C’era da accompagnare
una classe in scambio in Finlandia; e sebbene molte ragioni mi
dissuadessero dall’impresa, la curiosità per il mistero del sistema
scolastico finlandese mi portò ad accettare - insieme alla collega di
inglese, l’organizzatrice del progetto- di accompagnare una classe (IV) del
mio liceo.
L’istituto con cui
eravamo in scambio era già stato “collaudato” per questi fini: si trattava
di una general upper secondary school, situata ad Eura, un
comune di circa 10.000 abitanti (cittadina-tipo nel contesto finlandese),
più o meno a 200 km a ovest da Helsinki.[ Non sarà inopportuno ricordare
che: la Finlandia ha
una popolazione di 5 milioni di abitanti, con una densità media di 16
abitanti per Km², noi 190 abitanti.]
L’ arrivo : finalmente
al cospetto di una scuola finlandese!
Dopo un lungo e
faticosissimo viaggio, la mattina dopo il nostro arrivo, in una ridente
giornata di sole scandinavo, in un ambiente [non posso raccontare, per
ragioni di spazio, né della fascinazione del paesaggio né di quella del
clima o dell’atmosfera] eravamo finalmente giunti a cospetto con una scuola
finlandese.
L’ edificio
scolastico, tutto su un unico piano, aveva l’aspetto molto razionale.
Limpido, sobrio, pulito. Scritte sui muri o murales: nessuno. Era
collocato in un vasto spazio verde (in Finlandia non fa certo difetto), dove
le betulle signoreggiavano. Nella spianata al centro, un fiorire di
biciclette dei ragazzi. Nessuna moto o vespa o cose del genere. L’interno
era lindo, allegro - mi vengono in mente le immagini delle nostre scuole
materne – ma soprattutto funzionale, con spazi comuni ampi: erano stati
progettati e realizzati per essere luoghi confortevoli, luoghi di incontro.
Infatti si trovavano qua e là divanetti, tavolini con sedie, scaffalature
con pubblicazioni, molte stampe o foto alle pareti. Il tutto era arredato
stile Ikea, naturalmente. I servizi igienici non scarseggiavano. In alcune
zone vicino agli ingressi, sotto agli appendiabiti, per terra, si sarebbe
potuto notare una nota di felice disordine: nella nuda semplicità donata dal
fluire della vita, ribadiva un’aria familiare. Erano le decine e decine di
scarpe che i ragazzi si erano tolti all’ingresso. In ogni casa in Finlandia
, è buona regola togliersi le scarpe quando si entra. Ciò vale anche nella
scuola. Ergo: essa non è sentita come qualcosa di estraneo, come potrebbe
essere un ufficio pubblico. Gli stessi insegnanti hanno sandali o qualcosa
di apposito da calzare all’ interno dell’istituto. (Fa un certo effetto
vedere il preside, nell’esercizio delle sue funzioni, con le calze scure e i
sandali di cuoio.)
Passiamo alla
popolazione, composta sia da insegnanti che da allievi - ma non da
personale ausiliario tipo i nostri bidelli: non esistono. All’arrivo, per
prima cosa siamo state accompagnate nell’ area “dirigenza, amministrazione,
aula professori”. Sarà stato anche per via del sole forte che brillava e
scaldava – un evento assolutamente insperato, per essere la fine di
aprile- ma l’aula professori mi è apparsa fresca, allegra, viva: anche qui
dominava il colore chiaro, poi divani, molte foto del corpo insegnante
(anche una degli anni 30) che lì aveva operato. Tutto voleva essere
confortevole. C’era anche una zona cucina super attrezzata di apparecchi
vari, molto frequentata. E mi viene da pensare quanto sia vera
“dispensatrice” un’area di questo tipo.
Gli insegnanti
presenti nella general upper secondary school di Eura al
nostro arrivo si disposero con cordialità per il saluto di benvenuto. Così
il preside e la segreteria. Un’attenzione che mi meravigliò. Gli insegnanti
in servizio ad Eura sono 14 per 190 ragazzi .
Ancora uno sguardo
alla sala insegnanti: i computer erano solo 2, che strano! ma poi scopri il
perché. Ogni insegnante ha un’aula “sua”: è la stanza dove si svolgono le
lezioni della sua materia. È come un’appendice dello studio della propria
casa, ma nello stesso tempo è un luogo aperto agli studenti. L ’insegnante
di inglese aveva per esempio le locandine del film Casablanca. Ogni docente
– che fra l’altro possiede le chiavi della scuola- ha lì il proprio
materiale di lavoro: il suo computer con i suoi files, i propri
libri, riviste ecc. Dispone di una lavagna luminosa, e di altre
sofisticherie tecnologiche - direi: lavagna elettronica-. Quando inizia
l’ora di lezione di quel corso, gli studenti si aggregano davanti all’aula,
un po’ come si fa da noi all’università.
