PENSIONI: UNA CHIAVE DI LETTURA

 

Sandro Del Giudice

 

 

Dialogo tra pensionati.

-         Quant’è la tua

nuova pensione?

-         Non so. Quel che

conta è la pensione

 che ti senti dentro,

come per l’età.

(da una vignetta di Altan, 1996)

   

E’ quasi superfluo precisare che le note seguenti hanno finalità e taglio volutamente divulgativo: correndo il rischio, data la oggettiva complessità della materia previdenziale, di scontentare per motivi diversi sia addetti ai lavori che profani.

 

PREMESSE GENERALI  E  GLOSSARIO MINIMO

 

Sistema retributivo

Modalità di calcolo  dell’importo dell’assegno pensionistico che fa riferimento, come base di calcolo, alla retribuzione percepita dal dipendente negli ultimi anni precedenti il pensionamento. L’arco di tempo considerato è attualmente  superiore (e tendenzialmente penalizzante per effetto dell’inflazione) per i lavoratori privati rispetto a quelli pubblici: tale divario, peraltro, viene sostanzialmente compensato dalla disposizione - applicata solo ai dipendenti pubblici – secondo la quale le voci retributive accessorie  loro corrisposte non sono pensionabili.

Sistema contributivo

 

 

 

[a legislazione vigente]

Nuova modalità di calcolo  dell’importo dell’assegno pensionistico - introdotta dalla riforma Dini - che fa invece riferimento, come base di calcolo, al complesso dei contributi versati durante tutta la vita lavorativa di ciascun dipendente (pubblico o privato), opportunamente rivalutati e moltiplicati per un coefficiente variabile da un minimo ad un massimo, in relazione alla libera scelta da parte dell’interessato di andare in pensione ad un’età variabile tra i 57 e i 65 anni. A parità di speranza media di vita, per effetto di scelte diverse - connesse ad altrettanti personali progetti di vita -  il pensionato ‘più precoce’ percepirà dunque un numero, per così dire, di ‘rate’ maggiore ma di importo minore; viceversa per chi preferisca rimanere attivo più a lungo.

Retributivo

vs

contributivo:

 

diversi riflessi

sui bilanci

 

degli Enti previdenziali

 

e dello Stato

 

nonché

 

 

sui bilanci familiari

 

dei pensionati

Con il sistema contributivo il pensionato, grosso modo,  riceve mediamente  quanto ha versato negli anni sotto forma di contributi.

Pertanto

-         non si intacca l’equilibrio tra entrate e uscite degli Enti previdenziali

-         non si giustifica un divieto di cumulo tra pensione e reddito da eventuale altro lavoro; divieto di cui infatti, a regime, si prevede l’abolizione.

Con il sistema retributivo il pensionato riceve tendenzialmente  più di quanto ha versato negli anni sotto forma di contributi. La differenza è coperta dai contributi attualmente versati dai lavoratori attivi, sempre che ciò sia possibile: decisiva al riguardo è la struttura della popolazione. Nessun problema con una popolazione mediamente giovane; difficile sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico – al contrario e in prospettiva – per effetto del progressivo invecchiamento della popolazione, comune ormai a molte società avanzate.

Di qui le politiche rivolte a innalzare l’età minima per l’accesso alla pensione da parte dei lavoratori che vi aspirino, divenuti relativamente più numerosi e più longevi.

In ultima istanza, in assenza di altri correttivi, i disavanzi degli Enti previdenziali vengono ripianati dallo Stato: gravano cioè sul suo bilancio o, come si dice, sulla fiscalità generale. Ciò spiega, almeno in parte, il collegamento tra le nuove proposte di riforma pensionistica e la sessione parlamentare autunnale appena avviata, di approvazione della Legge Finanziaria e del Bilancio preventivo dello Stato per il 2004.

