NESSUNA POSSIBILITA’ DI USCITA: L’ISTRUZIONE COME INELUDIBILE BENE PUBBLICO
Un saggio di David F. Labaree*
a cura di Serafina Gnech
L’istruzione è un bene pubblico o un bene privato? Se posti di fronte a questo interrogativo, probabilmente pochissimi risponderebbero: “un bene privato”.
Eppure, l’istruzione - tutta - sta assumendo in Italia, e in maniera sempre più marcata, le caratteristiche di un bene privato. Contenuti e forme diventano sempre più indeterminati e fluidi, allo scopo di adattarsi alle esigenze del consumatore. Percorsi e specializzazioni prolificano. Tutto all’interno di una linea di tendenza che vede arretrare gli organismi politici ed avanzare il variegato e multiforme drappello degli utenti della scuola.
Ma l’istruzione può essere un bene privato? Quali sono le conseguenze sociali di questa tendenza? Il saggio di David F. Labareee, che fa luce sulla realtà americana, stimola la riflessione e il dibattito su quello che avviene ogni giorno sotto i nostri occhi. E che spesso ci sfugge, spesso ci inganna…
Sulla scia di David Tyack: l’ideale della scuola di tutti.
David F. Labaree si pone esplicitamente, in apertura del suo saggio, sulla scia di David Tyack, che, pur senza chiudere gli occhi sui “peccati” della scuola pubblica americana, non abbandona per questo l’ideale di una scuola di tutti, ideale “in cui giace un’eredità essenziale per la ricerca della giustizia sociale” (1). Questa posizione, ci dice Labaree, è particolarmente importante in un momento in cui, nel flusso di una spinta verso destra della cultura politica americana, “i mercati sono vittoriosi e i governi in ritirata” e “la soluzione preferita per ogni problema del settore pubblico è la privatizzazione” che avrebbe “il compito di far funzionare le cose attraverso le formule magiche della concorrenza (per i fornitori) e della libera scelta (per i consumatori)” (2).
Sempre sulla scia di Tyack, Labaree si propone di esaminare sia le ragioni del fallimento educativo della scuola pubblica, che le conseguenze negative sul piano formativo della scuola di mercato. Al cuore di questa indagine si situa, a suo avviso, il “conflitto fra finalità pubbliche e private contemporaneamente assegnate all’istruzione” (3), che caratterizza l’economia politica dell’istruzione pubblica negli Stati Uniti.
Istruzione: bene pubblico o bene privato?
L’istruzione deve essere considerata in primo luogo come un bene pubblico o un bene privato? Questa è la domanda che si trova al centro del conflitto americano sull’istruzione. “Nel contesto americano, ci dice Labaree, in cui il mercato occupa da sempre la posizione di maggior prestigio e il governo è da sempre guardato con sospetto, la percezione dell’istruzione come un bene individuale ha costituito storicamente un forte fattore d’influenza. Questo orientamento è diventato particolarmente pronunciato a partire dagli anni ’80” ed ora possiamo dire che l’istruzione è considerata come un bene individuale, “il cui scopo principale è quello di rafforzare, in termini competitivi, la posizione di chi detiene un certo titolo di studio…” (4). Questo ha due principali conseguenze, entrambe devastanti sia per la scuola che per la società: la prima è che “l’accento sui benefici privati per i singoli consumatori d’istruzione non permette di tener conto dell’interesse pubblico all’educazione”, il secondo è che “tale atteggiamento rinforza il valore puramente formale del completamento dei corsi di studio (voti, crediti,diplomi) a spese della loro sostanza (l’acquisizione di utili conoscenze e abilità), facendo dell’istruzione non molto di più di una gara a come avere successo nella scuola senza davvero imparare” (5).
Il sistema scolastico pubblico non può essere abbandonato
Il sistema scolastico pubblico non può essere abbandonato: questa è la tesi che Labaree si propone di dimostrare analizzando l’impatto che i due principi del pubblico e del privato, che corrispondono a due visioni alternative della scuola, hanno sull’organizzazione scolastica.
Il sistema pubblico non può essere abbandonato per il semplicissimo motivo che “anche se abbiamo la possibilità di andarcene dalla scuola pubblica considerata come un bene privato, non possiamo lasciare la scuola pubblica in quanto bene pubblico. Ciò significa che possiamo ritirare i nostri figli dalle scuole pubbliche cittadine e mandarli in quelle private, o nelle esclusive scuole pubbliche dei quartieri suburbani, ma non possiamo evitare di dover vivere con le conseguenze sociali e personali dell’abbandono del sistema scolastico pubblico che ci siamo lasciati alle spalle” (6)
Le due risposte all’inefficienza: andarsene (exit) o prendere la parola (voice)
Prima di analizzare i meccanismi che regolano i continui passaggi dei clienti americani da scuola pubblica ad altra scuola pubblica o da scuola pubblica a privata, e le conseguenze che gli stessi hanno sul sistema, Labaree si sofferma sulle risposte all’inefficienza che vendono date nel sistema economico americano.
