IL RIORDINO DEI CICLI SCOLASTICI

La legge di Riordino dei Cicli scolastici, approvata il 2 febbraio 2000, offre un’architettura scarna, che si esaurisce in sei articoli, che sostanzialmente sanciscono la fine della Scuola media, assorbita dalla Scuola di Base e riducono di un anno il percorso d’istruzione che conduce alla acquisizione di un diploma di Scuola superiore.

Il percorso prevede, dopo la Scuola di base di 7 anni, la Scuola secondaria di 5 anni, di cui i primi due completano la scolarità obbligatoria, mentre il triennio successivo costituisce il segmento superiore in cui la suddivisione in aree (classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistico e musicale), già presente fin dall’inizio della scuola secondaria, assume una connotazione più marcata.

La Scuola dell’infanzia, che in un primo progetto entrava a far parte del percorso dell’istruzione obbligatorio, permane, come alla stato attuale, al di fuori di esso.

Si configura, accanto all’obbligo scolastico, l’obbligo formativo fino al 18 anno di età.

Il vuoto apparente della legge non deve trarci in inganno. Dietro il vuoto apparente si legge un progetto ben preciso e si celano precisi postulati.

Non è nostro intento qui ripercorrere le fasi storiche che hanno condotto a questo tipo di elaborazione legislativa, quello che ci interessa è metterne in luce gli elementi caratterizzanti.

 

- Un postulato pedagogico: Il modello della scuola student-centred

 

Il concetto della bontà di una scuola student-centred pervade l’intero progetto di riordino. Che cosa si intende per scuola student-centred? Si intende il fatto che sia il discente a stabilire i bisogni, a determinare i ritmi dell’apprendimento, a enunciare le priorità, a stabilire le variazioni di rotta, ecc. Tutto ciò, oltre ad aprire la porta ad una miriade di attività estranee all’insegnamento, delinea un universo scolastico, in cui parte di ciò che rientrava fra le competenze dei docenti passa ai discenti configurandosi come un diritto. A corollario di tutti i diritti si pone il diritto principe per antonomasia, costituito dal successo formativo.

Che dire di tutto questo? E’ Inutile soffermarsi sull’ equivoco che confonde la reale centralità dello studente nel processo educativo con l’opportunità di attribuirgli dei diritti che non afferiscono al suo ruolo. E’ Inutile soffermarsi sulla confusione fra il diritto vero - quello allo studio - ed il diritto fittizio: quello al diploma.

Il paradigma pedagogico che distrugge le basi etiche della meritocrazia, basata sul principio dell’achievement (capacità + sforzo) per instaurare un egualitarismo garantista (che cancella ogni meccanismo di selezione), viene ora largamente messo in discussione proprio nei paesi, sul cui modello si basa la legge di riordino. Il ministro conservatore George Walden, nel suo libro We should know better scriveva: " The idea that every child can advance at his or her pace by informal, non competitive techiniques that favour spontaneity over effort is a beutiful dream which, lodged in impressionable minds and given scientific status, becomes unconscious dogma. In reality, it leads to overstressed teachers, low inspirations for the gifted and ungifted alike, bored or disaffected pupils and an enormous waste of time and money. The contrast with the private sector neeeds little emphasis" (vedi nota). In un recente intervento al notiziario di Canale 4, Tony Blair ha messo a sua volta in rilievo la disparità di risultati fra le scuole pubbliche inglesi e le scuole private, dovuta principalmente al fatto che le scuole pubbliche sono quelle in cui da anni regna l’ossessione dell’egualitarismo ed impera il modello student-centred, quelle da cui viene bandito ogni sforzo ed ogni competitività (The Guardian, marzo 2000)

 

- Un postulato culturale: l’intelligenza formale

 

 

Le moderne economie di mercato sembrano richiedere individui in grado di agire in modo appropriato nelle più svariate circostanze. Ciò conduce ad una specifica forma di abilità, intesa come l’astratta capacità di risolvere problemi. Questo postulato, desunto dal mondo dell’economia e trasportato all’interno della scuola, conduce all’adozione del "formalismo educativo", che pone l’accento sui processi e sulle abilità piuttosto che sui contenuti.

L’adozione di questo postulato, che offre un fondamento teorico al forte alleggerimento dei contenuti previsto, dà inoltre maggiori possibilità di assicurare il successo formativo, con esiti positivi sui dati relativi alla dispersione scolastica. nel nostro paese.

L’adozione del "formalismo educativo" risucchia inevitabilmente nel vuoto le discipline ed i contenuti specifici ad esse connesse.

Tutto ciò ha forti conseguenze non solo sul livello qualitativo della scuola, ma anche sul profilo professionale del docente, a cui sempre meno già da ora si richiede una preparazione specialistica specifica ( ne sono prova le abilitazioni conseguite con un semplicissimo corso ). Il docente tuttologo buono dai sei ai tredici anni appare perfettamente funzionale ad una scuola che impartisce generiche abilità ed ad un programma di riforma al segno del risparmio quale è quella che si vuole realizzare.

