PREMESSE METODOLOGICHE
Confesso di incontrare non poche difficoltà nel partecipare a convegni ed
incontri di studio della scuola
Oltre alla scarsità del
tempo – che a me, come a molti, manca - altre ragioni le intuirete dalle
seguenti premesse :
1.
non appartengo né alla classe
amministrativa, né alla classe politico-professionale : nel vostro mondo,
invece, spesso si desiderano confronti con chi è direttamente deputato o
preposto ad effettuare le scelte
2.
credo in analisi
tecnico-normative che non siano strettamente autoreferenziali : sotto
questo angolo di visuale intravedo, nei documenti circolanti e nei dibattiti,
varie difficoltà nel fare riferimento a nozioni basilari di diritto
costituzionale o di diritto pubblico o ad altre regole generali, essenziali
per i temi da affrontare
3.
mi trovo talvolta a segnalare
inconvenienti o difettosità presenti nella normativa : siffatte
considerazioni vengono frequentemente confuse con giudizi di valore espressi
direttamente sulle scelte e sui fenomeni riformatori attivati (quindi
giudizi “politici” e “soggettivi”)
4.
non fornisco soluzioni
operative o applicative : anche se ho convincimenti ed idee personali in
proposito, non è il mio compito, non faccio parte degli apparati Ministeriali,
dei sindacati o delle associazioni professionali, non sono un “consulente” e
posso solo proporre chiavi di lettura, strumenti concettuali per
l’interpretazione delle norme, dei quali ovviamente resta assolutamente libera
la condivisione. Del resto, il mio attuale mestiere doverosamente mi spinge
ad evitare che si possa sospettare una qualsiasi ingerenza nelle
determinazioni amministrative (troppo spesso si parla della cd. “supplenza
dei magistrati”)
5.
affronto questioni di non
facile ascolto, perché mi occupo di una tematica - la “norma”, le
regolazioni giuridiche - frequentemente percepita come un “problema”,
talvolta anche fastidioso e di impaccio.
Sperando che teniate conto delle mie difficoltà
- nella prima parte dell’incontro
affronterò, dal punto di vista strettamente giuridico, i temi proposti
-
nella seconda
parte, risponderò a richieste di precisazioni ed altre domande
Sono stato
invitato a ragionare con voi sui seguenti temi :
-
costituzione vigente (già
riformata)
-
disegno di legge n 1187
(devoluzione)
-
regioni e scuola
-
quale sussidiarietà per la
scuola ?
-
opzioni in campo: docenti
statali, regionali o d’istituto?
FATTORI DA ASSUMERE IN CONSIDERAZIONE
Nel ragionamento da svolgere
insieme entra, prima di tutto, in gioco un fattore che potremmo definire
lessicale o semantico.
E’ spesso riscontrabile,
sul piano della comunicazione :
-
l’uso di
vocaboli slogan (pensate alla “partecipazione” degli anni
70)
-
l’uso di vocaboli
-contenitori. Pensate alle “stop-word” informatiche, cioè a quelle
parole che, in un motore di ricerca informatica ben congegnato, vengono
inibite perché troppo generiche, poco significanti, capaci di provocare il
cosiddetto “rumore”, cioè di dare come risposta alla ricerca una serie
interminabile di documenti, sol perché questi contengono la “parola” usata.
Se, ad esempio, ricerco la normativa nella quale si faccia riferimento alla
centralità che assume l’alunno nel sistema scolastico ed uso il vocabolo
“alunno”, riceverò in risposta una miriade di testi normativi (leggi, decreti,
regolamenti, ordinanze, circolari, note ministeriali) nelle quali compare il
vocabolo, ma nulla di significante si dice sulla centralità della figura.
Ebbene vocaboli di tal
fatta, ai fini del nostro ragionamento, sono i seguenti :
autonomia
federalismo
sussidiarietà
devoluzione
E’ sufficiente osservare il
primo.
Il vocabolo “autonomia”,
privo di aggettivi ed altre specificazioni, può significare un po’ tutto (o
nulla).
Se si aggiunge un aggettivo
(“contabile” o “finanziaria” o “amministrativa” o “gestionale” o
“didattica”, ecc.), la locuzione inizia ad assumere significato più
circoscritto e meglio comprensibile, anche se ancora insufficiente a
comprendere, ad esempio, quali limiti incontri l’esercizio dell’autonomia.
