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Domenico Chiesa, consigliere tecnico del Viceministro Bastico,
risponde ad un' intervista sull' elevamento dell' obbligo.

 " Non basta una nuova legge da scodellare sulla scuola" 

 

L' elevamento  dell' obbligo sarebbe una sfida  in cui coinvolgere davvero l' intera società  e in cui gli attori della scuola dovrebbero essere protagonisti. Invece, se dovesse prevalere la convinzione che la scuola non possa farcela,  non verrebbe attivato quel processo di innovazione che l' Unione  poneva  come base della politica scolastica  del governo .

(A cura di Renza Bertuzzi)  

1)   Professor Chiesa, la Finanziaria ha decretato che l’istruzione obbligatoria sia impartita per almeno 10 anni. In un’ intervista al nostro mensile, il viceministro Bastico ha dichiarato  che questa scelta ha un valore politico-istituzionale in sé, che il Parlamento è stato chiamato ad assumere, indipendentemente dallo strumento  “anomalo” utilizzato e cioè un intervento di politica finanziaria. Adesso, però, occorre pensare ai contenuti. Cosa può dirci, in merito? 

Lo si dice con troppa poca convinzione ed entusiasmo: “l’istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria”. Rappresenta una sfida ed un obiettivo storici e come tale comporterà non poche difficoltà da superare e quindi da non nascondere. Innalzare l’obbligo a dieci anni è una impresa titanica che prevede risorse, professionalità, condivisione, sinergia nell’operare e, non come fatto marginale, il coinvolgimento convinto dell’intera società, ma è una impresa che merita, che potrà essere il colpo d’ala di cui la scuola ha bisogno: non una nuova legge di riforma da scodellare sulla scuola bensì un processo di innovazione che prevede che gli attori del processo siano immediatamente chiamati ad esserne protagonisti.

Certo il testo di legge non continua in modo così evangelico e certo la fase di definizione del regolamento ministeriale non sarà una passeggiata. Schematicamente mi pare che si stiano confrontando due posizioni.

La prima parte dalla convinzione che la scuola non sia in grado di farcela e che debba essere esonerata dal farsi carico di quella fascia scolasticamente debole che già oggi si affaccia alla scuola dopo i 14 anni, ma da questa viene respinta. La risposta alla dispersione diventerebbe quindi l’attivazione di percorsi di istruzione paralleli e sostanzialmente estranei alla scuola chiamati a farsi carico dei ragazzi che la scuola non è in grado di intercettare.

La seconda posizione, e ci vuole poco a capire che è quella che condivido, assume invece l’inadeguatezza della scuola come la ragione per attivare quel processo di innovazione che il programma dell’Unione poneva come base della politica scolastica del governo; significa lanciare un segnale positivo di fiducia e di sostegno verso la scuola e al suo impegno di rinnovamento. Certo la sfida non si vince da soli: se la politica considererà sul serio l’istruzione come una voce d'investimento e non di spesa, se la città (come comunità e come istituzioni che la rendono possibile) valorizzerà la scuola in un ruolo attivo e specifico nel costruire  il sistema formativo sul territorio, allora la scuola potrà avere maggiori strumenti per affrontare e vincere la scommessa.

La sfida regge solo se si costruisce il respiro politico-culturale anche attraverso il coinvolgimento del mondo della cultura e la condivisione delle scuole e degli insegnanti (almeno della parte non marginale che regge da sempre le scuole).

Gli altri soggetti del sistema formativo allargato devono essere posti in grado di sostenere la scuola nel compito dell’innalzamento dell’istruzione. Senza diventarne alternativi/sostitutivi perchè corrisponderebbe ad un atto di sfiducia verso la scuola e ad una esplicita richiesta di non cambiamento.

Quanti anni si sono persi nell’inutile ricerca di scorciatoie, non perdiamone altri: serve avviare un processo di rinnovamento non marginale della scuola (come usare il sapere a fini formativi in modo da intercettare tutti e ciascuno dall'infanzia all'adolescenza) da paragonare a quello che ha segnato il grande sviluppo della educazione formale tra l'ottocento e il novecento (e che si è fermato alla scuola del tempo dell'infanzia). 

2)      L’ innalzamento dell’ obbligo è un dato storico. Tuttavia,  il nodo è il rapporto tra scolarità e livelli di apprendimento. Se non si presta attenzione ad entrambi, questa misura politicamente virtuosa potrebbe diventare un formula vuota . Che ne pensa? 

Sono d’accordo con la sua affermazione. L’obiettivo da raggiungere consiste proprio nel far coincidere l’innalzamento dell’istruzione a dieci anni con il miglioramento significativo e percepibile dei risultati di apprendimento per tutti e per ciascuno nella fascia 6-16 (all’interno del percorso 3-19).

