Interrogativi
Sollecitato da Angelo Scebba a metter per iscritto alcune cose dette in una
plenaria del CNPI intorno all’insegnante come Maestro nei difficili chiari di
luna dell’attualità, mi sono documentato sugli ultimi numeri di Professione
docente, foglio che seguo da anni e con cui ho sempre trovato profondi motivi di
consonanza. In particolare vi ho rinvenuto una bella intervista di Renza
Bertuzzi a Luciano Gallino, ricca di riferimenti anche a un libro che avevo
letto alcuni mesi fa e di assoluta pregnanza.
Io ho vinto un concorso quarant’anni fa; la paga scarsa, ma il posto è sempre
stato al sicuro, potevo farci conto. Potevo solo migliorare, con altri concorsi,
la mia posizione. Che significa oggi per un docente, professionista
istituzionale, dunque di una istituzione della stabilità, essere precario, non
poter distribuire nel tempo con un minimo di affidabilità il proprio progetto di
vita? Come comunicare ai giovani sicurezza, quando uno non è sicuro nemmeno del
proprio posto di lavoro? Nella precarietà cosa trasmettere se non mere
competenze, quando i giovani avrebbero bisogno di ben altro, ovvero di imparare
ad amare il mondo e la scienza, a conoscere, a guardare il futuro non con ansia
ma con speranza?
Sullo sfondo altre domande, che riguardano anche i formalmente non-precari:
saremo produttori di conoscenza o addestratori a competenze richieste dal
mercato? Cosa significherà per tutti noi anche sul piano della nostra attività
di lavoro trovarsi senza un contratto nazionale (forma contrattuale sempre più
attaccata dalla Confindustria e pressata dagli esponenti del governo) ed esposti
alle trappole del contratto individuale? Che ne sarà della libertà di
insegnamento, patrimonio anche della dirigenza scolastica e tecnica, quando
saremo tutti valutati dal nostro superiore? Conteranno di più la cultura,
l’autonomia intellettuale, la capacità di iniziativa o piuttosto l’obbedienza?
Insegnare a conoscere
La scuola è oppressa, oltre che da grave mancanza di fondi e presto anche di
personale (oltre centomila cattedre e cinquantamila non docenti in meno nei
prossimi tre anni), dalla richiesta ossessiva di produzione di competenze
rilevabili dagli apparati di valutazione sistemica e spendibili sul Mercato. I
maestri non dovrebbero più additare il senso della storia e la cultura, nè
rappresentare l’ autocoscienza della intera vicenda dello spirito. Per questo la
Conoscenza e il suo organo fondazionale, la filosofia, sono rinnegate dalle
scuole pedagogiche più mercato/compatibili come teoresi fondanti, “costanti
metodologiche” che innervino le diverse discipline e le mettano nel loro insieme
in grado di rappresentare l’Intero: il soggetto della produzione non deve
conoscere l’intero mondo ma solo quel pezzo che gli competerà. Meno sa, meglio
è, basta che sappia fare quel che (ad altri) serve.
Il disegno di disarticolazione delle relazioni sociali e politiche denunciato da
Gallino sarà così più facile. Il soggetto non avrà più dei compagni ma dei
concorrenti, pardon competitors, non una Terra su cui poggiarsi con sicurezza nè
un Cielo cui rivolgersi, poichè tutto il suo esistere sarà impegnato nella
incertezza del mondo della produzione.
La piazza principale del paese dell’istruzione appare così dominata da una
parola, “competenze”, cui tutti dedicano reverenti omaggi; in frequenti casi lo
fanno perfino i controinteressati e pure coloro che culturalmente apparirebbero
lontani dall’ideologia del mercato. Il campo semantico occupato dalla parola è
stato progressivamente dilatato fino ad occupare tutto il territorio pedagogico.
Cercherò in questo breve scritto di precisarne i confini e ridimensionarne
l’eccessivo ruolo attualmente giocato.
Un primo elemento di identità di una parola è dato da quelle con cui va
abitualmente collegata e da quelle da cui è ordinariamente disgiunta (“Dimmi con
chi vai”……). Difficilmente la troverete accompagnata a “spirito”, “persona”
“cultura”, “pedagogia”, “filosofia”, “amore”, “attesa”, “speranza”. Competenza
procede abitualmente insieme a: linee-guida, format, sequenze, traguardi,
descrittori, indicatori, test, livelli, sub-livelli, monitoraggio,
certificazione. E’ l’intero dizionario principale di una concezione tecnicistica
ed economicistica della scuola; è una concezione impropriamente fatta derivare
da alcuni documenti europei sull’istruzione professionale ed estesa
impropriamente a criterio sommo dell’intero campo dell’Istruzione, dalla scuola
dell’infanzia all’università.