Se si procede oltre e si
riempie il vocabolo-contenitore con specifiche e dettagliate “funzioni” o
“facoltà” autonomistiche, si comprende, per ciascuna di esse, di quale
autonomia effettivamente si sta ragionando.
Diventa a questo punto
evidente che se si intende esaminare ciascuno dei quattro temi proposti –
autonomia, federalismo, sussidiarietà e devoluzione – dal punto di vista
tecnico giuridico sarà indispensabile analizzare quale significato il
singolo vocabolo abbia assunto nel diritto positivo
vigente.
I giuristi ben conoscono la
necessità (ed anche la difficoltà) di cogliere la cosiddetta “ratio” di una
norma o disposizione, cioè il significato che si è obiettivizzato e
cristallizzato nella stessa.
E’ evidente, infatti, che
quale sia stata la cosiddetta “mens legis”, cioè l’intento soggettivo di chi
materialmente ha formulato il testo normativo ed usato alcuni vocaboli, quel
testo assume una sua oggettività ordinamentale, si inserisce sistematicamente
nell’ordinamento giuridico vigente, diventa suscettibile di interpretazione
(ad esempio ad opera della Corte costituzionale o di singoli giudici in fase
giudiziale), secondo notorie regole di interpretazione.
Ecco, allora, che le norme
cosiddette “elastiche”o polisenso o polisemiche lasciano spazio per una
variabilità interpretativa, cioè per la possibilità che l’interprete,
nel ricavare dal testo scritto la norma o “regola astratta” da applicare,
entro certi limiti possa cogliere significati concettuali diversi da quelli
desumibili da altro interprete o, addirittura, difformi rispetto a quelli
originariamente voluti dallo stesso legislatore.
Le disposizioni polisemiche,
nel contempo, hanno anche un pregio, specialmente a livello costituzionale,
perché lasciano spazio affinché l’interpretazione divenga evolutiva, dinamica,
capace di star dietro all’evoluzione della società e delle dinamiche che si
verificano nei rapporti tra “gli interessi” e le “forze” che vivono nel
tessuto sociale e politico.
Se così accade, peraltro, si
riafferma in tal maniera la possibilità che solo attraverso la mediazione
“politica” degli interessi (il cd. “primato della politica”) si possano
risolvere, via via, perplessità nascenti dal testo polisenso.
Nel nostro ragionamento
entra in gioco anche un “fattore politico” in senso stretto,
caratterizzato da :
-
evidenti
contrapposizioni e radicalizzazioni in atto (particolarmente intense nella
materia di cui ci occupiamo)
-
l’esistenza di
talune idee a monte che però, nel momento in cui si traducono in
regolazioni normative concrete ed oggettivizzate, diventano per ciò stesso
suscettibili di “interpretazione giuridica”.
Entra, infine, in gioco un
“fattore dinamico”, considerato che :
-
la riforma del
titolo V è già in atto
-
la devoluzione
è un’ ipotesi riformatrice ancora in corso
-
già si parla
di un nuovo disegno di legge di revisione costituzionale “unificato”, che
cioè condensi ed armonizzi le due riforme
- i livelli
essenziali per settore scolastico sono tutti da concretizzare in
termini normativi (disegno di legge Moratti e decreti attuativi)
Si può dire, quindi, che
ragioniamo mentre “le bocce non sono ancora ferme”.
I DATI OGGETTIVI DA ESAMINARE
Sono i
seguenti :
-
3 scenari di fondo (gli
assetti di ordinamento) : prima della riforma costituzionale del 2001 –
oggi – in futuro, dopo la ulteriore riforma della devoluzione
-
3 attori (i
soggetti) : amministrazione scolastica – regioni ed enti locali -
scuole
-
3 copioni (le
funzioni): la funzione legislativa – la funzione amministrativa – la
funzione di erogazione del servizio istruzione, che è funzione di tipo
fondamentalmente “tecnico”
Tutti gli altri risvolti, pur importanti e di largo ed indubbio interesse,
sono elementi accessori o consequenziali, talvolta anche variabili.
