IL MONDO ADULTO E LA SCUOLA: COSA NE PENSANO GLI PSICOANALISTI FREUDIANI.

 

L’Istituto di Ricerca Scientifica Sigmund Freud  di Treviso da vari anni svolge delle ricerche su  alcune  problematiche  sociali scottanti, quali quelle  del disagio giovanile, dell’ aumento della cosiddetta sindrome di Peter Pan, ovvero l’incapacità dei giovani di fuoriuscire dall’adolescenza, dei sempre più frequenti “disturbi scolastici” e del fenomeno di de-alfabetizzazione, che sta raggiungendo livelli preoccupanti.

Sono problematiche che  mettono  in gioco  sia  il mondo adulto che  la scuola, con particolare riferimento alle trasformazioni che  quest’ultima sta subendo.

Riteniamo che gli studi a cui la Gilda ha avuto accesso, a seguito di una collaborazione culturale nell’ambito della quale sono già stati organizzati degli incontri, possano  costituire  un valido contributo al dibattito interno. Pubblichiamo  dunque nel Sito Nazionale  uno stralcio tratto dall’articolo ”L’Inferno: viaggio nell’orrore quotidiano”, (pubblicato nei “Quaderni di Psichiatria e di Psicoanalisi” - 3),  per il quale abbiamo  avuto dall’Istituto una formale autorizzazione.

L'autore dell'articolo è il Dott. Roberto Cheloni, Analista Didatta dell'Istituto di Ricerca Scientifica Sigmund Freud  di Treviso.


 

Come fu giustamente detto, si assiste oggi ad una progressiva cancellazione della memoria del passato, ad un trasecolare della speranza, in un “iperpresente” estremizzato dal crollo (apparente!) delle ideologie, dalla disgregazione delle geografie politiche, dall’impotenza a contenere la conflittualità, a costruire apparati logici che rivestano di verità l’atrocità del quotidiano....

Proviamo a far nostra, per assurdo, una delle caratteristiche della distruttività: Il capovolgimento generazionale.

Scomparsi ormai i riti di passaggio, che scandivano le tappe verso la maturità (ad esempio: la Prima Comunione, con la conseguente possibilità di possesso di un orologio, e così via...), strategie di mancata responsabilizzazione, usucapite da parte dello Stato nei confronti delle famiglie impotenti, offerte di “gingilli” alla gioventù da parte degli adulti (detentori, anagraficamente, della maturità), da una parte rinviano ad libitum l’uscita dall’adolescenza, dall’altra hanno come correlato un ridicolo  processo di “giovanilizzazione” negli adulti, con esiti sempre più catastrofici nell’educazione.

L’incapacità dei genitori di servire da “contenitori” per le emozioni, i conflitti dei figli, si manifesta attraverso il crollo simbolico del genitore dello stesso sesso; in campo normativo, la palese ingerenza che accoppia l’abbassamento della maggiore età al prolungamento dell’obbligo scolastico, é un goffo e malsano tentativo, giocato in parallelo con certune riforme scolastiche (é la scuola il primo dei giorni dell’inferno quotidiano che visiteremo), di offrire un avallo istituzionale ad aree transizionali, in cui si negozia il confronto fra adulti e ragazzi.

Non ci si deve meravigliare quando, prolungando stati di dipendenza occulta, si osserva la persistenza di un legame ipersimbiotico, trasferito dalla coppia madre/bambino alla scuola.

Due sono gli esiti, entrambi letali oggi per il ragazzo, domani per la “società maniacale” che verrà: o questi ragazzi dipenderanno totalmente da un’organizzazione falsamente autosufficiente - allora avremo gli scolari modello della scuola dell’obbligo (la cui supposta genialità riflette una massiccia ipercompensaziione pseudo intellettuale, destinata a crollare), gli studenti brillanti ma “folli” delle superiori castigati atrocemente dalla vita - oppure, le catene della dipendenza (come tutti i legami e le collusioni patogene) genereranno insofferenza e ribellione: la carenza di inibizioni darà la stura a rivendicazioni di pseudo diritti, come l’ “obbligo di esprimersi comunque, ogni qualvolta sorga l’impulso a farlo, a prescindere dal momento, dal luogo, dall’opportunità”; oppure esisterà nel comportamento sessualmente promiscuo (vera piaga sociale oggigiorno) o in fenomeni di dipendenza dalle sostanze stupefacenti o dal crimine (la psicopatia adolescenziale è già un dato di fatto per la criminologia più attenta ai mutamenti sociali).