Che cosa succede quando un’organizzazione diventa inefficace, cioè incapace di soddisfare i bisogni dei suoi clienti o dei suoi membri? Si hanno due tipi di risposte, ci dice Labaree, riprendendo uno studio Albert Hirschman (7): una risposta di tipo meramente economico che consiste nell’abbandono dell’organizzazione da parte dei clienti (che, ad esempio, smettono di comperare un determinato prodotto o di utilizzare un certo servizio) ed una risposta di tipo politico, che consiste nell’esercitare il proprio diritto di parola all’interno dell’organizzazione (lettere di protesta, ecc.). Anche se astrattamente la prima risposta è più connaturata alla transazioni commerciali e la seconda costituisce un meccanismo che più si presta alle interazioni politiche, di fatto né l’una né l’altra soluzione sono esclusive di un settore o di un altro. Spesso la reazione ad una cattiva politica non è la presa di parola, ma semplicemente l’abbandono di un certo partito. Anche perché la reazione della fuga occupa una posizione privilegiata nella prassi americana, per motivi storici (la maggior parte dei cittadini americani sono figli di emigranti…!!!) e soprattutto per motivi pratici. La fuga permette infatti di risolvere il problema immediato con una certa facilità, senza investimenti di tempo e senza complicazioni.
I consumatori d’istruzione rispondono all’inefficienza con la fuga
La fuga, che è - all’interno di tutto il mercato - la risposta più frequente a fronte dell’inefficacia, viene considerata anche come la soluzione logica e consequenziale all’inefficienza-inefficacia delle istituzioni scolastiche.
Il sistema della fuga è notevolmente aumentato dal momento in cui l’alternativa non è stata più unicamente da-scuola-pubblica-a-scuola-privata (alternativa limitata agli abbienti) ma anche da- scuola-pubblica-a-altra-scuola-pubblica, nell’ambito di iniziative che hanno inteso migliorare il sistema pubblico con i meccanismi della concorrenza di mercato. Ciò è avvenuto nel momento in cui – nei primi anni ’90 – sono stati creati i vouchers, cioè i buoni, e le charter schools finanziate dallo Stato in relazione agli alunni iscritti. E sono stati al contempo rimossi gli ostacoli che limitavano l’esercizio delle opzioni di scelta sul territorio.
Ovviamente i consumatori d’istruzione che fuggono da una scuola per iscrivere i propri figli in un’altra lo fanno solo per migliorare l’educazione dei propri figli, senza curarsi dell’impatto che ciò potrà avere sull’organizzazione scolastica d’origine.
La logica di mercato applicata alla scuola
Quando un consumatore d’istruzione fugge applica quella che abbiamo definito come una risposta di tipo economico all’inefficacia-inefficienza (o all’inadeguatezza: si può avere una fuga anche per la ricerca di “altro”, non necessariamente di una migliore qualità). Secondo i sostenitori della logica di mercato applicata alla scuola, ciò dovrebbe ingenerare un meccanismo virtuoso che migliora la qualità dell’offerta d’istruzione. “In teoria, ci dice Labaree, quando una serie di consumatori sceglie di indirizzarsi verso un prodotto competitivo, il produttore originale o si adegua migliorando rapidamente la qualità o è messo fuori mercato dai concorrenti che già stanno fornendo un prodotto di qualità. Questa è un’assunzione centrale dell’economia neo-classica: le azioni cumulative dei consumatori, che agiscono ciascuno nel proprio interesse individuale, hanno come risultato un maggior beneficio pubblico, costringendo le imprese ad abbassare i prezzi e/o a migliorare la qualità” (8).Ma questo funziona anche per la scuola?
Risposte all’inefficienza-inefficacia nei vari tipi di organizzazioni.
Prima di rispondere alla domanda “la reazione di fuga che di fatto avviene a fronte di un’organizzazione scolastica inefficiente migliora la qualità della stessa?”, Labaree fa un’altra digressione sulle organizzazioni e sulle risposte che vengono date in caso di inefficacia.
