Vademecum ragionato
sulle Linee guida
Nuovo obbligo d’istruzione – fase
sperimentale 2007-2009
A
cura di Gianluigi Dotti
Come è stato introdotto l’ innalzamento dell’
obbligo scolastico.
L’innalzamento
dell’obbligo d’istruzione a 10 anni è una misura non solo condivisibile, ma da
apprezzare con convinzione in tutta la sua valenza
civile, culturale e politica.
Tuttavia, come già la
Gilda degli insegnanti ha avuto modo di rilevare, le modalità con cui esso è
stato introdotto e con cui viene attuato continuano a lasciare perplessi.
Il provvedimento è stato
inserito prima in un intervento di politica finanziaria (Legge n. 296 del 27
dicembre 2006, art. 1 c. 622, 623, 624 -Finanziaria 2007-), che ha sottratto al
dibattito parlamentare e alla società civile una materia delicata -l’istruzione-
in cui occorre ricercare ampia condivisione di vedute e di obiettivi.
Poi con un atto amministrativo, il D.M. 139/07, è
stata regolamentata l’attuazione (una scheda dettagliata del DM si trova nel
sito
www.gildains.it ed è stata pubblicata su
Professione docente di gennaio 2008), ora viene “tecnicamente accompagnato” da
Linee guida.
Il ministro Fioroni,
infatti, il 27 dicembre 2007, durante le vacanze natalizie, ha emanato le Linee
guida per l’attuazione dell’Obbligo d’istruzione, previste dall’art. 5, c. 1,
del D.M. n. 139/07, accompagnate dall’immancabile lettera del responsabile di
viale Trastevere ai dirigenti scolastici e agli insegnanti.
Che cosa sono le Linee guida, appena emanate
Le Linee guida sono,
per ora, l’ultimo documento di una serie di atti amministrativi che il
ministro ha emanato per intervenire nella definizione delle modalità di
insegnamento (didattica) con l’intento dichiarato di “rinnovare
l’insegnamento”. Intento che comporta, come esplicitamente richiamato nella
lettera del ministro, “una profonda revisione metodologica e organizzativa
della didattica e quindi un rinnovato profilo della professionalità docente”.
Le Linee guida erano state
presentate in bozza alle organizzazioni sindacali il 15 novembre 2007 e la Gilda
degli insegnanti ne aveva segnalate le criticità con un documento pubblicato
sul sito nazionale. La stesura definitiva, pur
accogliendo molte delle osservazioni della Gilda degli insegnanti ( nel
dettaglio sono segnalate nella successiva scheda tecnica) mantiene, però,
l’impianto di fondo della bozza, proprio quello sul quale si erano
manifestate le principali critiche dell’Associazione. Infatti, il valore
taumaturgico del “nuovo metodo didattico” sta alla base delle Linee guida
sull’Obbligo d’istruzione del ministro Fioroni, in particolare ci sta l’idea
che l’introduzione di una “nuova didattica”, e il conseguente aggiornamento dei
docenti, sia la soluzione dei problemi della scuola superiore italiana.
Quali principi le sorreggono
L’elevamento dell’Obbligo
d’istruzione a 10 anni unito ai recenti risultati delle indagini OCSE-PISA, che
giudicano la preparazione media (pur con un discutibile sistema di rilevazione e
con significative differenze tra le diverse aree geografiche del paese) degli
studenti italiani tra le peggiori d’Europa, sono
all’origine delle Linee guida.
Questi dati ricordano che
la scuola italiana sta vivendo una serie di problematiche (comuni del resto a
tutta l’istruzione del mondo occidentale) nate dalla scolarizzazione di massa
(processo sicuramente positivo), che ha portato una percentuale molto alta di
studenti al conseguimento di una qualifica o di un diploma, ma che,
contemporaneamente, ha evidenziato anche difficoltà che in una prima fase non
erano prevedibili. Ad esempio quella di coniugare l’accesso all’istruzione della
massa dei giovani in età scolare e la qualità della istruzione/formazione
offerta e conseguita nelle scuole pubbliche; oppure il sempre minore vantaggio
che l’istruzione dà sia sul mercato del lavoro sia nel miglioramento dello
status sociale.