Occorre invece, a mio avviso, ripensare alle strutture dell’istruzione come a
luoghi di formazione integrale di tutto l’uomo (non solo del
produttore/consumatore); trovare un punto di forza nella coscienza e portare la
“competenza” entro la costellazione dominata dalla stella principale: conoscere.
Fare che le coscienze prendano forma
Nello scenario di riferimento di un insegnante o dirigente che sappia essere
anche un maestro vi sarebbe un termine ormai (preziosamente) inattuale:
coscienza. Se non ho coscienza, io non sono. Ignorando, cancellando la coscienza
fra il datum dell’educazione e dell’istruzione, certa didattica nera del
tardomoderno cancella il soggetto, lascia perdere la persona e l’essere in
educazione come produzione dell’io. A chi conta, i soggetti isolati, incoscienti
di sé, dei propri diritti, delle linee di fondo della cultura fanno molto
comodo.
Occorre invece reilluminare la “coscienza”, l’atto oscillante ma sempre
originario e intenzionale dell’avvicinarsi e del prender le distanze da se
stessi e dalle cose per guadagnare un razionale (relativamente stabile e
puntualizzato) sentimento di sé e una forza di protensione che faccia guadagnare
un inserimento fondato, libero e autonomo nel mondo. Ignorare la coscienza in un
disegno pedagogico significa allevare generazioni di dispersi e di dispersi del
tipo più pernicioso: i dispersi non tanto da dove li vorremmo quanto anche da se
stessi.
La coscienza bene educata (tratta fuori dai suoi condizionamenti più gravi) è
serena ma non ha quiete; è vocata a conoscere, fuoriuscire di sé,
trascendersi; è volto che non può che attivamente volgersi ad
altro, purchè l’altro introduca a un mondo proprio. Non è la cosa della
maggior parte degli psicologi o il dato tanto amato dalle docimologie OCSE o dei
sistemi nazionali di valutazione (amato in quanto manipolabile ad libitum); non
è pertanto materia “fermabile” (il movimento le è essenziale), oggettivabile, nè
tantomeno deducibile da ciò che il soggetto sa fare. Nonostante tutte le
riduzioni, coscienza è l’avvertire sempre e comunque il legame necessario del
vivente con l’intero del vissuto, alla luce di una ragione che la pedagogia come
scienza filosofica indirizza a essere sempre meno dipendente, sempre più libero
e potente.
Un progetto di scuola deve fare spazio alla coscienza, affinché la persona
acquisisca volontà di essere, possa esprimere e generare autonomia
intellettuale, morale ed estetica. Nonostante il grande lavoro di molte
scuole e università intellettualmente autonome, masse di insegnanti si perdono
nella falsa narrazione (meglio chiamarla telenovela) dell’ epoca, inseguendo le
competenze, facendo perdere coscienza di sé e non lasciando acquisire capacità
di conoscere il mondo. Il mondo viene posto solo come lo scenario precostituito
di una conoscenza “oggettiva” finalizzata a competenze “richieste dal mercato”
ovvero prescindente da ogni coscienza, prefabbricata, epistemica, astorica,
artificiosa, strumentale, misurabile; dunque meramente competenziale. Il mondo
non può essere proposto ai giovani come elenco di insignificanti (che non
accennano ad altro) obiettivi da raggiungere.
Essenziale è il conoscere. Le competenze - da sole - sono il sapere del servo
La conoscenza è la forza dell’intelligenza umana storicamente formatasi che
porta una coscienza a entrare in una relazione più razionale (inquadrata
dall’attività “legislatrice” del sapere costituito) con il mondo, intendendo
ancora per mondo l’insieme delle relazioni che la coscienza trascendentale
dell’umanità intrattiene con le sue rappresentazioni culturalmente consolidate,
con l’universo dell’esserci. Di lì, da questa espansione della coscienza nell’altro-da-sé
(Gentile) deriverà la genuina oggettualità del mondo, ovvero l’esser il
non-solo-io oggetto di operazioni di coscienza; fuori di questo movimento non vi
sono altri oggetti. Il professionista nella formazione alle competenze crederà
che queste ultime possano evocare la realtà intrinseca degli enti e degli eventi
rappresentati e magari anche le relative figure logiche, sottratte alla loro
strumentalità e implicitamente accreditate di “esistenza” autonoma, ipostatica.
