Riordino dei Cicli scolastici: uno sguardo allItalia e allEuropa.
Il 22 Settembre 1999, la Camera dei Deputati ha approvato il d. d. l. che ridisegna tutto il Sistema scolastico italiano.Quel testo , che probabilmente verrá confermato con poche novitá dalle votazioni del Senato, conclude un cammino tormentato, a tratti anche aspramente polemico, che era cominciato nel Giugno del 1997, quando il Governo aveva presentato al Parlamento il primo D.D.L. recante " Legge quadro in materia di riordino dei cicli dellistruzione ", con una circostanziata relazione sulle motivazioni ideologiche, politiche e culturali che avevano condotto a questa svolta, da tempo attesa e auspicata.
Quelle spiegazioni erano giá state ampiamente e ampollosamente dichiarate nella "Proposta articolata di riordino dei cicli", attraverso la quale il Ministro, sei mesi prima, aveva comunicato alla opinione pubblica il suo intento di modificare radicalmente il sistema scolastico italiano, che risaliva, nellimpianto, alla riforma Gentile (1923), alla riforma Bottai (1940), alla riforma della scuola media unica del 1962.
Quasi contemporaneamente a questa Proposta, veniva istituita, dallo stesso Ministro, una Commissione di 44 "Saggi" con il compito, si diceva, "di individuare le conoscenze fondamentali su cui si baserà lapprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni" (D.M. n. 50 del 21 / 1/ 97 e D.M. del 5/ 2/ 97).
Sia il documento che la Commissione avevano provocato, come è inevitabile, discussioni, polemiche, ma anche consensi, ampiamente riportati dalla stampa, che erano poi confluiti nella stesura di quel D.D.L, presentato con molteplici motivazioni che possono essere riassunte nei seguenti principi guida:
più adeguato a rispondere alle complessive esigenze della formazione delle nuove generazioni,
che contemplasse, necessariamente, ladeguamento dellobbligo di scolarità ai livelli europei;
costruzione della "casa comune dellistruzione per la nuova Europa".
Quella relazione, che resta un punto di riferimento fondamentale per unanalisi complessiva della nuova Legge, dopo aver precisato opportunamente che il disegno di legge costituiva solo una parte delle risposte alle globali esigenze di riforma della scuola ( avendo essa altri capisaldi, quali : la riforma autonomistica della scuola, la riforma dei programmi di insegnamento e la realizzazione di un sistema pubblico integrato di istruzione ) entrava, infine, anche nel merito di alcune idee portanti, relative ai contenuti e ai metodi dei nuovi "saperi " espressi dalla relazione dei 44 "Saggi", presentata il 13 Maggio 1997.
Il disegno di legge, appena approvato alla Camera, è notevolmente cambiato rispetto al primo, non solo nella forma (ai 17 articoli ne corrispondono oggi solo cinque), ma anche nella sostanza dellarticolazione: al modulo 6+ 6 viene sostituito un modulo di 7 ( anni di scuola primaria) + 5
( anni di scuola secondaria).
Ma, prima di entrare nel merito di unanalisi critica del modello, è necessario approfondire le motivazioni che reggono tutto quellimpianto.
Vediamo dunque perché e se il modello attuale sia inadeguato alle nuove esigenze, e se questo nuovo modello si avvicini a quello europeo, in sintesi dunque attraverso i due assi dellanalisi diacronica e sincronica tenteremo una panoramica conoscitiva dei sistemi di istruzione.
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Preliminarmente, è necessario ricordare che gli attuali sistemi pubblici di insegnamento sono il prodotto dellintervento nellorganizzazione dellistruzione da parte dei governi degli Stati europei, avviato a partire dai secoli XVIII e XIX, intervento che avrebbe portato alla sostituzione dellautorità ecclesiastica, che in questo settore aveva svolto un ruolo quasi monopolistico, con lautorità pubblica.
I tempi e le modalità dintervento dei governi hanno, però, assunto caratteri differenti nelle specifiche realtà nazionali, soprattutto in seguito ai rapporti più o meno cooperativi tra le élite politiche del centro statale e le chiese nazionali.
A questo proposito sono stati individuati due percorsi alternativi nella formazione dei sistemi pubblici di insegnamento, esemplificati nei due, opposti, casi della Francia e della Gran Bretagna.
Il primo, che fa riferimento al caso francese, è detto di "restrizione" e comporta lattacco coercitivo delle autorità pubbliche centrali al precedente monopolio ecclesiastico, nonché la conseguente sostituzione delle strutture educative proprie delle autorità religiose con strutture pubbliche.