In Italia vengono registrati 7-8 suicidi ogni 100.000 ragazzi, ripartiti in una fascia d’età che va dai 18 ai 25 anni; non stupisce più di tanto, ora, l’inquietante, recente apparizione di un “Giornale italiano di suicidologia”.

Parallelamente, si assiste ad un ubiquitario sfaldamento delle performances cognitive, linguistiche e relative alla cultura di base, evidenziate nei test d’ingresso alle Facoltà universitarie che ne fanno uso. In Veneto, la benemerita istituzione a Ca’ Foscari (ad opera di Francesco Bruni) del S.I.S. (Il Servizio di italiano scritto), per i laureandi che ancora non padroneggiano la lingua italiana, è un esempio tangibile di un fenomeno che, poche decenni or sono, sarebbe risultato inesplicabile (la dizione “politicamente corretta” del S.I.S. lo qualifica come organismo diretto a perfezionare la lingua scritta per usi accademici professionali degli studenti).

Sul declinare degli anni Ottanta, L’IRRSAE conduceva indagini di tipo epidemiologico nelle scuole torinesi, in riferimento al cosiddetto “Disturbo scolastico”, evidenziando che la difficoltà ad apprendere riguardava il 30-40% della popolazione degli allievi. Bartolomea Granieri, psicoanalista (e Direttrice didattica in forza all’IRRSAE Piemonte), si dichiarava “allarmata” (siamo già nel 1995) dalla quantità di insegnanti elementari che segnalavano un gran numero di casi di bambini che si masturbavano in classe, alcuni in modo addirittura impulsivo.

Eppure - vien sostenuto - il perseguimento di contenuti “moderni ed aggiornati” dovrebbe suturare quest’ansia provocata dall’avvertire la scuola come “scollata” dal “sociale”!

L’ingresso all’Inferno, non si annuncia forse (fu detto in modo sentenzioso) attraverso il luccicare di un lastrico di “buone intenzioni”?

Bambini per sempre. ... Le forme di negazione del disagio (prima di tutto il “politicamente corretto”) esauriscono l’Io del soggetto istituzionale ed è stato giustamente detto che più l’Io si esaurisce, più aspira all’onnipotenza; di conseguenza, maggiormente si depaupera: non resta che ascendere alle altitudini del delirio sociale, altezze in cui l’aria si fa tossica: l’anoressia delle vette non permette di scorgere l’abisso che sta ai piedi....

Da oltre un ventennio, cerchiamo di mostrare, attraverso l’ausilio di esempi clinici, o casi patologici e sociali, come l’adeguazione alla regola istituzionale stia sempre per la decisione del soggetto di apparire fedele all’istituzione stessa... In tale possibilità di correlazione si inserisce non solo la possibilità di mentire, ma anche quella di farsi complice della patologia dell’istituzione.

Vi sono stati luoghi della storia dove il delirio collettivo, lungi dall’essere smascherato, ha trovato modo di codificarsi rendendosi accettabile (addirittura portavoce di valenza morale).

Il Sessantotto... ha regalato all’Italia una nuova dimensione molecolare, con la famiglia tradizionale ormai disgregata; la proiezione sul bambino del discorso sociale, le forme ansiogene ormai ubiquitarie, non ricevono più mediazione intergenerazionale.

Uno dei protagonisti dell’insurrezione di Trento, Aldo Ricci, scriveva che mentre nel resto del mondo il livello di ideologizzazione andava scemando, in Italia, un Sessantotto interminabile inaugurava lo schema leninista del primato della politica come dominio assoluto. in un nostro lavoro, abbiamo cercato di dimostrare (senza subire smentite) che è stata Trento, non Parigi ad inaugurare il “Sessantotto” in Europa.

Il capovolgimento generazionale inizia là, nella possibilità di portare sul piano dell'agire i contenuti inconsci di ciò che la psicoanalisi chiamò un giorno complesso di Edipo. E' ancora un testimone prezioso della rivoluzione triestina a scrivere che allora "nessuno sapeva quello che stava facendo o quello che si aspettava o quello che avrebbe dovuto fare era proprio questa uccisione dei genitori dentro di sé: se questo fosse stato ovvio, il '68 si sarebbe svolto in modo silenzioso".…

A ridosso degli "anni di piombo", ebbe molta fortuna un testo di Jean-Joseph Goux che, facendo il punto sulle acquisizioni leniniste della società di allora, auspicava l'avvento di una

sessualità dialettica che avrebbe dovuto trovare il proprio principio nella genitalità e nella generazione, il “generarsi senza padre”.

