In un seminario sulle recenti riforme costituzionali, Sergio Auriemma
ha più volte toccato il “tema” del regionalismo differenziato, che non
nascerebbe con il disegno di legge Berlusconi-Bossi, ma sarebbe “già
attualmente inserito nell’art. 116 della Costituzione riformata”. Potremmo
avere la sua opinione in materia?
L’immagine
che ricorre spesso sui giornali, che ci dà una vera e propria demonizzazione
della modifica dell’art. 117, dal punto di vista tecnico-giuridico è priva di
fondamento.
L'art.
117, nella versione risultante dalla modifica proposta, solleva una serie di
questioni, e contiene alcune proposizioni singolari, ma, in punto di ampiezza
dell'autonomia regionale, almeno nella materia dell'istruzione, riproduce
tratti fondamentali già scritti nella Costituzione vigente.
Il
testo del disegno di legge (d.d.l. n.1187) si limita a inserire, dopo il quarto
comma, il seguente: "Le Regioni attivano la competenza esclusiva per le
seguenti materie": (….) "b) organizzazione scolastica, gestione
degli istituti scolastici e di formazione; c) definizione della parte dei
programmi scolastici e formativi di interesse specifico della regione; (….).”.
Il
comma si aggiunge ai commi precedenti, non li sostituisce. Quindi, dire che con
questa norma le regioni si appropriano delle norme generali sull’istruzione è
affermazione di cui non riesco a verificare la realtà. Le norme generali
dell’istruzione, intese come la competenza volta a determinare le misure
generali di uniformità del sistema nazionale di istruzione, sono di competenza
dello Stato, perché ciò è esplicitamente scritto nel precedente comma 2
dell'art. 117. Le Regioni potranno solo determinare, nella parte che sarà
stabilita nelle norme generali, la quota di programmi che saranno loro
devoluti.
D'altra
parte, questo potere regionale di determinazione di una quota dei curricoli, è
già implicito nel testo vigente dell'art. 117, ed è stato esplicitato nel
disegno di legge Moratti (Delega al Governo per la definizione delle norme
generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia
di istruzione e formazione professionale).
Io
ragiono in questo modo. L’istruzione è un’attività tecnicamente qualificata e
si deve svolgere in condizione di libertà. Però questo non significa che il
potere politico non possa occuparsi di istruzione. Mi riferisco ai livelli
dell’apprendimento, agli obiettivi generali del sistema: alla fine è il potere
politico, il Parlamento, che, pur con l’obbligo di acquisire tutte le
necessarie valutazioni dei tecnici, deve decidere (in parte) per che cosa deve
investire il denaro pubblico. In un regime democratico non possono essere i
tecnici. Il problema è solo di equilibrio: la decisione politica non può
penetrare oltre una certa soglia (non ne è materialmente, cioè tecnicamente,
capace) e deve essere presa con cognizione di causa, ma, poi, se i pareri
(tecnici) sono discordi o privi di certezza (come normalmente può accadere), è
il politico che decide. Non saprei pensare ad altro.
Sennonché,
una volta stabilito che nella materia dell’istruzione vi è uno spazio per la
politica pure in tema di curricoli, allora perché mai si dovrebbe
pregiudizialmente escludere che una parte possa essere attribuita alle Regioni?
Le Regioni non hanno forse potere politico legislativo come lo Stato?
Ma
vi è un altro argomento, che è quello a cui probabilmente si riferisce il
Consigliere Auriemma.
L'art.
116 prevede che alle Regioni, con una certa procedura basata su un'intesa con
lo Stato, possano essere fatte particolari condizioni di autonomia in relazione
a certi oggetti, fra cui rientrano le norme generali sull'istruzione (si veda l'art.
116, c. 3, prima proposizione).
Ora,
una norma come questa, indipendentemente dal fatto che intese del genere siano
o non siano stipulate, di per sé dimostra che la "materia"
"norme generali sull'istruzione" non è dalla vigente Costituzione
considerata di necessaria appartenenza statale. A questo punto, non vi è
altro da aggiungere.
Il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti sociali e civili e dei principi fondamentali è tassativo per ogni
regione sia che essa operi in regime di legislazione esclusiva che in regime di
legislazione concorrente. Fermo restante il fatto che i primi sono in via di
definizione, potrebbe darci qualche chiarificazione e qualche esempio relativi
ai “principi fondamentali”?
Qual è, inoltre, la differenza fra norme e principi?
1.
E' forse opportuna un'avvertenza. Un medesimo fenomeno sostanziale può essere
oggetto di più nozioni (o qualificazioni) giuridiche. Ad esempio, un certo
fatto (il danno subito da un alunno) può costituire un illecito civile, un
illecito penale, un illecito disciplinare. Ancora: l'insegnamento costituisce
esercizio di libertà, ma costituisce anche adempimento (per il docente) di un
obbligo di servizio. Non vi è da sorprendersi: è normale. Vi sarà solo da
individuare i criteri per stabilire, nei vari casi, quale sia la nozione volta
a volta da applicare.