Egli rileva in particolare che non si ha alcun miglioramento della qualità, ma una situazione di stallo o addirittura un peggioramento quando vi sia “una disgiunzione fra la natura dell’organizzazione e il genere di scelta (andarsene o prendere la parola) che l’organizzazione induce quando diventa disfunzionante” (9).
Fa poi degli esempi: un’impresa d’affari competitiva che induce la fuga come risposta alla cattiva qualità, reagisce rapidamente migliorando o modificando la qualità del prodotto, una organizzazione politica democratica che induce la presa di parola modifica la propria linea e/o le proprie scelte a fronte di sondaggi negativi o altro, e in questi casi le risposte sono efficaci. Analoghe risposte diventano però inefficaci in altre situazioni: nel caso, ad esempio di un’impresa che ha il monopolio quasi totale di un prodotto o di un’associazione dove non ci siano alternative che induca la fuga come risposta alla cattiva qualità. La risposta indotta è inadeguata (la fuga è impossibile), il meccanismo quindi si inceppa e non si ha alcun miglioramento della qualità.
Risposta all’inefficienza-inefficacia nell’organizzazione scolastica
Come abbiamo già detto, i consumatori dell’istruzione reagiscono alla cattiva qualità con la fuga. Stando all’assunto in base al quale la concorrenza è in ogni caso virtuosa, questo dovrebbe ingenerare un processo migliorativo.
E qui sta la trappola per la scuola.
Poiché c’è, appunto, disgiunzione tra la natura dell’organizzazione (che essendo un’organizzazione eminentemente politica sarebbe sensibile alla presa di parola) e il genere di scelta indotta e che di fatto avviene: la fuga.
Perché questa reazione è inefficace per riformare le scuole?
“Perché la perdita di clienti non minaccia in modo significativo la loro base finanziaria”.
Infatti:
- i genitori che mandano i figli a scuole private continuano a pagare le tasse per la scuola pubblica, cosicché VENGONO RIDOTTI I COSTI DELL’ISTRUZIONE PUBBLICA SENZA RIDURRE LE ENTRATE FINANZIARIE CHE LA SOSTENGONO;
- NEI DISTRETTI ABBANDONATI DALLE FAMIGLIE ALLA RICERCA DI UNA MIGLIORE QUALITA’ DELL’ISTRUZIONE CALANO I VALORI DELLA PROPRIETA’ IMMOBILIARE ( DA CUI DERIVANO IN AMERICA GLI INTROITI PER L’ISTRUZIONE) MA IL DISTRETTO RISOLVE IL PROBLEMA RAPIDAMENTE AUMENTANDO LE TASSE;
- NEI DISTRETTI PIU’ POVERI, DOVE GLI INTROITI DERIVANTI DALLA PROPRIETA’ IMMOBILIARE SONO MOLTO SCARSI, VIENE INTRODOTTA UNA TASSA SPECIFICA SULL’ISTRUZIONE;
- LO STATO ELARGISCE SUSSIDI AI DISTRETTI PIU’ BISOGNOSI.
Che interesse ha un distretto in declino a mantenere dei clienti scomodi (genitori che protestano di continuo) nel momento in cui il calo di studenti non modifica il sostegno finanziario?
La fuga, classico segnale di mercato che funziona in molte situazioni, produce, nel caso delle organizzazioni scolastiche, soltanto continue lamentele ed un calo, anziché un aumento, della qualità.
La soluzione secondo molti: attivare per la scuola una logica di puro mercato
Bisogna assumere la logica di puro mercato, dicono molti. Se la fuga non risolve il problema dell’inefficienza delle organizzazioni scolastiche come vengono gestite e finanziate ora, il segreto per risolvere il problema sta nel trasformare l’ibrido che è ora la scuola – miscuglio di politica e di mercato – in un’organizzazione che funzioni secondo le regole di mercato puro. Per fare questo è sufficiente: a) far seguire il finanziamento agli studenti (il calo di studenti produce un calo proporzionale dei finanziamenti), b) eliminare in modo totale le barriere che frenano il libero esercizio della possibilità di scegliere. E’ ben vero che queste barriere formalmente non esistono, ma di fatto cambiare scuola significa negli Stati Uniti cambiare luogo di residenza, ed è difficile e costoso. Per togliere questa barriera e permettere una scelta libera al punto di includere anche scuole private, confessionali e non, bisognerebbe dare ai consumatori un buono corrispondente alla tassazione pro-capite imposta per l’istruzione.