Di fronte a
una situazione che presenta problemi e difficoltà reali, non necessariamente
limitati all’ambito scolastico, con i quali tutti i giorni i docenti si
confrontano nelle aule scolastiche, il ministro, evidentemente mal consigliato,
propone, così come da qualche anno fanno i diversi ministri che si succedono a
viale Trastevere, soluzioni semplicistiche e inefficaci.
Infatti,
invece di cercare nell’analisi della società e della scuola le cause attorno
alle quali costruire una politica scolastica che individui proposte di soluzioni
efficaci e condivise, non si trova niente di meglio da fare che imputare agli
insegnanti e ai loro metodi, naturalmente obsoleti, la responsabilità dei
fallimenti delle politiche dell’istruzione.
Del resto da
diversi anni, oramai, i ministri si limitano a indicare genericamente gli
obiettivi di politica scolastica e a “suggerire” (nel nuovo linguaggio
ministeriale oggi si usa il verbo “accompagnare”) nuove modalità didattiche agli
insegnanti.
Sembra che
per risolvere i problemi della scuola superiore italiana sia sufficiente
dichiarare obsoleto il metodo precedente, proporne uno nuovo, magari cambiando
il nome alle attività svolte, e obbligare i docenti ad aggiornarsi. Come non
ricordare le ore spese per apprendere i nuovi sistemi di valutazione o per
costruire simulazioni di unità didattiche e moduli, basandosi su conoscenze,
capacità, abilità, obiettivi.
Ma l’ultimo
ritrovato: le competenze, li supera tutti, almeno stando a quanto scritto nelle
Linee guida. Le competenze, nonostante siano utilizzate dal ministero per
indicare ciò che il lavoro dei docenti dovrebbe conseguire, rimangono ancora
indefinite, soprattutto nella parte riguardante la misurazione/valutazione,
quasi un “oscuro oggetto” dei desideri ministeriali.
Chi pratica le aule
scolastiche, ad esempio gli insegnanti, sa che da tempo nelle secondarie
superiori si è attuata una “profonda revisione metodologica e organizzativa
della didattica”. E al ministero del resto si dovrebbe sapere che la scuola
italiana e i suoi insegnanti non sono rimasti alla Riforma Gentile . Sarebbe
sufficiente che si guardasse lo stesso sito ministeriale dedicato agli Esami di
Stato: assieme ai corsi ordinari compaiono quasi 1000 sperimentazioni.
Evidentemente al ministero
sono convinti che i nuovi metodi siano la panacea dei mali della scuola
superiore italiana; poi se i nuovi metodi non dovessero funzionare si potrebbe
sempre dare tutta la responsabilità ai docenti che,
“obsoleti”, non sono in grado di applicare i nuovi “miracolosi” metodi.
Non bisogna essere degli
indovini per sapere che se questo è il modo in cui il ministero intende
risolvere il problema dell’elevazione dell’obbligo e della qualità
dell’istruzione in Italia i risultati saranno, come del resto è accaduto finora,
un ulteriore peggioramento della qualità dell’istruzione.
Anzi crediamo che sia
facilmente dimostrabile, al contrario, che questi continui cambiamenti e
sperimentazioni, mai seriamente verificati nei risultati finali, siano i
responsabili principali dello scadimento della qualità dell’istruzione in
Italia.
Come devono regolarsi le scuole e i docenti
Cosa fare allora nei
prossimi mesi?
Come deliberare nei Collegi docenti che saranno chiamati a pronunciarsi sui
documenti che si riferiscono all’attuazione dell’obbligo d’istruzione?