2.
Il settore in esame ne è immediata riprova. Le nozioni con cui dobbiamo
operare sono tre: i livelli essenziali delle prestazioni, le norme generali
sull'istruzione, i principi fondamentali.
Alcuni
fenomeni sostanziali, di per sé, potrebbero essere considerati come principi
fondamentali o come livelli essenziali o come norme generali sull'istruzione.
Ad esempio: potrebbero rientrare nei principi fondamentali o invece nei
livelli essenziali: gli standard sul numero di alunni di ogni classe (o di
quella entità che, secondo i tecnici dell'istruzione, dovesse sostituire la
classe), sul numero di prestazioni di istruzione per ambito territoriale, su
aspetti quantitativi concernenti l'integrazione di soggetti svantaggiati (sotto
vari profili), ecc.; potrebbero rientrare nei principi fondamentali o invece
nelle norme generali sull'istruzione: i tratti fondamentali della funzione
docente, della libertà di insegnamento, dello statuto giuridico dei titolari
della funzione docente, dei curricoli, dei titoli di studio, del sistema di
valutazione e di controllo, degli esami, delle commissioni di esame con
esterni, ecc.
In
tutti questi casi, dinanzi alle possibili diverse qualificazioni (livello
essenziale, norma generale sull'istruzione, principio fondamentale), il punto
decisivo è che prevale la qualificazione in termini di livello essenziale o di
norma generale di istruzione. Infatti, se si dovesse dare priorità alla
qualificazione in termini di principio fondamentale risulterebbe compromessa
l'esigenza che ha indotto il legislatore costituente a configurare i livelli
essenziali o le norme generali come limiti che operano sempre.
Di
conseguenza, prima occorre stabilire se una certa cosa può essere considerata e
giuridicamente disciplinata come livello essenziale o norma generale
sull'istruzione, e, poi, se la risposta è negativa, ci si deve chiedere se può
essere configurata come principio fondamentale.
In
relazione ai livelli essenziali e alle norme generali sull'istruzione, i
principi fondamentali hanno un ambito residuale, possono riguardare solo
aspetti ulteriori e differenti.
3.
Fermo quanto sopra precisato, e dunque negli spazi comunque lasciati liberi dai
livelli essenziali e dalle norme generali sull'istruzione, si potrebbero
considerare principi fondamentali: le funzioni degli organi essenziali
dell'istituzione scolastica, i principi concernenti le procedure di
partecipazione di genitori e di studenti, i principi e le forme organizzative
di raccordo con i poteri pubblici locali e con la società territoriale di
riferimento, i principi sulla gestione amministrativa e contabile, i principi
sulle procedure di programmazione, i principi sulla distribuzione delle
risorse, i principi sulle forme di tutela degli utenti interne al sistema
dell'istruzione, ecc.
4.
Norma e principio fondamentale. La norma è una qualsiasi disposizione
giuridica (prodotta da atti giuridicamente qualificati come fonti del diritto:
Costituzione, leggi, regolamenti, Trattato dell'Unione europea, Trattati
comunitari, regolamenti comunitari, direttive comunitarie, ecc.),
indipendentemente dalle caratteristiche del suo contenuto sostanziale, che può
essere generale o di dettaglio, di rilevanza primaria o secondaria, ecc.
Il
principio fondamentale, invece (nel contesto che interessa), costituisce un
parametro di base per la regolamentazione di un certo oggetto (o materia), su
cui deve essere misurata la coerenza di ogni ulteriore disciplina dell'oggetto
(o della materia). Il principio fondamentale non deve esaurire la disciplina
del settore, ma solo costituire il quadro unitario, che potrà essere
specificato e completato con contenuti diversi, in attuazione delle politiche
regionali e degli interessi delle collettività regionali. Ad esempio, per
quanto riguarda l'istituto scolastico, può essere principio fondamentale quello
di un'autonoma funzione per la gestione contabile-amministrativa, mentre non
lo è la puntuale disciplina dei compiti rientranti nella funzione ed i rapporti
con gli altri organi dell'istituto. Ciò significa: a) che tale funzione dovrà
essere mantenuta come funzione a sé; b) che la disciplina adottata a livello
regionale (in ipotesi), per quanto variabile, non potrà giungere fino al punto
da svuotare tale funzione. Oppure: è principio fondamentale il diritto di assemblea
di genitori e studenti, mentre non lo sono tutte le possibili sue modalità di
realizzazione, ecc.
Un'ultima
precisazione. Non vi è incompatibilità fra norma e principio fondamentale: una
norma può o non può contenere un principio fondamentale. Sono le
caratteristiche sostanziali del contenuto della norma a decidere se essa
racchiude o non un principio fondamentale.
5.
Il sistema è complesso, ma non più di tanti altri. D'altra parte è il riflesso,
sul piano istituzionale, della complessità della nostra società ed in
particolare della necessità di garantire il più ampio sviluppo delle libertà e
delle responsabilità individuali e collettive. Il nuovo sistema offre
l'occasione per migliorare, adeguare, modernizzare, valorizzare, ecc. (perfino
per semplificare).