Costruire nella scuola l’obbligo di istruzione per almeno dieci anni non si esaurisce nella norma istitutiva né nelle indicazioni ministeriali che dovranno essere definite: ha bisogno che si avvii un processo innovativo in grado di incidere sulla quotidianità del fare scuola che presuppone come pre-condizione l’assunzione, da parte della scuola, della intenzionalità di “prendersi in carico” l’istruzione di tutti e ciascuno fino a 16 anni e che deve impegnarsi (non certo da sola) nella ricerca-costruzione delle condizioni e delle pratiche coerenti con il compito.

È una opportunità per coinvolgere un grande numero di operatori scolastici (ma anche di genitori e cittadini, le comunità scientifiche, il mondo delle scienze della formazione, la ricerca, come è avvenuto in Francia con il documento Thélot sulla riforma della scuola e come, in particolare, era fruttuosamente avvenuto nel 1991 per gli orientamenti della scuola dell’infanzia) attorno al futuro progetto della scuola italiana, partendo da un’analisi realistica dello “stato dell’arte”, e per sostenere la costruzione di impianti curricolari che siano effettivamente alla portata di studenti ed insegnanti: un po’ più ambiziosi di ciò che già si fa normalmente a scuola, ma non troppo distanti dalle esperienze migliori, per dare il senso della praticabilità e sostenibilità delle nuove proposte.

Un’impresa corale da utilizzare anche per avviarne l’attuazione. Se il lavoro è in progress e fortemente partecipato è esso stesso momento di formazione, di incubazione di preparazione, di eventuale sperimentazione: un grande guadagno nelle necessarie fasi di implementazione.

La condivisione della prospettiva comprende anche la capacità di fare fronte ai rischi connessi con l’innalzamento dell’istruzione:  da un lato l’abbassamento dei livelli di apprendimento, dall’altro il mantenimento della dispersione scolastica.  

Operativamente possono essere attivate iniziative mirate a:

  1. sostenere la scuola  (nelle sue varie componenti) nell’assumere l’impegno consapevole di “PRENDERSI IN CARICO” effettivamente tutti/ciascuno fino a 16 anni e la società  nel contribuire affinché la scommessa si possa vincere
  2. sviluppare la ricerca e la pratica di soluzioni coerenti al compito: è un percorso da iniziare subito e da pensare con tappe da raggiungere e superare. Un percorso che sarà lungo e non facile ma proprio attraverso la dimensione processuale non impossibile. Coinvolge tutta la scuola e tutta la società
  3. sviluppare le potenzialità delle reti territoriali di scuole attorno ai temi dei percorsi formativi verticali, dell’orientamento, del potenziamento del sistema formativo allargato

3)      A suo parere, come si potrebbe affrontare la sfida di coniugare istruzione obbligatoria e   buona scuola, considerato che- come ci ha ricordato Mario Draghi  nella sua lectio magistralis-   è la buona istruzione  che incide sull’ efficienza delle imprese ?

Alla domanda che la scuola deve farsi “quale è il mio ruolo per lo sviluppo?”, penso debba corrispondere la risposta “diventare una buona scuola per tutti e per ciascuno”.

Proviamo allora a partire dai bisogni a cui cerca di rispondere l’elevamento dell’obbligo di istruzione e il coerente e significativo processo di innovazione che lo deve sorreggere.

Cosa si deve raggiungere attraverso la formazione?

Per i singoli, per i diversi gruppi sociali, per l’intera società serve sviluppare un sistema dell’educazione formale (in rapporto con quelli non-formale e informale) in grado di garantire a tutti e a ciascuno, quando si entra nella vita adulta:

1. il possesso, in modo profondo, persistente e al più alto livello di consapevolezza, di quegli strumenti culturali che permettano di leggere la realtà che ci circonda nelle sue svariate sfaccettature (competenze culturali). Una formazione culturale profonda, persistente e pervasiva in grado di permettere l’autonomia nel continuare a fruire per tutta la vita delle sollecitazioni culturali;

2. l’aver sviluppato e valorizzato le proprie competenze culturali in termini di competenze professionali da porre alla base della vita lavorativa.

Per i singoli, per i diversi gruppi sociali, per l’intera società serve garantire per tutto l’arco della vita adulta opportunità di formazione culturale e professionale adeguate ai bisogni che per ciascun cittadino verranno a definirsi.

L'elevamento dell'obbligo d'istruzione all'età dell'adolescenza non riguarda solo questa piccola fascia scolare, è l'obiettivo dell'intero ciclo da 3 ai 19 anni (e oltre).

L'elevamento dell'obbligo a 16 anni comincia dalla scuola dell'infanzia, rappresenta per la scuola media un fattore di riduzione dello stress per insegnanti e studenti e uno stimolo per lo sviluppo della formazione culturale per tutta la vita: non si deve pensare di giustapporre altri due anni a quelli esistenti ma all’opportunità di costruire un percorso curricolare coerente con le diverse età di cui almeno dieci anni sono obbligatori.

