Oh Dio ... il portfolio! (Seconda parte)
di Serafina Gnech
2. Il portfolio Moratti
Abbiamo tracciato, nella prima parte di questa breve analisi, il percorso che conduce al porfolio morattiano. Vediamone ora le caratteristiche, quali si desumono dalle “Indicazioni nazionali” relative alla scuola dell’infanzia, alla scuola primaria e alla scuola secondaria di 1° grado che accompagnano la Legge 53.
Dalla lettura dei testi ministeriali, risulta che il portfolio ricopre le stesse funzioni nei vari ordini di scuola. Queste funzioni possono essere ricondotte a tre obiettivi fondamentali: dare trasparenza ai processi di insegnamento-apprendimento e ai risultati conseguiti; conferire allo strumento una valenza pedagogica nei confronti dei docenti, degli studenti e dei genitori, considerati attori a pari titolo del processo educativo; rafforzare il principio della continuità educativa tra le varie scuole.
L’espletamento delle funzioni identificate chiama ovunque in campo gli stessi attori: docenti (in particolare docente tutor), genitori e studenti. Va notata qui però una differenza fra la scuola dell’infanzia e quella dell’obbligo. Mentre nella scuola dell’infanzia il portfolio delle competenze individuali è “compilato ed aggiornato dai docenti di sezione che svolgono anche la funzione di tutor“ ed il coinvolgimento dei genitori risulta dunque indiretto, nella scuola dell’obbligo (sia primaria che secondaria di 1° grado) i genitori partecipano in modo diretto alla compilazione “con precise annotazioni”. E’ prevista, come dicevamo, anche la partecipazione degli allievi, o meglio, si legge “se del caso, dei fanciulli” della scuola primaria, e “se necessario, dei preadolescenti” della scuola secondaria di 1° grado.
Vediamo ora cosa deve contenere questo malloppo.
Nella scuola dell’infanzia esso deve contenere:
- “una descrizione essenziale dei percorsi seguiti e dei progressi educativi raggiunti:
- una documentazione regolare, ancorché significativa, di elaborati che offra indicazioni di orientamento fondate sulle risorse, i modi e i tempi dell’apprendimento, gli interessi, le attitudini e le aspirazioni personali dei bambini”.
Nella scuola primaria e nella scuola secondaria di 1° grado, il dossier diviene più corposo, in quanto deve contenere:
- 1.”Materiali prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo capaci di descrivere (paradigmaticamente, solo nelle Indicazioni relative alla scuola primaria) le più spiccate competenze del soggetto;
- 2. prove scolastiche significative (relative alla padronanza degli obiettivi specifici di apprendimento e contestualizzate alle circostanze, solo nelle Indicazioni relative alla scuola secondaria);
- osservazioni dei docenti e della famiglia sui metodi di apprendimento del fanciullo (del preadolescente, nelle Indicazioni relative alla secondaria), con la rilevazione delle sue caratteristiche originali nelle diverse esperienze formative affrontate;
- commenti su lavori personali ed elaborati significativi, sia scelti dall’allievo (è importante questo coinvolgimento diretto) sia indicati dalla famiglia e dalla scuola, ritenuti esemplificativi delle sue capacità e aspirazioni personali;
- indicazioni che emergono dall’osservazione sistematica, dai colloqui insegnanti-genitori, da colloqui con lo studente e anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti”.
Ai contenuti sopra elencati e comuni ai due ordini di scuola (fatte salve le differenze elencate fra parentesi), va aggiunta – per la scuola secondaria – una “sezione dedicata alla valutazione e un’altra riservata all’orientamento” Per la prima si richiamano gli indirizzi generali enunciati dall’art. 8 del DPR 275/99.
Risulta abbastanza difficile fare un approccio critico – e non intendiamo qui per critico negativo in partenza – allo strumento valutativo previsto dalla riforma.
Il rischio più grosso è quello di guardare al portfolio con i paraocchi della normalità, cioè del conformismo, dei luoghi comuni, del filologismo cavilloso, del culto dell’inessenziale, dell’inerzia mentale. Non liberandoci da quelle che Kundera definisce le “preinterpretazioni”, possiamo essere trascinati da un lato ad interrogarci unicamente sul come, tralasciando il perché (come si fa a scrivere un portfolio con i genitori? E quante riunioni si devono fare? Domande più che legittime e doverose ma da porre in seconda istanza), dall’altro a giudicare irrilevante la nostra esperienza concreta di docenti della scuola.
