Le novità degli ultimi tempi hanno introdotto - nella Scuola e non solo lì - con una rapidità inusitata cambiamenti normativi, a cui dovrebbero far seguito mutamenti di mentalità. Se è vero che le novità spaventano, è altrettanto indubbio che non sempre il "nuovo" coincide con il "meglio". Mentre, sarebbe saggio ponderare ogni innovazione. Decentramento e sussidiarietà sono i due termini che vorrebbero orientare ogni pensiero nuovo sulla Scuola.
Ma cosa significano queste due nuove condizioni ? Antonio Gasperi, attraverso la lettura del testo di Giovanni Cimbalo, Le Regioni alla ricerca di una identità inesistente, edito quest' anno da Giappichelli, analizza gli aspetti normativi del problema, ma anche le traduzioni già operate in alcuni Paesi europei.
Che cosa succede là dove il decentramento scolastico è già avvenuto ? Qual è la situazione in Belgio e Olanda ?
Imparare dall' esperienza degli altri , sarebbe una buona norma di comportamento. Ahinoi, assai poco praticata da chi dovrebbe avere reponsabilità di governo.
Si fa presto a dire scuola.
Decentramento e sussidiarietà: un'analisi comparata delle tendenze in atto nel servizio d'istruzione nelle Regioni italiane e nei paesi europei.
di Antonio Gasperi
Non è un caso che la scuola sia forse il settore della società civile maggiormente investito dal massiccio decentramento dei poteri che sta attualmente avvenendo in Italia, oltre che dall'"alleggerimento" complessivo della Pubblica Amministrazione. Questa convinzione viene rafforzata dalla lettura del saggio di Giovanni Cimbalo, Le Regioni alla ricerca di una identità inesistente, edito quest'anno da Giappichelli, il quale già in premessa afferma che l'istruzione e la formazione sono uno strumento per "creare il popolo": dunque se è vero che lo Stato sta cambiando, anche il sistema d'istruzione deve cambiare. Detto questo, va anche ricordato che attualmente non sappiamo ancora come lo Stato sta cambiando, quale modello federalistico verrà finalmente sposato dalla nostra classe dirigente, se sarà un modello concorrenziale all'americana oppure solidale alla tedesca, sempre che i nostri politici siano in grado di riprodurre un modello coerente, cosa della quale qualcuno - ed io sono fra questi - comincia a dubitare (si veda, tanto per "chiarirsi" un po' le idee, l'ampia sezione dedicata al federalismo sul sito della nostra associazione professionale).
Ma allora, se il dibattito sul federalismo nel nostro paese è molto confuso, per non dire del dibattito sulla scuola che - nonostante l'approvazione di una riforma ancora tutta da scoprire- sembra languire, può essere un'idea dare un'occhiata aldilà dei nostri confini, per scoprire guidati dall'analisi del prof. Cimbalo, che in un paese europeo piccolo ma non marginale come l'Olanda, la libertà di insegnamento nella scuola pubblica era stata sancita già nel 1857 e il finanziamento pubblico alla scuola confessionale (cattolica e calvinista) funziona dal 1889!
Prima però di farci capire attraverso questi ed altri dettagli come mai in un paese culla per secoli della tolleranza e del pluralismo, abbia potuto affermarsi un fenomeno politico quale il partito xenofobo del recentemente scomparso Pim Fortuyin, il volume in esame ci accompagna in un lungo viaggio italiano attraverso le legislazioni regionali sulla parità scolastica (recepimento del d.lg. 112/98 ed applicazione della l. 62/00) e le loro strategie di devoluzione in materia scolastica, nonché sulla natura giuridica dei protocolli d'intesa, ossia le convenzioni che gli enti pubblici territoriali stipulano con i fornitori privati del servizio di istruzione.