Il secondo, che si riferisce al caso britannico, è detto di "sostituzione" e prevede, invece, la progressiva creazione di istituzioni educative al di fuori di quelle della chiesa ufficiale e il successivo coordinamento delle diverse reti educative cosi formatesi, da parte dello Stato.
Il primo percorso ha condotto alla creazione di sistemi centralizzati di amministrazione dellinsegnamento, il secondo ha invece portato allo sviluppo di sistemi decentrati.
Nei primi decenni dellOttocento, dunque, la borghesia continentale è impegnata a migliorare in ogni modo, anche con coerenti provvedimenti legislativi, le condizioni dellistruzione, con lobiettivo di scolarizzare i ceti fino ad allora esclusi, ma anche con lintento di mantenere un percorso élitario di istruzione secondaria in grado di fornire unistruzione successiva al livello elementare.
Anche lItalia, o meglio il Regno Sabaudo, partecipò a questo processo con alcune caratteristiche legate alle specifiche condizioni politiche. La legge Casati del 1859, la più organica delle leggi italiane in fatto di istruzione pubblica, fu impostata in un sistema centralistico che, con poche varianti, ha retto fino ai nostri giorni, e con un indirizzo prevalentemente classico (le scuole tecniche e quelle professionali rimasero scuole di seconda scelta).
Entrambe quelle caratteristiche suscitarono tenaci polemiche da parte di Carlo Cattaneo e del gruppo del "Politecnico", i quali avrebbero voluto più istruzione tecnico scientifica e meno licei classici, ma soprattutto un chiaro indirizzo autonomistico, nellintento di realizzare una cosciente partecipazione popolare agli interessi civili e patriottici del paese (cfr.la Relazione sulla riforma dellistruzione in Lombardia,di Carlo Cattaneo, 1848).
Ma, quella legge e quel sistema, rappresentando "fedelmente i timori e le angustie, come gli ideali e le speranze"( G.Talamo, La scuola dalla legge Casati alla inchiesta del 1864, Giuffré, pag.22) di quella classe dirigente che aveva unificato lItalia , avevano inteso dare alla cultura il carattere di elargizione ad un popolo, sostanzialmente distaccato dalla vicenda risorgimentale, per forgiarlo sulle aspirazioni dei gruppi dirigenti.( D. Bertoni Jovine, I periodici popolari nel Risorgimento,2 voll, Feltrinelli).
La Riforma Gentile del 1923, nel merito della quale entreremo solo rispetto a quelle costanti che permangono anche nei sistemi scolastici diversi e successivi, non modificó sostanzialmente la precedente tendenza .
Mutò la struttura della scuola primaria, ripartendola in grado preparatorio ( scuola materna non obbligatoria) , grado inferiore ( dalla I alla III classe), grado superiore ( IV e V classe) e corso integrativo post elementare ( dalla VI allVIII classe) senza sbocchi ulteriori, estendendo lobbligo fino ai 14 anni, secondo le direttive dellaccordo di Washington; fece del liceo classico il centro della riforma, accentuandone il carattere di scuola privilegiata e selettiva, poiché predisponeva a tutte le facoltà universitarie, mentre il liceo scientifico preparava alle facoltà universitarie, escluse quelle umanistiche ,e gli istituti tecnici dovevano, invece, preparare alle professioni pratiche .
In sintesi, dunque , venne conservato il percorso élitario dellistruzione secondaria, e la tripartizione degli studi secondari ( tecnici, accademici, e senza sbocco universitario).
Le due riforma di Bottai del 1940 e quella della scuola media del 1962 completarono la fisionomia del sistema scolastico italiano.
La prima istituì la scuola media , mediante lunificazione dei corsi inferiori del ginnasio, dellistituto magistrale e dellistituto tecnico; accanto a questa, tuttavia, rimase la scuola di avviamento professionale, che aveva come sbocco unico i corsi di avviamento professionale.
La seconda riformò radicalmente linsegnamento secondario inferiore rendendolo pressoché unitario ( con lopzione tra il latino e leducazione tecnica) in notevole anticipo rispetto ad analoghe riforme di altri paesi europei.
Se dunque , a fronte di quelle riforme dellinsegnamento secondario inferiore, è mancata in Italia una riforma generale dellinsegnamento secondario superiore, purtuttavia la scuola italiana ha subito radicali trasformazioni attraverso modifiche alle vigenti norme legislative introdotte per via amministrativa e quindi fuori dal controllo parlamentare. Circostanza, questa, che ha caratterizzato dalle origini la storia della istruzione pubblica italiana.