“Tali innovazioni, scrive Labaree, avrebbero la conseguenza di trasformare l’istruzione pubblica in un bene privato simile ad ogni altro bene sul mercato. Consumatori individuali, anziché organismi politici o regolamenti pubblici, stabilirebbero la forma e il contenuto dell’insegnamento, e lo farebbero semplicemente avvalendosi della possibilità di libera uscita. Si avrebbe così sul mercato una serie di scuole in competizione tra loro per gli studenti e per i buoni che si portano dietro” (10).
Una scuola “privata” divenuta scuola per tutti perderebbe le sue caratteristiche e diventerebbe a sua volta inefficiente.
I sostenitori della totale privatizzazione di tutta la scuola non tengono conto del fatto che ben difficilmente la scuola privata potrebbe mantenere le sue caratteristiche nel momento in cui fosse estesa a tutti. Infatti “…l’organizzazione snella e flessibile, il maggior accordo sugli obiettivi educativi, la maggiore capacità di incidenza sui singoli studenti sono di norma ottenuti in un contesto in cui solo il 10% degli studenti frequenta tali scuole” (11). Con il cambiamento dei numeri con tutta probabilità buona parte di queste caratteristiche verrebbero a cadere. Non solo. Verrebbe a cadere quello che è attualmente il principale vantaggio della scuola privata: la possibilità di selezionare in ingresso e di trattenere i migliori studenti.
La scelta di risolvere i problemi della scuola con una logica di mercato configura una scelta anti-sociale.
Un’educazione continuamente soggetta alle richieste del consumatore individuale non permette una buona educazione per tutti e diviene fortemente anti-sociale. E questo perché nel campo dell’istruzione l’interesse pubblico non è riducibile alla somma degli interessi privati di tutti i consumatori individuali, come avviene negli altri settori della vita economica.
Perché un’educazione attenta a soddisfare il singolo consumatore diviene anti-sociale? Perché essa enfatizza a dismisura le differenziazioni e le stratificazioni (gruppi di livello, corsi differenziati, ecc.) che vanno a vantaggio soltanto dei consumatori più provveduti e capaci.
La ricchezza dell’offerta, lungi dal risolvere i problemi dei potenziali perdenti, mette in atto meccanismi di selezione feroci, accentua la differenziazione fra vincitori e perdenti, in una parola crea grossi danni alla società nel suo complesso.
La scelta di risolvere i problemi della scuola trasformandola in un’istituzione puramente politica configura una scelta illiberale.
Una soluzione alternativa a quella prima prospettata (trasformare la scuola in un’organizzazione di puro mercato) sarebbe quella di farla diventare “da confuso miscuglio di elementi politici e di elementi di mercato quale è attualmente, un’istituzione puramente politica. Ciò vorrebbe dire ricostruire il sistema educativo in modo tale che esso spingesse i cittadini a far sentire la propria voce piuttosto che andarsene allorché fossero insoddisfatti della maniera in cui le scuole funzionano. Stimolando la reazione cui essi sono più sensibili, le scuole diverrebbero più efficienti organizzativamente e più efficaci dal punto di vista educativo” (12).
Che cosa si dovrebbe fare per raggiungere questo obiettivo?
Prima di tutto bisognerebbe rendere estremamente difficile la fuga, così le famiglie sarebbero costrette ad agire sull’organizzazione per migliorarne la qualità. “D’altro canto sarebbe necessario equalizzare il finanziamento pro capite dell’istruzione in tutti i distretti scolastici di tutti gli stati, e anche rendere uguale l’offerta curricolare adottando un curricolo nazionale, cosicché né la ricchezza né la mobilità geografica consentirebbero a una famiglia di uscire da un cattivo sistema scolastico per entrare in uno migliore” (13). In questa ottica dovrebbe essere messa in discussione anche la presenza di scuole private.
Ma questa scelta si configurerebbe, negli Stati Uniti, come una scelta antidemocratica ed illiberale. Così scrive infatti Amy Gutman nel suo libro Democratic education (14):
Una teoria democratica dell’educazione riconosce l’importanza di mettere in grado i cittadini di fare una propria politica educativa e anche di vincolare le loro scelte a politiche in accordo con quei principi – non repressione e non discriminazione – che preservano i fondamenti intellettuali e sociali delle decisioni democratiche. Una società che metta in grado i cittadini di fare una politica educativa, moderata da questi due fondamentali vincoli. Realizza l’ideale di un’educazione democratica.
La terza via: un nuovo equilibrio fra interessi pubblici e privati.
Se la soluzione della scuola di libero mercato, sostenuta dai più, non tiene conto dell’interesse pubblico all’educazione e la soluzione politica non rispetta l’interesse privato, bisogna cercare una terza via.
