LA RISCOPERTA DELL’AUTORITÀ
Testi per genitori e insegnanti sulla crisi dei ruoli educativi
a cura di Giorgio Ragazzini
Quinta puntata
9. ADOLESCENTI: IL RUOLO NUOVO DEI GENITORI
di Alessandro Costantini***
Per chi ha vissuto in un mondo in cui le scelte nel campo dei valori erano più chiare, i riferimenti ideali o ideologici più rigidi, ma più espliciti, l'educazione verso i figli era in qualche modo facilitata. Si trasmettevano e si diffondevano quei valori e quei modelli sociali, a volte anche in contrasto tra loro, che erano espressione e tradizione di quei periodi. Gli adolescenti di allora passavano nel giro di pochissimo tempo dall'infanzia all'età adulta, copiandone stereotipi e modelli.
La cultura patriarcale contadina ad esempio, ha influito su molte generazioni, con una netta separazione dei ruoli familiari, lavorativi e sessuali e con un'educazione di tipo autoritario.
Il passaggio dalla famiglia tradizionale patriarcale alla famiglia nucleare che lavora nelle città, composta da padre, madre e figli, ha sviluppato forti cambiamenti educativi. I genitori si sono avvicinati di più ai bisogni dei figli, legandosi però alla costruzione di un sistema di valori omogenei che ha prodotto conformismo sociale e diffuso un certo moralismo educativo.
Negli anni 60-70, con i movimenti studenteschi, i giovani hanno acquisito un loro protagonismo: nei rapporti sociali, nelle relazioni tra i sessi, nella politica e nel mondo del lavoro, proponendo idealmente un mondo diverso, più aperto e tollerante, cosmopolita e fantasioso, ma mettendosi in conflitto con la generazione dei loro padri.
I giovani di oggi sono figli di coloro che hanno vissuto, attivamente o passivamente, quel periodo e quelli successivi legati alle tensioni della fine degli anni '70 (il terrorismo, la crisi economica), oppure sono figli di coloro che sono cresciuti subito dopo, nel cosiddetto riflusso degli anni '80, il ritorno al privato, quell'uscire dall'impegno sociale che ha sviluppato e caratterizzato un forte ritorno all'individualismo, al consumismo e al reperimento di beni voluttuari.
E' chiaro che in tutti questi periodi l'azione educativa si è modificata ed ha risentito del clima culturale e sociale che li ha contraddistinti e delle aspettative individuali che sono state influenzate da questi processi. I mutamenti man mano che si sono prodotti, hanno creato nuovi valori e di conseguenza nuovi riferimenti educativi.
Nei confronti dei giovani è dunque inattuale e non corrispondente ai loro bisogni, trasmettere in maniera meccanica modelli e comportamenti educativi che possono essere superati, o legati a momenti sociali diversi, perché alcuni di questi modelli non fanno più parte della loro esperienza quotidiana e sono destinati a scomparire.
I fenomeni con il quale l'agire sociale si deve confrontare, impongono anche ai modelli educativi di essere aggiornati.Uno di questi modelli è il permissivismo educativo. Alcune tendenze della pedagogia e della psicologia evolutiva, stanno da tempo mettendo in discussione, per quanto riguarda l'educazione dei figli ed il rapporto con i giovani, gli eccessi del pensiero ultrapermissivo del dr. Spock che si è sviluppato fino agli anni '70, e su cui si sono formati molti adulti e genitori di oggi. Il dott. Benjamin Spock, morto a 94 anni nel 1998, è considerato uno dei pediatri più seguiti negli anni '50, '60, '70. Il suo libro Baby and Child care (Il bambino, come si cura e come si alleva), è stato uno dei libri più venduti nel mondo occidentale con 40 milioni di copie. Questo testo egli stesso lo ha riveduto e corretto più volte negli anni, rendendosi conto che alcune teorie potevano essere interpretate in maniera eccessivamente permissiva. Negli Usa si chiamarono "generazione Spock", i figli del boom demografico che negli anni '60'70 diede il via alla contestazione giovanile.
Se l'ideale di un'educazione che mette in primo piano i bisogni del bambino e del giovane, come è stato teorizzato da Spock, è stata una giusta risposta alla rigidità, al conformismo e all'autoritarismo che in altri tempi regolava i rapporti educativi, l'esasperazione e la diffusione di quella visione ha oggi capovolto la situazione.