L'istruzione come servizio universale
Non a caso ho usato il termine servizio di istruzione, perché il passaggio fondamentale da un punto di vista giuridico che permette allo Stato di affidare la gestione della scuola ai privati, mantenendone tuttalpiù il controllo generale, è l'abbandono del concetto di servizio pubblico a favore di quello di servizio universale. Quest'ultimo è stato elaborato dalla dottrina tedesca che l'ha definito come un servizio minimo, di qualità definita, fornito ad un prezzo accessibile a tutti. E' evidente che se c'è un prezzo c'è anche un costo, economicamente sostenibile da parte di un'impresa privata, ed un giusto margine di profitto: ove non dovessero sussistere tali condizioni, è compito dello Stato intervenire con adeguate sovvenzioni. Va detto che la nozione di servizio universale è stata rielaborata in sede comunitaria negli anni che vanno dal 1993 al 1996 ed i primi paesi ad accoglierla sono stati Spagna e Germania. Viceversa essa ha subito pesanti critiche da parte francese, che ritiene la sua adozione un ostacolo al manifestarsi dei benefici della libera concorrenza; nota inoltre la dottrina francese che il carattere di universalità è del tutto apparente (solo un servizio pubblico riveste il carattere di una missione nell'interesse di tutti) e che anche l'economicità è apparente, dal momento che parte dei costi grava sull'utenza attraverso l'imposizione di tickets[1]. In ogni caso le direttive comunitarie, tese a stabilire comuni regole di mercato, impongono vari oneri ed obblighi ai gestori dei servizi universali (come sappiamo attualmente disapplicati per le scuole private nel nostro paese).
I protocolli d'intesa e la libertà delle scuole di tendenza[2]
Dunque le convenzioni amministrative sono gli strumenti giuridici con i quali lo Stato o altri enti pubblici territoriali affidano la gestione dell'istruzione "pubblica" ai privati: in esse infatti si riconosce stabilità e durata dei rapporti delineati nell'ambito dei quali vengono definiti impegni reciproci fra le parti (fonte: art. 11 l. 241/90). Si tratta di negozi di diritto privato, oppure almeno inizialmente vanno considerati atti di diritto amministrativo? La questione non è come si dice di lana caprina, dal momento che da essa discende il carattere più o meno vincolante delle condizioni poste alla controparte privata.
In particolare la stipula di una convenzione può assumere come atto presupposto un protocollo d'intesa, il quale a sua volta trova origine in un atto politico dell'esecutivo: in poche parole, e per sintetizzare un discorso piuttosto complesso e specialistico (pp. 80-86 dell'opera in esame), l'autore si pone alcune domande: questo accordo preliminare al rapporto convenzionale, si colloca coerentemente all'interno dello schema del servizio pubblico oggettivo che eroga l'istruzione, oppure riguarda un servizio universale che dev'essere affidato in gestione ai privati? E ancora, può un impresa di tendenza (confessionale e non) essere erogatrice di un servizio, pubblico o universale che sia, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale? Ed infine, vi è compatibilità fra la libertà ad essa garantita e i necessari controlli di risultato che la Pubblica Amministrazione deve esercitare?
A queste domande viene risposto di no, in quanto l'impresa di tendenza non può assicurare il pluralismo e la laicità richiesti dalla Costituzione per la scuola pubblica, senza snaturarsi[3]. In base a questo assunto, che viene dimostrato in modo a mio parere molto convincente attraverso l'analisi dell'esperienza dei Paesi Bassi, l'autore sostiene che l'unico modo per garantire l'effettiva libertà alle scuole non statali paritarie (art. 33 co. 4. Cost.) è quello di non renderle oggetto di finanziamento statale, secondo la lettera del co. 3 dello stesso articolo[4]. Da ciò discende anche la palese incostituzionalità della L. n. 62 del 2000 (cd. legge sulla "parità"), in base ad una serie di rilievi che il prof. Cimbalo ha argomentato ampiamente nell'opera in esame e che ho riassunto nel numero di marzo di Professione Docente.
La legislazione scolastica delle Regioni: il caso della Lombardia
Prima di mettere il naso fuori da casa nostra, il prof. Cimbalo ci conduce in un lungo viaggio attraverso la legislazione scolastica delle Regioni italiane, che qui verrà riassunto anche per ragioni di spazio, esclusivamente in riferimento ad una regione: il lettore interessato al Veneto può trarre alcuni spunti di riflessione dal mio articolo su questa regione[5].
Il caso di gran lunga più interessante è quello della Lombardia, che oltre ad essere senza paragoni la regione più ricca e popolosa del nostro paese (1 italiano su 6 abita in questa regione che produce oltre 1/5 del reddito nazionale), è stata la prima ad imboccare senza indugi la strada del decentramento e della sussidiarietà: infatti già il Decreto della Giunta Reg. n. 37511 del 24 luglio 1998 di recepimento del D.lg 112, introdusse il principio dei buoni scuola per il diritto allo studio giustificandolo come articolazione della materia servizi sociali all'infanzia di competenza regionale da sempre.