Questa via può essere trovata nel momento in cui si crea la consapevolezza dell’impossibilità di fuggire dalla scuola pubblica. Anche colui o colei che vi sfugge come consumatore diretto non può sfuggirvi come cittadino perché non può evitare le conseguenze sociali, economiche e politiche prodotte da un sistema d’istruzione pubblico malfunzionante.
Bisogna convincere la gente che, se la fuga è di fatto impossibile, non resta che una possibilità: mantenere comunque, e qualunque sia la scelta individuale, fedeltà alla scuola pubblica esercitando su di essa il diritto di parola. Se alle persone è consentito fare delle scelte individuali per accrescere i benefici personali, “esse non possono abbandonare l’educazione nella sua forma di bene pubblico”. “La mancanza d’uscita è infatti una proprietà di ogni bene pubblico” (15).
Da questo consegue che “primo, è perfettamente ragionevole tassare tutti per il mantenimento delle scuole pubbliche, anche coloro che non hanno figli o hanno figli nelle scuole private. In questo secondo caso i genitori non pagano due volte per l’educazione dei loro figli… al contrario essi pagano una prima retta per l’educazione in quanto bene privato e una seconda per l’educazione come bene pubblico”. “Sulla stessa linea è anche ragionevole chiedere alle famiglie di un distretto ricco di contribuire al finanziamento dell’istruzione pubblica per gli studenti dei distretti poveri…” (16).
Difficoltà di tradurre in realtà la terza via ipotizzata.
Quali sono le possibilità concrete di imboccare la direzione tracciata sopra?. Il sostegno alla scuola pubblica può configurarsi come obbligo solo con il consenso della maggioranza dei votanti. Se una condizione di questo tipo non si realizza, risulta perseguibile solo la via del volontariato. Anche se, come abbiamo già detto, il fatto di contribuire all’educazione dei figli degli altri appare più che ragionevole se considerato in un ottica di interesse generale, resta il fatto che ciò che è ragionevole non è ovvio. Anche perché la società americana presenta legami forti all’interno della famiglia, del cerchio di amicizie e del gruppo in generale, ma legami deboli al di fuori. E in una situazione di questo tipo l’educazione degli altri può apparire come una realtà lontana, sbiadita e marginale.
Possibilità di realizzare la terza via.
Dobbiamo quindi, e nel momento stesso in cui abbiamo individuato un possibile sbocco alla impasse in cui versa l’istruzione americana, concludere con parole di pessimismo?
Non necessariamente, ci dice Labaree. Perché se è vero, come è vero, che l’americano sembra non vedere tutto ciò che sta al di là della famiglia, degli amici, del gruppo, i cosiddetti legami deboli (quelli cioè che creano il collegamento con il resto) sono, secondo il sociologo Mark Granovetter (17), “per molti versi più importanti dei legami forti, sia per la società che per l’individuo”. Ed è proprio su questi legami che i cittadini possono costruire “il senso dell’educazione pubblica come pubblico bene” ed è su di essi che si fonda la speranza nella capacità “di creare e mantenere un forte sostegno pubblico all’istruzione pubblica, cosicché anche i consumatori soddisfatti dell’educazione come bene privato vedano una ragione per sostenere l’educazione come bene pubblico…” (18).
Infatti “non essendovi nessuna reale possibilità d’uscita da questo bene intensamente pubblico, la sola opzione razionale è di prendere la parola e di dare il proprio sostegno finanziario per rendere le scuole pubbliche migliori” (19).
*** Il saggio del quale pubblichiamo il riassunto è stato pubblicato in Italia in “Punti critici”, Libri Liberi, n° 7, novembre 2002. La traduzione è di Angela Martini.
- David B. Tyack, The one best system: a history of American urban education, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1974.
- “Punti critici”, op. cit., pag. 116.
- Ibidem, pag. 117.
- Ibidem, pag. 118.
- Ibidem.
- Ibidem, pag. 119
- Albert Hirschman, Exit, voice and Loyalty: responses to decline in firms, organisations and states, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1970.
- “Punti critici”, op. cit., pagg. 123-24.
- Ibidem, pag. 124.
- Ibidem, p. 130.
- Ibidem, p. 131.
- Ibidem, p. 134.
- Ibidem, p. 135.
- Ibidem, p. 136.
- Ibidem, p. 138.
- Ibidem, p. 139.
- Mark Granovetter, The strenght of week ties, “American Journal of Sociology”, n° 78, 1973, pp. 1360-1380.
- “Punti critici”, op. cit., p. 142.
- Ibidem, p. 143.