Conoscere è, al contrario, “sbocciare da se stessi” (Heidegger) a un mondo che
non è solo un prodotto dell’attività rappresentativa dell’io, ma che tale non
sarebbe se l’io non fosse. Lasciar conoscere è far agire un sapere non destinato
a decadere in prestazioni misurabili ma che apre, lascia che gli enti e gli
eventi cognitivi accadano senza irretirli in tassonomie; è creare reti non
vincolanti di rapporto intellettuale con il mondo.
La scuola può/deve offrire un orizzonte storico, affidabile almeno quanto
incerto, per l’intelligenza dell’essere attraverso le vie dell’esistere
pedagogico: offrire dunque conoscenze e saperi (conoscenze in atto)
essenziali in quanto lasciano essere anziché trasmettere statuti di ciò che la
cultura dà per essente. Se il conoscere che si impara a scuola non fosse in
primo luogo interpretativo dell’essenziale, del gratuito sarebbe chiacchiera,
introduzione al culto del Nulla, la rassegnazione alle prestazioni insensate.
Ogni autentico sapere è invece sapere puro, sapersi nella libertà; è pensiero
decostruttivo e creativo.
Le èlites (del censo) che governano il mondo hanno paura che le masse
imparino a conoscere; di conoscere la complessità degli eventi e le tensioni
della storia, che sicuramente continua e ricrea quell’oltre che smentisce
l’impressione della fine. Vogliono che si creda che la storia è finita e loro
hanno vinto.
I ragazzi, gli insegnanti e chiunque abbia un ruolo educativo hanno invece
bisogno di racconti sull’Intero, di segni essenziali di indicazione; non possono
essere lasciati nel nichilismo della frammentualità, più o meno compiaciuta, al
servizio né della persona né dell’immensa tradizione d’Occidente.
Per un insegnante/Maestro
Muovendo dalle esperienze e dalle riflessioni maturate durante le discussioni
nel CNPI, i congressi scientifici e i numerosi incontri che ho avuto con gli
insegnanti cercherò di definire alcuni tratti, a parer mio essenziali, che
devono continuare a caratterizzare l'identità docente o che questa potrebbe
assumere. Sono linee di un essere-in educazione radicato nella memoria e volto a
continuare nel futuro il senso dell'insegnare: in sintesi, si insegna
davvero quando si ha qualcosa di proprio da dire, qualcosa che, essendo
autentico e non la mera recita di un programma, abbia la forza di mettere in
moto il giovane.
Ritengo che riflettere sul senso della propria identità istituzionale come
personale sia compito vitale per chi insegna; non soffermarsi a pensare in tal
senso comporta il diventare succube della pressione esterna, dell'immagine
ufficiale, degli stereotipi ideati per altre figure professionali. Per questo è
importante porsi quali soggetti culturalmente "forti" ma non prevaricatori,
agili, ma non troppo “flessibili”, per tornare al libro di Gallino.
L'azione dell'insegnare a conoscere secondo me si caratterizza quale attività
dinamica, non producibile a partire da schemi precostituiti ma che si costruisce
inventandola, come un’opera d’arte (G. Gentile, Sommario di pedagogia come
scienza filosofica). La soggettualità docente si costituisce e ricostituisce
attraverso l'esercizio del piacere dell'intelligenza colta e dell'autonomia
morale. E' agire continuo, interrelato tra le componenti della comunità
scolastica e tra questa e il mondo.
Per questo-
-----La libertà è la condizione necessaria e indispensabile
affinchè si dia cultura; un pensiero colto è un pensiero autonomo e viceversa.
La libertà è il fine, in quanto tensione continua che non si realizza mai
compiutamente quale acquisizione definitiva; nel contempo è valore vissuto
quotidianamente, a volte con sofferenza. Senza di essa non c’è cultura, né
scienza, né attività intellettuale, né morale. Tutta la nostra vita assume
valore come atto di libertà, atto di individuazione e costruzione di autonomia.
