Il documento di base (Cultura
scuola persona, Roma, 3.4.2007) presentato dalla commissione istituita dal
ministero per la revisione delle indicazioni nazionali insiste con particolare
ossessione sulla centralità della persona e sulla complessità dell’educazione
per riconoscere le differenze individuali nei percorsi dell’apprendimento.
Il documento pertanto
ripete le principali banalità che si rincorrono da una riforma all’altra, da
Berlinguer alla Moratti:
-
la
cooperazione sociale (pp.7-8: “La scuola... come luogo accogliente... lo star
bene a scuola ecc.”; p.9: “Insegnare le regole del vivere e del convivere”,
“un’alleanza educativa con i genitori”; p.10: “In quanto comunità educante, la
scuola deve generare una diffusa convivialità relazionale”, “insegnare a
essere”);
-
l’educazione
integrale (p.7: “l’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi,
affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali”, “i bisogni
fondamentali e i desideri dei bambini e degli adolescenti”);
-
l’unità del
sapere (p.13: “una nuova alleanza fra scienza, storia, discipline umanistiche,
arti e tecnologia”, “ricomporre i grandi oggetti della conoscenza... in nuovi
quadri d’insieme”, “un nuovo umanesimo”);
-
la
convivenza multiculturale (p.10: “valorizzare l’unicità e la singolarità
dell’identità culturale di ogni studente... con radici culturali diverse”, “la
conoscenza della nostra e delle altre culture”; p.11: “la valorizzazione delle
diverse identità e radici culturali di ogni studente”).
Si tratta in buona parte
di pregiudizi astratti che si traducono in ambigue forme di socializzazione o in
velleitari appelli all’impegno civile e politico (p.13: “ogni persona tiene
nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti del
futuro dell’umanità”): per riconoscere le differenze individuali provocate
dalla moltiplicazione degli interessi e dei bisogni sarebbe necessario ridurre
drasticamente il numero degli alunni per classe e delle materie per insegnante.
Le divagazioni moralistiche sono perfettamente inutili. Occorre piuttosto un
modello di scuola articolato in molteplici indirizzi e opzioni, anche
facoltative.
Per altra parte le buone
intenzioni interdisciplinari (che talora sembrano preludere alla ricerca dei
saperi essenziali) non sopravvivono alle inevitabili necessità delle conoscenze
disciplinari e ribadiscono un fitto scenario enciclopedico (p.8: “gli strumenti
di conoscenza necessari per comprendere i contesti naturali, sociali, culturali,
antropologici”; p.13: “il pieno dominio dei singoli ambiti disciplinari”, “i
grandi oggetti della conoscenza – l’universo, il pianeta, la natura, la vita,
l’umanità, la società, il corpo, la mente, la storia”; p.14: “lo studio dei
contesti storici, sociali, culturali”).
Infine: il documento
raccoglie spesso le sollecitazioni umanitarie alla pluralità delle culture, ma
introduce un rimedio che risente invece delle preoccupazioni identitarie che
vogliono difendere “la conoscenza e la trasmissione delle nostre tradizioni e
memorie nazionali” (p.11). “Oggi la scuola italiana può proporsi concretamente
un tale obiettivo, contribuendo con ciò a creare le condizioni propizie per
rivitalizzare gli aspetti più alti e fecondi della nostra tradizione” (p.15): la
civiltà classica greca e latina, il cristianesimo, il rinascimento ecc. |