Gli
interrogativi che oggi appassionano il dibattito interno al mondo della
scuola - chi gestirà il reclutamento del personale ? chi gestirà la scuola
? i docenti saranno statali, regionali, di istituto ? - sono indubbiamente
importanti e pressanti, ma ai fini dell’analisi giuridica preliminare (che
dovrebbe consentire una corretta comprensione del quadro costituzionale ed
ordinamentale) rappresentano solo domande secondarie, successive,
conseguenti.
Perdonate la mia estrema franchezza : se nostro unico desiderio fosse avere
veloce e succinta risposta alle domande, forse sarebbe meglio non sforzarsi
di analizzare e capire il quadro d’insieme e, semmai, predisporre velocemente
un quesito da inoltrare via internet al Ministero, restando in attesa
dell’esito (una FAQ).
NEL VIVO DELL’ANALISI
A questo
punto è possibile iniziare l’analisi dei 3 dati oggettivi:
-
gli assetti costituzionali
esistenti sullo sfondo
-
i soggetti che operano nello
scenario normativo di volta in volta considerato
-
le funzioni che ciascun soggetto
o attore esercita
Gli ASSETTI COSTITUZIONALI da confrontare
Corrispondono sostanzialmente a tre diversi quadri normativi
-
il vecchio articolo 117 ed il
vecchio riparto di funzioni (legislative, ma anche regolamentari ed
amministrative) tra Stato e Regioni
-
la riforma del Titolo V, passata
anche con referendum popolare
-
l’ipotesi di
devoluzione
I SOGGETTI O POLI-ATTORI
Essi sono,
rispettivamente con riferimento a ciascuna funzione :
-
stato, regioni, province, comuni
-
amministrazione scolastica
centrale e periferica
-
singole istituzioni scolastiche
Le tre DIVERSE FUNZIONI
Esse sono
distinguibili in :
-
legislazione
(cioè la normazione regolatrice)
-
governo- amministrazione (cioè la gestione amministrativa del sistema)
-
servizio pubblico erogato (cioè la prestazione destinata a soddisfare il diritto
all’istruzione)
Nel
riflettere sulle tre funzioni, suggerisco di immaginare la presenza, sulla
parete qui accanto, di una sorta di luce intermittente, di un avviso di
allarme.
La luce ci avverte costantemente che la distinzione fra le tre funzioni
- e quella della singola scuola è solo la terza - rappresenta l’aspetto
più importante e decisivo per comprendere il quadro d’insieme e poi valutarlo,
ciascuno secondo i propri convincimenti.
La scuola è il polo di erogazione della “istruzione”, dove si attiva il cd.
processo di apprendimento, è il luogo o soggetto-attore chiamato a fornire la
“prestazione” destinata a soddisfare il diritto all’istruzione.
Credo che la precisa consapevolezza in ordine alla suddetta distinzione
“funzionale” sia l’aspetto che, purtroppo, dà luogo alle maggiori confusioni
concettuali e, quindi, può rendere talvolta giuridicamente fragili i
convincimenti personali.
DUE RIFORME COSTITUZIONALI A CONFRONTO (per la parte riferita alla scuola)
La già realizzata
riforma del Titolo V della Costituzione, ispirata a principi già largamente
presenti nella cosiddetta legislazione diventata nota come “Bassanini”, ha :
-
lasciato intatto
l’art. 33 Cost. (nel quale si parla di “norme generali” sull’istruzione
dettate dalla “Repubblica” , la quale istituisce scuole “ statali”)
-
modificato l’art. 114 Cost.,
precisando innovativamente che “Repubblica” è nozione comprendente sia
le Regioni, sia lo Stato (quindi la Repubblica – cioè oggi lo Stato, ma
anche la Regione – può istituire scuole statali ?)
-
introdotto “due velocità” (art.
116: regionalismo differenziato), che possono condurre a diversificazioni
della scuola sui vari territori regionali
-
fatto diventare
“istruzione” una materia di legislazione concorrente. Questo significa
che le regioni possono fare proprie leggi in materia di istruzione, salvo il
rispetto dei cd. principi fondamentali. Quindi sono state poste altre
premesse costituzionali ,
oltre quelle già in precedenza esistenti, che di per sé non escludono ad
esempio, sin d’ora, la possibilità di conferire alle regioni “quote” dei piani
di studio o curricoli, oppure di regionalizzare anche “organizzazione” e
“personale”, quali funzioni amministrative svolte dagli apparati in relazione
alle competenze di cui sono titolari (v. art. 118 Cost.)
