F I S I C A
Ledo
Stefanini
§1) INTRODUZIONE:
NATURA E FINALITA’ DELLA DISCIPLINA
§1.1) L’insegnamento della fisica: un problema peculiare nell’organizzazione didattica della scuola italiana
L’insegnamento della fisica nella scuola media superiore presenta un insieme di caratteri che ne fanno un problema peculiare nell’ambito della didattica. Questa specificità acquista maggiore evidenza nel confronto con la situazione di altri paesi industriali. Non è il caso di tentare una disanima storica delle circostanze, delle omissioni e degli improvvidi interventi che rimandano a precise responsabilità politiche; ma ci limiteremo ad assumere, come punto di partenza un intervento legislativo che si è tradotto in forma di pensiero e in pratica didattica. Intendiamo la Riforma Gentile che affidava i due insegnamenti, di matematica e fisica nei licei, ad una stessa persona.
Dopo la Riforma Gentile, non vi sono stati interventi di rilievo sulla scuola secondaria da parte ministeriale volti a indirizzare contenuti e metodi di insegnamento. Con una notevole eccezione che risale all’inizio degli anni ‘70: il sostegno dato alla diffusione dell’americano corso P.S.S.C. Ma anche questa esperienza si esaurì dopo pochi anni, almeno come oggetto di provocazione e riferimento. Dopo di che non venne, da parte ministeriale alcun indirizzo in fatto di insegnamento della fisica. Lo stesso vale per l’insegnamento della matematica; ma con una decisiva differenza: che, almeno nei licei scientifici, la prova scritta di matematica fece parte di quelle previste per gli esami detti “di maturità”. In questo ambito, la difficoltà dei temi proposti, sia per quanto riguarda l’ampiezza delle questioni che la loro specifica complessità, andò costantemente crescendo dalla fine degli anni ‘60. Il fenomeno ebbe due conseguenze: un processo di crescita dei manuali di matematica, che finirono con l’inglobare molti dei temi che, tradizionalmente, erano di pertinenza dell’insegnamento universitario, e un progressivo abbandono dell’insegnamento della fisica in favore di quello della matematica, da parte di quegli insegnanti di liceo ai quali competevano ambedue le discipline. Questi, mancando per la fisica anche la prova d’esame elaborata dal ministero, si trovarono ad avere come unico riferimento culturale e professionale il libro di testo. L’evoluzione dell’insegnamento della fisica negli ultimi decenni è stata quindi largamente determinata non da un progetto pedagogico ispirato a principi dichiarati e riconoscibili; ma dagli estensori dei testi scolastici, spinti spesso (ma non sempre) dalla necessità di collocare il proprio prodotto sul mercato scolastico. Il risultato di questa politica (o assenza di una politica) scolastica è stato da un lato una crescita incontrollata dei temi di fisica moderna introdotti nei manuali e un progressivo abbassamento del livello di alfabetizzazione scientifica dei nostri studenti, com’è ampiamente provato dalle indagini condotte sulla preparazione in fisica degli studenti al primo anno di università. Anche nella fisica si osserva quella sorta di inversione che caratterizza quasi tutta la realtà scolastica italiana: la scuola trascura la formazione di base per occuparsi di contenuti avanzati, erroneamente ritenuti più utili ed interessanti, ed è proprio la loro ampiezza e complessità che autorizza a parlarne proprio coloro che non sono in possesso degli strumenti culturali atti a consentirne la comprensione. Un decisivo incoraggiamento in questo senso è venuto dalle più recenti riforme in materia di esami di stato che negano nei fatti l’idea base della fisica da Galileo in poi: essere la matematica il linguaggio della fisica.
In sostanza, l’attività della maggior parte degli insegnanti di fisica ha due soli referenti: il libro di testo e il proprio aiutante tecnico, dal quale dipendono le attività di laboratorio. Il manuale e il laboratorio dovrebbero essere strumenti nelle mani dell’insegnante; ma, spesso, è l’insegnante al servizio dell’uno e dell’altro. L’affrancamento culturale degli insegnanti di fisica da queste due dipendenze è la porta attraverso la quale deve passare qualsiasi riforma che pretenda di migliorare le cose.