I processi di crescita di molti giovani sono condizionati da una eccessiva tolleranza educativa da parte dei genitori. Nella famiglie di oggi c'è la tendenza a lasciar correre su molti dei comportamenti trasgressivi dei figli, si fa finta di nulla o si preferisce un atteggiamento di pseudo-comprensione o di blando richiamo di solito non ascoltato.
Queste modalità educative, sono in parte collegate a scelte personali che vogliono venire incontro alla sensibilità del bambino (.."non serve sgridare.." "..ma sì, lascia che faccia..") e non vogliono creare incomprensioni e scatenare litigi. Oppure sono collegate a un atteggiamento morbido che si vuole assumere, quasi per farsi perdonare per lo stato di necessità di alcuni genitori che sono spesso fuori casa e non sono capaci di seguire i figli come vorrebbero.
Il risultato è che i bambini fin da piccoli, sono abituati a fare quello che vogliono, a gestire da soli tv e computer, a pretendere l'ultimo oggetto o gioco proposto dalla pubblicità, ad imporsi su genitori troppo indaffarati e poco autorevoli. I genitori, per un sotteso senso di colpa, legato alla loro assenza o al loro disimpegno, acconsentono a quasi tutte le loro richieste, e tollerano molti dei loro comportamenti anche i più trasgressivi (tutto è accettabile pur di non litigare). Si viene così a costruire un clima a-conflittuale dove la cosa più importante per il genitore, è di offrirsi come punto di riferimento economico-affettivo, capace di dimostrare la propria attenzione ai bisogni del bambino dandogli tutti i soldi per soddisfare ogni sua esigenza, dimostrando così che gli si vuole bene e che si vuole creare un clima apparentemente tranquillo, senza conflitti.
Tutto questo senza porsi dubbi sulla propria condotta, senza alcuna riflessione per chiedersi se il proprio atteggiamento ha avuto una valenza educativa, senza chiedersi se sarebbe stato meglio un confronto critico, un contrasto, un richiamo alle regole, una linea di condotta più determinata.
Il timore o l'indifferenza dell'adulto verso situazioni che producono conflitto, verso i comportamenti trasgressivi, in particolare sulle regole da far rispettare, porta alla rinuncia ad un compito educativo fondamentale: far confrontare i figli con i divieti, i limiti, le regole, metterli nelle condizioni di imparare a tollerare le frustrazioni, di rinunciare alle proprie prese di posizione, di posticipare in un futuro non definibile, un desiderio, una richiesta.
Un mondo adulto che non riesce a delimitare i confini tra quello che si può fare e quello che non si può, incapace di una azione educativa più ferma e responsabile, facilita un clima relazionale ovattato e privo di contrasti, impedisce il naturale evolversi dei processi evolutivi, non favorisce una relazione aperta al vero dialogo, alla responsabilizzazione, al futuro distacco dalla famiglia.
Quanti trentenni, pur indipendenti economicamente, rimangono in famiglia pur di non rinunciare ad una situazione molto favorevole, al piatto caldo che la mamma quotidianamente offre loro. In Italia più del 90% dei giovani di 22-23 anni, vive ancora nella famiglia di origine, a 30 anni il 55% dei maschi e il 43% delle femmine vive ancora in famiglia. Molti hanno cercato di spiegare questi fenomeni con fatti oggettivi, come la difficoltà di trovare lavoro, ma molti dei giovani trentenni hanno già un lavoro da tanti anni. Altri li spiegano con i costi alti degli affitti delle case, ma in Danimarca, ad esempio, dove gli affitti sono più alti che da noi a parità di potere d'acquisto, il 70% dei giovani dai 18 ai 19 anni vive già fuori casa, da soli od in gruppi di amici.(1)
In queste famiglie gli adulti rinunciano ai loro compiti evolutivi, a confrontarsi con quei modelli che richiedono una maggiore attenzione al distacco e all'autonomia dei figli, un maggior impegno al confronto critico, all'esternazione del proprio modo di vedere. E' la rinuncia ad assumere posizioni più chiare riguardo alle regole ed ai ruoli, la rinuncia a favorire nei giovani un più equilibrato rapporto tra dovere e piacere, tra impegno e disimpegno, tra ciò che si vorrebbe e ciò che si può ottenere nella vita. Evidentemente la cultura educativa italiana, centrata e dominata dal codice materno, più adatta a smussare i conflitti e ad avere un forte senso protettivo verso i figli, ha trovato nella diffusione del pensiero permissivo, una propria legittimazione teorica.
