Il
“merito”: considerazioni e valutazioni in un Congresso dell’Aran *
di Renza
Bertuzzi
Il problema del cosiddetto “merito”, esploso impetuosamente sui
mass-media dopo le reazioni degli insegnanti al “Concorsone”, non è
questione recente.
Oggi, l’identificazione del “merito”viene proposta in un’ottica
“morale”, fuorviante, ma apparentemente indiscutibile (chi, infatti,
potrebbe ragionevolmente respingere il principio di retribuire di più
coloro che lavorano meglio? ); tuttavia i motivi che furono alla base
della differenziazioni retributive nel Pubblico Impiego risposero alla
loro nascita ad esigenze essenzialmente economiche.
La sintesi che segue cercherà di tracciare un riepilogo ragionato di
quell’inversione di tendenza (dagli aumenti retributivi legati
all’anzianità e uguali per tutti agli aumenti legati agli incentivi)
denominata “razionalizzazione nella Pubblica Amministrazione”, ed
utilizzerà i principali interventi presentati ad un Seminario tenuto
dall’ARAN il 26-27/ 1/’96 a Roma e pubblicati nel “Quaderno Aran”, n.10:
“Razionalizzazione e relazioni industriali nella Pubblica
Amministrazione”, a cura della Franco Angeli.
Le origini dell’inversione di tendenza.
Dalla metà degli anni ’80 è in corso, in Europa e in altri Paesi dell’OCSE,
un processo di ristrutturazione globale che ha essenzialmente
l’obiettivo di porre severi vincoli alla spesa pubblica.
Questa inversione di tendenza ha assunto la forma di un modello
strategico di comportamento direzionale chiamato, “The new public
management”, che si basa su due presupposti:
1) il pubblico impiego sarà tanto più efficiente e reattivo verso le
esigenze dell’utenza, quanto più rispecchierà l’attività manageriale del
privato;
2) quest’ultima attività sarà tanto più efficace quanto più le
amministrazioni pubbliche saranno organizzate sulla base di criteri di
mercato.
Questi principi hanno portato a cambiamenti significativi, sia
nell’organizzazione che nel finanziamento del Servizio pubblico e della
Pubblica Amministrazione e, in modo particolare, i Governi, applicando
l'”ability to pay” (ovvero, la capacitá di pagare) come criterio
prioritario per finanziare gli aumenti retributivi richiesti, hanno
legato la crescita dei salari nel settore pubblico a quella del settore
privato e all'inflazione. Inoltre, sono stati introdotti incentivi
salariali legati alla prestazione (e non più all’anzianità) e nuove
forme di carriera.
I modelli dell’inversione di tendenza
Due sono stati i modelli del “new public management” attuati in Europa.
Il primo, diffusosi in Inghilterra, ha realizzato alla lettera i due
principi cardine del modello strategico sopra descritto.
La riforma avviata è stata impostata sulla larga discrezionalità
assegnata ai manager professionali, i quali hanno:
a) pieno potere decisionale nella riorganizzazione dei servizi e nella
gestione delle risorse umane;
b) responsabilità nell’ evadere le richieste dell’utenza e nel
controllare le prestazioni del personale;
c) possibilità di privatizzare specifiche attività.
L’altro modello, definito di continuità istituzionale, è stato applicato
in Germania, Francia e in Spagna e in generale in quasi tutti i paesi
europei (per l’Italia si vedrà poi).
In questi Paesi sono stati sì introdotti salari variabili legati alla
prestazione e si è cercata una certa flessibilità nel mercato del lavoro
interno, ma la burocrazia tradizionale non è stata sostituita dalla
nuova élite di imprenditori-manager , né il ruolo dei nuovi dirigenti ha
assunto l’enfasi dell’Inghilterra. Il richiamo ai meccanismi di mercato
rimane debole e le decisioni centralizzate restano determinanti.
Tra i due modelli cambia soprattutto l’orientamento verso le
organizzazioni sindacali e le associazioni professionali.
Il “new public management” si basa su un contenimento
dell’influenza dei sindacati e del loro peso all’interno
dell’amministrazione : in Inghilterra il nuovo management è stato lo
strumento con cui sono state realizzate molte decisioni del Governo per
razionalizzare la Pubblica Amministrazione.
