Fanny Capel, docente di
lettere in un liceo francese, mette in discussione i luoghi comuni che, da
almeno un trentennio, costituiscono i
pivots intorno ai quali ruota la
scuola francese: il culto del
formalismo didattico (cioè la crescente insistenza sul come
insegnare rispetto al che cosa insegnare), la mitizzazione della
pluri-inter-multi-trans-disciplinarietà, la proliferazione anarchica dei
“prodotti culturali” e delle mille educazioni, infine l’indifferenza per la
trasmissione delle conoscenze e l’enfasi sulla comunicazione.
Questo impianto ha dato il
via ad una deriva alla quale andrebbe imputato il visibile aumento dell’analfabetismo o del
semi-analfabetismo delle nuove generazioni.
Prima di tutto bisogna
insegnare, ci avverte Fanny Capel, ed insegnare l’essenziale, cioè trasmettere
contenuti, senza i quali ogni educazione risulta impossibile.
I paesi che hanno
sperimentato la riforma berlingueriana
ante litteram
fanno dunque retromarcia (vedi, fra gli altri, il caso della Spagna che mette
ora fortemente in discussione il biennio unico).
Che sia il caso di entrare
in Europa, facendo tesoro anche degli insegnamenti che derivano dagli eventuali fallimenti?
Questo
l’articolo di Fanny Capel (traduzione libera da “Le Monde de l’éducation” del
mese di marzo 2001).
- Da circa trent’anni l’insegnamento cosiddetto “generale”
non ha smesso di allargare il ventaglio delle sue discipline e di diversificare
gli argomenti all’interno di esse: alla scuola primaria si privilegiano le
uscite e l’inglese, al collège
trionfa l’educazione alla cittadinanza, al liceo la linguistica, la semiologia
e - in francese - lo studio dell’immagine, per non parlare poi dell’arte e dell’informatica per
tutti...
Una scuola di questo tipo riesce ancora ad insegnare con
rigore e a sviluppare le capacità di ogni studente?
Non possiamo impedirci di stabilire una relazione fra
l’analfabetismo crescente e la drastica diminuzione, alla scuola primaria, delle ore dedicate alla lettura, alla
scrittura ed alla lingua francese a beneficio di altre attività. Un allievo
della prima classe dedicava, nel 1923,
18 ore alla settimana alla lettura ed alla scrittura, mentre oggi le ore
previste per lo stesso scopo sono soltanto 10.
Poiché il tempo da trascorrere a scuola non è dilatabile
all’infinito, è urgente che la scuola riprenda a concentrarsi sull’essenziale,
sia dal punto di vista del numero delle discipline che del loro contenuto.
L’insegnamento praticato adesso non si pone l’obiettivo di
educare, poiché non si può educare senza istruire. Ora, a scuola si stanno
moltiplicando le discipline fittizie, per non parlare delle varie “stampelle
educative” prive di contenuti autentici...
Non si può nemmeno
continuare a privilegiare il metodo a spese del contenuto. Assistiamo ad una
vera e propria deriva in questo senso: lavori incrociati, TPE, percorsi
diversificati: tanta energia preziosa sprecata per stabilire la trasversalità
fra le discipline o per “imparare ad imparare”, prima di aver imparato
abbastanza nelle singole discipline, poiché è ovvio che tutte queste attività
sottraggono tempo alla storia, al francese, alle lingue, ecc.
Inoltre bisognerebbe essere sicuri che le discipline
introdotte costituiscano un insegnamento vero e proprio, cioè una trasmissione
e non una comunicazione.
Ma purtroppo sappiamo che nella scuola primaria non ci sono che animatori e che in un liceo un
professore di francese deve improvvisarsi esperto di cinema.
Non si trasmettono più contenuti, ma “si comunica a
proposito di contenuti”.
Potrà essere una tautologia, ma l’insegnamento di base
deve prima di tutto fornire delle conoscenze che possano elevare l’allievo
(ancora una tautologia) all’universale.
Un sapere di questo tipo è tangibile nelle opere in seno
alle quali ogni civiltà può ritrovare qualche cosa di se stessa; si può trattare
di opere letterarie e di opere d’arte o di principi e dimostrazioni
matematiche.
Non si tratta di avviare la guerra fra le varie
discipline.
Si tratta di ricondurre l’insegnamento alle opere,
fornendo a tutti gli allievi i mezzi per comprenderle. Ora, non si può fare
proprio nulla senza fornire prima di tutto gli elementi base del sapere,
necessari alla costruzione di ogni sapere successivo.
Possiamo scommettere che un bambino che, fin dalle prime
classi, ha acquisito la padronanza della lingua materna e del calcolo, non ha
assolutamente bisogno, più tardi, del corso d’informatica per navigare in
Internet o del corso sul metodo per apprendere il rigore, la logica e lo
spirito di analisi e di sintesi che – lo sappiamo bene – si costruiscono
principalmente con il linguaggio grammaticale e/o matematico!
Ma, a partire dalla “Loi d’orientation” del 1989, si tende
a procedere nello stesso modo dalla scuola elementare al liceo, con il pretesto
pseudo-scientifico di una “continuità educativa”. Di conseguenza, per risolvere
il problema di una scuola che si disperde, non bisogna ragionare in termini di
“sgrassatura”, come se all’origine del tutto non ci fossero che preoccupazioni
economiche e amministrative.
Bisogna porre nuovamente le condizioni per un autentico
insegnamento di base, cosa che comporta, da un lato, una progressione
cronologica nelle discipline – dalla scuola elementare alla scuola secondaria –
e, dall’altro, una base rigorosa di discipline scolastiche, che devono
trasmettere dei contenuti universali.
Di fronte al continuo aumento delle conoscenze, di fronte
al relativismo culturale (non ci sono saperi inferiori ad altri come non c’è
una cultura inferiore ad un’altra) la scuola non deve lasciarsi stordire dalla
spirale del mondo moderno, che fatalmente non potrà seguire.
Si tratta semplicemente di liberarsi di tutto ciò che
inutilmente pesa sul tempo scolastico e di dare finalmente il giusto posto a discipline ingiustamente disprezzate
e tuttavia essenziali, quali, ad esempio, l’educazione artistica.
a cura di Se.G.