-
esplicitato in Costituzione la cd.
“autonomia scolastica” (concetto, evidentemente, da riferire alla
“funzione” svolta dalle scuole, cui abbiamo fatto cenno nel parlare delle tre
funzioni e della famosa luce intermittente sulla parete)
La ipotizzata (almeno
per ora) modifica dell’art. 117 in senso devolutivo, proposta dal senatore
Bossi :
-
ritaglia tre “materie”
esclusive (che, invero, appaiono essere “pezzi” o “frammenti” o
“sub-materie” enucleate dalla materia “istruzione”, se si presta attenzione
alla giurisprudenza costituzionale che tradizionalmente identifica nella
“materia” una nozione necessitante di una sua autosufficienza concettuale)
-
enuncia
l’organizzazione scolastica (una sub-materia che, però, comprende competenze
attribuite agli enti territoriali, già presenti in previsioni di legge
vigente, contenute nel decreto legislativo Bassanini n. 112 del 1998)
-
enuncia la
“gestione” degli istituti (ma la “gestione” , almeno per una parte, è già
autonoma e localizzata nei singoli istituti)
-
prevede la
definizione di “parte” di programmi di interesse specifico della Regione (ma
la definizione di programmi è mera potestà regolamentare - v. art. 205 T.U.
n. 297/1994 - correlata alla materia “istruzione” e quest’ultima, a sua
volta, è già oggetto di legislazione ripartita tra Stato e Regione, ai sensi
dell’art. 117 ora vigente, oltre che di potestà regolamentare regionale)
-
afferma che le regioni
“attivano” la loro competenza legislativa esclusiva, dunque al
regionalismo differenziato “concertato” (art. 116) si aggiunge anche un
regionalismo differenziato “unilaterale”, cioè su iniziativa autonoma delle
Regioni.
L’esame
comparativo dei due assetti costituzionali (riforma già in vigore e riforma
ipotizzata), lascia così trasparire :
- non marginali difficoltà interpretative (e qualche oggettiva incongruenza)
riguardanti il testo della riforma già varata nel 2001
-
l’esistenza, nella riforma già varata, di vasta attribuzione di funzioni e
compiti in materia di “istruzione” (legislativi, regolamentari,
amministrativi) alle regioni. Trattasi, quindi, di funzioni e compiti
comprensivi di attribuzioni che qualcuno, invece, ritiene conseguiranno solo
alla ulteriore devoluzione. Poiché, invece, il passaggio di compiti è già
avvenuto, rimane difficile comprendere molte tra le censure ed i timori che
vengono riferiti e riservati alla sola ipotesi devolutiva futura.
- le oggettive disarmonie interne che caratterizzano il nuovo testo integrato
dell’art. 117, che a sua volta dovrebbe scaturire dal varo della seconda
riforma.
ULTERIORI RIFLESSIONI
I “principi fondamentali”
Chi
legge il testo della Costituzione (nelle tre forme, rispettivamente
antecedente alla riforma del titolo V, attuale e futura) rinviene questa
espressione a proposito di legislazione concorrente regionale.
La
regione, nelle materie di legislazione concorrente (dunque in materia di
istruzione)
deve rispettare i
principi fondamentali
stabiliti dalle leggi dello Stato
Dovrebbe
essere almeno chiaro che l’espressione :
1) riguarda solo la
legislazione regionale concorrente (dunque l’istruzione e, in futuro,
l’istruzione meno le sub-materie di cui alla riforma Bossi)
2)
indica un limite da rispettare
3) è stata lungamente (e non senza difficoltà) interpretata da dottrina e
da giurisprudenza Corte costituzionale, sicché solo leggendo e conoscendo tale
giurisprudenza è possibile dedicarsi a cogliere il significato della
espressione
4) è
stata presa in considerazione da due vecchie leggi :
legge n.