Il problema della didattica della fisica nel nostro Paese non è quello di stabilire nuovi contenuti o di fissare la percentuale delle attività di laboratorio. Il problema vero - e a nulla valgono gli altri interventi se non si affronta questo - è la (ri)formazione degli insegnanti. Si tratta prima di tutto di
1) Formazione culturale. Non è possibile mandare ad insegnare meccanica, elettromagnetismo ecc., persone che hanno sostenuto un solo esame su questi argomenti in età universitaria. La prima e quasi esclusiva fonte di formazione per questi insegnanti è lo stesso manuale sul quale studiano i loro allievi. E’ assolutamente necessario che sia fornita loro la possibilità di riflettere su questi argomenti insieme a persone in possesso di una riconosciuta formazione culturale in materia. Ripercorrere la fisica del primo biennio dell’università con gli occhi di chi vuole fare l’insegnante. Così come a chi aspira al brevetto di maestro di sci si richiede, al minimo, che sappia sciare, a chi aspira a fare la professione di maestro fisica non si può non richiedere che vi sia un campo fenomenico, per quanto ristretto, all’interno del quale sia in grado di muoversi da fisico. Questa non è cosa da poco: si deve richiedere non che sappia enunciare il principio di conservazione della quantità di moto; ma che sia in grado di riconoscere fenomeni che si possono descrivere sulla base di tale principio.
2) Formazione professionale. Solo a chi abbia mostrato un saldo possesso dei fondamenti culturali può essere proposta l’elaborazione di modelli di comportamento didattico. A questi si potranno con profitto proporre le varie forme a cui si ispirano le possibili didattiche; senza pretendere, tuttavia, di ridurre a norme codificate un processo ( quello di costruzione di una consapevolezza del mondo fisico, attraverso l’interazione tra l’allievo e il maestro) per sua natura impossibile da formulare come norma. Tra gli strumenti didattici di cui un insegnante di fisica deve saper fare un uso flessibile, in funzione delle circostanze e dei fini, vi sono, ovviamente, anche le cosiddette “attività di laboratorio” e l’uso del calcolatore; ma non si deve dimenticare che questi sono ausili che tendono a provocare la riflessione sui fenomeni e a perseguire il chiarimento dei concetti e dei modelli.
Avendo a disposizione professionisti della didattica così formati, sarebbe possibile stabilire alcuni punti fermi che riguardano la scuola secondaria superiore.
Come prima cosa, e in conformità ad ogni procedimento che si ispiri a razionalità scientifica, è necessario delimitare i confini della regione culturale oggetto di insegnamento. Questa non può (non deve) superare i confini segnati dall’elettromagnetismo classico. Solo nelle condizioni più favorevoli - il che riguarda tanto l’insegnante che gli allievi - è consentita qualche prudente escursione nel territorio della Relatività Speciale. Sarebbe quindi opportuno limitare l’insegnamento di quanto è emerso dopo il 1905 a quei contenuti che lo studente è in grado di comprendere. Questo avrebbe come prima positiva ricaduta una sostanziale riduzione della massa dei manuali e servirebbe anche ad affermare il principio che nella scuola, come nella vita, non tutti possono fare tutto. Nella fisica, come in tutte le discipline, vi sono concetti e linguaggi estremamente complessi e lontani dall’intuizione, attingibili solo dopo grandi fatiche; qualsiasi tentativo di divulgazione che aspiri ad un minimo di dignità culturale dev’essere compiuto solo da persone di provata competenza. Rimane, tuttavia, il fatto che la didattica della fisica e la divulgazione scientifica sono attività nettamente distinte. Ci rendiamo conto che, con questo, rischiamo di mettere in crisi l’attività di quegli estensori di prove d’esame che sembrano interessati solo alle relazioni tra filosofia e fisica dell’ultimo secolo; ma troviamo molto preoccupante che venga incoraggiata, presso gli studenti, la tendenza a parlare di cose che non conoscono. Indubbiamente, potrebbe costituire un positivo segno di maturità il rendersi conto della modestia delle proprie conoscenze di fisica. D’altra parte, non si comprende perché la struttura degli atomi dovrebbe essere oggetto di studio più degno della meccanica della bicicletta.