La scuola italiana ha fatto propria l'utopia, che ritiene che la crescita avvenga soltanto grazie al cosiddetto codice materno della comprensione, senza integrarlo a quello paterno dell'autorità

Nel 1969, sulla spinta delle violente contestazioni, salì al Ministero della Pubblica Istruzione il senatore Mario Ferrari Aggradi. A lui si deve il conio dell'equazione:"Sessantotto=Nuova Resistenza: il triennio fino al 1972, con Nicola Misasi a Viale Trastevere, coincide con la Ostpolitik di Aldo Moro e con il varo dello Statuto dei Lavoratori; la parola d’ordine cambia: “Colmare il solco che separa il lavoro non intellettuale da quello intellettuale”; ci riuscirà il Ministro Malfatti con la mossa decisiva, che riassume i postulati di quanto andiamo dicendo: soltanto rendendo normativa la collusione tra bambini e adulti contro la normativa personificata (l’insegnante) era possibile realizzare quelle antiche utopie. I “Decreti Delegati” consegnavano la Scuola non soltanto all’assemblearismo permanente (ed alla trasformazione tutta sessantottina in circolari, comunicati, incontri), ma facevano e fanno dei genitori i tutori dei Docenti, i pedagoghi ad honorem, i querolomani che il TAR deve affrontare quotidianamente (parlo naturalmente dei genitori collusivi, che non riescono, come fece Ulisse, a tappare le orecchie al richiamo fascinoso della possibilità di rifarsi “contro terzi” degli inevitabili propri errori educativi).

L’altro risultato tangibile, alienante (e paradossalmente opposto al sistema “liberatorio” del lavoro “espropriato”), è quello di essere riusciti a far considerare equipollenti le ore dedicate all’insegnamento e quelle   dedicate alle assemblee, agli incontri, ai collegi... La quantificazione del lavoro intellettuale in Italia è un fenomeno che grandemente stupisce gli studiosi degli altri paesi europei (per tutti, i tedeschi: si vedano gli acuti studi di Chalet):

Il fallimento clamoroso del “Progetto 92”, l’uso ormai frenetico dei test... dà ormai l’impressione che i luoghi dove si trasmette il sapere siano dei siti virtuali, non spazi abitati da adulti che insegnano e giovani che apprendono.

Individui totalmente incapaci di riconoscere la propria interiorità (e quella altrui) tesi alla ricerca di metodi “tangibili” “quantificabili” di valutazione, super adattati alla realtà esterna (la demolizione del Liceo classico obbedirà a tale schema), questi “analfabeti dei sentimenti” (e non solo) dovrebbero assomigliare sempre di più a coloro che sono affetti da quel disturbo psichiatrico, tipico dei managers, che Peter Sifneos segnalò fin dal 1970.

L’Inferno, secondo la teologia, trionfa nel capovolgimento delle generazioni, nel rovesciamento dei ruoli e dell’ordine naturale.

Certo è facile contrabbandare l’equazione “Progresso= Accettazione dell’evento, ma è tutto da dimostrare che tale equazione miri al benessere sociale ed alla costituzione di una società di individui maturi; questo “dir di sì” agli eventi assomiglia piuttosto all “Gelassenheit” del filosofo Heidegger, il cui assenso al regime di Hitler trovava appoggio nella questione fondamentale (per la filosofia teoretica) del “destino”, del dire “Sì” e “No”, del pensiero dell’essere che si rifiuta di osservare la situazione storica nell’ottica dell’intervento. Assomiglia anche molto al “progressismo” dei firmatari dell’appello all’Espresso” dopo la morte di Giuseppe Pinelli, in cui all’apodittica affermazione circa l’innocenza di Pinelli, si accostava l’accusa di omicidio nei confronti di Luigi Calabresi; al Procuratore della Repubblica Giovanni Caizzi (che ottenne l’archiviazione dell’inchiesta) si attribuì “la stessa responsabilità di chi ha ucciso un’altra volta Giuseppe Pinelli”....

Nella scuola si gioca veramente l’avvenire di uno Stato: l’ha ben capito il Ministro, portando all’esasperazione gli stereotipi di quegli anni atroci, deificando il criterio quantitativo del lavoro (arma assai valida in quanto fa leva sul risentimento sociale), aprendo le porte alla multimedialità come fondamento dell’apprendimento (un computer per ogni banco), dimenticando che ad esempio l’ipertesto (mimando inconsapevolmente la fuga di idee del maniaco) fa leva sullo stesso predominio dell’immagine che è - come tutti sanno - il cespite dei fenomeni odierni dell’analfabetismo di ritorno.