Nel modello di “continuità istituzionale”, i sindacati e le associazioni
sono coinvolti nelle decisioni di riforma.
I risultati dell’inversione di tendenza.
Quasi tutti i relatori del Seminario sono concordi nella valutazione dei
risultati di questa innovazione.
Winchester e Bach, dell’Università di Warwich, autori della
comunicazione sulla Gran Bretagna, avvertono che confrontare il modello
tradizionale di gestione dei servizi pubblici con il modello della
“migliore prestazione”del settore privato significa mettere in
discussione il principio della peculiarità della “direzione nella sfera
pubblica” elaborato da Stewart e Ransom, Management in the Public
Domain, nel 1988, secondo il quale la gestione dei servizi pubblici
differisce fondamentalmente dal settore privato in termini di obiettivi,
di contesto e di vincoli sulle performance. Stewart e Ramson non
sono i soli nel pensare che ci siano pericoli nell’adottare in modo non
critico il modello di gestione e la retorica del settore privato.
La politica del Governo sulla determinazione salariale in base alla
prestazione in Gran Bretagna, secondo Winchester e Bach, ha incontrato
due ostacoli:
1) la priorità del Tesoro per mantenere il controllo centralizzato
che ha diretto le scelte dei dirigenti a ridurre le spese attraverso la
riduzione del personale e l’accorpamento dei ruoli;
2) la difficoltà nella misurazione della produttività e dell’efficienza
nella Pubblica Amministrazione.
Secondo i due relatori, le lotte in atto in quel periodo (1995) che
coinvolgono personale delle ferrovie, insegnanti delle scuole superiori,
e altro personale del servizio pubblico, fanno pensare ad un gran
malcontento che potrebbe trasformarsi o in una ripresa del conflitto
aperto o in una demotivazione del personale e nella conseguente
riduzione della qualità del servizio.
Tuttavia, poiché la logica della strategia del Governo sembra
inevitabile, quando le retribuzioni e le prospettive di carriera e le
condizioni di lavoro si diversificheranno , ci saranno “vincitori” e
“perdenti”, i quali saranno messi da parte.
E così, oggi, sondaggi sulla soddisfazione sul lavoro hanno rilevato
condizioni di stress e demoralizzazione dovute all’intensificarsi del
lavoro, all’insicurezza del posto di lavoro e al deterioramento delle
prospettive di carriera.
Nel settore dell’istruzione, dove dal 1990 è stato introdotto un sistema
di retribuzioni ad incentivo, sono i dirigenti locali a premiare gli
insegnanti particolarmente meritevoli. Tuttavia, i rappresentanti dei
presidi e dei sovrintendenti scolastici hanno sostenuto che la
retribuzione in base alla prestazione avrebbe creato solo conflitto.
In sostanza, la spinta verso una retribuzione localizzata non ha avuto
un gran successo nell’ambito scolastico, poiché è stata spesso
accompagnata da tali cambiamenti nell’organizzazione del lavoro che
mettono in discussione principi quali l’autonomia professionale e
peggiorano le condizioni d’impiego.
Schrager e Andersson, relatori per la Svezia, rilevano che una politica
salariale decentrata, legata alla performance può essere introdotta in
alcune attività dell’amministrazione centrale, dove i risultati possono
essere misurati facilmente, come , per esempio, la pulizia degli uffici.
In altri servizi, di natura più complessa, che costituiscono il “cuore”
dell’amministrazione centrale, la misurazione del risultato e della
produttività implica difficili problemi di principio: facilmente questi
tentativi possono produrre incentivi che vanno in senso contrario ai
risultati attesi.
In Danimarca, alcune ricerche sull’applicazione e sugli effetti del
cosiddetto salario locale o individuale hanno mostrato come questo
meccanismo non abbia ottenuto consensi da parte dei lavoratori e datori
di lavoro locali.
In Francia e, soprattutto in Germania, le retribuzioni sono ancora
definite a livello nazionale per tutti gli impiegati pubblici. In
Francia, le indennità sono concesse sulla base dell’ anzianità di
servizio, così come le carriere sono gestite sulla base della
seniority e non attraverso prestazioni.
Il modello italiano nell’inversione di tendenza.
In Italia, la riforma della contrattazione collettiva è avvenuta con il
D.Lgs. 3 Febbraio 1993, n. 29, con il quale sono state apportate riforme
sostanziali.