Di fronte alla complessità dell’approccio, cerchiamo di procedere per gradi, esaminando i presupposti teorici generali del portfolio – sintesi della filosofia della scuola nuova, i presupposti pedagogici ed i presupposti ideologici.
I presupposti teorici generali
Il presupposto teorico principe del portfolio è quello che debba essere superata la dicotomia fra theorìa e téchne, dicotomia che era alla base dell’impianto gentiliano in cui viene meno “la categoria del concetto che si fa azione e dell’azione che produce concetto” (G. Bertagna, intervento orale) (1). Giovanni Gentile doveva fare i conti con il lavoro esecutivo, il lavoro “alienato” di Marx in cui l’uomo non è creatore e nemmeno può proporsi come testimone, ci dice sempre Bertagna nello stesso intervento, mentre noi dobbiamo fare i conti con la società globalizzata della conoscenza, che “ha reso inservibili le artificiose separazioni del passato tra sapere e lavoro, tra istruzione da una parte e istruzione/formazione professionale dall’altra” (2).
Questa impostazione conduce da un lato al parziale superamento della Legge 30 che, ci dice sempre Bertagna, faceva di tutta la scuola superiore un liceo e ad un potenziamento del filone professionale, dall’altro ad un generale spostamento dell’ottica sul saper fare e quindi sulle competenze. Se ciò che conta è il saper fare, la vera valutazione, di cui il portfolio è espressione e alla quale viene dato il nome di “valutazione autentica”, è quella che si esercita su questo piano.
Se noi analizziamo le definizioni di portfolio, vediamo che la terminologia ricorrente è nettamente spostata sul saper fare, sull’operatività. “Il portfolio dello studente, ci dicono Arter e Spandel (3), è una raccolta finalizzata del lavoro dello studente che racconta la storia dei suoi sforzi, del suo progresso e del suo successo in una o più discipline scolastiche”. Ed ancora: “La valutazione autentica è un vero accertamento della prestazione…” (4). E gli esempi potrebbero continuare.
Praticare questa valutazione autentica avrebbe anche un valore “pedagogico”. Gli allievi, deresponsabilizzati rispetto alla tradizionale valutazione selettiva, troverebbero – ci dice Comoglio (5) una “motivazione intrinseca all’apprendimento”. Essa deriverebbe essenzialmente dal fatto che essi, producendo e regolando essi stessi la loro produzione, coglierebbero l’utilità del sapere e sarebbero dunque spinti a procedere oltre.
Dobbiamo soffermarci un attimo su questo punto perché di vitale importanza. Sollecitare gli allievi sul piano dell’utilità – e dell’utilità immediata perché il percorso scolastico della nuova scuola è, come ben sappiamo, segmentato in unità di apprendimento che si aprono e si chiudono quasi all’infinito – significa trasmettere un semplice messaggio: quello che la cultura vale solo e nella misura in cui è spendibile. Tutto questo, diceva Nietzsche, rientra nei dogmi preferiti dell’economia politica.
“ Conoscenza e cultura nella massima quantità possibile – produzione e bisogni nella massima quantità possibile – felicità nella massima quantità possibile: tale pressappoco è la formula. In questo caso noi troviamo che lo scopo ultimo della cultura è costituito dall’utilità, o più precisamente dal guadagno, da un lucro in denaro che sia il più grande possibile. In base a questa tendenza, la cultura sarebbe pressappoco da definire come l’abilità con cui ci si mantiene all’altezza del nostro tempo, con cui si conoscono tutte le strade che facciano arricchire nel modo più facile, con cui si dominano tutti i mezzi utili al commercio tra uomini e popoli. Il vero problema della cultura consisterebbe perciò nell’educare uomini quanto più possibile ‘correnti’ nel senso in cui si chiama ‘corrente’ una moneta. Quanto più numerosi saranno gli uomini ‘correnti’, tanto più felice sarà un popolo. E il fine delle scuole moderne dovrà essere proprio questo: far progredire ogni individuo nella misura in cui la sua natura gli permette di divenire ‘corrente’, sviluppare ogni individuo in modo tale che tragga la più grande quantità possibile di felicità e di guadagno. Ciascuno dovrà essere in grado di valutare con precisione se stesso, dovrà sapere quanto può pretendere dalla vita. La ‘lega’ tra intelligenza e possesso, sostenuta in base a queste idee, si presenta addirittura come un’esigenza morale”.