Innanzitutto è bene
precisare che,
per legge, le decisioni in materia didattica spettano al Collegio dei docenti e
non ad altri, es. Dirigenti scolastici, ed è importante ribadire e difendere
questa prerogativa. Questo comporta un’assunzione di responsabilità di tutti gli
insegnanti: possiamo e dobbiamo decidere noi senza delegare ad altri (
Dirigenti, studenti e famiglie questo compito), nella consapevolezza che siamo
gli unici a possedere la professionalità necessaria a poter promuovere una
scuola pubblica di qualità.
Poi si devono leggere e
studiare i documenti del ministero, discuterne con i colleghi, alla luce delle
esperienze sulle innovazioni introdotte negli ultimi decenni, e utilizzare il
pragmatismo del buon senso, che spesso manca negli atti di viale Trastevere.
Occorre inoltre precisare
che non esiste una risposta unica e decisiva alle domande poste, ma crediamo
sia necessario partire da quello che scuole superiori e insegnanti stanno già
facendo, dai POF che sono utilizzati (ricordatevi della possibilità di
inserire nei POF anche la tutela delle specificità professionali individuali),
dalla libertà d’insegnamento. Il buon senso ci dice che non è
obbligatorio cambiare ciò che funziona e dà buoni risultati, anche se non
“combina assi culturali e competenze”. Là
dove sono utilizzate “buone pratiche didattiche”, ci si può limitare a
confermare ciò che funziona. Si può passare successivamente ad individuare le
criticità e, indipendentemente dal fatto che siano nuove o vecchie,
cambiare ciò che non funziona con ciò che sta funzionando, verificando e
monitorando l’efficacia delle innovazioni; nessuno vieta di tornare sui
propri passi documentando l’inefficacia delle stesse.
Infine c’è la necessità di
evitare gli errori degli anni appena trascorsi
che, con le loro innovazioni, hanno, spesso, avuto il solo risultato di
aumentare il lavoro burocratico degli insegnanti; in particolare è necessario
evitare gli aggiornamenti inutili e promuovere momenti di approfondimento della
nostra professionalità legata soprattutto al sapere disciplinare.
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Come è formulato il testo delle Linee guida
Il testo definitivo delle
Linee guida è formato da una Premessa, un’Appendice
e sette capitoli: Il contesto di riferimento, Aspetti generali,
Orientamento e recupero, Formazione, Valutazione e certificazione, Sostegno e
osservazione del processo, Finanziamenti.
Premessa
Nella premessa, così
come chiesto dalla Gilda degli insegnanti, è stato attenuato il carattere di
prescrittività delle Linee, sottolineandone la funzione di “accompagnamento”
e valorizzando l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Sono inoltre
segnalati:
-
il
carattere sperimentale di questa prima fase (2007-2009) di attuazione
dell’obbligo d’istruzione;
-
i richiami “all’importanza
strategica di questo cambiamento, che comporta una profonda revisione
metodologica e organizzativa della didattica”;
-
la volontà
di rendere “coerente e unitario l’intero percorso decennale dell’obbligo”,
unitarietà, che se intesa come il proseguimento della scuola media inferiore
senza soluzione di continuità, che prefigura una nuova struttura del sistema
scolastico suddiviso in due cicli quinquennali: cinque anni di scuola elementare
e altri cinque di scuola media inferiore (premessa per l’abolizione anche
dell’esame di terza media?), non può essere valutata positivamente (ricordo che
studi autorevoli riconoscono la necessità di alcune tappe/cesure indispensabili
nella formazione degli adolescenti);
-
l’indicazione che tutti gli studenti alla fine del biennio devono conseguire i
saperi e le competenze minimi comuni (questa indicazione, permanendo la
diversità di indirizzi e tipologia delle istituzioni scolastiche, risulta
difficilmente perseguibile, a meno che si voglia nei fatti riformare la
secondaria, introducendo il “biennio unico” con la quarta e quinta classe di
scuola media inferiore.
Fortemente discutibile
risulterebbe inoltre l’elevazione dell’obbligo di istruzione di due anni se poi
venisse richiesta, agli studenti, in 10 anni l’acquisizione di “saperi e
competenze minimi” che prima acquisivano in 8; nella situazione economica
dell’Italia attuale sarebbe senz’altro valutato dall’opinione pubblica come uno
spreco di risorse.
