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Classi differenziate per gli stranieri: da un problema vero risposte sbagliate.

 
 

L’attuale polemica sulla mozione presentata dall’on.Cota della Lega nord circa l’opportunità di istituire classi di inserimento per gli studenti stranieri sta scivolando in contesti sempre più ideologici senza analizzare i problemi concreti che la nostra scuola  e gli insegnanti da anni stanno affrontando su tali temi con risultati positivi. La proposta della Lega ha però il merito di far emergere un problema che è affrontato solo con grande buon senso e volontariato dalla scuola italiana e dagli enti locali in carenza di un quadro normativo chiaro e delle necessarie risorse. Il demerito è che essa può prefigurare effettivamente la nascita di percorsi differenziati di formazione che creano separazione ed esclusione sociale.

Per evitare le solite analisi più politiche che tecniche-operative, ritengo che l’inserimento degli allievi stranieri (non solo extracomunitari) nelle nostre istituzioni scolastiche possa essere validamente fatto attraverso provvedimenti che evitano la creazione di classi ghetto o separate e sviluppino  effettiva integrazione nel rispetto del principio di inclusione sociale così come definito dalla Conferenza di Lisbona in sede UE.

In Europa possiamo evidenziare cinque modelli di inserimento degli allievi stranieri nella scuola pubblica:

    1. Integrazione diretta con il sostegno fornito all’interno delle classi ordinarie che è il modello prevalente e prioritario nella maggior parte dei paesi compresa l’Italia;
    2. Integrazione diretta con il sostegno specifico al di fuori della classe ordinaria (Danimarca, Gran Bretagna);
    3. Sostegno transitorio che comporta la creazione di moduli linguistici con corsi separati all’interno di parte dell’orario curricolare (Spagna, Francia, Paesi Bassi, Paesi Baltici, Germania);
    4. Sostegno a lungo termine con durata annuale o superiore (Spagna, Danimarca, Gran Bretagna, Polonia)
    5. Sostegno extracurricolare fornito al di fuori dell’orario scolastico curricolare (Danimarca, Spagna, Gran Bretagna)

Alcuni ordinamenti scolastici prevedono contemporaneamente diverse forme di inserimento e integrazione rispetto valutando le competenze linguistiche e di preparazione pregressa degli allievi stranieri. Da rilevare anche la presenza di forme di stato di tipo federale che consentono ulteriori specificità e differenziazioni.

Il nostro Paese ha giustamente sposato una politica di integrazione diretta degli allievi stranieri nelle classi ordinarie applicando il principio della valorizzazione dell’interculturalità e dei diritti di cittadinanza. Ciò nonostante, la carenza di risorse, la mancanza di un organico specializzato, la penuria di mediatori culturali pagati dai comuni e dagli enti locali, rischia di produrre nella scuola senso di disagio, frustrazione nei docenti e di rifiuto, paura da parte delle famiglie e degli studenti italiani. Appare evidente che non è possibile creare percorsi personalizzati in scuole con classi di 28-30 allievi e con una presenza di stranieri vicino al 20/30% (si veda la situazione in Piemonte, Lombardia, Nord-Est).

La Lega si è inserita nelle contraddizioni del modello italiano partendo da logiche ataviche di discriminazione, ma anche interpretando il diffuso senso di malessere determinato dall’abbassamento dei livelli della qualità dell’istruzione nella scuola italiana e identificando strumentalmente come uno dei problemi la presenza degli stranieri.

Credo che sia necessario evitare di confondersi con le critiche della sinistra tradizionale che grida al razzismo, così non è opportuno accettare benevolmente le ipotesi di differenziazione come il male minore, cosa che sembra essere comune denominatore del centro-destra. 

Traendo spunto dalle esperienze prodotte sia nelle scuole italiane che in quelle europee possiamo immaginare e proporre soluzioni che partano dalle buone pratiche e dall’esperienza già maturata.

  • Si possono creare moduli di inserimento in orario curricolare tarati sull’età evolutiva degli allievi che comprendano un numero di ore dedicate su diversi livelli di competenze all’acquisizione della lingua italiana e di alcuni principi fondamentali su cui si basa la vita democratica e la storia del nostro paese garantendo l’inserimento nella normale programmazione in classe da subito per tutte le aree disciplinari o di studio che consentono una immediata interazione senza una prevalente formalizzazione linguistica italiana (matematica, materie scientifiche, educazione artistica, musicale, ecc.). Ovvio è pensare a moduli molto leggeri e flessibili per la scuola primaria, mentre devono essere maggiormente strutturati in caso di inserimento di allievi stranieri che non parlano l’italiano nelle scuole secondarie.
  • E’ necessario quindi ampliare le risorse per attivare in orario scolastico e non solo extrascolastico corsi di lingua italiana per stranieri con l’apporto di personale preparato e di mediatori culturali costruendo percorsi in cui le stesse famiglie degli allievi stranieri siano coinvolte nei processi di integrazione.
  • E’ opportuno attivare moduli di inserimento in tutto l’arco dell’anno, anche con la collaborazione dei Centri Territoriali permanenti, sempre tarati su livelli di conoscenza e comprensione della lingua per consentire l’inserimento nel sistema formativo di tutti gli allievi stranieri senza limiti temporali (la mozione Cota chiude di fatto l’inserimento al 31 dicembre). Deve essere però evitato che il peso dei moduli di inserimento sia eccessivo rispetto alle lezioni curricolari comuni che gli allievi devono frequentare nel gruppo classe. Deve essere altresì evitato che si aprano percorsi,lunghi di inserimento. I oduli di inserimento devono essere compresi in periodi limitati (tre-quattro mesi) e affiancati, se necessario, da attività di studio e approfondimento in orario extracurricolare.

La conoscenza della lingua e del contesto storico e sociale in cui un ragazzo o una ragazza stranieri vivono sono elementi necessari per creare vera integrazione e per evitare il facile buonismo che ha contribuito a far precipitare nelle classi della scuola italiana allievi stranieri che non riescono a comunicare, capire, interagire con i compagni e che rischiano l’emarginazione o l’autoemarginazione, buonismo prodotto da una pedagogia astratta e ideologica che ha vissuto sinora solo grazie al lavoro volontario e mal pagato dei docenti che si sono letteralmente inventati tecniche didattiche e strumenti di lavoro per evitare il peggio.

Esiste in ogni caso un problema di fondo: per costruire finalmente un’offerta formativa includente per gli studenti stranieri servono risorse e organici aggiuntivi. Altrimenti si rischia di vanificare qualsiasi buon proposito. Anche per questo è paradossale che proposte come quella della Lega, fatte senza coinvolgere gli operatori e i professionisti della scuola, siano fatte in un momento in cui prevale la logica del risparmio e della riduzione degli organici nella scuola. Una scuola innovativa e sensibile al problema dell’integrazione non può nascere solo con la buona volontà e il sacrificio dei docenti.  

 

Fabrizio Reberschegg