Il più grave difetto dell’insegnamento della fisica nella scuola secondaria (ma non solo) è il suo carattere catechistico, che sembra ispirato ad una cultura scientifica positivistica. Una delle sottintese pretese dei project anglosassoni era quella di dare allo studente un’idea, magari attraverso l’attività di laboratorio, del modo di procedere della scienza. Pretesa assurda sul piano epistemologico e dannosa su quello pedagogico, che si è tradotta nei nostri manuali scolastici in un capitolo dedicato al Metodo Scientifico, corredato di diagrammi di flusso che illustrano come dall’osservazione si passi, attraverso l’ipotesi e l’esperimento, alla Legge. In realtà, la teoria (ad esempio, la meccanica classica) è, e un insegnante acculturato non può che utilizzare i concetti e i metodi di quella meccanica, che è – o dovrebbe essere - la sua. Il fatto stesso che sappia riconoscere i fenomeni meccanici significa che applica alla realtà fisica un paradigma interpretativo che va sotto il nome di meccanica classica. Il compito dell’insegnante è quindi quello di condurre l’allievo all’uso corretto di quel particolare paradigma. Il che significa, in primo luogo, riconoscere le circostanze fisiche nelle quali è lecita e utile l’applicazione del paradigma. Ciò non si può raggiungere se non attraverso la proposizione, da parte del docente, di una grande quantità di situazioni esemplari che si prestino ad essere interpretate attraverso la teoria. E qui sta il punto dolente, il discrimine tra una didattica che aiuti il ragazzo a crescere e una finalizzata all’addestramento acritico. Le situazioni proposte alla riflessione del ragazzo non devono avere carattere di esercitazione numerica; ma piuttosto riguardare problemi reali, nei quali la teoria possa mostrare la propria superiorità interpretativa nei confronti della fisica intuitiva di cui, necessariamente, il ragazzo è portatore. In quest’ambito - e solo in questo - acquistano senso le attività di laboratorio da una parte e la risoluzione dei problemi di fisica dall’altra. Per suscitare una riflessione feconda non è necessario che 30 studenti eseguano le stesse misure con gli stessi strumenti didattici progettati ad hoc, ciò che importa è che questa misura venga proposta come mezzo per la soluzione di un determinato problema; che si decida quali sono gli strumenti più adatti a farla realmente, sulla base di precise ipotesi sui risultati che si dovrebbero ottenere. Così come i problemi di fisica non dovrebbero essere, come spesso accade, problemi di aritmetica ( e l’aneddotica in materia sarebbe sterminata); ma presentazione di situazioni fisiche quanto più è possibile prossime al reale, che ammettano varie strategie di risoluzione, non escluso il ricorso alla sperimentazione diretta.
Per una reale riforma dell’insegnamento della fisica nelle scuole secondarie a poco valgono le indicazioni sui programmi. I contenuti sono a tutti presenti; se mai, come abbiamo detto, è più utile indicare quelli che la scuola media superiore ( ma anche l’inferiore) non è abilitata a trattare; poiché la scuola, come ogni strumento, può fare solo certe cose e non altre; mentre, stando ai temi assegnati agli esami di stato sembrerebbe onnivalente. Ciò che si potrebbe (dovrebbe ) fare è impegnarsi in un mutamento dei modi della didattica; nella consapevolezza che questo mutamento dev’essere assunto come problema di rilevanza nazionale dai responsabili della politica scolastica, che dovrebbe portare a
1) Un’azione incisiva di (ri)acculturazione degli insegnanti attraverso le strutture universitarie e le associazioni culturali e professionali come la Società Italiana di Fisica (S.I.F.) e l’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (A.I.F.) che hanno grandi meriti in questo campo.
2) Il riconoscimento del carattere peculiare della professione dell’insegnante, al quale dovrebbero essere lasciati il tempo e i mezzi culturali e materiali per coltivare la materia che professa.