Le linee guida hanno
valore anche per i percorsi regionali d’istruzione e formazione, almeno per il
biennio 2007-2009.
Il contesto di riferimento
Sono richiamati gli
elementi che formano il contesto nel quale si attua l’elevazione dell’obbligo:
la normativa europea e italiana, compreso il diritto dovere che non è stato
abolito.
Su richiesta della
Gilda è stato precisato che l’attuazione dell’obbligo deve rispettare gli
“obblighi di servizio del personale della scuola come definiti dagli accordi
contrattuali”.
Si rileva inoltre il
ritorno dell’obbligo del successo scolastico (promozione garantita per tutti?),
almeno così sembra di poter leggere il passaggio: “Con ciò viene affermata
l’esigenza che l’innovazione risulti tale da garantire il raggiungimento dei
livelli essenziali di apprendimento, sia sul piano dei saperi disciplinari, sia
in relazione alle competenze … che tutti gli studenti devono acquisire nel
percorso d’istruzione obbligatorio”.
Infine secondo le
indicazioni di questo capitolo tutti gli alunni devono aver conseguito gli
stessi saperi e le stesse competenze minime al termine del biennio. Domanda: gli
alunni che avranno terminato un qualsiasi biennio dell’obbligo potranno
scegliere di frequentare un qualunque triennio di secondaria superiore senza
eventuali integrazioni e/o passerelle?
Aspetti generali
Come richiesto dalla Gilda
degli insegnanti
questa parte è stata alleggerita dalle indicazioni didattico-burocratiche,
lasciando spazio all’autonomia delle istituzioni scolastiche (ad esempio è stata
sostituita l’indicazione “superare l’attuale partizione disciplinare” con
la più aperta, e ambigua, “individuazione delle strategie più appropriate per
l’interazione disciplinare, per superare progressivamente la frammentazione dei
saperi negli attuali curricoli”.
Il “nuovo obbligo di
istruzione assume come fondamento principale il lavoro degli Organi collegiali”,
in particolare del Collegio docenti.
Sono rimasti, seppur
attenuati, i riferimenti agli Assi culturali, alla didattica delle competenze e
all’ampia “utilizzazione degli spazi di
flessibilità curricolare e organizzativa”.
Orientamento e recupero
Dopo aver
posto l’accento sull’importanza dell’orientamento come strumento per
l’acquisizione delle competenze chiave e per la lotta alla dispersione
scolastica si trova il libro dei sogni chiedendo “una programmazione
didattica ed educativa centrata sui processi di apprendimento misurata sui
livelli in ingresso e sui diversi ritmi e stili cognitivi degli studenti, che
comprenda attività dedicate al recupero di ogni tipo di svantaggio senza
trascurare la promozione delle eccellenze”. E per il libro dei sogni ogni
commento reale è superfluo.
L’ultima
indicazione chiede il “recupero dei saperi disciplinari non acquisiti durante
il percorso
scolastico precedente che sono essenziali per il raggiungimento delle competenze
che caratterizzano gli assi culturali relativi al nuovo obbligo d’istruzione”.
Passaggio questo notevolmente contraddittorio rispetto alla normativa vigente,
perché se un alunno non raggiunge i livelli minimi non può essere promosso alla
classe successiva, ma in linea con l’obbligo del successo scolastico (promozione
garantita a tutti?).
Formazione
In questo capitolo è
stato tolto ogni riferimento all’obbligo dell’aggiornamento, al ruolo delle Rsu
e ai compiti degli Organi collegiali, cosi come chiesto dalla Gilda, poiché
aggiornamento e compiti delle RSU sono normati dal CCNL, quelli degli organi
collegiali dalla legge. In particolare l’aggiornamento è un diritto-dovere e non
può essere reso obbligatorio. Si possono eventualmente prevedere forme
d’incentivazione (economica e con permessi) per motivare i docenti (ora
le attività di aggiornamento per i docenti di norma sono fatte senza esonero dal
servizio e a proprie spese).