62 del 1953 (legge Scelba)
l’articolo 9 consentiva alle regioni di legiferare (in legislazione
concorrente) solo se fossero state emanate le cosiddette “leggi
cornice”
cioè “…leggi della Repubblica contenenti, singolarmente, per
ciascuna materia, i principi fondamentali cui deve attenersi la
legislazione regionale.”
legge n. 281 del 1970
ha sostituito l’articolo 9 della precedente legge : dal 1970 (ed ancora
oggi), quindi, i principi fondamentali sono quelli che “… risultano da
leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o
si desumono dalle leggi vigenti”
E’ su
questo terreno che si muove il cd. disegno di legge “La Loggia”, che
mira all’emanazione di testi normativi che racchiudano i “principi
fondamentali”. Fino a quando il disegno di legge non diverrà legge, i principi
fondamentali continuano a potersi desumere “dalle leggi vigenti” per
i vari settori o materie.
In
particolare, i principi riferibili all’autonomia scolastica devono essere
desunti dalla vigente legislazione.
Principi
sono sicuramente quelli recati dall’art. 21 della legge n. 59 del 1997 (in
particolare, quelli contenuti nei commi 5,7,8,9 e 10).
Resta a
mio avviso discutibile – e la giurisprudenza costituzionale sinora è
stata per la negativa sul punto – che “principi” possano essere desunti
dalle prescrizioni di dettaglio incluse nel d.P.R. n. 275/1999 che, come è
noto, non è “atto legislativo in senso stretto” ed è privo di “forza di
legge”.
Le “norme generali sull’istruzione”
L’espressione si trova :
1)
nell’art. 33 Cost. , rimasto invariato
2)
nell’art. 117 Cost. ora riformato
3)
nell’art. 117 ipotizzabile dopo la devoluzione
L’espressione, in tutti i tre casi suelencati, si riferisce ad una
materia di competenza esclusiva statale, nel senso che solo lo Stato può
dettare “norme generali sull’istruzione”.
Essa costituisce, dunque, un area di attribuzione positiva (non un “limite”
posto alle attribuzioni regionali).
Essa non viene superata neppure nella ipotesi di riforma Bossi, perché la
materia “istruzione” resta di competenza statale, eccetto le ipotizzate
sub-materie o “frammenti” (organizzazione scolastica, gestione degli
istituti, definizione parte programmi scolastici e formativi di interesse
specifico della Regione)
I “livelli essenziali”
I cosiddetti “livelli essenziali di prestazioni” non sono una “materia”
riservata allo Stato, quanto piuttosto una competenza trasversale,
esercitabile su tutte le materie coinvolgenti diritti e prestazioni da
garantire.
Il legislatore statale, in altre parole, può individuare il contenuto
essenziale di taluni diritti civili e sociali (tra cui è annoverabile il
diritto all’istruzione), valido per l’intero territorio nazionale ed il
legislatore regionale, pur esercitando proprie potestà legislative piene ed
esclusive, non potrà limitare o condizionare tale contenuto.
La
sentenza della Corte costituzionale n. 282/2002 si sofferma sul concetto dei
“livelli essenziali”, precisando tra l’altro - per un settore specifico come
quello della pratica medica, presidiato però da principi di autonomia
“professionale” similari, entro certi limiti, alla “libertà di insegnamento”
spettante ai docenti – che interventi legislativi nel merito, statali o
regionali, non possono “…nascere da valutazioni di pura discrezionalità
politica dello stesso legislatore”, ma devono “...prevedere l’elaborazione di
indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e
delle evidenze sperimentali acquisite”.
E’ forte,
allora, il richiamo a linee generali di indirizzo e di guida in tema di
“standard”, che siano basate su conoscenze e acquisizioni oggettive e
scientifiche, valutate e dettate anche con l’apporto proveniente da appositi
organismi, non rimesse in via esclusiva né alle mere definizioni legislative,
né, di contro, alla libera iniziativa dei singoli operatori.
Quale rapporto tra le diverse nozioni : principi fondamentali, norme
generali, livelli essenziali
Ascrivere
i singoli aspetti della vigente normazione scolastica nell’uno o nell’altro
concetto non credo possa essere considerata un’operazione connotata da
possibilità “aperta” o “discrezionale”.