Tuttavia la L. reg. n. 168 del 28 settembre '99 che stabiliva l'erogazione dei buoni scuola con l'utilizzo di fondi propri regionali, venne considerata dal governo in carica non più rispettosa delle competenze regionali così come delineate dall'originario art. 117 della Cost.[6] Per evitare un conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale la regione Lombardia modificò la normativa con l. reg. n. 1 del 5 gennaio 2000 che considerava i buoni scuola alla stregua di sussidi alle famiglie meno abbienti, tuttavia la delibera di attuazione di quest'ultima legge riproponeva di fatto i criteri della 168, che - a giudizio del prof. Cimbalo - si sostanziano nel riconoscere alle famiglie lombarde un diritto di scelta fra scuola pubblica e privata.
Ma lo scontro politico fra Roma e Milano su una materia che l'attuale titolo V della Costituzione assegna alla legislazione concorrente non finisce qui: nel marzo del 2000 come sappiamo il Parlamento approva la legge n. 62 che istituisce il sistema scolastico nazionale (cd. legge sulla parità); dunque il 28 aprile successivo la Giunta regionale lombarda impugna avanti alla Corte Costituzionale la suddetta legge per vari motivi, che il prof. Cimbalo non ritiene ingiustificati, di cui il più rilevante è che con essa l'assistenza scolastica viene di fatto avocata a sé dallo Stato. Ultimo atto dello scontro istituzionale è quello che vede il 23 novembre sempre del 2000 il governo Amato impugnare il regolamento di attuazione della l. reg. n. 1/00, senza però che la Consulta abbia il tempo di esprimersi, dato che il successivo governo ha provveduto l'11 luglio 2001 a ritirare il provvedimento di impugnazione.
Va ricordato al paziente lettore che nel frattempo era stata approvata la l. Cost. n. 3 del 2001, quella che appunto colloca fra l'altro "l'istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con l'esclusione dell'istruzione e della formazione professionale" fra le materie a legislazione concorrente. Se si tiene a mente che proprio l'istruzione è una delle tre materie che il progetto di "devoluzione" attualmente in discussione al Parlamento vuole assegnare esclusivamente alle Regioni, l'affermazione dalla quale eravamo partiti (se è vero che lo Stato sta cambiando, anche il sistema d'istruzione deve cambiare) riceve una luce tutta particolare: la scuola si è rivelata cruciale nella contesa fra chi vuole che le decisioni più importanti vengano ancora prese su scala nazionale e chi invece preferisce affidarle alle singole regioni.
Il diritto all'educazione nei Paesi Bassi: breve excursus storico.
E' arrivato il momento di mantenere la promessa iniziale, andando a guardare l'erba del vicino che, secondo l'adagio, è sempre più verde. Dei nostri partners europei (escludendo il Regno Unito che anche giuridicamente è un caso a sé) i lettori della nostra rivista hanno già avuto modo di analizzare i sistemi scolastici francese e tedesco e, più recentemente, quello spagnolo. Si tratta di grandi paesi nei quali però il processo di decentramento e privatizzazione dell'istruzione è nel migliore dei casi ancora agli inizi. Viceversa nei Paesi Bassi ed in Belgio tale processo è ormai, per ragioni del tutto particolari, almeno secolare, ed è per questo motivo che il lavoro del prof. Cimbalo li prende in esame: fra i due casi di studio ho preferito prendere il primo, perché il caso belga è complicato dalla sovrapposizione di due conflitti, uno religioso ed uno linguistico, mentre in Olanda, come vedremo, il sistema scolastico è modellato essenzialmente su un conflitto fra confessioni religiose e successivamente fra queste e le componenti laiche della società.