E’ inutile dire che anche qui ci troviamo di fronte ad un postulato - quello che il puntare sulle abilità permetta di acquisirle egregiamente - che è già stato in America ampiamente smentito da più parti (vedi a questo proposito l’ottimo studio di E.D. Irsch, The Schools We Need. And Why We Don’t Have Them, ovvero Le scuole di cui abbiamo bisogno e perchè non le abbiamo, recensito da A. Martini nel secondo numero di Punti Critici, rivista quadrimestrale pubblicata da Hortus Conclusus)

 

Un postulato "economico": la flessibilità.

 

Tutta la legge di riordino è impostata in modo tale da garantire il massimo di flessibilità. Ad essa è funzionale l’organizzazione in moduli, cioè in segmenti compiuti spendibili in diverse aree o indirizzi del percorso d’istruzione o del percorso di formazione.

Ad essa è molto probabilmente funzionale anche la contrazione in due cicli, che non presenta alcuna seria motivazione pedagogica. Si tratta di una scelta in netta controtendenza (in Europa prevale il modello dei tre cicli, fatta eccezione per la Svezia, la Danimarca e l’Irlanda), che, oltre a contribuire alla riduzione dei meccanismi selettivi, non tiene conto che le età della vita nella fase evolutiva sono tre (prof. Corradini, Corriere della sera del 23 settembre 1999).

La flessibilità rientra nel modello student-centred, poiché si configura come diritto per lo studente di programmare, modificare percorsi costruiti sulla base di personali bisogni ed inclinazioni. Ci sarebbe ben poco da dire in questo campo se la responsabilità relativa alle scelte chiamasse almeno in parte in causa lo studente stesso, come avviene nella scuola tedesca, che prevede infinite possibilità di passaggio da una scuola all’altra previo superamento di prove d’esame.

Nel nostro caso la flessibilità chiama in causa il sistema educativo ed i docenti in primis, scaricando su loro tutto il sistema della integrazione e dei recuperi. Per questo verso rischia di essere estremamente pesante per la componente docente e dannosa per la componente degli studenti. Una flessibilità in cui lo studente non porti il "peso" delle scelte rischia infatti di diventare diseducativa, spostando ulteriormente in avanti nel tempo la fuoriuscita dall’adolescenza.

La flessibilità dei docenti non poggia su alcuna giustificazione culturale, ma appare banalmente funzionale al modello di scuola deconcettualizzata, in cui i problemi economici legati all’utilizzo del personale hanno la meglio sulla istanza qualitativa.

 

- Un postulato modernista: il trionfo dell’intelligenza simultanea.

 

Una delle accuse che più frequentemente viene rivolta alla legge è di essere una scatola vuota, cioè un contenitore in cui mancano i saperi. Ciò è vero solo in parte.

Se manca una definizione dei saperi (cosa di cui ci si sta ora occupando) non manca però l’enfasi su alcuni nuovi saperi.

Nella relazione tenuta il 28 marzo alla Commissione Cultura, il Ministro Berlinguer ha fatto alcune affermazioni rivelatrici. Parlando del grosso nodo della Scuola di base e della necessità di attuare in essa un graduale passaggio dagli ambiti disciplinari alle discipline vere e proprie, ha precisato che va previsto in questo percorso l’avvio di processi prettamente disciplinari relativi fra gli altri all’informatica. L’informatica acquisisce dunque la valenza di una disciplina mentre altre discipline più prettamente formative sbiadiscono all’interno di non ben definite aree. Da questo si rileva che il processo di "de-alfabetizzazione" (cioè la graduale perdita della capacità di lettura alfabetica, cioè della capacità di leggere testi scritti) che sembra essere connaturato alla nostra società (vedi a questo proposito Raffaele Simone, La terza fase, edito da Laterza), lungi dall’essere paventato come impoverimento, viene assunto come dato costitutivo della modernità. Questa ipotesi risulta altresì avvalorata dalla continua insistenza del Ministro sull’importanza della multi-medialità.

 

- Conclusioni

 

Risulta estremamente difficile non intravvedere in questa legge numerosi elementi di pericolosità. Essa non appare priva di motivazioni, come qualcuno ha avanzato, ma al contrario ricca di motivazioni, che risultano però estranee all’interesse della scuola ed in ultima analisi al bene della società civile.

L’ipotesi di fissare dei paletti a salvaguardia della qualità dell’insegnamento e della professionalità docente si scontra con una concezione globale che, avendo assunto in toto la logica aziendalista e burocratica, riduce di fatto la scuola ad una non-scuola.

 

Contro la nuova realtà che essa configura, molti docenti ritengono che possa essere ipotizzata una iniziativa di REFERENDUM POPOLARE, che apra un ampio dibattito ed aggreghi le forze vitali del paese al di là di ogni connotazione politica o sindacale.

 

Serafina Gnech

Centro Studi della Gilda 6/5/00