La struttura attuale della
scuola superiore
La fisionomia della scuola superiore
italiana contempla ancora, fino alla introduzione della Legge 53/2003, un
percorso all’ incirca tripartito : l’ istruzione liceale (in cui, per
comodità rappresentativa, si può far rientrare il vecchio Istituto
magistrale); l’istruzione tecnica e l’istruzione professionale (collochiamo
qui anche l’ istituto d’arte, anche se l’istruzione artistica ha sempre
avuto, fin dalla sua istituzione una propria autonomia, come si evince dal
R.D., 31 Dicembre 1923, n. 3123 con il quale sono stati costituiti gli
istituti d’ arte e i licei artistici).
La differenza tra istruzione liceale e
istruzione tecnica risale alla Riforma Gentile (regio decreto, 6 maggio
1923, n. 1054), che inseriva nei corsi di II grado: il liceo, il corso
superiore dell’ istituto tecnico, il corso superiore dell’ istituto
magistrale, il liceo femminile.
La legge n. 899 del 15 Giugno 1931
istituiva l’ Istituto tecnico, riconoscendogli finalità e scopi di tipo
“professionale”: “L’ istruzione media tecnica ha per fine di fornire ai
giovani la preparazione necessaria alle professioni pratiche che attengono
alla vita economica della Nazione” ( Legge 899, art. 1).
Infatti, questo tipo di istruzione veniva
impartito:
1)
nei corsi di avviamento
professionale (ora sostituiti dalla media unica);
2)
nelle scuole professionali
femminili;
3)
nelle scuole tecniche
(attuali Istituti professionali);
4)
nelle scuole di magistero
professionale per le donne;
5)
negli istituti tecnici.
Dunque, istruzione tecnica e
professionale coincidevano nelle finalità, ma non nella durata dei corsi.
Infatti, mentre nelle scuole professionali la durata dell’ insegnamento era
di due o tre anni, l’ Istituto tecnico aveva una durata di 5 anni e si
proponeva anche “lo scopo di preparare all’ esercizio di alcune
professioni e all’ esercizio di funzioni tecniche o amministrative nel campo
dell’ agricoltura, dell’ industria, e del commercio” ( Legge 899, art.
9) .
Istruzione tecnica e professionale per
molto tempo corrispondono nelle definizioni delle finalità e degli scopi:
nel 1938 il R.D.L. 21 Settembre 1938, n. 2038 istituirà gli istituti
professionali, come scuole, nell’ ambito dell’ Istruzione tecnica,
che abbiano finalità ed ordinamento speciali. Tuttavia, se
istruzione tecnica e professionale sono inserite per legge entro lo
stesso ambito, nei fatti oggi appaiono separate.
Dagli anni Sessanta, infatti “l’istruzione
professionale comincia a conquistare un posto di tutto rilievo nel nostro
sistema scolastico […], compiendo un notevole balzo in avanti, a seguito
delle lotte studentesche, alla fine degli anni Sessanta (cfr. la Legge
754/68 e la CM 12/2/71, n. 281). Viene avviata la sperimentazione dei corsi
quinquennali che portano sia alla qualifica di secondo livello, sia alla
maturità con possibili sbocchi verso studi universitari” ( Maurizio
Tiriticco, Le evoluzione dell’ Istruzione professionale, inserto di
Notizie della scuola, n. 3-4 dell’1-31 Ottobre 2001).
Ragionevolmente si può dunque considerare
la struttura della scuola superiore italiana come a forma triadica, avendo
l’ istruzione tecnica e quella professionale seguito percorsi di
separazione, nella realtà effettuale, da quasi trent’ anni.
La struttura della scuola
superiore proposta
Al momento in cui scriviamo il decreto
attuativo di riforma della secondaria di II grado, pur essendo stato
approvato dal Consiglio dei Ministri, ha subito una battuta d’ arresto. Il
ministro Moratti ha deciso di sospendere ogni sperimentazione, fino a quando
i tavoli tecnici non avranno raggiunto un accordo sui punti contestati dalle
Regioni. Infatti, come è noto, la riforma del titolo V della Costituzione,
assegnando poteri di legislazione esclusiva e concorrente alle Regioni anche
in materia di istruzione, prevede passaggi obbligati di consultazioni con
gli organismi regionali, nei quali sono stati avanzati rilievi tali da
indurre il ministro a fermare la sua “ avanzata”.
Per questo, consideriamo ancora la
riforma della secondaria superiore come proposta e non come
operativa.
La novità più importante della Legge
53/2003 rispetto alla secondaria è l’ introduzione del “doppio canale”:
“il sistema educativo di
istruzione e di formazione si articola nella scuola dell’infanzia, in un
primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo
grado, e in un secondo ciclo che comprende il
sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione
professionale;”
( Legge 28 Marzo 2003, n. 53, art. 2, comma d).