Siamo andati a
visitare la stanza dell’insegnante di storia: un luogo che assomiglia in
parte a un piccolo laboratorio (con tanti oggetti alle pareti e sugli
scaffali, prodotti da ricerche di ragazzi), in parte a un piccolo museo; ma
in un’atmosfera vitale, dinamica. La stessa mattina, io e la mia collega
abbiamo assistito alla lezione di inglese. I nostri studenti italiani erano
mescolati nei banchi con i finlandesi, così come nei giorni successivi. Il
docente ha dato informazioni, servendosi della lavagna luminosa, su alcune
regole grammaticali (l’argomento era: conversione da discorso diretto in
indiretto). Poi ha invitato i ragazzi a leggere alcune fotocopie che sono
state distribuite, fogli contenenti esercizi: questi sono stati svolti con
molta disinvoltura, voglio dire senza esigere il rigore di tempi e modalità
particolari o di una applicazione individualizzata. Poi si è passati alla
correzione ad alta voce. Era una lezione partecipata? Non sempre. A volte il
docente consentiva agli alunni di intervenire, ma ho anche visto mani
alzate che non trovavano “accoglienza”. Su questo argomento ritornerò.
Incontriamo il preside
L’incontro con il
preside si è configurato come una vera e propria intervista, che la mia
collega ha facilitato. Il dirigente era un “giovane preside” sui 45 anni (
l’età media degli insegnanti penso si aggiri sui 35 anni).
Nonostante la
mediazione della collega “interprete”, la mia scarsa conoscenza
dell’inglese e lo scarso tempo a disposizione non hanno permesso una
comunicazione limpida. Non sono così riuscita ad ottenere una visione chiara
del sistema scolastico finlandese. Ciò che egli ha ribadito parecchie
volte è la marcata attenzione, a livello legislativo e istituzionale, di
mantenere ed incrementare il prestigio e l’ organizzazione del loro sistema
scolastico. Queste premesse sono apparse non solo le affermazioni di
routine di un funzionario statale che svolge comme il faut il
proprio compito, ma la voce di un sentire comune, di un convincimento
autentico di base che sostiene la scuola finlandese. Era come se dicesse:
la società crede nel nostro operare e ci affida un alto compito. Questo è
il preambolo irrinunciabile. Poi ci ha parlato della “sua” scuola di Eura: è
un istituto che si colloca sempre entro i primi 30 nella graduatoria
nazionale. Gli insegnanti? sono molto motivati, le assenze per
malattia sono molto poche, perché vengono a lavorare anche quando sono un
po’ ammalati. Lo stipendio? Varia a seconda del tipo di orario
che si sta effettuando in quello specifico mese lavorativo [il calendario
scolastico non è omogeneo per tutto l’anno]: per un certo periodo il docente
è chiamato a svolgere un servizio - ad es. di 10 ore- , per un altro periodo
un altro- ad es. di 20 ore o di più. Ma varia poi a seconda
dell’anzianità. All’entrata in servizio ci può essere –è il caso
concreto di una persona- una situazione del tipo: stipendio di 1.800 euro
per il periodo con meno ore, poi 2.400 per il periodo di più ore. I
laureati vengono invogliati in vari modi per indirizzarsi alla professione
insegnante.
Se dovessi entrare nel
merito del complesso ( oserei dire farraginoso) sistema organizzativo della
General upper secondary school, dovrei aprire un lungo
paragrafo. Il lettore si rassegni : informazioni di questo tipo dovrà
cercarle in altra sede. Racconterò invece che il preside ci ha dato
informazioni molto chiare in relazione ad argomenti che lui sapeva essere
per noi italiani argomenti un po’ spinosi. La loro scuola certo è
piccola se paragonata alla nostra: solo 160 allievi. Quanti allievi in
classe, durante il corso, dunque? Possono esserci anche pochi allievi, ma
la media è 20, raramente 30 ( 40 è eccezionale). La scuola offre 190
giorni di lezioni all’anno. Non esistono casi di sopraffazione, violenza,
arroganza nei confronti di compagni di classe o dei professori.