-----La cultura è attività di ricerca; pertanto ogni insegnante è
ricercatore, non distributore automatico di competenze. Pone domande, interroga
se stesso, gli altri, gli eventi. Individua possibili risposte in forma
problematica, aperta, articolata. E' proprio del magistero, dell’ essere
maestri l'attitudine all’indagine, al dubbio, l' atteggiamento non
sistematicamente assertivo. Ma anche la sicurezza di sé, il
coraggio, la fiducia nel futuro.
----Dimensioni dell’insegnare. L’essere insegnanti nasce e cresce nel più
elevato grado possibile di sospensione dai dogmi della cronaca, nella massima
fedeltà attuabile alla millenaria missione della scuola. Il Maestro apre
all’essenziale ovvero all’inerente all’essere, a ciò che è necessario affinché
l’essere viva; indica la terra, la casa in cui si sta, la lingua in cui si
risiede; ma anche ciò che schiude al trascendimento dallo stato, apre alla
pienezza di un senso intenzionale. Addita l’essenziale quella scuola che
avvicina il soggetto al pensiero pensante, al sapere che apre,
lascia che gli eventi cognitivi non siano irretiti in tassonomie. Conoscere è un
atto di libertà, la libertà che il soggetto concede a se stesso e all’oggetto
della sua indagine di incontrarsi in propri provvisori termini ideali.
Dobbiamo resistere alla pressione dell’insensatezza, conservare la memoria ma
non solo; anche costruire, creare e non agitarci; anche se tutto ci porta ad un
agire economicistico senza fondazioni e senza autentico senso. "Pensare
nonostante" ma anche "pensare in vista di": modi di chi insegna le cose che
devono permanere come quelle che si vanno disegnando oltre l'orizzonte del
tempo.
La formazione in servizio deve allora essere desiderata; certo occorre sia non
un modellamento secondo la volontà dei potenti ma un percorso affinchè in ogni
insegnante si affermi la forma che lo attende da sempre, in modo che egli sappia
essere cultura in atto. Produrrà allora un incremento di
conoscenza in quanto trascenderà lo stato attuale, le attese dell’oggi, le
aspettative a corto raggio del Mercato.
Immagini di docente/Maestro
Testimone: apertura piena agli elementi di verità, consuetudine a
guardare e a pensare in prima persona, senza pretese di universalità ma con
esplicita dichiarazione del proprio punto di vista.
Intero: ha un volto proprio e lo mostra senza altre difese che non siano
nell’autorità del proprio sapere. In quanto testimone, il docente non percepisce
il proprio lavoro come separato dalla vita; dunque non vita e professione, ma
professione come vita e vita come professione.
Ermeneuta: ha capacità di interpretare la cultura (i codici, i linguaggi,
i valori, i simboli) nell'originalità del suo essere un esistente concreto.
Porta e mostra l’essere nelle contingenze dell’esistere.
Dilettante: prova (anche) diletto dall’insegnare. Soggetto che porta a
scuola la ricchezza, e pure la contraddizione e l'inevitabile limitatezza della
propria esistenza culturale. E' mosso da interiore consenso a ciò che ha scelto
di fare e per questo si sa muovere. Non sa agire senza passione e non sa vivere
se non nella passione dell'agire e del pensare. E' soggetto di pensiero e di
umanità.
Uomo libero: non si lascia rinchiudere in campi; è violatore di confini
artificiosi. Non si preoccupa di appartenenze o schieramenti né di
etichettature. Studia i libri più che le convenienze, impara dalle cose e dagli
uomini; nel suo pensare il pensiero è eterno apprendista.
Artista (o almeno artigiano): soggetto che “tiene a bottega” dei giovani,
ha “mestiere”, condivide criticamente eredità, pratiche comuni perenni e
dell’epoca in cui è capitato.
Bibliografia essenziale
Giovanni Gentile (1913) Sommario di pedagogia come scienza filosofica ora
in Le Lettere. Firenze, 2003
Giovanni Gentile (1916) Teoria generale dello spirito come atto puro, ora
in Opere a cura di E.Garin, Garzanti, 1990
Piero Bertolini (a cura di) Per un lessico di pedagogia fenomenologica
Erickson, Gardolo di Trento, 2006
Bibliografia della discussione
Luciano Gallino Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità
Laterza, Roma-Bari, 2007
Gabriele Boselli Non pensiero e oltre. Scenari e volti per un’introduzione al
pensare venturo, Erickson, Gardolo di Trento, 2007
|