-
le norme generali sono “materia”
(secondo la nozione costituzionale) riservata allo Stato
-
i principi fondamentali sono “limiti
negativi” apposti alla legislazione regionale concorrente,
desumibili dalle leggi statali di settore
- i livelli essenziali sono una “competenza
trasversale” a più materie, che in concreto fissa
contenuti positivi di
alcune prestazioni di servizi
Ovviamente per stabilire se un singolo aspetto normativo di volta in volta
preso in esame vada ascritto all’uno o all’altro concetto occorre svolgere
un’analisi puntuale, in qualche caso imbattendosi in difficoltà ed
opinabilità (come attestano, in passato ma anche oggi, i conflitti davanti la
Corte Costituzionale).
Resta, tuttavia, giuridicamente possibile stabilire se si tratti di :
“materia” (cioè sfera di competenza
rigorosamente e concettualmente delimitabile)
“principio
fondamentale” (cioè limite desumibile dalle leggi statali)
“livello
essenziale” (cioè contenuto minimo della prestazione)
La sussidiarietà verticale
Se
volessi esprimere una succinta considerazione, potrei dire che la
sussidiarietà permette di individuare le “funzioni” esercitabili ad un
“livello territoriale” ottimale.
Essa,
dunque, investe il tema della “localizzazione” delle funzioni.
Basterebbe ricordare, a titolo esemplificativo :
-
la vecchia discussione sulle
Province
-
la vecchia discussione sui
Distretti scolastici
Per altro
verso la “sussidiarietà” affatto è concetto moderno.
Spulciando tra gli atti del Parlamento Italiano nella lontana sessione del
1861, nella relazione al progetto di legge relativo alla istituzione
(anch’essa riformata) della Corte dei conti è possibile leggere frasi
concernenti la necessità “..di speditezza dei servizi pubblici”, di
creare uffici delegati di riscontro in ogni città “…a rendere più
sollecito, e a dir così, più locale il pubblico servizio”, di “…per
portare l’occhio del controllore più vicino alle persone o alle cose
che devono essere controllate”
Più
recentemente, il principio viene esplicitato in ambito comunitario.
Trattato
del 1957 – art. 3B - Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la
Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e
nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere
sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo
delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati
meglio a livello comunitario.
Il
principio è stato, poi, ampiamente ripreso nei lavori della Bicamerale D’Alema
Esso è
stato poi inserito nell’art. 4 della legge n. 59/1997 (Bassanini), con
attribuzione di compiti e funzioni alla autorità territorialmente e
funzionalmente più vicina ai cittadini interessati.
Sul
principio si ritrovano alcune utili riflessioni in :
Sentenza Corte costituzionale n. 408/1998
La questione presa in esame in quella occasione nasceva da una preoccupazione
avanzata da una regione che, nella legge (legge 59 e decreto legislativo 112
del 1998) e nel riferimento al principio di sussidiarietà rinveniva uno
scopo "in funzione antiregionalista"
Stralciando i passi più significativi, la sentenza afferma che
-
Non si può dire che il richiamo
ripetuto al principio di sussidiarietà venga utilizzato in modo
contrastante con le regole costituzionali sull'autonomia regionale :
in particolare, nelle materie dell'art. 117 della Costituzione - cioè
nell'ambito delle competenze proprie delle Regioni, ad esse garantite
dalla Costituzione - l 'attuazione del principio in relazione ai
livelli di governo sub-statali è fondamentalmente rimessa alla
Regione stessa, cui spetta disciplinare il conferimento agli enti
locali delle funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a livello
regionale
-
La logica è che anziché
individuare nominatim gli ambiti materiali cui attengono le funzioni da
conferire, si procede - in conformità al principio di sussidiarietà, non a
caso indicato al primo posto tra i criteri direttivi della delega - alla
elencazione delle materie e dei compiti esclusi dal decentramento.
-
Il ricorso a clausole generali,
come quella della organicità, completezza, efficienza economicità,
responsabilità, unicità, omogeneità, adeguatezza, differenziazione
dell'amministrazione costituisce un disegno di decentramento o
delocalizzazione che mira a ridisegnare complessivamente ed in modo
coerente l'allocazione dei compiti amministrativi fra i diversi livelli
territoriali di governo.
