Per una definizione Gilda della professionalità docente

Nel n° 8 di "La Nuova Secondaria" (15/04/2000) c’è un interessantissimo articolo dal titolo Gli incentivi prefordisti, che pone in discussione il modello organizzativo su cui si basa la scuola "nuova," che chiameremo per comodità berlingueriana, in particolare la sua identificazione di una "debole identità lavorativa," all’interno di una struttura piramidale peraltro superata e che, in ogni caso, non tiene conto dei presupposti di cui necessita un bene di tipo relazionale, come quello offerto dalla scuola.

Inserisco questo articolo nel Sito poiché esso può dare un significativo contributo ad una definizione Gilda della professionalità docente.

(Lo stesso numero di "La nuova Secondaria" contiene anche un articolo di Carla Xodo, dal significativo titolo E se la scuola rimanesse scuola, in cui l’autrice non esita a mettere sotto accusa l’impostazione aziendalistico-burocratica della nuova scuola).

La scuola non tratta beni posizionali, ma relazionali. I beni del primo tipo diminuiscono all’aumentare della fruizione generalizzata, non sono disponibili per tutti e perciò determinano disuguaglianza; hanno un tasso globale di crescita necessariamente uguale a zero: possono essere prodotti o fruiti anche su basi non volontarie, eccedenti le preferenze e la partecipazione soggettive; infine possono addirittura essere prodotti o fruiti senza comunicazione interpersonale, ma per comando o forza o atto burocratico. Si pensi ad esempio al potere o agli oggetti dello status symbol (diploma e lauree comprese, ovviamente) o al denaro circolante o ai prodotti del mercato.

La scuola, al contrario, quando è davvero tale, ha a che fare con la cultura e l’educazione che sono al massimo livello beni relazionali. Questi sono l’esatto contrario dei primi: più sono consumati e divisi dalle persone, più aumentano: hanno un tasso di sviluppo asintotico; sono disponibili per tutti e creano, quindi, uguaglianza; non possono essere prodotti o consumati se non su basi volontarie, con la partecipazione degli attori coinvolti, quella sostanziale e non quella formale-burocratica; hanno bisogno a tal punto di un comune sfondo di senso e di una continua comunicazione tra gli attori, da non esistere senza queste due condizioni. I beni relazionali creano quindi fiducia, solidarietà, reciprocità, cooperazione, collaborazione, rapporto di partnership.

Paradossalmente, però, la maggior parte dei provvedimenti legislativi e contrattuali adottati in questi ultimi anni per l’istruzione scuola smentiscono questi valori. Infatti presuppongono una teoria organizzativa e di riferimento che è di tipo individualista-soggettiva.

Così capita che, mentre in tutte le aziende davvero post-fordiste alla struttura gerarchica stia sempre più sostituendosi quella cooperativa, paritaria e reticolare, nella scuola accada il contrario: esasperazioni immotivate del ruolo e del potere del dirigente; sgranatura dei docenti, per tradizione "uguali," in classi di merito e di funzioni che compromettono la solidarietà comune e la corresponsabilità; concezione frontista, e non comunitaria, dei rapporti tra studenti, docenti e genitori, quali fossero tre parti sovrane che devono "negoziare" i propri "poteri" per poter convivere pacificamente.

Allo stesso modo, accade che, mentre in tutte le aziende post-fordiste, si abbandona la pretesa di conseguire elevati livelli di efficienza e di efficacia tramite la spaziotemporalizzazione delle prestazioni (quanto non è misurabile e osservabile non esiste; per cui salario ed incentivi corrispondono al tempo certificato di lavoro svolto e alla quantità documentata dei prodotti finiti) nella scuola si introducono istituti contrattuali che si ispirano, 80 anni dopo la loro formulazione, proprio a questo ormai obsoleto postulato. Si dimentica che il lavoro intellettuale, e a maggior ragione quello educativo, basato sull’intensità della relazione umana, non può obbedire a nessuna "quantofrenia". Un parere dato da una persona saggia condensa in sé il tempo non misurabile di una vita. Una lezione di un docente, se fatta come si deve, nasce dalla sintesi di letture, che trascendono di gran lunga quelle strettamente professionali. Un docente che individua una sofferenza interiore di un suo allievo e la sa elaborare vale mille volte di più di un altro che svolge le cosiddette funzioni obiettivo in 120 ore annuali, ma non è capace di questa sensibilità.

Analogamente si deve registrare che, mentre in tutte le aziende davvero postfordiste, si è ben consapevoli che l’organizzazione non può essere ridotta alle relazioni formali, trascritte in norme, perché contano molto di più quelle informali e tacite esistenti tra tutti gli attori interni e tra gli attori interni ed esterni, nella scuola si considerano da tempo sempre più valide scelte esattamente opposte. Abbiamo infatti contratti di lavoro nazionali, decentrati regionali, provinciali e perfino di scuola talmente minuziosi e smisurati da avere la pretesa di non escludere nessun atto dell’agire professionale possibile; una produzione normativa primaria e secondaria che è impossibile seguire con attenzione, spesso nemmeno si riesce a leggere, tanto è proliferante, analitica ed invasiva; una moltiplicazione soffocante delle "carte" di istituto, con protocolli d’intesa, carte e controcarte dei servizi, Pof generali e poffini per riduzione, programmazioni, moduli, progetti, relazioni, verbali, circolari del dirigente, ecc.

Insomma, mentre in tutte le aziende postfordiste si tentano strade per aumentare davvero, in situazione, i valori connessi alla responsabilità e all’autonomia del personale, al coinvolgimento affettivo, alla collaborazione, alla solidarietà, alla cooperazione, alla condivisione, all’impegno non formale volontario, nella scuola si incrementano invece (vedi la tristissima vicenda del quizzone Berlinguer e le cosiddette incentivazioni) (... e sulla stessa linea sembra muoversi ora Tullio De Mauro, che insiste sulla "retribuzione per merito", vedi Sole 24 ore del 14-27 aprile 2000 e Corriere della Sera del 10/05/2000 - questa nota è mia) le occasioni di competizione fra i docenti, di sospetto e di diffidenza reciproca tra interessi della scuola, degli studenti e delle famiglie, nonché di deresponsabilizzazione individuale (se una funzione compete a qualcuno che è perfino incentivato a svolgerla, perché la dovrebbe svolgere un altro a cui non compete e a cui non viene nemmeno riconosciuta?).

S.G.