Se poi vogliamo tentare di fornire qualche indicazione più specificamente di natura didattica, la più rilevante è la seguente, che non riguarda solo gli insegnanti di fisica. Per farci capire ci rifaremo ad un esempio che vuole essere emblematico di come stanno le cose nel campo sul quale stiamo riflettendo: le leggi di Keplero e i moti planetari. Ogni insegnante di fisica tratta questo argomento e disegna ellissi con il sole in uno dei fuochi e raggi che spazzano aree e parla di periodi e distanze. Andrebbe tutto bene, se non fosse che, nella stragrande maggioranza dei casi, insegnante ed allievi non hanno mai visto -ad occhio nudo - un pianeta. Non hanno alcuna idea del fatto che il moto da cui l’etimo del nome non è il moto di cui parla Keplero e non sanno in che senso osservativo questi corpi si muovano. L’ignoranza del significato osservativo di queste cose è un fatto che fa parte dell’esperienza di chiunque conosca la nostra scuola. Ciò nonostante, l’insegnante parla diffusamente delle leggi che regolano il moto dei pianeti, senza sapere come se ne determinino i periodi e le distanze dal sole e lo studente - quando lo fa - impara diligentemente tutto ciò, senza sapere a cosa di concreto, osservativo, riferire ciò che ha appreso. Gran parte della fisica scolastica è caratterizzata da questa sindrome: la fisica scolastica propone dei modelli interpretativi di fenomeni che studenti ed insegnanti non hanno mai osservato. Che è come dire che fornisce risposte a domande che non sono mai state poste. Ed è questo che caratterizza la cultura fisica dei nostri liceali, anche ben preparati: conoscono bene le risposte, ma non le domande, che la realtà fisica propone. Di conseguenza, i paradigmi mentali di un ragazzo che ha studiato fisica sui banchi di scuola non sono diversi da quelli di un coetaneo che non ha avuto questa esperienza. A cagione del fatto che la cultura fisica viene considerata cosa diversa da quella che effettivamente occorre per muoversi nella reale realtà fisica. Il fenomeno, noto come “sindrome di Persico”, in quanto segnalato dal grande fisico alcuni decenni or sono, proietta pesanti interrogativi sul reale significato del contributo che l’insegnamento della fisica elementare fornisce alla crescita intellettuale dei nostri giovani. Questo è il solo terreno riformativo sul quale valga la pena di confrontarsi. Se si giudica che lo studio della fisica sia indispensabile alla formazione intellettuale dei giovani che intendono dedicarsi a studi universitari, allora è necessario riformulare in profondità i modi della didattica, non dando nuovi programmi, ma conferendo nuovi significati ai tradizionali. Un insegnante di fisica non può continuare a disegnare linee di forza col gesso e non sapere in che senso una batteria da 4,5 V è cosa diversa dalla 220 della rete. Nella nostra scuola l’insegnante di fisica è una persona che, prevalentemente, fornisce risposte a domande che nessuno gli ha posto: la sfida vera sarebbe quella di trasformarlo in una persona che sa produrre domande.
L’insegnamento di fisica richiede un’aula attrezzata e la disponibilità di una persona che abbia le competenze tecniche per la manutenzione delle apparecchiature e la preparazione di semplici dimostrazioni. Si tratta di una figura professionale attualmente inesistente, che si dovrebbe pensare di formare, prestando attenzione ad evitare due errori compiuti nel passato. Il primo è di affidare questo ruolo a persone culturalmente impreparate, impossibilitate a fornire qualsiasi aiuto all’insegnante che non sia quello di estrarre gli strumenti dagli armadi. Il secondo, non meno grave, di creare una sorta di insegnamento alternativo, che si potrebbe chiamare “fisica pratica”, ma che, in realtà non è niente. L’insegnamento - in tutte le sue forme - dev’essere condotto dall’insegnante, secondo i suoi criteri. Questi deve possedere quindi le competenze per progettare e realizzare dimostrazioni di fisica; l’ausilio di un addetto al laboratorio può rendere più rapida la preparazione e migliore la realizzazione della dimostrazione; ma deve conservare i caratteri di una collaborazione. Sarebbe auspicabile che le università organizzassero corsi di formazione per queste figure professionali.
Riconosciuta l’utilità didattica delle attività di laboratorio, è bene specificarne caratteri e i limiti.
Si danno due tipi di aule: quella cosiddetta “ da dimostrazioni” e quella detta “laboratorio”.
