LA RISCOPERTA DELL’AUTORITÀ
Testi per genitori e insegnanti sulla crisi dei ruoli educativi
a cura di Giorgio Ragazzini
Seconda puntata
3. Da A mia madre mia prima maestra
di Fernando Savater ***
ADULTI CHE AIUTINO A CRESCERE
Perché la famiglia funzioni dal punto di vista educativo è indispensabile che qualcuno dei suoi membri si rassegni a essere adulto. E temo che questo ruolo non possa essere deciso per sorteggio né con una votazione in assemblea. Il padre che vuole apparire soltanto quale "miglior amico dei suoi figli", un po' come un rugoso compagno di giochi, serve a poco: e non vale molto di più la madre la cui unica vanità professionale è che la prendano per una sorella un po' più grande della figlia. Non c'è dubbio che si tratta di atteggiamenti psicologicamente comprensibili e che la famiglia, grazie a essi, diventa più informale, meno direttamente frustrante, più simpatica e fallibile: ma in cambio la formazione della coscienza morale e sociale dei figli non ne esce ben stabilizzata. E ovviamente le istituzioni pubbliche della comunità subiscono un pericoloso sovraccarico. [...]
Come si suol dire, si tratta di una crisi di autorità della famiglia. Ma che cosa comporta questa crisi? Nella sua essenza, l'autorità non consiste nel comandare: etimologicamente la parola deriva da un verbo latino che significa qualcosa come "aiutare a crescere". L'autorità nella famiglia dovrebbe appunto aiutare i membri più giovani a crescere, configurando nella maniera più affettuosa possibile ciò che in gergo psicoanalitico chiameremo il loro "principio di realtà". Tale principio, come si sa, implica la capacità di limitare i propri appetiti in considerazione di quelli degli altri e di ritardare o temperare la soddisfazione di alcuni piaceri immediati in vista del raggiungimento di auspicabili obiettivi a lunga scadenza.[...]
I bambini - ma spesso si dimentica questo fatto ovvio - sono educati per diventare adulti, non per continuare a essere bambini. Vengono educati perché crescano meglio, e non perché non crescano affatto, visto che, in un modo o in un altro, dovranno crescere per forza. Se i genitori non aiutano i figli con la loro amorevole autorità a crescere e a prepararsi per essere adulti, saranno le istituzioni pubbliche che dovranno imporre loro il principio di realtà, e non con l'affetto, ma con la forza. In questo modo si ottengono solo vecchi bambini disobbedienti, non liberi cittadini adulti.
L'aspetto più sgradevole del principio di realtà è che nasce dalla paura. Mi rende conto che tale constatazione può ripugnare, ma non c'è altro da fare che accettarla, se si vuole raggiungere quel malinconico bene tardivamente elogiato da re Lear, la "maturità", e con essa la capacità di educare gli altri. La paura non è altro che la prima reazione prodotta dal guardare in faccia la nostra finitezza. L'Ecclesiaste dice con ragione che il timore è il principio della saggezza, perché il sapere umano comincia con la terribile certezza della morte e dei limiti che questa fragile condizione di caducità ci impone: necessità di nutrimento, di riparo, di sostegno sociale, di comunicazione e di affetto, di temperanza e di collaborazione. Dalla paura della morte (cioè da qualunque paura, poiché tutti i nostri timori sono metafore del nostro timore primordiale) deriverà il rispetto per la realtà e, in special modo, il rispetto per i simili, compagni e complici della nostra finitezza. L’obiettivo dell’educazione è imparare a rispettare, per gioioso interesse vitale, ciò che iniziamo a rispettare per qualche forma di paura.
*** Filosofo spagnolo, autore di diversi libri noti in Italia, tra i quali Etica per un figlio. Il passo è tratto dal capitolo 3 (L’eclissi della famiglia), pp. 37 e seguenti. Il libro è edito da Laterza. Il titolo del brano è del curatore.
4. Da L’età incerta. I nuovi adolescenti
di Silvia Vegetti Finzi ***
IL PRINCIPIO PATERNO
Quello di cui si avverte maggiormente la mancanza, oggi, non è il padre come figura maschile: l'uomo dal quale il figlio è stato generato è sempre presente nella sua mente, come in quella della madre, anche quando non c'è, come nei casi delle famiglie divise o di un padre spesso assente per lavoro. Quello che manca è il "principio paterno" su cui si fonda la norma, la legge, l'autorità: il terzo polo nel triangolo familiare che attira a sé il figlio e lo separa dalla madre, stabilendo un ponte verso l'esterno, la società. Manca insomma, nel mondo interiore dei ragazzi più ancora che delle ragazze, un immagine di padre che raffiguri qualcuno che "sta più in alto": qualcuno a cui guardare e con cui confrontarsi, magari attraverso la sfida e la ribellione, per poter salire al suo livello.
Diventa così più difficile per gli adolescenti identificarsi in una figura paterna spodestata dalle sue funzioni, che non trasmette più ai figli una tavola delle leggi, un codice morale da far proprio, da modificare o da rifiutare. Diventa però più difficile anche separarsi da quell'universo femminile, materno, che in questa fase storica sembra avere il sopravvento. Ciò non impedisce ai figli di proiettarsi all'esterno della famiglia, e di avere una loro vita sociale. Ma tutto avviene nel segno della madre, più che nel "nome del padre". La società finisce così per essere vissuta come una grande madre, dalla quale ci si aspetta tutto senza dare nulla in cambio: indulgenza, assistenza, protezione. Non solo, ma contro questa società "materna" ci si può scagliare come fa il bambino piccolo con la mamma, quando lo delude, non risponde ai suoi bisogni, non appaga i suoi desideri. Ed è proprio nella vita sociale che il declino della figura paterna come principio di autorità, di legge interiore, dà i suoi segnali più allarmanti. La delinquenza minorile, come forma estrema di ribellione, è sempre esistita. Ma mai come oggi appare priva non solo di moventi, ma anche di sensi di colpa: il comportamento antisociale non avviene più nel segno della rivolta contro il padre, la sua legge e le istituzioni che lo rappresentano. Ma si perde nel magma indistinto, indifferenziato di un arcaico universo materno, in cui non è ancora intervenuta la "legge del padre" a stabilire un nuovo ordine e un nuovo equilibrio.
[...] In fondo non c'è molto da reinventare per "risanare" il ruolo più in crisi, quello paterno. Occorre piuttosto che il padre ritrovi la sua funzione di elemento separatore tra il figlio e la madre, riconquisti il proprio spazio sulla scena familiare, e rimanga al suo posto, con fermezza, senza contendere alla moglie il ruolo materno né al figlio il territorio ormai perduto della giovinezza. E' questo il padre che offre al figlio un modello nei cui aspetti positivi potrà identificarsi.
*** Docente universitaria di Psicologia dinamica e psicoterapeuta, è tra l'altro autrice, in collaborazione con la giornalista Anna Maria Battistin, di una trilogia sullo sviluppo infantile pubblicata nella collana Oscar Saggi Mondadori. Dal terzo e ultimo volume, appunto L'età incerta, raccomandabile a genitori e insegnanti, trascriviamo una parte del paragrafo intitolato Il principio paterno (pp. 191 e seguenti).