In particolare, intendiamo citare qui la legge n. 910 del 11/ 12/ 1969, che ha liberalizzato laccesso alle facoltà universitarie, rendendolo indipendente dal tipo di studi seguiti ed ha nei fatti eliminato la specializzazione degli studi secondari e la Legge n. 352/ 95 - che ha reso definitivo il sistema inaugurato dal Ministro DOnofrio con il D.L. n 523 del 29 Agosto 94 di abolizione degli esami di riparazione della sessione autunnale delle scuole medie di secondo grado- con la quale si è attuata una concreta "ammissivitá" totale che , in un contesto così liberalizzante, diventa assenza di ogni forma di orientamento.
La fisionomia del sistema scolastico italiano, che si propone allosservazione contrastiva del nuovo Ordinamento, presenta tuttora queste caratteristiche:
Una scuola , perciò, indifferenziata ed egualitaria.
Ma, se lobiettivo del Ministro e della parte politica che lo sostiene consiste, come abbiamo visto , nellavvicinarsi allEuropa , per la costruzione della "casa comune europea", occorre a questo punto gettare lo sguardo agli altri sistemi europei.
Oggi, questi sono il risultato, essenzialmente, di due ondate di riforme: la prima riguarda il quindicennio che ha inizio nei primi anni sessanta ( fino alla crisi petrolifera del 1973), la seconda si sviluppa a partire dagli anni ottanta e prosegue fino agli anni novanta.
La prima ondata fu caratterizzata da espansione economica e dallallargamento del welfare state, e quindi dallaumento della spesa pubblica nel settore dellistruzione, nonché dallo sviluppo delle cosiddette "retoriche educazionali" (L. Benadusi, Italia.Una riforma bloccata, in La non decisione politica, La Nuova Italia), intese a realizzare leguaglianza delle opportunità educative in un contesto di scolarizzazione di massa, che eliminasse i condizionamenti sociali sul percorso e sul successo scolastico degli studenti.
Le riforme attuate dai governi europei in quegli anni quindi vanno nella direzione del superamento della tradizionale tripartizione degli studi secondari in scuole accademiche, tecniche e generali ( scuole post primarie senza sbocco) , nellinnalzamento del limite della scuola dellobbligo [ al sedicesimo anno di età o anche il diciottesimo ( Germania e Belgio)], e nella definizione della scuola primaria che giunge definitivamente ad assumere il ruolo di scuola elementare, intesa come primo grado degli studi, unico per tutti e obbligatorio.
Tuttavia, le linee di intervento non furono omogenee, ma seguirono tre diverse linee di riforma.
Alcuni Paesi non apportarono sostanziali modifiche alla tripartizione tradizionale tra scuole classiche, tecniche e generali, ma mantennero un sistema di precoce selezione ( undici anni): Germania, Svizzera, Lussemburgo e Austria.
Altri, che, pur avendo apportato mutamenti , non sono giunti alla creazione di una scuola unitaria, ma hanno conservato diversi indirizzi allinterno della stessa struttura scolastica e che hanno collocato la formazione professionale vera e propria alle fine dellobbligo scolastico.( Belgio e Olanda).
Infine, quei paesi che hanno dato vita ad una scuola unitaria al livello secondario inferiore ( Svezia, Francia, Spagna, Gran Bretagna, Italia , Danimarca).
Svezia e Germania rappresentano le due esperienze più diverse relativamente a questa fase di politiche di integrazione.
La prima ha realizzato un modello di scuola unica di base di nove anni, dai 7 ai 16 anni, obbligatoria, seguita da una scuola secondaria unitaria ma articolata, al suo interno, in un numero molto elevato di indirizzi. I risultati raggiunti da questo trentennale processo di riforma sono stati ampissimi, tanto da far nascere negli studiosi interrogativi sui motivi che hanno permesso tale esito.
Secondo Marklund si è trattato di tre progressismi: quello sociopolitico dei governi socialdemocratici, quello pedagogico degli ambienti educativi e, infine, quello amministrativo, proprio del settore burocratico aperto e disponibile al cambiamento ( Rescalli, Il cambiamento nei sistemi educativi.Processi di riforma e modelli europei a confronti, La Nuova Italia, pag.60- 61).
La Germania, invece, ha mantenuto alcune caratteristiche del sistema proprio del XIX secolo e si distingue, nel generale panorama europeo, per due requisiti: lelevata selettività dellorganizzazione degli studi e la centralità dellinsegnamento professionale ed in particolare del cosiddetto "sistema duale".