La prima è dotata di un unico bancone e i banchi per gli studenti sono disposti in modo da consentirne la migliore visione di ciò che avviene sul bancone. Disposizione che offende i più recenti imperativi didattici, che applicano a questo tipo di lezione l’aggettivo infamante di “frontale”, preferendo a questa altre inclinazioni. Effettivamente, in questo laboratorio, il centro dell’attenzione è sull’insegnante, che deve essere in grado, però, di conquistarsela mediante ciò che presenta agli studenti. Si tratta di un’arte, quella della dimostrazione dalla cattedra, che si è quasi perduta, sostituita da vari surrogati che, tuttavia, restano tali. Sarebbe auspicabile farla rivivere, poiché nulla è così didatticamente efficace e nello stesso tempo così poco autoritario quanto l’osservazione del fenomeno. Di fronte ad esso lo studente e l’insegnante sono alla pari; forse per questo è poco popolare nella scuola attuale, sostituito dalle simulazioni al calcolatore. Queste sì, mistificatorie ed autoritarie. Certo, l’ideale sarebbe che l’idea di una certa prova sperimentale nascesse in classe e che alla sua realizzazione contribuissero gli studenti, con proposte e prove preliminari e tentativi automi. Ma questa non può essere la normalità. Tuttavia, sono sempre preferibili le dimostrazioni che non richiedano apparecchiature troppo sofisticate o realizzate ad hoc. L’aula di fisica dovrebbe servire ai seguenti scopi:
a) mostrare che l’insegnante è un fisico
b) mostrare che è sorprendentemente bello occuparsi di fisica
c) fissare i concetti a precise immagini: quant’è grande un termometro, che dall’acqua si possono ottenete due gas, che non esiste la quiete, ecc.
d) che i punti materiali, i piani privi d’attrito, le cariche puntiformi ecc. non esistono
e) che nessuna teoria fisica può ricavare la propria legittimazione dalle esperienze di laboratorio.
Se si usa l’aula di fisica per ricordarsi che, dopo tutto, la fisica pretende di insegnare a dominare la realtà, allora la ricaduta didattica non può che essere positiva. Se si crede di utilizzarla per “verificare il principio d’inerzia”, allora è meglio non entrarci.
Per “verificare le leggi” si utilizza, di solito, l’aula-laboratorio: quella nella quale ogni terna (o quaterna) di studenti dispone di un banco e di un “kit” di strumenti realizzati all’uopo. Ma si tratta di un’attività mistificatoria e diseducativa che sarebbe meglio abbandonare. Mistificatoria sul piano epistemologico è la pretesa che un qualsiasi principio fisico abbia di per sè un’evidenza, starei per dire un significato. Diseducativo è il fatto che lo studente si trova davanti strumenti già allo scopo progettati, in cui l’esito della prova è già previsto, tant’è vero che l’esercizio è giusto se risponde alle aspettative; altrimenti è sbagliato. Spesso queste prove sono vere e proprie tautologie, come quando si costringe il ragazzo a scoprire, con un dinamometro e una molla, la legge di Hooke o quando, con un alimentatore, un filo e due tester, la legge di Ohm.
Vi è invece un aspetto dell’insegnamento della fisica che, pur ricco di implicazioni positive, è da sempre trascurato: la misura di grandezze, la realizzazione di strumenti, lo studio di strumenti che si utilizzano normalmente. Per fare alcuni esempi:
la misura
della potenza di una lampadina
della velocità di una palla
del tempo di apertura dell’otturatore di una macchina fotografica
della luminosità del sole
della viscosità di un olio
della frequenza di una lampada
ecc.
la costruzione di
una bilancia
un congegno per comandare una lampada da due punti diversi
una radio a galena
un interruttore a luce
un regolatore di temperatura
ecc.
lo studio di
un lampeggiatore da auto
un comando a distanza per televisore
una pentola a pressione
un condizionatore
una chitarra
una bicicletta
ecc.
A queste attività dovrebbe essere dedicato il tempo trascorso nel laboratorio di fisica. Questo significa che negli armadi, i “kit per la verifica della legge di Hooke” dovrebbero essere sostituiti da chiavi inglesi, cacciavite, tester, oscilloscopi, calibri, ecc. e che l’insegnante dovrebbe, qualche volta, sporcarsi le mani, non di gesso, ma di grasso.
§2) COLLOCAZIONE DELLA DISCIPLINA NELLE AREE E NEGLI INDIRIZZI
L’attuale ordinamento dello studio della fisica nella scuola secondaria è scarsamente differenziato tra un tipo e l’altro di istituto. Si potrebbe dire che le uniche differenze riguardano il numero delle ore complessive e il linguaggio matematico più o meno avanzato; ma non altro. Invece, sarebbe oltremodo importante definire con maggior precisione i caratteri e le finalità dell’insegnamento nelle varie aree didattiche. L’odierna situazione è giustificata anche da caratteristiche peculiari della fisica che favoriscono alcuni fraintendimenti: tra i quali l’idea che la fisica sia una e che non possa essere che com’è.
