«La domanda “quale futuro per la nostra
professione” è una domanda difficile. Potremmo dire che come la hanno intesa
molti di noi essa non ha futuro, perlomeno immediato.» Serafina Gnech
ha concluso non senza pessimismo il suo problematico intervento al secondo
incontro del ciclo “La scuola senza qualità” organizzato dalla Gilda di
Venezia e dal Centro Studi Gilda (Centro
studi Gilda), di cui la
relatrice è responsabile. Pessimismo giustificato. Dettato da una lucida
analisi dell’intreccio tra la percezione soggettiva e diffusa di un mestiere
che non ci sarebbe più, la progressiva liquidazione delle forme di
proto-apprendimento
(apprendimento strutturato e regolamentato) in tutta Europa, funzionale alla
dissoluzione della sfera pubblica – la relatrice ha citato il Bauman de «La
società individualizzata»,
- e la sequenza degli atti legislativi e contrattuali che costellano l’ultimo
decennio della scuola italiana.
A proposito della sparizione (meglio: della non
innocente sottrazione) del mestiere d’insegnare, Gnech ha citato ampiamente le
pagine iniziali del racconto in cui Mastrocola spiega al suo cane quanto sia
difficile oggi fare
l’insegnante (un “mestiere che non c’è più”), e si chiede per quale motivo
uno (una) debba imparare a insegnare, e insegnare a imparare, ma a nessuno
importi più che cosa, dato che il verbo (insegnare) avrebbe perso ormai il suo
“complemento oggetto”.
Il
decreto legge sulla
formazione/assunzione degli insegnanti
e la proposta di
riforma dello stato giuridico dei docenti
convergerebbero oggi definitivamente nel rimodellare la figura e il ruolo
dell’insegnante secondo i bisogni di una società liquida (Bauman)
parcellizzata dal mercato. Si tratterebbe di una strada battuta nell’arco di
un decennio. Grosso modo: dal
Decreto Legislativo 16
aprile 1994 alla proposta di legge del Testo Unico C. 4091
(Stato giuridico e diritti degli insegnanti della scuola). In questo percorso
la
funzione docente si troverebbe modificata in
modo sostanziale. Il decreto stabiliva che tale funzione si esplica nella
trasmissione della cultura (“…la funzione docente è intesa come esplicazione
essenziale dell’attività di trasmissione della cultura…”). Gnech ha
sottolineato come nel CCNL 2002-2005 venga a cadere la parte di un articolo
precedente sulla funzione docente, in cui si affermava che la si esercita
“sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti
scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione dalle leggi
dello Stato e dagli altri atti di normazione primaria e secondaria” (art. 24 –
Funzione docente, CCNL ’99). L’eliminazione di questo segmento ha fatto
seguito all’avvio di un sistema nazionale di istruzione e alla modifica del
Titolo V della Costituzione (Legge Cost. 3/2001), con cui si stabilisce
che le Regioni possono legiferare nella materia “istruzione e formazione
professionale”.
Nel Contratto nazionale, nel regolamento dell’autonomia e ancora di più nel
Testo Unico C. 4091 (Stato giuridico e diritti degli insegnanti della scuola),
l’asse sarebbe infine completamente spostato: il concetto centrale della
trasmissione culturale viene a cadere e l’essenzialità della figura docente
scompare. Ne prende il posto quella del professionista, chiamato soltanto a
“contribuire” allo “sviluppo personale” delle giovani generazioni. La cultura
non sarebbe più al centro del processo di istruzione-formazione, né compito
primario della trasmissione.
Atti legislativi e norme contrattuali sancirebbero insomma il passaggio dalla
scuola-istituzione alla scuola della società civile. Questo passaggio
segnerebbe inevitabilmente – secondo Gnech – un grave ridimensionamento
del ruolo dei docenti. Chiamati a rispondere ai singoli e non alla
collettività, questi ultimi perderebbero il mandato che la società ha loro
affidato. Una società i cui interessi vanno ben oltre una meccanica sommatoria
di interessi individuali.
Il dibattito si è vivacemente aperto sul che fare? proposto ai convenuti dalla
relatrice. Tra pessimismo della ragione e ottimismo della volontà.
a cura di Stefano Borgarelli
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