La Riforma contrae le tre tipologie di
istruzione superiore (Licei, Tecnici, Professionali), in due. Accenniamo
solo di sfuggita (per poi ritornarvi dopo) alle critiche virulente che si
sono sollevate e che hanno ravvisato nell’avvio precoce dei giovani alla
scelta di indirizzo una volontà di tipo “classista”, mirante a perseguire
le differenze sociali e non a tentare di superarle. Adesso ci preme
puntualizzare che la divisione dell’ istruzione superiore in due canali (uno
dell’ Istruzione e l’ altro dell’ Istruzione e formazione professionale) era
stata anticipata dalla modifica costituzionale che il Governo di
Centro-sinistra aveva votato poco prima della scadenza del mandato
parlamentare e cioè la Riforma del Titolo V della Costituzione che all’ art.
117 recita così:
“Sono materie di
legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con
l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza
del lavoro;
istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e
con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
…”
In sostanza, non pare che vi fossero alternative ad una
divisione in due canali
(con buona pace di chi imputa a questa legge la responsabilità di questa
svolta e si dimentica di puntualizzare che il cammino era stato già
spianato) mentre l’ aspetto più problematico della Legge 53/2003 rimane la
secca e brutale -nonché incomprensibile perché non determinata dalla Legge 3
costituzionale- eliminazione dell’ istruzione tecnica, che rende ancora
insoluta la collocazione delle attuali tipologie di istruzione superiore.
Deve confluirà l’istruzione tecnica? E l’ istruzione professionale passerà,
armi e bagagli alle Regioni? Domande ancora senza risposte certe,
soprattutto perché non è più lo Stato, unilateralmente, a poterlo decidere.
Infatti, uno dei Decreti legislativi che hanno “preparato” il
decentramento attuato nella sua completezza con la Riforma del Titolo V e
cioè il 112/’98 attribuisce alle Regioni il potere di distribuire l’
offerta formativa sul territorio. Tanto che la Corte costituzionale, con la
sentenza n. 13 del 13 Gennaio 2004 ha deliberato che :
“Una volta
attribuita l’istruzione alla competenza concorrente, il riparto imposto
dall’art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di
gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo
quello di fissare principî. E la distribuzione del personale tra le
istituzioni scolastiche, che certamente non è
materia di norme generali sulla istruzione, riservate alla competenza
esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione
della rete scolastica, tuttora di competenza regionale, non può essere
scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero allo Stato;
sicché, anche in relazione ad essa, la competenza statale non può
esercitarsi altro che con la determinazione dei principî organizzativi che
spetta alle Regioni svolgere con una propria disciplina.”
Per questo, la delicatissima transizione
dal vecchio al nuovo sistema sarà gestita dagli accordi Stato- Regioni, o
addirittura autonomamente dalle Regioni.
Se si verificasse quest’ultima
possibilità, probabilmente il processo di trasformazione non sarebbe
omogeneo su tutto il territorio nazionale e comunque il riscorso a
strumenti non del tutto trasparenti sarebbe inevitabile, in relazione alla
fisionomia politica dei governi regionali.
La filosofia del
cambiamento
Quali obiettivi si prefigge questa
innovazione di due canali dell’ istruzione ?
Come prima si era accennato, su questo
tema si sono concentrate le critiche e le accuse da parte della sinistra.
La tesi, secondo la quale con questa
scelta si vorrebbe introdurre una separazione classista tra “ ricchi”,
destinati allo studio e “ poveri”, destinati al lavoro, pecca molto di
ideologia.
Forse è più verosimile pensare che il
governo di centro-destra abbia fatto dei calcoli economici, orientati al
risparmio. Ridurre a due un percorso a tre gambe avrebbe avuto ( o avrebbe)
come conseguenza l’ eliminazione secca dei “doppioni” dell’ istruzione
tecnica e professionale. In più, quest’ ultima sarebbe stata ( o sarebbe)
penalizzata dal rapporto conflittuale con la formazione professionale, di
marca regionale, già consolidata e favorita dalle Regioni. E non è difficile
immaginare chi, in questo confronto, perderebbe.
In sostanza, quindi, la riduzione a due
gambe favorirebbe la netta eliminazione di scuole e personale e questa
decisione sembra molto coerente con volontà di risparmio ad ogni costo sulla
spesa pubblica, tipica di istanze sedicenti liberaleggianti.
Tuttavia, crediamo utile approfondire l’
analisi di questo punto, presentando altri aspetti di questa problematica,
per i quali sarebbero necessari riflessioni e argomentazioni ( e non
“verità” ipostatizzate) più approfondite di quanto una scheda possa
permettere.
Riportiamo, quindi, alcuni elementi che
potrebbero risultare utili per una prima e sommaria istruttoria della
questione.
La separazione del percorso di istruzione
secondaria porta con sé, in questa proposta, anche ciò che è stato definito
una “scelta precoce” da parte degli studenti.
