Oh Dio ... il portfolio! (Prima parte)
di Serafina Gnech
1. Verso il portfolio
Tutti ormai sanno che la scuola riformata metterà in soffitta pagelle e schede di valutazione per adottare un nuovo strumento valutativo: il cosiddetto portfolio.
Ma che cosa significa questo termine e da dove spunta?
Il dizionario Garzanti ci dà questa definizione: il portfolio è “nel linguaggio pubblicitario, la raccolta di testi e immagini destinate alla promozione di un nuovo prodotto o di una linea di prodotti”. Uno strumento promozionale di beni, dunque. Ma anche di individui-risorsa. Esso viene infatti comunemente usato dai professionisti per raccogliere e presentare titoli accumulati nel tempo, successi ottenuti, lavori fatti e via dicendo.
Approdato nel dibattito pedagogico anglosassone agli inizi degli anni novanta (1), il portfolio fa il proprio ingresso nella scuola italiana con la legge n° 53 del 28 marzo 2003, comunemente conosciuta come riforma Moratti.
Ma questo ingresso non è che la formalizzazione ultima ed estrema di un lento processo di trasformazione che ha le proprie radici sia nei cambiamenti che investono la pubblica amministrazione – e con essa la scuola – che nella generale ristrutturazione del mercato del lavoro.
Si badi bene che il riferimento non è, o non è soltanto, la dimensione italiana. Il mercato del lavoro è soggetto a trasformazioni trasversali e l’assurgere di una dimensione politico-economica europea ha effetti a caduta di vario genere. Il mondo dell’istruzione viene investito, come già ben sappiamo, da due imperativi: quello della trasparenza e quello della certificazione, che non sono che due interfacce della stessa realtà. Poiché i certificati, i diplomi, le lauree, nella loro formulazione tradizionale, appaiono “opachi” e quindi tali da ostacolare la mobilità lavorativa sovranazionale, si avvia un processo che va – gradualmente ma inevitabilmente – alla ricerca di altro. E i primi cenni ad una sorta di libretto personale delle competenze sono reperibili proprio nei documenti europei.
In questo processo una tappa significativa è costituita dalla riforma degli esami di maturità voluta da Berlinguer e dal D.P.R. 275 del ’99. La riforma degli esami anticipa vari aspetti dell’attuale portfolio. Prima di tutto, “con la valutazione e la certificazione scritta delle varie componenti del successo formativo, quali le conoscenze disciplinari, le competenze acquisite, le capacità”, come ci dice Berlinguer (2), si dà il via alla scomposizione della valutazione. In secondo luogo si pone al centro della valutazione “la cultura assimilata, fatta propria e spendibile e cioè la competenza” (3), anticipando così la cosiddetta valutazione autentica o alternativa che caratterizza il portfolio. Terzo: si inizia a spostare gradualmente l’asse dello strumento valutativo: da documento che registra uno status quo personale, registrando luci e ombre, eccellenze e difetti conoscitivi di ogni studente a strumento di promozione individuale nel quale i “debiti” incidono molto debolmente, mentre i “crediti” vengono amplificati. Non a caso il ventaglio dei crediti viene allargato fino ad includere i cosiddetti crediti formativi, cioè le più variegate attività – e anche non strettamente scolastiche – svolte dall’allievo. Il decreto sull’autonomia, dal canto suo, formalizza “debiti” e “crediti” specificandone la funzione strumentale al nuovo sistema di istruzione e di istruzione-formazione concepito per permettere ai singoli continue variazioni del percorso. Il Regolamento dell’Autonomia recita a questo proposito: “ I criteri per il riconoscimento dei crediti e per il superamento dei debiti scolastici riferiti ai percorsi dei singoli alunni sono individuati dalle istituzioni scolastiche (…) tenuto conto della necessità di facilitare i passaggi tra diversi tipi e indirizzi di studio, di favorire l’integrazione tra sistemi formativi, di agevolare le uscite e i rientri tra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro” (art. 4, comma 6).
Berlinguer si stava dunque chiaramente muovendo nella direzione che avrebbe condotto all’adozione di un libretto personale dello studente, e non mancano espliciti riferimenti ad esso. Questo, fra l’altro, a riprova anche in questo ambito del fatto che uno degli elementi che caratterizzano la storia della scuola di questi ultimi decenni – e non solo la storia italiana - è “la relativa indipendenza delle politiche… (scolastiche, n.d.r.) dalle maggioranze politiche di volta in volta al governo” (4).
Indipendenza che ci segnala in realtà una dipendenza delle diverse maggioranze dalle scelte economiche. Come dire: il mercato e l’economia dettano le leggi della scuola e ne determinano le trasformazioni.
Ma questa è cosa ormai risaputa e sono voci nel deserto quelle che ancora sostengono la necessità di mantenere dei confini precisi fra la scuola e la società.
Ma ritorniamo al processo che conduce al portfolio.
Il 18 febbraio del 2000 un accordo Stato-Regioni dà il via al “Libretto formativo del cittadino” “su cui, si dice, saranno annotati anche i crediti formativi che possono essere conosciuti, ai fini del conseguimento di un titolo di studio o dell’inserimento in un percorso scolastico, sulla base di specifiche intese tra Ministeri competenti, Agenzie formative e regioni interessate”.
E qui si conclude, grosso modo, l’iter preliminare alla nascita dello strumento valutativo morattiano, con il quale dovremo a breve confrontarci tutti.
Ma dall’apparente disordine, dall’altrettanto apparente disorganicità degli interventi che hanno caratterizzato i dicasteri Berlinguer e De Mauro, alcune scelte di fondo sono chiaramente emerse. E pensiamo che ci avrebbero condotto ad un risultato finale di gran lunga diverso da quello che abbiamo ora? Abbiamo ragione di dubitarne, se consideriamo che gli elementi c’erano già tutti: dalla scelta teorica di praticare la valutazione autentica, che pone al centro la prestazione (laddove la conoscenza si traduce in competenza), a quella di tracciare un iter centrato sui successi formativi e dimentico degli insuccessi, proprio come nel portfolio di un professionista, che promuove la propria immagine di mercato. Certo non possiamo immaginare quale ruolo avrebbero avuto gli allievi e le famiglie nella compilazione del libretto-portfolio, ma i frequenti riferimenti del Ministro Berlinguer alla necessità, per gli allievi, di costruire “la propria autoimprenditività” – suae quisque fortunae faber, ci ricorda il Ministro nello scritto già citato (5) – ci fanno presumere che non sarebbe stato molto distante da quello previsto dall’attuale portfolio.
Il “bimbo manager”, come lo definisce Michele Serra in un articolo di “La Repubblica” del 9 ottobre 2003 era in provetta. Mancava solo qualcuno che lo facesse nascere. E ci ha pensato il Ministro Moratti.
(segue: il portfolio Moratti)
- Arter J., Spandel V., Using portfolio of student work in instruction and assessment, in “Educational Measurement, Issues and practices, 11 (1), 1992
- La scuola nuova, Laterza 2001, pagg. 23-24
- Ibidem
- Angela Martini, Equità ed efficacia nel sistema scolastico, “Punti Critici”, dic. 2001, pag. 129.
- La scuola nuova cit., pag. 30