L’opinione

 

LA FINANZIARIA E L’ESAME DI STATO

 

La gravità dei provvedimenti sulla scuola contemplati dalla Finanziaria è sotto gli occhi di tutti.

Evidente anche la volontà di esautorare il sindacato, decidendo - in sede di Finanziaria - questioni che costituiscono materia contrattuale, come l’orario di lavoro dei docenti.

Colpisce meno, di primo impatto, il dispositivo che pone mano, nella stessa sede, all’Esame di Stato.

La scelta di passare dalle attuali commissioni miste a commissioni totalmente interne appare infatti a molti come una scelta neutra, scontata, quasi obbligata dalla vuota ritualità del meccanismo.  

L’esame di Stato “costa 300 miliardi”, scriveva G. Barbiellini Amidei nel “Corriere della Sera” del 16 luglio,  e “promuove il 97% degli esaminati” (L’inflazione dei promossi. L’unico bocciato è l’esame di maturità). Costituisce dunque un costo senza alcun ritorno, dal momento che non adempie alla funzione selettiva che dovrebbe essere connaturata ad ogni prova.

Il ragionamento non farebbe  una grinza, se non denunziasse una conoscenza superficiale della scuola ed una logica  dannosa  che sembra, purtroppo, essere stata assunta anche dal nuovo Governo.

L’attuale preparazione degli studenti ed il marchingegno del punteggio messo in piedi dal Ministro Berlinguer non impediscono ai docenti che vogliano farlo di selezionare in modo più massiccio.

Ma applicare un meccanismo selettivo ormai spazzato via dall’intero percorso degli studi non significherebbe recuperare la dignità dell’Esame di Stato.

Una selezione finale, attuata su di un impianto ideologicamente costruito sulla negazione delle differenze individuali, lungi dal costituire uno strumento per orientare gli studenti, renderli coscienti  delle loro capacità e dei loro limiti, contribuendo così  alla loro formazione  umana e culturale, configurerebbe un’azione unicamente punitiva. Quindi, quasi sempre inutile e dannosa.

 

 

Qual è il problema, in realtà? Non certo l’esame, ma l’intero sistema.

E l’intero sistema, dopo la sospensione della Riforma dei Cicli, non richiede provvedimenti estemporanei  che esasperino la logica precedente, ma chiede di essere ripensato ed interrogato.

Insomma, sono delle scelte di direzione e di senso che la classe politica deve operare. Chiedendosi se, anziché infierire su di un esame  mezzo morto,  non sia piuttosto opportuno ripristinare all’interno della scuola un sistema di selezione graduale e coerente, di cui l’Esame di Stato costituisca solo l’atto conclusivo.

Un sistema di selezione che, nel riconoscimento e nel rispetto delle diversità individuali, non crei dispersione, espellendo, ma orienti verso livelli e percorsi il più possibile diversificati. Nel rispetto delle differenze, appunto. E nella salvaguardia della qualità.

Questo, se vogliamo finalmente cercare una soluzione  seria al problema della scuola di massa.

 

Se. G.