Dopo i quattro anni del ciclo elementare , gli scolari vengono selezionati per essere inseriti nei tre differenti percorsi della scuola secondaria: il Gymnasium, della durata di nove anni, costituisce lunica via per raggiungere linsegnamento universitario; la Realschule fornisce una preparazione tecnico- scientifica che permette laccesso alla formazione tecnica o professionale superiore ; la Hauptschule , il percorso meno prestigioso, fornisce la base dei corsi di formazione professionale.
Laltro requisito è il cosiddetto "sistema duale" per il quale la formazione professionale ( ampiamente articolata , e organizzata con cura ed attenzione) è suddivisa tra insegnamento teorico, offerto in una scuola professionale, e apprendistato da svolgersi in una impresa sulla base di un contratto stipulato tra questultima e lo studente. Questa particolare organizzazione degli studi ha permesso lelevamento dellobbligo scolastico, fin dal 1955, al diciottesimo anno di età.
La seconda ondata di intervento nei sistemi scolastici, tra gli anni ottanta e novanta, è seguita al periodo di "rallentamento"delle politiche scolastiche nel periodo precedente, durante il quale la fiducia nella possibilità delleducazione di contribuire alla crescita economica e ad una maggiore equità sociale aveva lasciato il posto alla disillusione e al pessimismo.
In questa ripresa , assistiamo ad una riproposizione della teoria del "capitale umano" ( che abbiamo visto enunciata anche nella relazione del Ministro ), gli investimenti per il quale sono considerati, a loro volta, investimenti a favore dello sviluppo economico, ma anche ad una forza ed ad una urgenza nuove con le quali il cambiamento nel settore educativo è sostenuto a livello politico, per rispondere ai nuovi imperativi economici ( la crescente interdipendenza tra i paesi e la competizione in una economia globale).
In questa fase, le politiche educative dei Paesi europei rivolgono una crescente attenzione sia alla sviluppo e alla diversificazione dellofferta formativa nella fascia post-obbligatoria, sia alla riorganizzazione e allo sviluppo dellinsegnamento professionale, che diviene , insieme allinsegnamento tecnico, la via dellistruzione predominante in Europa.
Si possono identificare tre modalità attraverso le quali viene perseguita una più ampia scolarizzazione post- obbligatoria:
Questa fase di politica scolastica non ha però realizzato sostanziali modifiche alla struttura portante degli ordinamenti scolastici, mentre ha inciso sulle strutture decisionali delle istituzioni educative, con diversi progetti di riforma volti sia al decentramento organizzativo, sia al riconoscimento di nuovi spazi di autonomia alle scuole.
Naturalmente, come è noto, a questa fase lItalia ha partecipato non con interventi strutturali, ma con modificazioni nellambito dei programmi e con interventi "tampone".
A questo punto è possibile tracciare uno schema comune ai sistemi europei di istruzione, sulla base di alcune coordinate:
LOlanda , che presenta formalmente due soli cicli , ha , dal 1958, una scuola secondaria post-elementare, unitaria nella struttura verticale, ma separata negli indirizzi.
Lunico Stato, che ha un modello di scuola di base uguale per tutti che si protrae per nove anni, è la Svezia, i cui successi , tuttavia, dipendono da quelle tre condizioni, che sembrano assai lontane dalla nostra realtà italiana;
In forme diverse, i sistemi scolastici indirizzano gli studenti verso listruzione secondaria superiore che è suddivisa in aree, separate rispetto agli sbocchi di proseguimento degli studi;
meno allistruzione universitaria;
Da questi dati si può partire per indicare unanalisi comparativa della nuova Legge , in rapporto alla situazione europea e alla situazione italiana attuale.
In sintesi, la nuova Legge :
Poi definisce un ciclo secondario di 5 anni, articolato in varie aree, con lobiettivo di "arricchire
la formazione culturale, umana e civile degli studenti", allinterno del quale è possibile, nel
primo biennio , passare da un modulo allaltro, e nel terzo biennio effettuare "esercitazioni
pratiche, esperienze lavorative con inserimento nelle realtà culturali, produttive , professionali
e dei servizi". Al termine di questo ciclo , gli studenti sostengono un esame di Stato.
Rispetto alla situazione scolastica italiana attuale, la Legge interviene: 1) unendo la scuola primaria con quella secondaria di primo grado , 2) ridefinendo gli indirizzi del Ciclo secondario, in cinque aree e trasformando gli attuali istituti di istruzione secondaria in "licei", 3) istituendo un obbligo scolastico a 16 anni ed un obbligo formativo a 18.
Nulla muta nella direzione di una prescrizione differenziata dei percorsi, affidata alla Scuola, né rispetto agli sbocchi universitari , coerenti con gli studi seguiti
In confronto al panorama europeo, alla famosa "casa comune", non vi è traccia dei percorsi secondari diversificati, in tutti i sistemi , in base al proseguimento universitario o alla formazione tecnica o a quella professionale; né della suddivisione tra unistruzione primaria e unistruzione secondaria di due livelli.