Problemi di tale genere – sostiene il preside - se mai esistono, vengono
affrontati alla comprehensive school, la scuola di base (basic
education), di 9 anni, che va dai 7 ai 16 anni (Alla mia domanda “come?”
non ha però risposto, andando direttamente ad un’altra questione). “Semmai
abbiamo il problema di ragazzi troppo quieti, poco vivaci da ogni punto di
vista”. Altro punto: spesso, quasi sempre, tra i ragazzi e gli
insegnanti si usa il Tu piuttosto che il Lei. Questo
perché avrebbe facilitato la relazione - il preside scivola via anche su
questa questione, su cui mi sarei sentita di esprimere riserve. Altro
punto: rapporti coi genitori. La riunione con loro è prevista all’inizio
dell’anno, per presentare il programma e il resto. Si effettuano poi altri
incontri solo quando si deve informare la famiglia che è bene “riorientare”
il ragazzo, perché quel tipo di scuola sembra non essere adeguata. E
nulla altro: nulla dei consigli, nulla dei rappresentanti dei genitori a
qualsiasi livello. E nulla nemmeno della rappresentanza istituzionalizzata
dei ragazzi. E nulla da segnalare nemmeno riguardo quella zona rossa
rappresentata dalla relazioni genitori- insegnanti. Non accade quasi mai
che i genitori critichino l’operato degli insegnanti. Può succedere per
i supplenti, ma non è comune.
Ci sono i
teacher-tutors : uno ogni 25 studenti, figure che hanno il compito di
colloquiare con i ragazzi, per monitorare eventuali disfunzioni o casi di
malessere esistenziale; i tempi sono: una volta la settimana, il lunedì per
circa un quarto d’ora. Ce ne sono 6 in tutta la scuola. Esiste poi nel
plesso l’insegnante che, oltre al suo ruolo didattico, svolge anche la
funzione di psicologa e fa consulenze per i casi di fragilità.
Rispetto al tema
“progetti”, il favore del preside è tiepido: mi dice : “Non attuiamo
molti progetti fuori dal curricolo, perché stancano e stressano".
Le relazioni che
fecero i miei allievi al ritorno da Eura hanno costeggiato questa
sostanziale domanda di fondo: come si spiega che questi finlandesi siano
al vertice delle classifiche OCSE-PISA? La questione rimaneva un punto
interrogativo. Nelle loro frequentazioni alle lezioni, e si parla di livelli
corrispondenti di competenze, è emersa un’impressione di sostanziale
omogeneità, anzi, addirittura in alcuni casi, di superiorità delle
competenze italiane. E concordavano con noi insegnanti nel dire che il tipo
di didattica che noi sperimentiamo dà più spazio alla partecipazione attiva
dei ragazzi, mentre là le lezioni sono per lo più di tipo frontale. Ma non
si vede come questa sia una peculiarità che penalizzerebbe poi nei test.
Alcuni hanno scritto che durante le lezioni qualcuno giocava per i fatti
suoi coi cellulari o computers senza la minima reazione da parte
degli insegnanti. Infatti la parola d’ordine è: non disturbare gli altri.
I miei studenti, poi,
che hanno instaurato in taluni casi veramente ottimi rapporti di amicizia
con i ragazzi e le ragazze finlandesi, dicono di sapere che le ore dedicate
allo studio domestico non sono molte. E rilevano un individualismo e una
certa riservatezza più accentuati che fra gli italiani. Il fatto che la
scuola sia strutturata in una sostanziale libertà di scelta in fatto di
materie è visto differentemente, ma quello che è indubitabile è che
l’assenza delle classi ha una conseguenza anche spiacevole: nega o
sfavorisce l’instaurarsi di legami fra giovani, impedisce una realtà (la
classe) così significativa per il senso “d’appartenenza” e per consentire
quella complicità così feconda per alleggerire un po’ le 5- 6 ore di una
giornata scolastica.
Le lezioni della
mattina durano dalle 8 alle 11,30, con intervalli tra un’ora e l’altra di 10
minuti. Al pomeriggio le lezioni vanno dalle 12, 10 alle 16 con intervalli
tra un’ora e l’altra di 15 minuti.
Quindi alle ore 11,30 pausa pranzo: tutti, insegnanti, presidi, e ragazzi si
recano nella mensa. Questa ospita non solo i ragazzi dell’ upper
secondary, ma anche quelli della comprehensive school, che in
questo complesso comprende solo più grandi (dai 12 anni). Questo momento
mi è apparso davvero rivelativo di una società assai diversa. I
ragazzi, anche quelli più giovani, si disponevano in fila tranquilli,
calmi; non certo impettiti come damerini, ma con una certa compostezza. Una
volta dispostisi nei tavoli e per tutto il tempo del pranzo, in quell’enorme
salone - dove noi insegnanti stavamo usufruendo degli stessi cibi e bevande
a pochi metri di distanza da loro- si poteva percepire come l’effetto sonoro
complessivo causato da quella massa di persone non fosse affatto stordente.