La sussidiarietà nel Sistema scolastico
Tenendo accuratamente presente quanto sin qui detto, si può desumere che la
sussidiarietà verticale, nel sistema scolastico come per qualsiasi altro
settore pubblico, è la localizzazione delle funzioni (legislativa, di
governo-amministrativa e di erogazione del servizio) a diverso livello :
-
nazionale
- regionale
- sub-regionale (provincia, comune
e singola scuola)
Sinora
abbiamo passato in rassegna, succintamente e secondo il dettato
costituzionale, l’allocazione della funzione legislativa e, per certi versi,
quella del governo-amministrazione.
E’
possibile ora analizzare il concetto con riferimento alla singola scuola.
La sussidiarietà per la singola scuola : è la cd. “autonomia
funzionale”
Vi invito ad osservare che
la locuzione “salva autonomia istituzioni scolastiche”, già presente
nell’art. 117 vigente (a proposito di legislazione regionale concorrente in
materia di istruzione), nel testo dell’art. 117 che potrà scaturire dalla
devoluzione e dopo il noto emendamento “Bassanini” risulterà ripetuta ben due
volte.
Poiché è difficile
immaginare che un’identica espressione possa assumere, nel medesimo articolo,
due significati diversi, il tipo di “autonomia” che limita oggi la
legislazione regionale “concorrente” in materia di “istruzione” limiterà
anche la legislazione “esclusiva” esercitabile nel caso della ulteriore
devoluzione.
In buona sostanza, il limite
(uguale in entrambi i casi) sarà costituito dalla cosiddetta autonomia
“funzionale” (tale giuridicamente è l’autonomia scolastica).
Tutto questo altro non
significa che necessità di salvaguardare l’esercizio da parte della scuola di
facoltà autonomistiche nella erogazione del servizio prestato, da
effettuare nel quadro della legislazione (statale o
regionale) di riferimento.
Alcuni giuristi escludono
si tratti di “costituzionalizzazione”, esistendo già (in quanto desumibile
da art. 33 Cost.). Sarebbe espressione ridondante, di semplice
chiarificazione.
Altri, all’opposto,
ritengono sia assurta a “principio fondamentale” di rango costituzionale.
Personalmente penso che
l’espressione vada letta alla luce del quadro normativo complessivo presente
al momento della modifica del titolo V, che per la prima volta ha inserito
la locuzione.
Quel quadro conosceva
l’autonomia della singola scuola, ma anche le funzioni autonome (legislative
ed amministrative, quest’ultime proprie o conferite) spettanti agli enti
territoriali, secondo il decreto legislativo n. 112 del 1998, anch’esse
espressione di autonomia (ma a fini generali) e che in qualche misura
intersecano l’autonomia delle scuole.
Tra autonomia della scuola
(non attribuita a fini generali, né espressione di “sovranità ordinamentale”)
ed autonomia dell’ente territoriale, quindi, esisteva ed esiste tuttora una
consistente e radicale differenza.
L’autonomia indicata nel testo costituzionale è l’autonomia funzionale
dell’istituzione scolastica : non è un principio costituzionale fondamentale,
quanto piuttosto un livello già individuato ed esplicitato di
sussidiarietà (cioè di allocazione territoriale di alcune funzioni).
Nell’assegnare, con norma costituzionale, funzioni “legislative” (concorrenti
per l’attuale titolo V – esclusive per l’ipotesi di devoluzione) e funzioni
“amministrative” (vedi art. 118) alle Regioni, nella piena consapevolezza per
tutti che questo significa anche assegnare correlate funzioni di
organizzazione e gestione alle Regioni, sono state fatte salve funzioni già
situate a livello di singola scuola (che non sarà possibile
localizzare ad un livello territoriale diverso).
Il problema, allora, sta tutto e solo nel cogliere esattamente (senza
ridondanze) quali siano le “funzioni autonome” che la legislazione ha
assegnato alle scuole e sono da esse esercitabili.
Ebbene tali funzioni sono quelle indicate dalla legge (oggi art. 21
legge n. 59).