È quindi necessario distinguere tra gli scopi a cui è finalizzato lo studio della fisica nei vari ordini di scuola. Nella scuola media superiore esso può avere due finalità non sempre tra loro conciliabili:
a) propedeutica agli studi universitari
b) propedeutica a discipline tecniche del triennio della scuola media superiore
La prima caratterizza gli studi dell’area classico-scientifica; la seconda quella degli istituti tecnici e professionali. Nelle scuole ad indirizzo tecnico lo studio della fisica ha perciò carattere prevalentemente propedeutico a quello delle discipline tecniche, mentre in quelle dell’area classico-scientifica ha finalità più generalmente culturali e/o propedeutiche agli studi universitari. La distinzione tra i due indirizzi determina non solo una sostanziale diversità dei contenuti curricolari; ma, soprattutto, differenti approcci didattici.
La più evidente tra le caratteristiche della fisica è la sua contiguità alla tecnologia, per cui i due domini hanno larghe zone di intersezione. La conseguenza didattica di questo è che si ritiene che lo studio di alcune discipline, proprie degli istituti tecnici, debba essere preceduto da un corso generico di fisica, in cui l’alunno apprende più che altro il linguaggio: le forze, le correnti, l’energia, ecc. In quest’ambito lo studio della fisica, più che propedeutico si può definire strumentale a studi successivi, ma a breve termine. Ciò implica che i contenuti e le strategie didattiche dell’indirizzo tecnico non possono che essere finalizzati all’apprendimento di contenuti disciplinari ben individuati, conoscenze e capacità operative che trovano la loro motivazione nei successivi studi di carattere tecnico. In quest’ottica è necessario abbandonare l’insegnamento tradizionale che prevede la canonica successione di meccanica, termologia, acustica ecc. (spesso con labili legami con le esigenze dei successivi insegnamenti di elettrotecnica, elettronica, ecc.) per adottare didattiche modulari finalizzate. Queste potrebbero essere determinate nell’ambito dei singoli istituti.
Diverso è il caso delle scuole dell’indirizzo classico-scientifico. Gli studi universitari di fisica, ingegneria, chimica ecc., richiedono una varietà di conoscenze e competenze che riguardano il linguaggio in senso lato, la raccolta dei dati, la loro rappresentazione, elaborazione, ecc., che non si possono ottenere se non sui tempi lunghi e nell’età che solitamente definiamo come liceale.
Tuttavia, la fisica è anche filosofia della natura, e nessuna filosofia, quindi nemmeno la fisica, aspira al titolo di episteme. In quest’ambito, ciò che importa è comprendere quali risposte gli uomini abbiano dato alle domande che ci si possono porre riguardo alla natura.
Se ci si pone lo scopo di una didattica efficace è necessario che queste finalità siano ben chiare agli insegnanti e che se ne tenga conto nel caratterizzare diversamente i contenuti e i modi dell’insegnamento nelle diverse aree scolastiche. In ogni caso, la prima abilità degli insegnanti dev’essere quella di tracciare i confini, sia per quanto riguarda i contenuti, sia per quanto concerne le modalità, dell’azione didattica. Questo significa che si deve saper distinguere tra formazione e divulgazione: quest’ultima è opera meritoria che compete a scienziati che ne hanno le capacità; trasferita nella scuola, spesso confligge con la formazione di una corretta mentalità scientifica.
§3) OBIETTIVI
E CONTENUTI
Con questa denominazione si caratterizza l’indirizzo di studi che è finalizzato alla formazione culturale pre-universitaria. In quest’ambito l’insegnamento di fisica non ha come scopo dichiarato l’acquisizione di nozioni propedeutiche a precisi studi universitari; ma piuttosto di favorire lo sviluppo di atteggiamenti critici e razionali, di modi di pensare la realtà. Questo percorso in cui l’insegnamento di fisica accompagna il giovane non può restare isolato: Lo studio della fisica si sviluppa tra due grandi contenuti culturali, in mancanza dei quali fallisce il suo scopo: lo studio della filosofia e della matematica. D’altra parte, i curricola scolastici non possono che ripercorrere, grosso modo, il processo storico-culturale e la fisica, nell’accezione moderna, si sviluppa dal XVII° secolo dall’incontro tra la filosofia e la matematica. Un insegnamento che voglia prescindere dall’una o dall’altra è di necessità incompleto e mistificatorio. Questo non significa che non si possa studiare la fisica senza l’apporto dell’una e dell’altra disciplina: la fisica pre-galileiana, ad esempio, è non-matematica; così come vi sono persone che hanno ottenuto grandi successi in fisica pur non avendo mai letto una pagina di Kant . Faraday sapeva ben poco sia di matematica che di filosofia; tuttavia, è difficile pensare che senza Maxwell l’elettromagnetismo sarebbe diventato teoria nel senso che diamo oggi a questo termine
Si pensa quindi a tre corsi paralleli, di matematica, filosofia e fisica, che si sviluppano nel triennio conclusivo degli studi liceali. Naturalmente la formazione in matematica dev’essere iniziata molto prima, fin dalla scuola dell’infanzia; la filosofia e la fisica trovano la loro collocazione naturale nella fascia di età che va dai 15 ai 18 anni.