A 14 anni si deve decidere se seguire il
corso liceale o quelle dell’ istruzione-formazione, anche se, in teoria,
nella legge e nel decreto attuativo, sono contemplati strumenti compensativi
che dichiarano di voler impedire scelte irrevocabili.
Il problema dunque diventa duplice: è
giusto separare in due il percorso dell’ istruzione e, in caso affermativo,
è giusto collocarlo a quell’ età ?
Vediamo qualche indicazione.
1) Dal punto di vista storico,
l’istruzione, in tutti i paesi del mondo ha sempre proceduto ampliando la
scolarità e rendendola accessibile e persino obbligatoria per tutti.
Questo obiettivo (che gli studiosi
americani chiamano educational attainment) in genere dovrebbe
precedere temporalmente l’altro, l’ educational achievement, cioè
l’attenzione ai livelli di apprendimento.
2) La possibilità di seguire corsi di
differenti tipologie (licei, istruzione tecnica e istruzione professionale)
è comune a quasi tutti i Paese europei, mentre l’ alternativa a questo
sarebbe il modello integrato istruzione e formazione che
elimina le differenze di tipologia e uniforma i corsi di studio.
La sinistra, tradizionalmente, ha sempre
attributo all’ istruzione una “funzione compensatoria” delle disuguaglianze
per cui intravede nella separazione dei due canali, non un’attenzione alle
scelte personali ed alle attitudini, ma il mantenimento della separazione, a
suo parere fuori tempo e politicamente pericolosa, tra una cultura
disinteressata ed una mirata al mercato del lavoro.
Per questo, le scelte, sia della passata
legislatura che dei governi delle Regioni di centro-sinistra, dopo la
Riforma del Titolo V, sono andate nella direzione di predisporre modelli
cosiddetti “comprensivi” (cioè non separati), che tuttavia determinano una
inevitabile trascuranza dell’ educational achievement.
Su questo tema sarebbe urgente ricercare
posizioni, anche coraggiose e non ideologiche, poiché esso coinvolge il
ragionamento sulla funzione della Scuola, funzione stabilita sì dalla
Costituzione, ma modificata nei fatti dalle norme amministrative che nell’
ultimo decennio hanno radicalmente mutato ruolo e scopi dell’ istruzione e
funzione dei docenti.
Il giudizio della Gilda
Nella piattaforma contrattuale per il
quadriennio 2002-2005, la Gilda, nel testo approvato dall’ Assemblea
nazionale, afferma che “la costruzione di un sistema di formazione
professionale di pari dignità con il sistema di istruzione e coerente con l’
esigenza di promuovere la Formazione tecnica superiore risponde al progetto
civile, economico ed educativo di umanizzare il lavoro, rendendolo pratica
educativa, cioè occasione di massima espressione ed affermazione di umanità.
Una continua occasione per esaltare le personali capacità di ragionare,
scegliere, compiersi, relazionarsi.”
(Dalla premessa
della Piattaforma contrattuale 2002-2005 della Gilda).
In sostanza, la posizione della nostra
associazione è stata a favore di un doppio canale, tuttavia, il modello
proposto dalla Legge 53/2003 ha suscitato giudizi negativi negli ultimi
comunicati ufficiali: “Posto l’accento sul sostanziale fallimento
dell’obiettivo della pari dignità dei due canali del sistema: licei e
formazione professionale. I percorsi prefigurati non sono certamente in
equilibrio né sugli indirizzi generali, né sui livelli qualitativi e di
istruzione e tanto meno sull’adeguatezza delle risorse.
(Comunicato del Coordinatore nazionale del 27 gennaio 2005) .
Le ricadute professionali
A parte le
significative ripercussioni sulla contrazione degli organici, che consegue
alla riduzione a due di un percorso a tre filiere, con relativa eliminazione
di “doppioni” specialistici che oggi convivono tranquillamente nell’
istruzione tecnica e in quella professionale, le ricadute professionali che
l’ introduzione del doppio canale determinerebbe si riferiscono alla novità
di una gestione regionale dell’ istruzione professionale e della imminente
gestione, da parte delle Regioni, di tutto il personale.
Considerato che il
canale dell’ istruzione/formazione presenta già alcune diversità rispetto al
canale dell’ istruzione (rapporto con gli esperti, che non sono docenti,
modalità di valutazione ecc..), la prima ricaduta sarà la differenza di
condizione “docente” tra insegnanti dei licei e dell’ istruzione/formazione.
Tuttavia l’incognita
più significativa è rappresentata dal potere delle Regioni, le quali,
attraverso la gestione dei fondi, potranno determinare le scelte didattiche
e indirizzare le scuole ad attivare modelli organizzativo-culturali che
rispondano alle visioni politico-ideologiche delle diverse maggioranze.
Tutto ciò sta già
succedendo con i bienni integrati o con i campus: l’ una o l’ altra
opzioni inciderà sulle didattiche e sulla professionalità docente e, in
ultima analisi, sulla libertà d’ insegnamento.
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