Quale rapporto tra Costituzione e “provvista” di personale : l’opzione
del docente regionale
Mi sembra sia il tema più
sentito, ricercato, forse da qualcuno anche temuto, prima ancora di capire se
esso scaturisca dal testo costituzionale vigente o dalla ipotesi della
devoluzione.
Anche a questo proposito mi sembra siano ancora da maturare, nel mondo
scolastico, alcuni chiarimenti concettuali di base.
Il tema, dal punto di vista giuridico, non riguarda
-
le potestà legislative
(statali o regionali)
-
la organizzazione
(dunque il vocabolo usato nella ipotesi di devoluzione )
-
il carattere statuale
delle scuole
-
le garanzie fondamentali
dello status docente
-
ma solo ed unicamente le
“funzioni amministrative” (e “i rapporti di lavoro”)
Se proprio si desidera andare in cerca di un’origine costituzionale, occorre
rammentare che l’opzione affinché la provvista e dipendenza lavorativa possa
trasmigrare da onere gravante sullo Stato ad onere gravante
sulle Regioni è già possibile al cospetto del vigente titolo V della
Costituzione (che, a sua volta, rispecchia idee presenti e abbondantemente
note al momento dell’emanazione del decreto legislativo n. 112 del 1998).
Lo scoglio tuttora, sta solo nel notevole trasferimento di risorse finanziarie
dallo Stato alle regioni.
Ci si può interrogare sul fatto se sia riscontrabile una riprova di tutto
questo.
Vi propongo di fare un esperimento “da laboratorio giuridico” :
Leggiamo
insieme un testo normativo – che potrebbe essere un testo già pronto
nella prospettiva della devoluzione - e poi interroghiamoci : rispetta
esso il vigente titolo V della Costituzione?
La lettura del testo potrebbe indurre qualcuno ad affermare che questo testo è
in contrasto con il titolo V e potrà essere adottato solo quando, tramite la
devoluzione, si trasferiranno alle Regioni competenze legislative
esclusive in materia di “istruzione”
Purtroppo non è così !
Il testo che ho letto riguarda la Provincia di Trento, risale al 1996 ed è
stato adottato nel momento in cui la Provincia autonoma non aveva certo
competenze legislative esclusive in materia di istruzione.
Cosa si può unicamente immaginare in prospettiva
La
riforma del titolo V ha inserito in Costituzione elementi affaticati da
oggettive e non secondarie disarmonie e contraddittorietà, che devono essere
al più presto possibile e necessariamente sanate.
La successiva, ipotizzata
riforma aggrava e non semplifica il quadro già oggi esistente.
Entrambe le riforme, forse risentendo della contrapposizione politica e di
qualche frettolosità e superficialità redazionale, hanno posto e mantengono le
premesse per una conflittualità permanente Stato-Regioni.
Devo, quindi, per onestà intellettuale dissentire da coloro che valutano in
negativo unicamente l’ipotesi devolutiva ulteriore e semmai solo ad essa
addebitano ogni ambiguità, paradosso o contraddizione.
Di converso, non mi pare irragionevole la soluzione che sembra si stia
finalmente concordemente delineando, di un nuovo ed unitario strumento
giuridico (disegno di legge costituzionale?) di conclusivo raccordo tra le due
ipotesi
Per il
momento ed in attesa delle vostre domande, posso solo osservare che le
riforme globali, pure quella costituzionale già in vigore, da tutti -
sinistra, centro e destra - sono state considerate e sono tuttora
considerate indispensabili (il che già rappresenta una precisa scelta di
campo, che non è certo ineluttabile per definizione).
Se
proprio si deve riformare, è utile allora che tutti e ciascuno per la sua
parte si faccia carico di capire bene la portata delle innovazioni, si
rimbocchi le maniche e si adoperi per la realizzazione attuativa, ricordando
semmai il racconto di Calvino in Palomar, sulla “pantofola spaiata”.
A
volte - come quando da un mucchio di pantofole se ne tirino su due
“scompagnate” – è arduo stabilire immediatamente se l’errore commesso nel
compiere l’atto è veramente tale oppure ha beneficamente cancellato un errore
precedente e preesistente.
La
verifica matematica, se proprio si è curiosi, sarà possibile smaltendo il
mucchio, quando resteranno le due ultime pantofole. |