Nessuno dei tre insegnamenti è tenuto a seguire una precisa sequenza storica: la storia della scienza è cosa troppo complessa per essere percorsa a scuola. Nessuno ha mai avanzato una proposta in tal senso per la matematica; i tentativi in questa direzione esperiti nell’insegnamento della fisica si sono rivelati velleitari e fallimentari.
Come non si pone alcun problema di sincronia temporale tra i corsi di fisica e filosofia, così non è il caso di proporre alcuna forma di interdisciplinarità di facciata. Gran parte della cosiddetta fisica classica ( la meccanica, i sistemi del mondo, l’ottica, ecc.) ha i propri riferimenti nella cultura greca. Non è quindi gran male se un ragazzo si cimenta contemporaneamente con la meccanica di Galileo e i pre-socratici. Se mai, è possibile ed auspicabile che i due insegnanti, di fisica e di filosofia, trovino dei comuni punti di riflessione o dei momenti di confronto e di sintesi.
D’altra parte le teorie fisiche non sono indifferenti al linguaggio attraverso cui vengono formulate. I concetti di derivata e di integrale non sono solo degli strumenti di calcolo: sono nel cuore stesso della meccanica classica. Lo stesso concetto di tempo è isomorfo alla retta dei numeri reali. Una teoria fisica diventa tale quando viene formulata in linguaggio matematico, perché solo questa formulazione consente il controllo della sua coerenza interna. Una formulazione diversa si chiama divulgazione, spesso più prossima all’attività favolistica che a quella educativa.
Il fine della formazione scolastica in fisica è l’esplicitazione della sua natura come attività di riflessione sulla realtà e organizzazione in schemi razionali detti “teorie”. Queste devono rispondere a due requisiti:
a) coerenza interna
b) conformità ai fenomeni osservabili.
La prima richiede la formulazione in termini matematici; la seconda la connessione ad una rete di fenomeni noti e la capacità di prevederne, quantitativamente, altri non ancora osservati.
Affermare che queste sono le caratteristiche di quella particolare attività dell’uomo che si chiama “fisica” sfiora la banalità; tuttavia sembrano sfuggire a gran parte delle persone che, nella scuola, fanno professione di “fisico”.
Gli argomenti che si propongono allo studio per rilievo storico e importanza culturale sono:
MECCANICA CLASSICA
Sistema assiomatico di Newton
Princìpi di conservazione
Relatività galileiana
I due massimi sistemi del mondo e le loro meccaniche
Che cosa è meccanica e cosa no
Che cosa sono le “leggi fisiche”?
La matematica della meccanica classica
TERMODINAMICA
Princìpi e definizioni formali
Il calorico e il calore
La meccanica può spiegare i fenomeni termici
Energia ed entropia
Il calcolo delle probabilità e la termodinamica
OTTICA
Fenomeni ottici
La meccanica spiega anche i fenomeni ottici?
Modello corpuscolare e modello ondulatorio
Potere predittivo delle teorie e falsificazionismo
Interferenza e diffrazione
Tramonto dell’ottica newtoniana
Fresnel e Arago
Che cosa sono le “leggi fisiche”?