Non credo che ci si sarebbe potuti immaginare altrettanto in una realtà
italiana. Non c’erano ragazzi esagitati, non c’erano grida convulse, non
c’era atmosfera “da stadio”. Erano degli adolescenti adulti. Certo ho
pensato a lungo a questo squarcio di vita quando il nostro collega Petri,
preoccupato di restituire una immagine più realistica della Finlandia, mi
diceva: “Non dimenticare che abbiamo un alta percentuale di casi di suicidi,
di depressione, di gesti criminali causati da “follia” improvvisa. E che
anche qui , come malattie professionali, le patologie mentali sono le più
diffuse tra gli insegnanti, “perché dopo il lavoro non ti puoi togliere il
cervello”;…anche qui il mestiere d’insegnante mina l’equilibrio psichico, e
molti si lamentano”.
Ahimè, emerge così un
sommerso poco frequentato dalle statistiche.
Vedo il piazzale
antistante inondato dal sole e popolate da decine e decine di bici: sono
tutte senza sicura, senza lucchetti… nessun furto si registra mai, mi
dicono, da queste parti. I bambini piccoli vanno a scuola in bicicletta
con le chiavi di casa appese al collo. Nessuno gliele ruba, nessun furto
nelle abitazioni e nessun caso di violenza sui minori, sembra. (Anche per
quanto riguarda la prostituzione mi dicono che la maggioranza degli “utenti”
si reca a Tallinn in Estonia). La curiosità per questi aspetti sociali, per
intuire il loro legame con gli esiti nel successo scolastico si fa in me
più intensa. Per esempio: non sembra irrilevante che bambini e ragazzi
possano crescere in un ambiente dove la stragrande maggioranza osserva
“senza insofferenza” le norme di circolazione stradale. Non è un dato
riducibile al solo dato tecnico, ma concerne lo stile di vita che, mi
appare, “non ancora” inquinato dalle lacerazioni del postmoderno.
Infatti, in Finlandia si vive un ambiente a misura d’uomo: sia
negli spazi urbani sia in quelli extraurbani, i mezzi in circolazione si
muovono con un senso del limite che pare essere il segno palpabile di
un’atmosfera non dimentica della relazione con l’altro, e per questo
improntata alla cautela, se non della cura e attenzione per la comunità che
si è avuta in custodia. Non dico che tutti i finlandesi siano cittadini
perfetti, ma il mood che si respira è questo. Il contesto è tale da
consentire ai genitori di fidarsi a lasciare uscire da soli i loro bambini:
i ragazzi possono così autonomamente fare esperienze che incrementano e
consolidano il senso di sé.
Alla cena a casa dei
nostri ospiti - lei è insegnante, lui è dirigente d’azienda, persone
giovani, molto vitali e con forte spirito critico- la conversazione si
orienta sul tema del servizio militare, che in Finlandia è obbligatorio. Lui
sostiene che una parte sempre più cospicua di ragazzi trova espedienti vari
per evitarlo. E scuote la testa. Lamenta una situazione di crescente
individualismo e disimpegno verso la società e verso la responsabilità
pubblica. Ciò porterà ad un declino. Anche lei lo conferma, e aggiunge: è
più la famiglia che la scuola ad aver creato questo disaffezione per la
comunità. Altri segni vengono interpretati dai miei giovani ospiti nel
senso di una forma di strisciante decadenza dei “buoni costumi di una
volta”.
Alla visita al
castello di Turku, antica capitale, incrociamo una classe di bambini delle
elementari: sono quieti, educati. Non c’è vociare nemmeno nei vasti atrii.
Ho avvertito il
lettore che non avevo dati oggettivi da snocciolare di questo viaggio in
Finlandia. Solo impressioni. La dominante è che contino enormemente
di più, al fine di una buona scuola, il sistema di valori simbolici
condivisi e il contesto antropologico complessivo piuttosto che gli
interventi settoriali cui siamo abituati quando parliamo di riforme in campo
scolastico. So che ciò può risultare scoraggiante, ma almeno evita che
si alimenti l’illusione che possano contare soprattutto formule, strategie
innovative magari prese a prestito da qualche realtà. E concludiamo
invitando i supporters delle soluzioni tecnicistiche, a una modesta
riflessione suggerita da un grande scrittore: “I formulari anagrafici,
del resto, hanno una strana peculiarità: spiegano ogni mistero della vita
umana, le ragioni dei successi e dei fiaschi di ciascuno, ma basta un
attimo, un rivolgimento di circostanze perché, invece di spiegarle,
nascondano le cose, soprattutto le più importanti”. V.Grossman, Vita e
destino.
(16 ottobre 2009)