Tutto ha inizio con l'invasione delle truppe napoleoniche e l'esperienza della Repubblica Batava, che nel 1801 promulga la legge sull'istruzione pubblica elementare: questo atto suscita le simpatie dei cattolici olandesi (e belgi, dato che il Belgio ottiene l'indipendenza nel 1830), in quanto fino a quel momento l'istruzione era monopolizzata dalla Herformde kerk, la chiesa riformata olandese di confessione calvinista. Quando la breve esperienza della Repubblica Batava ha termine, re Guglielmo I ristabilisce un rapporto privilegiato con i calvinisti riorganizzando la scuola pubblica: ad esempio nel 1815 cerca di porre sotto controllo la professione di insegnante nelle scuole cattoliche e la formazione dei futuri sacerdoti. Il concordato del 1827 segna un'innaturale alleanza fra i cattolici integralisti e i liberali che porta alla secessione delle provincie meridionali (il Belgio), e successivamente la monarchia olandese attua una politica di riconciliazione: la Costituzione del 1848 riconosce per la prima volta la libertà di associazione, religione ed educazione. Di lì a poco la legge di riforma della scuola pubblica impegna tutti i Comuni ad istituire scuole pubbliche non confessionali caratterizzate dalla libertà d'insegnamento (1857).
Questa svolta nella politica scolastica produce una distribuzione geografica delle scuole che il prof. Cimbalo definisce a "macchia di leopardo" e una lenta ma costante riduzione dello spazio dedicato all'insegnamento religioso per l'azione congiunta del partito liberale e degli insegnanti laici. La reazione delle confessioni religiose consiste allora nell'aprire scuole confessionali in regime di concorrenza, alle quali però una legge del 1878 nega il finanziamento pubblico. Cattolici e calvinisti ortodossi si alleano in una coalizione di forze cristiane che, appoggiata dai conservatori, ottiene nel 1889 il finanziamento pubblico della scuola primaria confessionale.
A poco più di trent'anni dal riconoscimento della libertà d'insegnamento nelle scuole pubbliche, l'alleanza fra forze politiche di ispirazione diversa, per non dire opposta, porta quindi all'ottenimento della "parità" per le scuole private, intesa come possibilità di accesso al denaro pubblico. Ha inizio così il consociativismo, che il politologo A. Lijphart in un famoso saggio del 1968[7], definisce come quella situazione in cui ogni gruppo sociale, nell'impossibilità di far prevalere i propri valori è costretto a stipulare un'alleanza con quelle componenti della società che appaiono disponibili a garantire le migliori condizioni per la difesa degli interessi dei quali è portatore. Fra i suoi effetti, il consociativismo ha quello di limitare la dialettica interna ai gruppi che devono garantire un'identità di comportamento verso l'esterno. E'' chiaro che la scuola confessionale o comunque con un progetto educativo ben definito (di tendenza) diventa uno dei terreni privilegiati per far crescere il senso di appartenenza ad un gruppo. Così entro la fine del XIX secolo - periodo in cui nascono anche moderni partiti confessionali - si perviene al finanziamento pubblico di tutti i gradi di scuole.
Il sistema scolastico nei Paesi Bassi: situazione attuale e prospettive future
In tal modo si delinea l'attuale sistema scolastico olandese, che vede prevalere le scuole private cattoliche e protestanti in numero pressochè pari fra loro, a fronte di un numero ridotto di scuole private non confessionali, di scuole di altre religioni (soprattutto musulmane, ma anche indù) il cui numero è in crescita, oltre ovviamente a scuole pubbliche comunali. L'art. 23 della Costituzione assicura la libertà di insegnamento e consente di creare liberamente scuole senza preventiva approvazione dell'autorità pubblica, con costi interamente sostenuti dallo Stato che però ne regola il funzionamento[8]. Il sistema è caratterizzato da decisioni politiche centralizzate e amministrazione decentrata ai Comuni e alle Province. La scelta di una scuola da parte dell'utenza avviene più che sulla base di considerazioni religiose o filosofiche, valutandone la qualità rispetto alle altre.
A giudizio del prof. Cimbalo l'insieme di regole poste dallo Stato alle scuole private finanziate con denaro pubblico, non tutela la vocazione confessionale delle stesse, tant'è vero che sempre più spesso esse si qualificano come "scuole cristiane". E' evidente che in un contesto del genere il finanziamento pubblico rischia di violare la libertà di iniziativa scolastica privata. Tantopiù che mentre non esiste più una zonizzazione definita delle aree a prevalenza di una delle confessioni tradizionali, le comunità straniere restano molto compatte ed ovviamente istituiscono scuole proprie.
