Riordino dei cicli: una riforma
malata di ideologia ...
La Gilda ha da
tempo preso una posizione nettamente critica nei confronti di una legge quadro, passata
indenne attraverso la Commissione istruzione del Senato e blindata in aula dalla
maggioranza di Governo.
Preoccupa la Gilda non solo lingegneria di un
sistema che riduce il percorso distruzione e
conduce alla distruzione della scuola
elementare e media, ma anche e soprattutto la natura di un progetto che conduce allabbassamento del livello di
competenze generali e ad una alterazione della professionalità docente, mettendo fra laltro fortemente a rischio il ruolo
internazionale dellItalia..
Come Associazione professionale, la Gilda ha voluto coniugare alla critica il momento propositivo.
Per questo il Centro Studi ha aderito ad un Progetto
per la riqualificazione della Scuola italiana
promosso dalla fondazione Internazionale Nova Spes, progetto a cui hanno
aderito anche lIstituto italiano per gli studi filosofici e lAssociazione
Prisma (vedi i numeri 8 e 9 di
Professione docente).
Questa azione si è rilevata tanto più necessaria in
quanto lintera questione dei cicli è
stata affrontata, come ha rilevato la collega Renza Bertuzzi, che fa parte della Commissione dei saggi ministeriale,
in modo palesemente ideologico.
La situazione di stallo verificatasi allinterno
della Commissione, che ha evidenziato le problematiche in campo senza pervenire ad alcuna
scelta, pone daltro canto le condizioni
per poter avvalorare qualsiasi scelta successiva.
E quello che sostiene anche Giuseppe Bertagna
in questo articolo (tratto dallultimo numero di Cultura, scuola,
educazione) che, oltre a mettere in luce due grossissimi nodi problematici (quello
della divisione della scuola di base e del passaggio dagli ambiti disciplinari alle
discipline vere e proprie) evidenzia come questioni di così grande rilevanza siano state
affrontate con un metodo pedagogicamente sbagliato:un metodo giacobino... che
non porta lontano, visto che come ricordava Kant, è impossibile mettere le braghe alla
realtà...
COMMISSIONE DE MAURO
- prime conclusioni -
Il 12
settembre scorso la Commissione De Mauro ha chiuso quella che sembra essere stata
la prima parte dei propri lavori. Prima parte perché è probabile che possa essere
riutilizzata, con integrazioni, nella seconda fase del processo riformatore, quella
riguardante la stesura dei piani di studio e dei programmi. La Commissione era stata
costituita a giugno per predisporre il programma quinquennale di progressiva
attuazione della legge 10 febbraio 2000, n° 30 sul riordino dei cicli
distruzione che il Governo era obbligato a presentare al Parlamento entro il
26 settembre. Lincarico era poi stato ridimensionato alla predisposizione di
proposte generali per la stesura da parte del Ministro del programma
quinquennale in questione. Il Ministro, nella seduta conclusiva del 12 settembre, infine,
ha ricordato che è soprattutto servita per confrontarsi con lo spirito della
riforma e per identificate tutti i nodi problematici. Il Forum
informatico attraverso cui si è sviluppata è stato un successo, se lo si misura dai
contatti intervenuti tra i partecipanti e dalla mole di materiali prodotti. Chi si
aspettava, tuttavia, che la commissione sciogliesse i problemi posti sul tappeto dalla
legge di riforma, avanzando proposte di soluzioni operative e universalmente condivise
deve rimandare ancora la propria soddisfazione.
La Commissione si è limitata a mettere
a fuoco i problemi e, sulla base dei contributi e della sensibilità dei partecipanti, ha
prospettato le differenti modalità con cui si potrebbero risolvere. E probabile che
il Ministro e il suo staff restringano, però, questo ventaglio di possibili soluzioni e
presentino al Parlamento una proposta di programma quinquennale più netta e determinata.
Cominciamo dal problema scuola
di base. La Commissione non poteva respingere un vincolo posto dalla legge: la
scuola di base non deve risultare dalla mera sommatoria delle attuali scuole elementare e
media, ma deve costituirsi come un percorso educativo unitario ed articolato in
rapporto alle esigenze di sviluppo degli alunni"(art. 3, legge 30/2000). Che
cosa vuol dire, tuttavia, questo in concreto? Data per acquisita lunitarietà della
scuola di base (nelle finalità, negli assetti istituzionali, nei programmi, negli
organici e nelle risorse), come interpretare larticolazione? La relazione finale del
Gruppo di lavoro dedicato a questo problema
contabilizza soltanto 4 ipotesi, sebbene nel dibattito informatico ne siano state avanzate
ben sei. Le quattro presenti nella relazione finale sono queste: 2+2+2+1; 3+4; 2+5; 1+5+1.
Le due tralasciate proponevano il 4+3 (taciuta nella relazione finale, ancorché condivisa
da parecchi interventi, perché avrebbe troppo scopertamente evocato laccostamento
dellattuale scuola elementare accorciata di un anno e dellattuale scuola
media) e il 4+2 (forse lasciata cadere per le stesse ragioni, anche se lanno
intermedio di cogestione tra maestri e professori attenuava il carattere di duplicazione
dellesistente).
Proprio la proliferazione di queste
scansioni, tuttavia, ha dimostrato che erano anche la conclusione di un metodo
pedagogicamente sbagliato per affrontare la questione. I numeri non si devono dare allo
scopo di impedire che nella nuova scuola di base affiori sottotraccia il profilo delle
defunte, per decisione politica, scuola elementare e media. Questo modo ideologico e un
po giacobino di affrontare la questione non porta lontano, visto che, come ricordava
Kant, è impossibile mettere le braghe alla realtà.
