L’intervento di Alain Touraine alla Terza Università di Roma, riportato dal Corriere della Sera dello 01/04 nella traduzione di Anna Bissanti
“Per parecchi secoli…abbiamo utilizzato nella vita sociale categorie di rappresentazione e di azione che non erano di mera natura sociale quanto politica. Si tratta di una constatazione elementare, diventata uno dei pilastri delle scienze sociali. Il dissolversi di una concezione religiosa del mondo ha determinato la ricerca di un principio unitario dell’esperienza individuale e collettiva, e l’inizio stesso della modernità è contrassegnato dall’affermazione secondo cui questo principio di unità e di integrazione della vita sociale è la politica, considerata come la creazione stessa della società. Nel periodo compreso fra il XV e il XVIII secolo… le realtà più incontrovertibili, identificate come le più determinanti in assoluto, sono state espresse in termini politici: la nascita dello Stato moderno, della burocrazia in senso weberiano, delle monarchie assolute e dei dispotismi illuminati, e in seguito le rivoluzioni democratiche, anti-democratiche o anti-aristocratiche… sono tanti elementi costitutivi della storia di più secoli, costituitisi in maniera del tutto coerente in termini di potere. Come la filosofia politica aveva interpretato la prima tappa della nostra modernità, la sociologia si è costituita come interpretazione di questa visione “sociale” della società. L’apporto principale della sociologia definibile classica non è stato quello di considerare il concetto di società, tanto da un punto di vista descrittivo quanto normativo, in quanto noi abbiamo parlato di utilità sociale, di funzioni e disfunzioni, e siamo arrivati al punto di denominare socializzazione l’educazione, per dimostrare che tutti gli aspetti della vita personale e sociale dovevano essere analizzati in termini di interessi collettivi.
E’ pur vero che questa sociologia classica non si è mai imposta veramente…, ciò nonostante essa per lungo tempo è stata sorretta dall’apporto di un pensiero post-marxista… che affermava che occorreva prendere in considerazione tutti gli aspetti della vita sociale…
Siamo talmente abituati a queste categorie tradizionali, perfino quanti tra noi le hanno pervicacemente combattute, che ci sembra estremamente difficile compiere oggi la medesima operazione che fecero Marx e altri in pieno XIX secolo, ovvero sostituire con un altro il contesto di riferimento, di analisi e di azione. E’ pur tuttavia questo l’interrogativo che dobbiamo porci:
non siamo forse pervenuti all’epilogo, all’esaurimento del modello di rappresentazione e di azione che considera la vita sociale come se fosse interamente costituita da categorie e da relazioni di natura propriamente sociale?
Se abbiamo tanto parlato di classi, di gerarchie, di autorità, di gestione dell’evoluzione, di trasmissione delle conoscenze e delle convenzioni e di tanti altri temi di ogni tipo, non sarà che credevamo all’esistenza di una Società le cui esigenze ci consentono di definire il bene e il male? Ed il bene non è forse, in questa visione classica, ciò che consolida la vita collettiva e fortifica l’interesse generale, mentre il male è tutto ciò che minaccia l’ordine, la pace e la capacità di evoluzione delle nostre istituzioni, delle nostre mentalità e della natura delle nostre decisioni?
Ebbene… come non constatare che il declino, o la dissoluzione, di queste forme di pensiero e di azione è divenuto ovunque quanto mai palese?
Siamo entrati, dicono gli studiosi, in una società di produzione, di consumo e di comunicazione di massa; molti di loro parlano altresì di globalizzazione, e tutto ciò, al di là di una connotazione quasi geografica, sottintende il concetto ben più importante di una perdita di controllo di tutti i centri decisionali e dunque di tutti gli obiettivi, i valori, i possibili criteri relativi alle varie forme di produzione, di consumo e di comunicazione che ci impongono la loro propria logica, che è quella del mercato e … del massimo profitto possibile.
Tutti questi sconvolgimenti sono generalmente riassumibili in una parola: le nostre società, che contavano su forme di organizzazione collettiva, stanno diventando sempre più individualiste… Le categorie di appartenenza si indeboliscono, che si tratti della famiglia, del vicinato o anche solo della classe di età cui si appartiene…
Il passaggio dal religioso al politico, dal politico al sociale e da quest’ultimo ad un individualismo orientato al consumo, tutto ciò può essere considerato come la nuova espressione – di poco differente dalle precedenti – dell’impressionante dislocazione verso la strumentalità e il piacere, dunque all’empirismo di un universo comportamentale da cui si sono poco a poco allontanati tutti i principi di trascendenza, tutto ciò che io ho definito le garanzie meta-sociali dell’ordine sociale…
… Questa coscienza politica, che ha stimolato così tante nazioni per tanti secoli è semplicemente scomparsa… nel processo di secolarizzazione e di trionfo della razionalità strumentale…?
E parimenti quando parliamo di una visione “sociale” della realtà sociale, che cosa vogliamo dire esattamente?
… E’ necessario riconoscere che nelle parole che abbiamo impiegato… sono mescolate due realtà. Quando parliamo di modello politico della realtà sociale, in effetti vogliamo dire che per un lungo periodo la priorità fu data alla formazione dello Stato, di un sistema giuridico di organi deputati al mantenimento dell’ordine…, ma… vediamo anche affacciarsi in quello stesso periodo il problema della legittimità del potere e soprattutto il costituirsi di un attore collettivo, di un insieme di movimenti sociali che, attraverso svariati tipi di rivoluzione, diede origine a ciò che ancor oggi chiamiamola nazione, il popolo, la repubblica, che non sono modalità di ordine sociale bensì… dei movimenti di liberazione… Ora possiamo dunque considerare in una maniera del tutto nuova il passaggio da una rappresentazione della vita sociale ad un’altra (dal politico al sociale, n.d.r.) … quando noi parliamo di creazione dello Stato e di quella della nazione, che nella maggioranza dei casi è o vuole essere uno Stato-nazione, la distanza fra questi due orientamenti è esigua.
Quando invece noi parliamo della visione sociologica della vita sociale, della concezione di società come autocostituitasi, come principio di definizione del bene e del male e del giudizio morale, siamo già molto più lontani dall’ambito in cui si evolvono le lotte di classe, la trasformazione delle istituzioni, l’azione collettiva a favore dell’eguaglianza e della giustizia.
…Allorché entriamo in una rappresentazione individualista della vita sociale, assistiamo ad un distacco… estremo… fra il mondo del consumo, dell’interesse e del piacere e… il richiamo ad una società ideale, ad un ordine o a dei valori. Il richiamo è verso il punto estremo dell’individualismo, ovvero affermare il soggetto come fine a se stesso e fare di lui, invece che della società, il principio di definizione del bene e del male.
Tra l’individuo soggetto e l’individuo consumatore, la distanza è abissale, immensa. Tanto l’individualismo consumatore conteneva in sé l’inappagata rivendicazione a nuovi legami sociali… tanto il soggetto che… si riconosce in se stesso fine della propria azione non può che schierarsi contro ciò che non è nemmeno più un ordine sociale, quanto piuttosto un campo di interessi in competizione gli uni contro gli altri…
Quanto più la vita sociale è manovrata da movimenti impersonali, incontrollabili, come quelli del mercato o degli scontri armati, tanto più, dall’altra parte, l’individuo si impadronisce direttamente di se stesso… senza doversi incarnare nelle istituzioni politiche e tanto meno in movimenti sociali”.