La perdita di identità confessionale delle scuole private olandesi unita alla progressiva secolarizzazione della società ha accelerato la creazione di "ghetti" ed il tentativo compiuto nel 1986 di dirottare nelle scuole "olandesi" gli alunni stranieri, è sostanzialmente fallito a causa della politica di assimilazione che in queste scuole veniva compiuta nei loro confronti. L'ulteriore reazione è stata la nascita di scuole integraliste arabe, turche o indù da un lato e il sorgere del movimento xenofobo guidato da Pim Fortuyin dall'altro. In conclusione la società olandese e di riflesso il suo sistema scolastico si trovano di fronte ad un bivio: o aumenta la conflittualità sociale oppure si torna alle pratiche consociative.
Osservazioni conclusive
Tornando brevemente con lo sguardo alle faccende di casa nostra, possiamo chiederci se veramente l'erba del vicino è così verde come sembra. Fuor di metafora il messaggio che traspare dall'opera presa in esame è a mio giudizio molto chiaro: finchè siamo in tempo, difendiamo il pluralismo all'interno della scuola pubblica, perché sembra l'unico antidoto efficace alla disgregazione sociale che sta già minando la convivenza di paesi più "avanzati" del nostro e che investendo la società italiana con tempi più rapidi di quanto non ci aspettiamo. Mi sia concessa una breve riflessione personale, anche sulla scorta di quanto osservai nel mio articolo sulla legislazione scolastica veneta: la l. reg. n. 1/2001 pare frutto del consociativismo fra le forze politiche cattoliche e liberali di questa regione, che nel finanziamento indiretto alle scuole private privo di reali controlli sui loro standard qualitativi hanno trovato un momentaneo equilibrio di interessi. E' possibile da parte di un'associazione professionale come la nostra che si è schierata apertamente a favore della scuola pubblica laica e pluralista (vedi numero di marzo '03 di PD) trovare altre forze politiche, sindacali, civili che vogliano trovare un minimo comune denominatore nella difesa di questo interesse vitale per il nostro paese?
[1] Interessante la posizione di Cassese, che in merito sostiene che nel contesto europeo il principio del servizio universale svolge una funzione retorica analoga a quella interpretata dal principio di sussidiarietà: quest'ultimo serve a rassicurare il Regno Unito, geloso della sua sovranità, il primo invece la Francia, timorosa che la liberalizzazione dei servizi pubblici finisca per minare la coesione sociale (cfr. S. Cassese, La retorica del servizio universale, in S. Frova (a cura di), Telecomunicazioni e servizio universale, Milano, 1998).
[2] Il presente paragrafo riassume il saggio di Federica Botti "Sulla natura giuridica dei protocolli d'intesa" inserito nel volume in esame.
[3] A questo proposito è esemplare la soluzione legislativa al problema del licenziamento degli insegnanti delle scuole private, per i quali valgono le fattispecie artt. 2118-9 Cod. Civile (cd. licenziamento ad nutum), intendendosi per giusta causa di licenziamento la cessazione del rapporto di fiducia fra dipendente e datore di lavoro (In tal senso anche la direttiva comunitaria 2000/78). In poche parole viene mantenuto il principio del divieto di discriminazione sulla base delle convinzioni religiose e morali, tuttavia l'onere della prova di aver subito la discriminazione ricade sul licenziato. Ciò significa che una libertà viene sacrificata ad un'altra, ossia che l'orientamento religioso del gestore prevale su quello dei lavoratori e, potenzialmente, anche degli utenti (pp. 93-95 op. in esame).
[4] Dall'art. 33 Cost.: "La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali" (co. 4) "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato" (co. 3)
[5] l'articolo è comparso in Professione Docente di novembre '02. Da notare che il prof. Cimbalo considera la l. regionale n. 1/2001 del Veneto "tutto sommato una legge equilibrata rispetto ai progetti presentati" (p. 61 op. in esame).
[6] nel cui elenco figuravano "istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica".
[7] The Politics of Accomodation: Pluralism and Democracy in the Netherlands, Berkeley-London, 1968
[8] le scuole private per accedere al finanziamento pubblico, devono inquadrare i propri insegnanti nel contratto unico nazionale; lo Stato stabilisce inoltre le linee generali dei programmi di insegnamento, effettua controlli di qualità e verifiche di risultato sulle scuole finanziate; è previsto un massimo di 120 ore di insegnamento religioso, dal quale sono esentati gli studenti che si iscrivono ad una scuola di tendenza pur non condividendone l'impostazione educativa; dal 1981 sono previste in ogni scuola assemblee obbligatorie con docenti, genitori e studenti (pp. 152-7, op.cit).