Essenziale è riuscire ad attivare le potenzialità positive dell’elevamento dell’obbligo che sostanzialmente sono contenute nella opportunità di “distendere” il curricolo della scuola secondaria: come sempre elevare l’obbligo comporta delle ricadute positive soprattutto sul segmento che precede quello neo-obbligato. Sarà la scuola media a percepire immediati vantaggi (come fu la scuola elementare negli anni sessanta)

Allora è improponibile non riordinare con la necessaria “leggerezza” il curricolo 3-19. Potendo operare sull’art. 8 ci capita l’occasione di dare coerenza ai livelli in verticale delle competenze fondamentali: è una opportunità che si presenta in modo naturale e che sarà difficile ritrovare in futuro. Si può pensare ragionevolmente che l’obbligo di istruzione di almeno 10 anni possa funzionare solo se migliora l’intero percorso e se si sviluppano la necessaria continuità/discontinuità tra le fasce scolari.

Il vero problema è coniugare leggerezza con incisività: quando si cambia è molto più importante studiare bene ciò che si mantiene e concentrare il cambiamento solo su ciò che effettivamente non funziona: confermare sostanzialmente il curricolo 3-6, intervenire in modo mirato nel 6-11, distendere il curricolo 11-16 trovando alcuni elementi di “scavalco” che permettano di liberare dallo stress la scuola media, maggiori interventi ma non devastanti e non forzati nell’impianto 14-16.  Ci sono modelli già praticati da utilizzare come base.

È una operazione difficile e delicata ma non eludibile. Va condotta conoscendo bene dove si trova la scuola e quali sono le prime tappe da indicare e da raggiungere: serve un processo che porti a pratiche realmente innovate ma che sia assunto da quella parte di scuola che è in grado di sostenerlo. 

Le competenze chiave per la cittadinanza (culturali, poche, condivise, non retoriche, non generiche) da raggiungere al termine del percorso sono il principale criterio con cui orientare il lavoro ma non possono essere scollegate con il progetto curricolare che le sorregge (indicazioni per il curricolo elaborate a livello nazionale e definizione del curricolo effettuato dalle scuole autonome).  Le competenze culturali fondamentali di cui la scuola può farsi carico (elementi fondanti le competenze-chiave) possono essere: competenza linguistica, competenza logico-matematica, competenza scientifica, competenza storico-civica.

4) Obbligo scolastico e formazione professionale : ritiene che tra i due percorsi debba esservi un rapporto?

Importante è il ridisegno del rapporto tra il sistema dell’istruzione e quello dell’istruzione e formazione professionale e conseguentemente tra lavoro delle scuole e quello delle agenzie formative. Sarebbe necessario collocare nella giusta misura di realtà il sovraccarico di attese e di equivoci che si è costruito in questi anni per sviluppare un reale processo di collaborazione centrato sulla condivisione di alcuni concetti e alcune scelte.

La prospettiva che va costruita deve basarsi sul valorizzare e riconoscere ai due sistemi le caratteristiche e le specificità che li rendono distinti e con compiti insostituibili da raggiungere: da un lato la formazione culturale da porre come base comune della cittadinanza e dall’altro la costruzione delle competenze professionali da porre come base per il lavoro nella società della conoscenza.

L’innovazione profonda e significativa dei due sottosistemi  va finalizzata a sviluppare le potenzialità proprie di ciascuno per superare la fase di confusione che ha segnato gli ultimi decenni, centrata sulla reciproca supplenza e alternatività. Un’Istruzione e un’Istruzione e Formazione Professionale mature e capaci di assumersi le proprie responsabilità formative hanno bisogno di interagire per garantire ai ragazzi che entrano nell’età adulta il bagaglio formativo necessario come cittadini e come lavoratori.

L’innalzamento dell’obbligo di istruzione rappresenta l’occasione per mettere in atto questo processo:

  1. Innovazione della scuola (dai piani di studio e indicazioni nazionali alla pratica curricolare delle scuole) dai tre ai 19 anni
  2. Innovazione del sistema della formazione professionale in grado di raccordarsi  con il sistema scolastico per i primi livelli di qualificazione professionale dopo i 16 anni
  3. Innovazione dei percorsi formativi successivi ai 18/19 anni (dall’IFTS alle occasioni di formazione per tutta la vita)

Diviene allora necessario e urgente che le politiche sulla formazione (a tutti i livelli) puntino a  ri-centrarsi: promuovere azioni significative sulla scuola affinché si faccia carico di intercettare tutti e ciascuno (dai 3 ai 16-19 anni)  e realizzare un sistema della IFP che si ponga l’obiettivo di diventare in grado di costruire le prime qualifiche in tempi molto contenuti dopo il biennio. 

(14 gennaio 2007)

 
 

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