Si stima che, in caso di eventuale passaggio (sia per libera scelta che per ipotetica nuova disposizione di legge)  dal sistema retributivo a quello contributivo da parte di un lavoratore che - a legislazione vigente - abbia oggi diritto al primo trattamento, l’importo della sua pensione subirebbe una decurtazione oscillante all’incirca tra il 30% e il 10%, a seconda dell’età posseduta al momento del pensionamento, variabile – come detto – tra i 57 e i 65 anni.

Vecchiaia

Si riferisce, come nel linguaggio comune, all’età anagrafica del lavoratore pensionando. Come requisito di accesso al pensionamento coincide, di norma,  con i 60 anni di età per le donne e i 65 per gli uomini.

Anzianità

Si riferisce alla contribuzione totale riconosciuta  al lavoratore pensionando -  anche relativamente ‘giovane’ se regolarmente occupato fin dall’adolescenza - cioè all’insieme dei contributi versati nel corso dell’intera vita lavorativa.

 

 

LE RIFORME DEGLI ANNI NOVANTA

 

            Nel corso dell’ultimo decennio il Parlamento è intervenuto ripetutamente nella materia pensionistica, emanando - su iniziativa dei vari Governi in carica - altrettanti importanti provvedimenti legislativi,  che si è soliti ricordare nell’ordine come le riforme  Amato, Dini e Prodi.

I nodi problematici – tuttora al centro dell’attenzione del legislatore – affrontati per salvaguardare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico erano costantemente e  principalmente due:

-         i requisiti pensionistici, cioè le condizioni alle quali il lavoratore matura il diritto di accesso alla pensione;

-         il trattamento pensionistico, cioè le norme che definiscono le modalità di calcolo e quindi la misura dell’assegno pensionistico.

E’ appena il caso di ricordare che sotto entrambi i profili si è intervenuti in senso restrittivo, con misure tendenti sia ad elevare l’età media di accesso al pensionamento che a ridurre l’ammontare della pensione.

 

Allo scopo di mitigare gli effetti di tali innovazioni, da un lato è stata prospettata e incoraggiata l’introduzione di forme di previdenza c.d. integrativa, o complementare, dall’altro la riforma è stata articolata prevedendo modalità applicative graduali e diversificate a seconda dell’anzianità contributiva già maturata dai dipendenti al momento della sua entrata in vigore. Vediamo come, riferendoci alla normativa vigente introdotta dalla più incisiva delle Leggi citate, cioè dalla c.d. riforma Dini varata nell’estate del 1995 con effetto dall’1 gennaio 1996.

Preliminare e fondamentale per individuare la normativa loro applicabile – quanto a requisiti e trattamento pensionistico - è la tripartizione dei lavoratori in base all’anzianità contributiva di ciascuno al 31 dicembre 1995:

  1. lavoratori con almeno 18 anni di contributi
  2. lavoratori con meno di 18 anni di contributi
  3. lavoratori privi di anzianità contributiva, cioè neo assunti a partire dall’1 gennaio 1996.

 

La prima rilevante conseguenza dell’appartenenza alle diverse categorie riguarda il trattamento pensionistico: agli ultimi si applica il nuovo sistema contributivo, ai primi si continua ad applicare il più vantaggioso sistema retributivo, ai secondi un sistema misto, in proporzione agli anni di lavoro precedenti o successivi al fatidico spartiacque del 31.12.1995.

 

Relativamente ai requisiti pensionistici, costituiti da un mix variabile di età pensionabile ed anzianità contributiva, la normativa prevede una casistica alquanto articolata. Per semplificare al massimo conviene tralasciare in questa sede la seconda categoria di lavoratori, ai quali anche a questo proposito si applicano soluzioni miste e per ciò stesso più complesse.

Per la  terza categoria (e così nel lungo termine per tutti) salvo qualche eccezione, pure trascurabile, è prevista la sola pensione di vecchiaia cui oggi si può accedere a partire dai 57 anni (come indicato nella premessa a pag. 1) purché provvisti di almeno 5 anni di anzianità contributiva dai quali si ottenga una pensione, ovviamente molto bassa, ma superiore del 20% all’importo corrente dell’assegno sociale; il che esclude la possibilità di andare precocemente in pensione pensando di poter poi fruire di questa forma di sussidio assistenziale minimo.

