LA RISCOPERTA DELL’AUTORITÀ

Testi per genitori e insegnanti sulla crisi dei ruoli educativi

 

a cura di Giorgio Ragazzini

 

Settima e ultima puntata

Pubblichiamo due passi dell’ultimo libro di Claudio Risé, di cui già abbiamo proposto un’intervista nella prima puntata, La società non può fare a meno del padre. Sullo stesso argomento lo studioso torna ora in modo più organico e con analisi psicologicamente assai approfondite. L’aspetto meno convincente dell’opera è il suo sfociare, anche per via di una ricostruzione storica che mi è parsa schematica, in tesi e proposte politico-sociali che hanno come perno i danni del divorzio – e della giurisprudenza sull’affidamento dei figli – e anche dell’ideologia abortista, anziché, come ci si poteva aspettare, nei lineamenti di una nuova “pedagogia dell’autorità”, tesa a sostenere i ruoli educativi.

Al termine di questa breve serie di testi, tra i temi da approfondire mi pare centrale la seguente costellazione: in che misura l’esercizio di una giusta autorità coincide con l’assunzione del proprio ruolo di adulto? Il “principio maschile” è appannaggio del solo maschio? Insomma, quanto sono interscambiabili  il padre e la madre, quanto il maestro e la maestra?

11.  Da  IL PADRE,  L’ASSENTE INACCETTABILE (2003)

di  Claudio Risé***

Relazione col padre e rinuncia all’onnipotenza

Il bimbo che entra nella relazione col padre, con l’uomo adulto, portatore della norma, sperimenta di non essere onnipotente, di essere vincolato da regole, a volte penose, che deve rispettare. Questa accettazione, dolorosa, libera però dall’ansia. Ogni psicologo, e ogni educatore, conosce bene la caratteristica ansia del bambino viziato, cui si cerca di evitare il più possibile l’esperienza del limite, del divieto, della regola. Il bimbo diventa sempre più irrequieto, fino a sfidare incessantemente il mondo degli adulti e dell’autorità. A livello più profondo, in realtà, egli cerca disperatamente di ricevere un contenimento, un arresto, una norma. Ha bisogno di sentirsi dire: «Questo non lo devi fare», e cerca in ogni modo di soddisfare la sua necessità di una Legge.

Un’esperienza di questa istintiva ricerca della norma da parte del bambino fu fatta, spesso con sorpresa dei conduttori, in molti di quegli «asili antiautoritari» che fiorirono, soprattutto nelle metropoli, negli anni attorno al ’68, come parte della ricerca politica e sociale dell’epoca. Partendo dall’ipotesi che ogni repressione era «castrante», inutile e dannosa, si cercò di mettere i bambini in condizioni di assoluta libertà. I comportamenti che si manifestarono tra i piccoli furono essenzialmente due. Nel caso migliore si dovette rilevare una sorta di diffusa depressione: senza norme, il bambino  non sapeva che fare, anche giocare diventava difficile. I bambini sollecitavano consegne, spinte, ordini, proibizioni. Spesso però, dove il principio dell’ «antiautoritarismo» venne applicato in modo più radicale e a suo modo coerente, si dovette constatare nei bimbi (che di solito venivano accolti dopo l’anno e mezzo) una regressione verso una sorta di marasma psicotico, uno scivolamento a livelli di totale disorganizzazione psicofisica, che convinse gli operatori più responsabili ad abbandonare il metodo, o a chiudere l’asilo. Quell’esperienza ebbe almeno il merito di una sperimentazione radicale, che dimostrò chiaramente l’impraticabilità pedagogica del metodo antiautoritario. Il principio di autorità è costitutivo della personalità e condizione per il suo sviluppo.

 

Una società che non sa perdere

 

I cittadini della «società senza padre» vedono la perdita come un affronto personale, più che come una prova dell’esistenza, legata anche al destino spirituale dell’individuo. Di queste «perdite», incomprensibili e inaccettabili, fa anche parte il sacrificio di dover riconoscere il principio di autorità scalzato assieme alla figura paterna. Se non bisogna più obbedire al padre, perché allora assecondare il vigile, il bigliettaio, chiunque chieda di obbedire a una norma?

Gli esempi di questa debolezza e fatica ad affrontare la vita e le sue prove sono innumerevoli. [...] Dai suicidi «per protesta» contro il brutto voto o il mancato acquisto del motorino, all’enorme difficoltà provocata da ogni separazione, compresa quella dalla casa della famiglia d’origine, da cui il giovane fa sempre più fatica ad allontanarsi, per investire faticosamente, sul proprio futuro personale. [...]

Una recente ricerca del CNR sugli adolescenti conferma che essi mancano oggi dell’autostima necessaria per affrontare la vita. La psicologa Patrizia Vermigli, coordinatrice della ricerca, sottolinea la relazione tra bassa autostima e sbiadimento della figura paterna, ed afferma: «In quest’utlimo studio abbiamo rilevato che è il padre la figura più importante per gli adolescenti. E’ lui il genitore che dà sostegno quando si tratta di socializzare o di “buttarsi” nelle situazioni nuove, che aiuta il ragazzo a staccarsi dal nido e ad essere più autonomo facendo affidamento solo sulle proprie forze. La madre, invece, lo vuole tenere vicino a sé, ha più difficoltà a lasciarlo allontanare».

 

*** Psicoanalista e docente universitario, dialoga con gli uomini tutte le settimane dalle colonne di Psiche lui, la popolare pagina di “Io Donna”, il supplemento settimanale del "Corriere della Sera".

Il padre, l’assente inaccettabile è pubblicato dalle edizioni San Paolo. Le citazioni sono tratte dalle pagine 25-26 e 97-99.