Negli obiettivi della
formazione si ritrovano gli elementi critici dell’innovazione didattica
segnalati nell’introduzione, infatti, sono ipotizzati piani “pluriennali di
formazione dei docenti” che “si configurano come misure per lo sviluppo
della loro professionalità, nella consapevolezza della complessità e delle
difficoltà che essi incontreranno a tradurre gli obiettivi previsti dai
curricoli dei diversi ordini, tipi e indirizzi di studio nelle competenze
riferite agli assi culturali che caratterizzano il nuovo obbligo di istruzione”.
Questi piani hanno la
funzione di aiutare i docenti a: veicolare “il senso della nuova prospettiva
educativa fondata sul concetto di competenza e collegata ai saperi e agli assi
culturali, superando la dimensione settoriale dell’insegnamento”; ricercare
“metodologie idonee” e “intrecci tra gli assi culturali”;
rimodulare “criteri e modalità di valutazione” e,
infine,
potenziare la continuità con la scuola dell’infanzia
e del primo ciclo.
Valutazione e certificazione
In questo
capitolo emergono alcuni elementi di criticità dell’innovazione didattica, anche
se viene precisato
che, in questo biennio sperimentale, per la
valutazione rimangono vigenti i riferimenti normativi del DPR 275/99 e della
periodica OM sugli scrutini ed esami, si aggiunge che “la valutazione in
termini di risultati di apprendimento, il concetto di competenza in relazione a
conoscenze e abilità, … presuppongono un ripensamento profondo sia delle
strategie didattiche sia della valutazione” non si sfugge, viste le
esperienze dei decenni scorsi, alla spiacevole sensazione che si reintroduca
l’obbligo del successo scolastico (promozione garantita a tutti grazie alle
alchimie dei nuovi sistemi di valutazione?).
Per la
certificazione si “accompagnano” gli strumenti predisposti dalle scuole “per
una migliore comprensione da parte delle famiglie e degli studenti, del nuovo
processo valutativo fondato sull’acquisizione delle competenze” con
l’impegno del ministero di definire “modelli di certificazione” validi su
tutto il territorio nazionale (speriamo non si ripresenti il Portfolio,
che sembrava emergere dalla prima bozza delle linee guida).
Sostegno e osservazione del processo
In questo capitolo, pur
permanendo incombenze burocratiche e compiti formali, sono state, in buona
parte, rese volontarie e autonome, come richiesto dalla Gilda, tutta una serie
di operazioni che erano invece imposte nella
prima bozza alle scuole.
Il ministero organizza un
servizio di consulenza online, una biblioteca online e istituisce gruppi di
lavoro presso gli USR e gli USP a sostegno dell’innovazione da attivare su
richiesta delle scuole.
Le scuole
stesse, se lo riterranno necessario e “previa delibera del Collegio dei
docenti, nelle forme che ritiene più opportune” potranno dotarsi “di un
nucleo operativo dedicato all’attuazione del nuovo obbligo, a sostegno del
lavoro collegiale”.
Per quanto
riguarda la valutazione del processo di innovazione il ministero e l’Invalsi
hanno costituito un gruppo di lavoro nazionale con il compito di
monitorarne i risultati, redigendo un rapporto intermedio entro il 30 settembre
2008 e uno finale a conclusione del biennio sperimentale.
Finanziamenti
Quest’ultimo
capitolo, fortemente voluto dalla Gilda degli insegnanti, purtroppo
rimane miseramente scarno: si invitano le scuole ad usare i fondi a disposizione
nei bilanci (sarà sfuggito al ministero che i bilanci delle scuole sono in
rosso), i fondi specifici della Legge 440/97 e quelli del PON.
Appendice
Nell’appendice sono
riportati i riferimenti ai documenti dell’UE e agli strumenti a livello europeo
per la certificazione, la validazione e il riconoscimento dei risultati di
apprendimento nella prospettiva dell’apprendimento permanente.
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