Alla prima categoria di lavoratori la riforma offre opportunamente diverse opzioni:

-         pensione di vecchiaia, con almeno 20 anni di contributi  a 60 anni di età per le donne e a 65 per gli uomini;

-         pensione di anzianità: con 40 anni di contributi a qualsiasi età;

con 35 anni di contributi a 57 anni di età.

 

LA RIFORMA IN CANTIERE

 

            Per inquadrare sommariamente le recenti ipotesi di modifica legislativa, oggi all’attenzione del Paese, bisogna almeno ricordare che esse riguardano un disegno di Legge delega di riforma del sistema previdenziale approvato dall’attuale Governo verso la fine del 2001 ed allora sottoposto all’esame del Parlamento come collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2002.

A fine luglio di quest’anno il Governo ha annunciato di voler proporre nuovi emendamenti al provvedimento, finora approvato in prima lettura dalla sola Camera dei Deputati,  in occasione della sua prossima discussione in Senato. Tra la fine di settembre e i primi giorni di ottobre è stato diffuso un testo non ufficiale dei nuovi emendamenti, che ha innescato vivaci confronti nel Paese fino a indurre le varie Organizzazioni sindacali a proclamare azioni di sciopero generale per il giorno 24 ottobre.

Il Governo ha fatto sapere che solo successivamente a tale data presenterà al Senato il testo ufficiale/definitivo delle sue nuove proposte, verosimilmente influenzate anche dalla riuscita o meno dello sciopero.

            Al momento possiamo perciò fare riferimento soltanto - e con le necessarie cautele - al testo approvato dalla Camera  ed al contenuto ufficioso dei probabili emendamenti.

Quanto al primo, vediamo alcuni obiettivi e criteri direttivi del ddl delega:

  1. introduzione di forme di incentivazione per i lavoratori disposti a proseguire l’attività lavorativa dopo aver maturato i requisiti pensionistici;
  2. liberalizzazione dell’età pensionabile;
  3. eliminazione progressiva del divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro;
  4. sostegno allo sviluppo di forme pensionistiche complementari;
  5. conferimento (obbligatorio) alle forme pensionistiche complementari del trattamento di fine rapporto maturando;
  6. riduzione degli oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro, fino a un massimo del 5%, in caso di nuove assunzioni a tempo indeterminato;
  7. completamento del processo di separazione tra previdenza e assistenza.

Relativamente al punto 2 sembra di dover concludere, anche alla luce degli emendamenti annunciati, che la liberalizzazione vada intesa come facoltà di proseguire l’attività lavorativa oltre l’età pensionabile.

 

Ecco infine alcune modifiche contenute nelle ultime proposte di emendamento:

-         per i lavoratori assunti dopo l’1 gennaio 1996 si conferma applicabile esclusivamente il sistema contributivo, ma l’età minima di pensionamento di vecchiaia è elevata a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini: viene cioè quasi cancellata la flessibilità prevista dalla precedente riforma;

-         per gli altri lavoratori resta immutata la disciplina relativa alla pensione di vecchiaia e  alla pensione di anzianità con 40 anni di contributi a qualsiasi età.

L’accesso alla pensione di anzianità con 35 anni di contributi a 57 anni di età viene mantenuto ‘in via sperimentale’, subordinandolo però alla gravosa - e quindi improbabile - contestuale opzione da parte del lavoratore per il passaggio al sistema contributivo, con le conseguenti ricordate riduzioni dell’ammontare della pensione.

 

20 ottobre 2003

 

Dialogo tra nipotina e nonno  pensionato.

-   Siamo sicuri che

il nuovo sistema avvantaggia

noi generazioni future?

-   Giuro che

se non funziona

mi rivolterò nella tomba.

(da un’altra  vignetta di Altan, 1996)