Il vero nodo sta nelle esigenze
di sviluppo degli alunni per richiamare il dettato della legge. I numeri devono,
dunque, servire per corrispondere a questo scopo, non ad altro. E se fosse vero che ciò
comporta anche uneventuale riedizione sottotraccia di unorganizzazione
didattica, metodologica, organizzativa, curricolare diversa per il fanciullo e per il
preadolescente non ci dovrebbe essere nulla di scandaloso o di impronunciabile. O dobbiamo
vergognarci della scoperta della diversità della pedagogia del fanciullo e del
preadolescente, quella che ha portato allistituzione della scuola media? Perché
parole come scuola elementare e scuola media devono essere tabuizzate? I preadolescenti
forse non esistono più? I ragazzi tra i 6 ed i 9-10 anni sono forse diventati uguali a
quelli tra i 10 e i 13?
Proprio queste consapevolezze,
ancorché in molti casi non confessate, vista limpraticabilità politica di adottare
unarticolazione della scuola di base che riproponesse il 4+ 3, ha portato alcuni
membri della Commissione a ritenere che, piuttosto di avere imposte dal centro
articolazioni tutto sommato ideologiche, fosse meglio lasciare questa responsabilità alle
decisioni delle singole scuole. Chi, del resto, meglio di coloro che vivono a contatto con
i ragazzi reali e ne esplorano le esigenze sa qual è il modo migliore di articolare il
loro percorso formativo nellarco dei sette anni della scuola di base?
Anche questa scelta, tuttavia, non è
priva di controindicazioni. Se, per esempio, fosse un modo elegante per rimandare a valle
un problema che non si riesce a risolvere a monte sarebbe un forte segno di
irresponsabilità dei responsabili del governo del sistema distruzione. Se, invece,
facesse parte di un percorso volto a valorizzare in maniera organica e significativa il
principio dellautonomia delle scuole potrebbe essere unottima scelta. E
ovvio che se ci si incamminasse in questa direzione diventerebbe ancora più decisiva la
responsabilità del centro di stabilire con precisione gli obiettivi specifici di
apprendimento che scaturiscono dalle finalità generali della scuola di base e che devono
essere comunque raggiunti dagli allievi alla fine di questo ciclo scolastico. Viceversa la
libertà di articolazione interna della scuola di base si risolverebbe nel dissolvimento
dello steso vicolo dellunitarietà. Ma, in questo caso, per citare solo uno dei
mille problemi che nasceranno, come potranno i libri di testo seguire articolazioni così
mobili da essere diverse da scuola a scuola?
Dovranno forse essere eliminati dalla
scuola di base del futuro? La prospettiva non sembra la più prudente e soprattutto la
più efficace ai fini del sostegno alla riforma e della stessa professionalità dei
docenti.
Unaltra questione è quella che
riguarda linterpretazione dellequilibrio tra ambiti e discipline che la legge
obbliga ad instaurare nella scuola di base. Lart. 3 della legge 30/220 prescrive
un progressivo sviluppo del curricolo di questa scuola mediante il graduale
passaggio dagli ambiti disciplinari alle discipline. Anche in questo caso, però,
che cosa intendere precisamente con queste espressioni?
La relazione finale del Gruppo di Lavoro della Commissione De Mauro
presenta due alternative. Intendere questo graduale passaggio in maniera oggettiva e
diacronica (riguardante cioè la struttura del curricolo che andrebbe organizzato nei
primi anni per ambiti pluritransdisciplinari e negli ultimi per discipline). Oppure
intenderlo in maniera soggettiva e sincronica (ogni processo di apprendimento è sempre un
passaggio da dimensioni predisciplinari a disciplinari, a qualsiasi età ci si riferisca).
La prima opzione presuppone un centro
molto più direttivo ed omologante della seconda. Si tratterà di dire quando finisce
lorganizzazione del curricolo per ambiti pre e transdisciplinari, una specie di
continuazione dei campi di esperienza di cui si parla nella scuola dellinfanzia e
quando invece comincia quella per discipline.
La seconda prende così sul serio
lautonomia delle scuole da rischiare però lautonomia dei mille fiori che mal
si combina con una logica istituzionale, necessariamente bisognosa di tratti comuni e
generali. E se un allievo intendesse trasferirsi da una scuola allaltra? Anche qui,
però, per rimanere alla sola questione dei libri di testo, chi mai potrà predisporre
materiali generalizzabili in una situazione così destrutturata? A meno che ci sia ancora
chi penda che il libro di testo di maggiore qualità possibile sia quello costituito da
ciascun docente.
Come si vede, riaffiorano
dallorganizzazione del curricolo i gravi problemi sollevati prima a proposito di
articolazione interna della scuola di base.
Sono solo due questioni tra le
tantissime aperte dal solco della riforma dei cicli. Il ministro non potrà però
limitarsi a porre le alternative che si presentano. A cominciare dal programma
quinquennale dovrà scegliere una strada e cercare di percorrerla con coerenza.
Daltra parte, solo se esiste una precisa ipotesi di azione il Parlamento o chiunque
tra i docenti e lopinione pubblica potrà esprimere in maniera chiara il proprio
accordo o dissenso, o richiedere le integrazioni che ritiene necessarie. Limitarsi a
dichiarare le problematiche in campo e chiedere una discussione si di esse significa
soltanto creare una discussione plebiscitaria e soprattutto porre le condizioni per poter
poi scegliere lipotesi che si vuole, senza una reale socializzazione critica dei
problemi che comporta.
a cura di Se.G
1/11/2000