Che cosa c’è di negativo in tutto questo? Pur prendendo le distanze dalle esasperazioni filosofiche di Nietzsche, che ben conosciamo, non possiamo dire che i timori del filosofo tedesco siano ingiustificati. Siamo sicuri che l’inevitabile indebolimento della cultura conseguente a queste scelte, non produca una nuova generalizzata barbarie? E che non si verifichi quella catastrofe paventata da Huxley e da Orwell, cioè quella “devoluzione delle capacità di piena conoscenza e pieno controllo a un gruppo ristretto, gli Alfa Plus o il ‘qualcuno più uguale degli altri’ o il Grande Fratello, con un immenso volgo di subalterni organizzati planetariamente” (6)? Tullio De Mauro, che peraltro seguì le tracce di Berlinguer, che a sua volta pose del basi di quella cultura dell’utile che la Legge 53 consacra definitivamente, si pone l’interrogativo. Senza dare una risposta soddisfacente.
I presupposti pedagogici
Quando analizziamo il portfolio ci accorgiamo che c’è una differenza fondamentale fra questo strumento valutativo e quelli che l’hanno preceduto. Le valutazioni tradizionali registravano i successi e i fallimenti dell’allievo, determinati sulla base di ciò che egli doveva conoscere in un dato anno di uno specifico percorso scolastico. Il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati aveva, almeno in linea teorica, delle conseguenze: recupero, ripetenza. Questo meccanismo si è progressivamente indebolito, come tutti ben sappiamo. Provocando, di fatto, una diminuzione del livello di preparazione generale.
Il portfolio è totalmente diverso. Esso raccoglie infatti soltanto le prove documentali positive e registra unicamente le competenze acquisite dal soggetto, cioè i successi e non i fallimenti. I materiali, si legge nelle indicazioni, sono quelli “capaci di descrivere le più spiccate competenze del soggetto”, i commenti inseriti devono essere esemplificativi delle “capacità e aspirazioni personali”. E via dicendo. Anche se permangono cascami della vecchia scuola (la ripetenza è teoricamente prevista anche se fortemente condizionata – v. decreto attuativo), lo strumento selettivo si trasforma essenzialmente in strumento promozionale. E alla scelta o addirittura alla programmazione dei materiali da inserire sono chiamati a partecipare gli studenti stessi.
Tutto questo da un lato traduce il dogma dell’economia politica rilevato da Nietzsche e sopra citato (“far progredire ogni individuo nella misura in cui la sua natura gli permette di diventare ‘corrente’, sviluppare ogni individuo in modo tale che dalla sua quantità di conoscenza e di sapere egli tragga la più grande quantità possibile di felicità e di guadagno”), dall’altro – e per ciò che riguarda cioè la partecipazione degli allievi alla stesura – sottende una formulazione pedagogica nuova ma per alcuni versi già corrente. Si tratta dell’assunto secondo il quale - banalizzo per necessità di chiarezza – si diverrebbe adulti facendo le stesse cose che fanno gli adulti. Un esempio di questo nella realtà scolastica di oggi sono le occupazioni studentesche, generalmente difese in quanto esse preparano - si dice - alla vita reale. Anche se poi – ed è sotto gli occhi di tutti – il gioco prevale e l’adolescenza rivendica i suoi diritti. E la caduta della distinzione dei ruoli o meglio l’inversione degli stessi (l’adulto fa l’adolescente e l’adolescente fa l’adulto) rendono il gioco poco stimolante, fino a trasformare le occupazioni in momenti di cultura della noia.
Quali basi filosofico-pedagogiche ha questo assunto? Nessuna. Semplicemente esso riflette gli imperativi del mercato. Un bambino e/o un adolescente concepito come un adulto in miniatura spende e fa spendere di più. Una gran parte dell’industria dei consumi subirebbe un duro colpo se fossero ridefiniti i confini che separano il mondo infantile da quello adulto.
Che dire? In tempi recenti molte voci si sono levate a difesa della distinzione dei ruoli e della necessità di riconoscere la specificità del mondo infantile e adolescenziale. Sono voci autorevoli, ma che rimangono senza eco.
Nel frattempo proliferano altre scuole. Scuole in cui opera il “maestro”, e in cui i tempi della crescita scandiscono le azioni e gli apprendimenti (7).
I presupposti ideologici
Nella raccolta del materiale del portfolio e nella stesura di alcune delle sue parti sono coinvolti, come abbiamo visto, anche i genitori, chiamati - si dice – ad essere sempre “protagonisti consapevoli” della crescita dei loro figli. In relazione a questo aspetto si pone un triplice ordine di problemi.