ELETTROMAGNETISMO
Il circuito elettrico
Condensatore e induttore
Una teoria dei circuiti
Campi statici
Induzione elettromagnetica
Il sistema assiomatico di Maxwell
Onde elettromagnetiche
Energia e quantità di moto di un’onda elettromagnetica
L’ottica come capitolo dell’elettromagnetismo
La falsificabilità come carattere del sapere scientifico
RELATIVITA’ SPECIALE
Meccanica newtoniana e principio di relatività
Elettromagnetismo di Maxwell e relatività galileiana
L’assiomatizzazione di Einstein
Trasformate di Lorentz
Gli assoluti di Einstein
La matematica della relatività speciale
FISICA DEGLI ATOMI
Leggi empiriche e ipotesi atomica
Modello di Thomson
Esperienza di Rutherford
Modello di Bohr
Fisica classica ed effetto fotoelettrico
Relazione di De Broglie
Il ruolo delle costanti fondamentali
PROPOSTE DI LETTURE
Passi da:
G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi
E. Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico
H. Poincaré, La scienza e l’ipotesi
K. Popper, La logica della scoperta scientifica
T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche
Area
tecnica
In quest’area i ragazzi affrontano lo studio della fisica in una fascia di età precedente, quindi con un bagaglio di capacità matematiche ridotto. Inoltre, le finalità dell’insegnamento sono evidentemente propedeutiche agli studi successivi delle materie professionali. E’ necessario tenere presenti questi riferimenti per determinare i contenuti e le modalità dell’insegnamento, per non avvilirlo a mera edizione ridotta di quello liceale.
Per quanto concerne i contenuti non si possono determinare se non in relazione ai contenuti disciplinari che lo studente si propone di affrontare nel seguito. Ad esempio, se aspira agli studi di elettrotecnica, è chiaro che, nell’insegnamento della fisica, si porrà l’enfasi sull’elettromagnetismo. Sarebbe velleitario e dispersivo infliggere anche lo studio di argomenti di fisica che non contribuirebbero alla sua crescita culturale. E’ quindi necessario, in questo caso, che nell’ambito dell’istituto si studi un percorso didattico che conduca lo studente ad appropriarsi dei concetti e del linguaggio con cui si descrivono i fenomeni elettrici e magnetici. In parallelo a questo si devono curare una vasta serie di conoscenze a carattere di supporto; come la capacità di costruire e leggere grafici, elaborare dati, utilizzare le appropriate unità di misura, interpretare le formule, ecc. Si tratta di un compito difficile, poiché molte delle grandezze fisiche che si utilizzano (ad es.) nell’elettromagnetismo hanno la loro più intuitiva definizione nella meccanica: energia, campo, forza, ecc. La progettazione di un corso (ad es.) di elettromagnetismo che non sia preceduto da uno di meccanica esige grandi capacità da parte dell’insegnante; tuttavia è possibile, a condizione che possieda gli strumenti culturali che gli consentano di uscire dal binario tradizionale.
Nella scuola ad indirizzo tecnico l’insegnamento della fisica non può che ispirarsi ai princìpi del realismo epistemologico. A noi interessa sapere che non è possibile raddoppiare l’intensità di corrente in un conduttore senza raddoppiare anche la tensione elettrica ai suoi estremi. Non siamo interessati ad una spiegazione del fenomeno gerarchicamente superiore. Tanto meno siamo interessati a sapere in che senso gli elettroni “esistono”; l’idea della loro esistenza ci consente di organizzare razionalmente i fenomeni e di progettare macchine che funzionano.
In questo ambito il laboratorio gioca un ruolo fondamentale. Qui l’uso degli strumenti standard ha un ruolo formativo importante. Anzi preminente. Nella scuola tecnica non vi può essere spazio per le bilance realizzate con cannucce da bibita: il ragazzo deve imparare a conoscere i vari tipi di bilancia che la tecnologia mette a disposizione. Anzi, uno dei fini dell’insegnamento è chiarire il fatto che, quando si fa una misura, ad ogni intervallo di valori corrisponde un diverso strumento. Quindi è necessario studiare le varie tecniche di misura delle grandezze fisiche, in relazione ai concetti di precisione, sensibilità, accuratezza. Si tratta di un insieme di nozioni di grande importanza, sia in relazione agli studi successivi che alla formazione culturale. Pertanto, in questo tipo di scuola, l’aula più importante è il laboratorio: quella con un certo numero di tavoli, prese di corrente, strumenti per gli studenti. Per questi, ad esempio, il condensatore non dev’essere una coppia di ingombranti piastre di metallo; ma un cilindretto con due fili che ha certe caratteristiche riconoscibili dalle scritte che vi sono stampate.