Si tratta di un modello più vicino all’Inghilterra che alla Francia e
alla Germania, dove i dirigenti sono essenzialmente espressione del
potere normativo e giuridico dello Stato.
Questo decreto, tra le altre cose, rafforza il ruolo dirigenziale nel
settore pubblico eliminando la partecipazione dei sindacati su molti
aspetti che in passato erano stati affrontati al tavolo delle
trattative. In modo specifico, la dirigenza può ora adottare decisioni
indipendenti, su molti aspetti di gestione del personale, quali la
selezione del personale, le funzioni dei dirigenti e l’organizzazione
del lavoro. senza che siano coinvolti i sindacati.
Questa riforma attribuisce ai dirigenti del settore pubblico la
responsabilità del perseguimento di risultati misurabili e non della la
verifica della legittimità degli atti amministrativi.
Ai dirigenti, quindi, è attribuito il potere di adottare atti
amministrativi e di concedere trattamenti economici accessori, di
riorganizzare il lavoro e le funzioni, di definire i carichi di lavoro,
l’orario di servizio, la mobilità interna e di adottare ogni altra
decisione volta al miglioramento del rendimento.
Tutti questi obiettivi non hanno tenuto conto dei limiti considerevoli
che l’attuale struttura dirigenziale presenta.
Sabino Cassese ha rilevato che mentre in Francia lo Stato fu costituito
attorno ad un nucleo amministrativo, in Italia questo non è mai stato
l’epicentro della Costituzione. L‘Amministrazione Pubblica in Italia ha
accettato un basso profilo e scarsa visibilità poiché é sempre stata
dipendente dal sistema politico, tanto che di frequente le
amministrazioni locali sono state coinvolte in casi di corruzione
relativi alle pratiche di assunzione e di selezione.
Per quanto attiene al contenuto delle negoziazioni, esistono due temi
centrali del dibattito: la retribuzione correlata al merito e la
retribuzione in rapporto alla prestazione.
L’Aran considera entrambe queste forme come prioritarie nella
formulazione del rinnovamento dei contratti.
Tuttavia esistono alcune questioni, che i relatori C. Dell’Aringa,
presidente dell’Aran e Giuseppe Della Rocca) pongono come
interlocutorie.
In primo luogo, il fatto che occorra affrontare con serietà la questione
dell’introduzione dei metodi privatistici nella gestione del personale
e, in secondo luogo, come avvenga la misurazione dei risultati.
Infatti “la presenza estesa di ruoli tradizionali e molti diversi tra
loro , come insegnanti, vigili, costituisce una grossa difficoltà ai
fini della definizione degli standards quantitativi di valutazione e
incentivazione comuni a tutti i dipendenti”.
Inoltre, “anche gli incentivi correlati al merito, che avrebbero potuto
essere considerati come un’alternativa agli incentivi di produttività
perché più compatibili, quando applicati a queste occupazioni, non hanno
avuto successo. Anche a livello internazionale non è stato ancora
pienamente dimostrato nella realtà operativa che la misurazione e il
riconoscimento del merito abbiano migliorato le prestazioni. In alcuni
casi la misurazione ha prodotto effetti contrari deteriorando il clima
di lavoro nelle amministrazioni locali … Ad esempio le retribuzione
correlata al merito per gli insegnanti, secondo ricerche condotte negli
Stati Uniti, incontra delle difficoltà e richiede da parte
dell’amministrazione il controllo dei metodi e dei criteri di
misurazione. Gli insegnanti ritengono che i premi correlati al merito
siano indipendenti dalla valutazione dell’insegnamento e quindi la
misurazione spesso avviene su quelle attività che non riguardano
l’interazione insegnante-studente.
In conclusione, “in assenza di standard qualitativi consolidati, o
criteri di tipo qualitativo accettati dalla cultura interna, che
garantiscano un’equitá nella valutazione dei singoli individui, e un
assenza di una figura dirigenziale riconosciuta preposta alla gestione
del processo, qualsiasi tipo di selezione o premio potrebbe essere
percepita come atto discriminatorio ed essere causa di conflitto”.
Renza Bertuzzi
* Pubblicato in "Professione
Docente", settembre 2000
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