La messainscena adulfomorfa che contrabbanda nei ragazzi l’illusione di non essere più bambini, di evitare i conflitti (quello edipico, innanzitutto) non fa che alimentare quello che la psicoanalista ungherese Maria Torik chiamava la “reinvenzione del conflitto”, in coloro che non lo hanno potuto vivere e portare a compimento. Il non volerne sapere delle differenze, il diniego del limite è il correlativo della trascuratezza in cui la formulazione etica dei giovani è abbandonata; in termini di strategia aziendale, di finanza, di reti informatiche, la valutazione quantitativa accontenta l’inaffettività manageriale della società dei consumi che si vuole condannare, mentre propone un capovolgimento dei valori di cui non si rende cosciente; come il ministro (parodiando Edoardo De Filippo quando ne “Le voci di dentro” recita:” Oddio, me sò sunnato tutto!”) ha potuto reintrodurre elegantemente quel vituperato Esame di Stato, frutto della rivoluzione culturale del sessantotto, potrebbe costui porgere orecchio al buon senso di altre categorie: alla Fiaip, che da anni segnala l’opportunità di ritornare alla data del 1° ottobre per l’apertura delle scuole, il che si uniformerebbe con lo scaglionamento delle ferie (già attuato in Europa), avrebbe come effetto un abbassamento dei prezzi nella stagione di punta, darebbe fiato all’industria turistica (in settembre, nelle località turistiche, è in vigore il “coprifuoco da scuola”, che fa imbestialire gli stranieri di fronte agli alberghi chiusi):

Ascolti il Ministro il Comandante della Polstrada Giuseppe Poma che gli suggerisce, assieme ai suoi colleghi della Penisola, di ritornare al 1° ottobre, come data di apertura delle scuole, per evitare climi da “day after” sulle strade durante l’estate.

Così il Ministro Berlinguer avrà un alibi concreto per recedere da un piano di riduzione operaistica della scuola, che comincia già a farsi palese ai più accorti; se conosciamo bene la mente umana, questo passo potrebbe essere il primo di una lunga serie di provvedimenti atti a smantellare il predominio del politicamente corretto, in un ambito delicato come quello della Pubblica Istruzione; seguirebbe forse l’abolizione dei “decreti Delegati”, la conseguente dequalificazione del metro quantitativo, come misura dell’impegno degli insegnanti e degli allievi (alle Elementari suscita un’impressione di grande disagio veder la frenesia con cui si impedisce ai bambini di giocare, cioè di pensare e quindi crescere), il tempo per l’approfondimento individuale.

Ne seguirebbe soprattutto un ristabilimento dell’avvicendarsi delle generazioni (che costituisce il concetto stesso di storia e quello di tempo, che fa dell’uomo una persona).

La distruzione sistematica dello studio del passato (salvo esso non sia funzionalizzato, teleologicamente, all’epifania dell’ideologia ora in voga), la secolarizzazione selvaggia che, spogliando di senso la speranza, annulla la proiezione dell’uomo verso il futuro, non fanno che alimentare l’illusione perversa di un eterno presente (che in analisi è sinonimo di impossibilità di accesso alla guarigione). Il fantasma di immortalità avanza ancora una volta pretese impossibili nei riguardi delle generazioni future.

Sta qui la “diabolicità” dell’offerta di onnipotenza che la società odierna protende ai più deboli; dalla scuola deve partire il rimedio per transitare nella famiglia.

Il ruolo dell’educatore è, per propria natura, affettivo e normativo; eliminare una di queste due dimensioni significa chiedere ai giovani di crescere con le proprie forze; nelle famiglie in cui vivono gli psicotici, spesso è palpabile la fantasia genitoriale che debbano essere i figli a far da garante alla debolezza degli ascendenti.

In un film diseducativo (e perciò di enorme successo) come “L’attimo fuggente”, lo studente che maggiormente collude col docente frustrato e “rivoluzionario”, alla fine si uccide.

E’ ancora possibile “dir di no” a questa pretesa di un’organizzazione autosufficiente del mondo moderno, questo mondo fusionale che la nefasta ipocrisia delle istituzioni protegge ad ogni costo. Che avesse ragione la povera Elsa Morante, quando profetizzava un “mondo salvato dai ragazzini”? 

 

Gilda di Treviso per il Centro Studi             

5/6/2000