Esiste l’opportunità (secondo alcuni) o il pericolo (secondo altri) che
i docenti diventino dipendenti regionali. Il vicepremier Fini ritiene che il
“passaggio”non sia automatico, perché organizzazione significa legislazione
sugli “organi” e i docenti non sono “organi”.
Mi
limito, come ovvio, al profilo tecnico-giuridico.
L'argomento
secondo cui il docente non è un organo (che peraltro esigerebbe alcune
precisazioni) in ogni caso non risolve il problema, che deve essere invece
impostato in altro modo.
L'istruzione,
a Costituzione vigente, è materia di competenza regionale concorrente e dunque
configura uno spazio con doppia attribuzione legislativa: allo Stato per i
principi fondamentali, e alle Regioni per l'altra parte, salvi sempre i limiti
delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali, dell'autonomia
delle scuole, dei principi fondamentali.
Peraltro,
la vita (la gestione, dall'inizio alla fine) di un rapporto di lavoro non
riguarda la funzione legislativa, si pone invece sul piano delle funzioni di amministrazione.
E, in tema di funzioni amministrative, l'art. 118 prevede che esse debbano
essere attribuite ai Comuni, salvo che la necessità di assicurarne l'esercizio
unitario imponga di attribuirle ad un ente di livello territoriale superiore
(Provincia, Città Metropolitana, Regione, Stato).
Ora,
per quanto riguarda il fenomeno complessivo della docenza e dei docenti,
certamente vi sono esigenze unitarie, ma si riferiscono alla regolamentazione
degli aspetti determinanti della funzione docente, della libertà di
insegnamento, delle modalità (pubbliche, imparziali e concorsuali) di
reclutamento. Questi profili debbono essere regolati in modo uniforme in
tutta la Repubblica e rientrano, a mio avviso (come ho detto prima), nelle
norme generali sull'istruzione di spettanza statale, in questa parte non
regionalizzabili neppure con il meccanismo dell'intesa previsto dall'art. 116
Cost.
Ma
la gestione del rapporto di lavoro e lo svolgimento del ruolo di datore di
lavoro (procedere ad avviare un concorso per l'assunzione, pagare uno
stipendio, provvedere ai trasferimenti, applicare una sanzione disciplinare,
ecc.) sono altra cosa e non vedo esigenze unitarie tali da imporre la
conservazione della statualità del rapporto.
Anzi.
Il servizio dell'istruzione è tradizionalmente svolto in strutture decentrate
rispetto all'Amministrazione statale, oggi per di più costituite in enti
autonomi (le istituzioni scolastiche); l'ente che ha una competenza
legislativa di tipo (in senso lato) attuativo è la regione e da sempre (già
con il precedente Titolo V) è pacifico che le regioni abbiano personale
proprio per esercitare le funzioni relative a materie rientranti nella
competenza legislativa concorrente: insomma, non sembra esservi spazio perché
continui ad essere lo Stato il datore di lavoro. Appare invece coerente con
la nuova ripartizione delle funzioni che più non sia lo Stato.
Quello
che merita maggiore attenzione è se il nuovo datore di lavoro debba essere la
regione o qualche altra amministrazione, ad esempio la stessa istituzione
scolastica. In proposito, già ho espresso in altra sede il mio pensiero, nel
senso che la dimensione regionale (la regione come datore di lavoro) pare
essere la prospettiva più adeguata per meglio garantire sia la mobilità del
corpo docente che la stabilità del rapporto.
Ultima
notazione. Un'ipotesi di regionalizzazione del rapporto di lavoro potrebbe, per
un verso, giovare all'elasticità del sistema, e, per un altro, dovrebbe indurre
(almeno in teoria) ad una migliore determinazione, a livello di legislazione
statale (norme generali sull'istruzione), delle garanzie concernenti lo statuto
giuridico della funzione docente e dei suoi titolari. Potremmo avere dunque
esiti meritevoli di apprezzamento sia sull'uno che sull'altro versante.
a
cura di Se. G.
*
L’intervento è stato tenuto in occasione del Seminario di San Benedetto del
Tronto “Enti locali e scuola” (5-6-7 dicembre 2002). Il testo, edito da
Tecnodid per “Notizie della Scuola”, è stato distribuito ai partecipanti.
Sergio
Auriemma collabora sistematicamente con la Casa Editrice Tecnodid.
**
Abbiamo avuto modo di confrontarci con il
Professore Carlo Marzuoli nel corso di un Seminario di Studi organizzato dalla
Gilda di Firenze l’11 dicembre 2002 sul tema dello stato giuridico del docente.
Il professore, che in quella sede aveva dato ai presenti preziose
chiarificazioni, ha accettato di strutturare in modo organico alcune parti del
suo intervento.
Il
risultato è questa “Intervista reale”, per la quale lo ringraziamo. |