un trasmettitore di nozioni, ma un "inseminatore" di atteggiamenti mentali e di modelli di comportamento che rimangono operanti nell’allievo per tutta la vita e che danno i loro frutti soltanto in tempi lunghi. Come si può dunque valutare obiettivamente e quantificare esattamente il merito di un docente sulla base sia dell'esito a breve termine che della riuscita finale del suo intervento educativo? Valutare infine il merito di un docente sulla base del numero di corsi di aggiornamento o delle attività di formazione alle quali ha partecipato, a prescindere dall'effettiva ricaduta di tali attività sulla qualità della sua prestazione didattica, è semplicemente grottesco: sarebbe come valutare la competenza di un chirurgo in base al numero di congressi a cui ha partecipato piuttosto che in base al numero di ore trascorse in sala operatoria o al numero di interventi chirurgici che ha felicemente condotto a termine!
  6. La stratificazione per merito rende la categoria più ricattabile (e quindi più debole) nei confronti della controparte sindacale, la quale avrebbe facile gioco nel dichiararsi, sì, disponibile a concedere aumenti, ma a patto che in cambio i docenti accettino di sottoporsi a verifiche di merito sempre più onerose. Per la nostra categoria (e soltanto per essa) gli esami non finirebbero mai! In prospettiva, si schiudono per i docenti scenari ancora più raccapriccianti ed apocalittici: si comincia, infatti, col richiedere un esame per passare a una fascia stipendiale superiore, ma si potrà anche finire, una volta introdotto il principio ed imboccata la china, col pretendere che i docenti sostengano periodicamente un esame per non retrocedere alla fascia inferiore o addirittura che l’attuale meccanismo di progressione economica per anzianità venga completamente sostituito da esami periodici!
  7. La stratificazione per merito è basata su una sottovalutazione dello stato di disagio sofferto dalla classe docente. Non è l’uniformità degli stipendi che disturba, ma il loro appiattimento ai livelli più bassi del pubblico impiego. Attribuendo a una fascia di docenti una retribuzione aggiuntiva, non solo non verrebbero eliminate frustrazione e demotivazione, che riguardano l’intera categoria dei docenti e hanno cause più profonde, ma si aggraverebbe la frustrazione di quelli (la maggioranza) che rimarrebbero inesorabilmente esclusi dal novero ristretto dei "meritevoli". I docenti rispettosi del proprio ruolo e della propria dignità professionale hanno sempre compiuto il proprio dovere anche se sottoretribuiti, gli altri non si sentirebbero certo stimolati a un maggiore impegno dalla presenza di qualche lira in più nella busta paga.
  8. La stratificazione per merito porterebbe alla creazione di una gerarchia (e alla differenziazione di stato giuridico) all’interno della categoria dei docenti, che costringerebbe la maggior parte di questi a una doppia subordinazione, nei confronti sia del capo di istituto che di altri docenti, quelli di serie A.

Giuseppe DE LUCA
Gilda di potenza