
Insegnante? No, grazie
di Maurizio G. Sibilio
Che opinione hanno i nostri ragazzi dello status socio – economico
dell’insegnante? Ma soprattutto la intraprenderebbero questa professione? Sono
alcune delle domande che il professor Gianfranco Giovannone, docente liceale di
inglese, ha rivolto ai suoi alunni in un elaborato scritto. Ne è venuto fuori un
quadro assolutamente sconfortante della condizione in cui, nel nostro paese, è
tenuta la professione d’insegnante, a cui pure è stato delegato il compito di
formare le generazioni future e che ha trovato posto in un libro “Perché non
sarò mai un insegnante” (Longanesi- €. 13,00). Dopo “La scuola raccontata al mio
cane”, di Paola Mastrocola, ancora un libro sul disagio degli insegnanti, in un
momento in cui infuria inesorabilmente l’incontinenza riformista berlingueriana
e morattiana. D’altronde, come potrebbero i nostri ragazzi, appiattiti su tre
disvalori epocali: denaro – potere – successo, avere in considerazione la
professione d’insegnante? Gli insegnanti svolgono un lavoro ritenuto “disidentificante”,
mal retribuito, noioso, ripetitivo, senza nessuna opportunità di carriera, ma,
soprattutto, essi sono, o dovrebbero essere, portatori di un mondo e di scale di
valori come impegno, disciplina, dovere, amore per lo studio, che sembrano non
avere più alcuna ragione di essere. Né sono di aiuto i commenti ed i giudizi
negativi sulla scuola espressi da giornalisti, opinionisti, sociologi e qui il
prof. Giovannone riposta una serie di titoli apparsi su quotidiani e riviste,
quali: “lo stato miserevole in cui versa la nostra scuola”, “Scuola, vedi alla
voce catastrofe”. “Una scuola da buttare”. Né manca il commento insuperato del
filosofo Galimberti: “Perché dieci milioni di giovani in discoteca al sabato
sera dicono pur qualcosa della condizione formativa della nostra scuola: un
luogo deputato al parcheggio dei giovani, dove ciò che quotidianamente si
distribuisce sono dosi pesanti di demotivazione e….incentivi al suicidio”(!).
chi l’avrebbe mai detto! Né sul versante sindacale le cose sembrano andar
meglio. Lo SNALS, una volta il maggior sindacato di categoria, appare sempre più
come un gigante suonato e inutile, né va meglio con i confederali, CGIL in prima
linea, che bene hanno pensato di tenerci accuratamente relegati nel calderone
dei “lavoratori della scuola” quando Tullio De Mauro, subentrato a Luigi
Berlinguer, si preoccupò di riallacciare i rapporti con gli insegnanti, dopo lo
strappo drammatico provocato dal predecessore, cercando di avvicinare
gradualmente gli stipendi degli insegnanti a quelli dei loro colleghi europei,
non si contarono i sarcasmi, se non le ire di personaggi come Sergio Cofferati,
ex segretario della CGIL, oggi Sindaco di Bologna: “Pagare meglio gli
insegnanti? Che vergogna? Cosa diranno i metalmeccanici? Pensassero a lavorare
di più come i loro colleghi europei e verranno pagati meglio!”. È una delle tesi
normalmente posta dai governi in carica e, quel che è grave, dal movimento
sindacale. Assolutamente falso! L’Autore lo ribadisce con forza. Dietro questa
affermazione c’è solo disinformazione, per non dire ignoranza, malafede e
cialtroneria. In tutti i Paesi OCSE emerge che l’orario di cattedra è, grosso
modo , lo stesso in tutto il mondo. L’Autore si sofferma su Paesi come la
Germania, in cui l’orario di cattedra dei professori di seconda superiore è come
da noi di diciotto ore, diciassette in Belgio, quindici in Finlandia, quindici e
mezzo in Norvegia, sedici e mezzo in Francia, Danimarca, Spagna e Svezia,
diciannove in svizzere, Venti in Giappone. Né possono dare man forte ai
sostenitori della tesi: “Lavorate di più e guadagnerete di più” le cinque, sei
ore in più settimanali nei Paesi OCSE. Gli unici commenti corretti sul fronte
sindacale, l’Autore li rivolge ai COBAS che, al loro apparire, all’incirca
intorno alla metà degli anni Ottanta, con le loro proteste, riuscirono a
strappare a Pomicino, in opposizione ai Confederali, un contratto dignitoso, ma
oggi anch’essi hanno rivolto i loro pensieri più ai No Global che agli
insegnanti. Mentre, vale la pena sottolineare, l’Autore esprime un lusinghiero
apprezzamento nei confronti della GILDA, l’unico sindacato, secondo l’Autore,
che si sia battuto per proclamare la centralità della professione docente, la
dignità del lavoro dei docenti senza se e senza ma. In modo particolare il
professor Giovannone si sofferma sulla proposta più illuminata di tale
sindacato: la richiesta di una contrattazione separata per l'area docente. Cosa
avranno mai in comune gli insegnanti da spartire con presidi, bidelli e
impiegati di segreteria? Proposta giusta, razionale da contrapporre al calderone
dei “Lavoratori della scuola”, proposto dai confederali. Il libro di Gianfranco
Giovannone, inoltre, si avvale, nella seconda parte di un interessante commento
di un altro professore, Giovanni Pacchiano poi preside, e oggi in pensione, dal
titolo: “Perché ho fatto il professore”. Si sofferma sugli elementi che
scandiscono il lento degrado dell’insegnamento e della professione d’insegnante,
soprattutto, si sofferma sulle due disgrazie simili alle cavallette bibliche che
l’hanno colpita: Il pedagogismo e la sua complice più deteriore, la metodologia.
La parola d’ordine è: ciò che conta non è l’acquisizione di nozioni, premessa
indispensabile per ogni tipo di riflessione, ma il metodo. E via con le trovate
illuminanti degli pseudo-innovatori e con la compilazione di carte, tonnellate
di carte, progetti, portfoli, crediti, debiti formativi e chi più ne ha ne non
ne metta…. Ci piacerebbe concludere questa nota citando un testo, un altro testo
sulla condizione dell’insegnante del compianto Sandro Onofri: “Registro di
classe”. Egli ci ricorda come sia difficile intaccare la cultura del denaro. E,
se si tenta di fare discorsi sull’importanza dell’arricchimento culturale
individuale, ci si sente rispondere:”Professoressa cara, lei è laureata e
guadagna manco due milione al mese, viene a scuola con una “Uno” e sta dentro
tre camere e cucina. Mio padre ha la terza media, guida una BMW, abbiamo una
villa con tre bagni e la Jacuzzi. E allora, perché mi devo dannare l’anima a
spendere tempo a studiare? Appunto.
(da “ Professione docente”, maggio 2005) |