Una ricerca dell'Istituto europeo di psicanalisi (La Repubblica, 24-06-01), sul rapporto tra educazione materna e il successo degli uomini in vari Paesi europei, mette in evidenza come l'educazione matriarcale latina, con la sua forte carica di apprensione e invasività, condizioni a tal punto i figli da compromettere per molti di essi l'affermazione sociale. I figli italiani dipendono dai giudizi e condizionamenti delle madri fino anche a 40 anni. Mentre i tedeschi si emancipano in media a 24, gli inglesi a 22, i danesi a 23, i finlandesi a 24. L'influenza della madre rende l'uomo italiano più insicuro nel 45% dei casi, emotivamente più vulnerabile nel 42%, più incapace di sostenere le intemperanze e la competitività della carriera nel 56%, rinunciatario nel 58% dei casi.
Se la figura materna nella famiglia è così forte nel condizionare lo sviluppo dei figli, se ne desume che la figura paterna, alla quale è demandato il compito di favorire il confronto con il mondo esterno, con le regole e le norme sociali, con la competizione sul lavoro, non è capace di affermarsi sufficientemente per riequilibrare lo strapotere affettivo matriarcale. Probabilmente anche la figura paterna è influenzata da questo codice culturale, e ne esce fortemente indebolita, motivando molti padri ad atteggiamenti di rinuncia educativa, di marginalità affettiva, e di inadempienza nel preparare i figli alle responsabilità, all'assunzione dei rischi e delle conseguenze che comporta ogni scelta individuale presa in totale autonomia.(2)
Le conseguenze sono figli egocentrici, che non hanno il senso del limite, che sono viziati, non abituati a cimentarsi con i contrasti posti dalla realtà, e in cui nascono spesso insicurezze e disagi quando sono costretti a confrontarsi con una realtà conflittuale e piena di regole, o quando si confrontano con il mondo del lavoro dove il rapporto con le norme di comportamento è necessariamente molto più forte.
Abituati in famiglia ad essere al centro dell'attenzione, dove quelle regole le hanno ignorate, contrastate o fatte modificare, questi giovani si comportano nella società e nel tempo libero con la stessa modalità, molti di loro non si preoccupano delle norme, non ci pensano, non pensano alle conseguenze dei loro atti trasgressivi, né quando a farne le spese sono altri né quando possono pagare in prima persona.
I giovani in Italia stanno bene a casa e non hanno intenzione di muoversi: hanno la libertà di entrare ed uscire di casa a proprio piacimento, come fossero in un albergo (direbbero molti genitori), ma anche quella di, come direbbero i genitori più democratici e permissivi, contribuire o non contribuire ai lavori domestici e loro ovviamente, a parte qualche piccola finta per dimostrare che un certo impegno lo mettono, si guardano bene dal darsi da fare. Il Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, pubblicato a fine 2000 rileva che tra i giovani dai 15 ai 34 anni che vivono a casa con la famiglia, il 70 % non collabora per la spesa, il 77% non cucina, il 72% non fa pulizie, più dell'80 % non sbriga pratiche come pagamenti di bollette ecc. Solo il 27% mette a posto la propria camera, il restante 73% o non la sistema o lascia che qualcuno provveda al suo posto.(3)
(1) Intervento al Corso Regione Emilia Romagna di formazione per operatori del Sistema dei Servizi nell'Area della Prevenzione, del prof. Carlo Buzzi, docente dell'Università di Trento e Direttore di Ricerca dell'Istituto IARD. Atti, Regione Emilia Romagna, AUSL Rimini, Rimini Gen-Giu 98
(2) A. Costantini, Tra regole e carezze, comunicare con gli adolescenti di oggi, Carocci editore, Roma 2002
(3) Pubblicato sul settimanale “Il Venerdì” del quotidiano La Repubblica, del 09 Marzo 2001
*** Pedagogista, psicologo psicoterapeuta, lavora presso il Sert dell’Azienda Usl di Ferrara e svolge la sua attività nel centro pubblico Promeco, che si occupa di prevenzione del disagio giovanile nelle scuole. E’ anche consulente per la scuola e formatore del Provveditorato agli Studi di Ferrara di corsi sulla comunicazione per personale docente e non docente.
L’articolo qui riprodotto è stato prelevato dal sito www.psiconline.it.