Il primo è relativo alla correttezza costituzionale di un impianto che riprende ed amplifica la logica sottesa alla nascita degli organi collegiali tuttora vigenti. Il secondo (in realtà strettamente collegato al primo) è relativo alla libertà di insegnamento, costituzionalmente protetta in quanto intesa come garanzia del cittadino di fronte all’istituzione pubblica. Il terzo riguarda l’equità del sistema d’istruzione.
Analizziamo i primi due punti. Carlo Marzuoli, in una raccolta di saggi di recente pubblicazione (8), mette il discussione la presenza dei genitori e degli studenti – nelle forme attuali – negli organi collegiali della scuola. Essa sarebbe infatti incoerente con i principi e le logiche del sistema costituzionale. L’illustre giurista distingue due livelli di partecipazione: la partecipazione procedimentale e la partecipazione organica. La prima è la “partecipazione all’attività” e riconosce i “diritti di intervento nei procedimenti” ed ancor più il diritto di “conoscenza degli atti”: essa costituisce “una strumentazione giuridica coerente con i principi e le logiche di fondo del sistema costituzionale”. La seconda, ovvero la partecipazione organica, che è quella vigente perché i genitori e gli studenti sono titolari di una parte degli organi di governo della scuola, confligge invece con i principi costituzionali. Questo perché le pubbliche amministrazioni hanno “il potere e la responsabilità di operare nell’interesse pubblico e detto potere e responsabilità debbono rimanere in capo all’amministrazione”, mentre genitori e studenti sono portavoce di un interesse corporativo, e quindi privato, e ciò inficia il carattere pubblico dell’ente. E’ “un sistema in cui si confondono poteri e responsabilità e in cui è sacrificata la libertà e la tecnicità della funzione docente”. Si capisce che l’ingresso dei genitori (e degli studenti) nella redazione del portfolio non fa che accentuare – ed in modo estremamente pericoloso – questo tipo di impostazione. La recente indagine condotta da “Professione docente” bene ha messo in luce in quale misura il controllo delle famiglie sull’operato dei docenti – a seguito dell’introduzione del portfolio nelle scuole che hanno avviato la sperimentazione – alteri la libertà di insegnamento.
E veniamo al terzo problema: quello dell’equità. La partecipazione dei genitori alla compilazione del portfolio dei figli aumenterà o diminuirà le disuguaglianze sociali? Non possiamo ovviamente dare delle risposte sull’ambito specifico. Ma possiamo, deduttivamente, fare delle previsioni, partendo da quello che è avvenuto con l’avvio di un regime di concorrenza fra le scuole. Esso è mosso, ci dice Angela Martini (9), da alcuni presupposti impliciti, fra cui quello di un “pubblico di utenti-consumatori tutti perfettamente informati e razionali nei comportamenti di scelta”. Poiché così non è ed i soggetti sono in realtà diversi (per cultura, informazione, ecc.) non si è creata una competizione virtuosa ma piuttosto una polarizzazione delle scuole, che vede, da un lato, scuole di alto livello, dall’altro scuole destinate al declino e alla chiusura. Con un aumento delle disuguaglianze sociali.
Se teniamo conto di questo, possiamo ragionevolmente ritenere che la partecipazione dei genitori alla compilazione del portfolio sarà più o meno incisiva a seconda del loro livello culturale.
Con l’aggravante che, in questo ambito particolare, incideranno anche le competenze specifiche.
E di certo il genitore con scarsa cultura, o straniero, non saprà promuovere l’immagine del proprio figlio come potrebbe farlo un laureato italiano.
Ma tutte queste considerazioni riusciranno mai a scalzare delle scelte di natura prettamente ideologica? E’ possibile, ma, riprendendo Kundera, bisogna – ancora una volta – togliersi i paraocchi della normalità…
(segue: un esempio di portfolio)
1. Convegno: Scuola, la riforma Gentile oggi, Brescia – ottobre 2003
2. Rapporto finale del gruppo ristretto di lavoro costituito con D.M. 18 luglio 2001)
3. op. cit. (vedi 1° parte)
4. Wiggins, citato da Mario Comoglio, in “Voci della scuola”
5. Comoglio, art. cit.
6. Tullio De Mauro, Quale formazione per vivere e lavorare in una società complessa, in “L’istruzione in Italia: solo un pezzo di carta?”, Il Mulino 1997, pag. 490
7. Faccio riferimento alle scuole steineriane, che stanno aumentando al punto di non reggere le richieste di iscrizione
8. Istruzione e servizio pubblico, Il Mulino 2003
9. Equità ed efficacia nel sistema scolastico, cit. (vedi 1° parte), pag. 150 e segg.