Quale analisi critica è possibile tracciare?.
Vi è una prima, obbligata, riflessione in merito allutilizzazione del personale docente: quando, in un futuro prossimo, anche gli insegnanti della scuola primaria saranno forniti di laurea, non si potrà comunque immaginare uno scorrimento radicale dalla prima alla settima classe, perché i titoli accademici sono orientati a professionalità diverse .
La seconda categoria di riflessione si differenzia in rapporto alla funzione che si intende attribuire alla scuola : se si ritiene che essa si esaurisca nella semplice impartizione di nozioni, semplici o complesse che siano (Cassese- Mura, Commento agli articoli 33-34, in Commentario della Costituzione, p.248 ) o se presenti anche un carattere educativo, tendendo in definitiva alla formazione delle giovani generazioni ( Crisafulli, La scuola nella Costituzione, pag. 70).
Nel primo caso, dunque, nulla opponendo ad una Legge Quadro che il Parlamento, nella sua sovranità , ha plasmato secondo certe visioni politico- culturali, si dovrebbe esclusivamente indicare ai docenti un adeguamento della tipologia del proprio insegnamento secondo , ci par di capire, modelli di semplificazione.
Diverso è invece il caso in cui si intenda attribuire alla scuola, agli insegnanti, un ruolo formativo.
Ebbene, le considerazioni del singolo o delle Associazioni avranno agio di spaziare, quando in questo contesto di autonomia piú "octroyée" che costruita con lapporto vero dellintelligenza delle persone, gli istituti scolastici definiranno le articolazioni della scuola di base a norma del regolamento emanato l8 Marzo 1999. Allora forse si vedrá che essi, ben lontani dallattuare un "autogoverno", applicheranno i modelli di "socializzazione", cosí cari ai disegni ministeriali , che non saranno imposti attraverso le leggi, ma saranno diffusi attraverso canali "culturali", e daranno lillusione, a chi non sia particolarmente accorto, che si tratti di scelte autonome e, ancora, si assisterá allenfatizzazione della dimensione extrascolastica quando si ragionerá sui moduli, anzi sui "progetti" da attuare, nella secondaria, nelle realtà "culturali, professionali, produttive".
Corollario di quella funzione formativa della Scuola é la libertà dinsegnamento, intesa come "trasmissione di cultura ", come "contributo alla elaborazione di essa " che impone la libera espressione culturale del docente (cfr. Daniele, La pubblica istruzione,p.782; De Simone, Sistema del diritto scolastico italiano, Milano 1973, ed anche lart. 3 del D.P.R. 417/74 ) e che si esplica nella sua pienezza e nella sua autorevolezza non tanto nellambito dellingegneria degli schemi , quanto in quello sostanziale dei contenuti, tracciati nel documento del 13 Maggio del 97 , elaborato dai famosi "Saggi".
Quegli esperti avrebbero dovuto identificare le conoscenze fondamentali, elaborando le linee guida del futuro della conoscenza, ma il loro documento sui "saperi", sconfessato dalla maggior parte dei suoi componenti, è attualmente lettera morta, mentre il Ministero ha istituito nuovi gruppi di lavoro sulle singole discipline sui cui risultati non possiamo, ovviamente, ancora pronunciarci.
Tuttavia, possiamo, attraverso la critica alla modalitá di procedura seguita, segnalare sconsigliabili errori.
Quei "saggi", come è noto, non si comportarono come tali.
Elaborarono nuove veritá epistemologiche, non proposero le loro conclusioni nel libero dibattito della comunitá scientifica ( i veri saggi, viceversa, sono consapevoli di muoversi nel terreno argomentativo, nel quale, come è noto, non è in discussione il vero"universale", ma il vero "per lo più"), dichiararono le loro nuove epistemologie le uniche veritá interpretative, malgrado le varie comunità scientifiche avessero espresso autorevoli e sensate critiche .
Infatti: 1) sostituirono le "discipline, a piacere, con i "nuovi saperi", o con i "nuclei fondanti"; 2) dichiararono che nella scuola (e non nei testi del Readers Digest) la conoscenza della cultura classica non avesse bisogno del veicolo delle lingue e che lapprendimento della lingua materna dovesse avvenire su testi funzionali (e non per esempio disinteressati , caratteristica propria della cultura); 3) sostennero l esistenza di un apprendimento "veicolare" delle lingue straniere ;
4) indicarono, infine, perentoriamente, per la storia, una sommaria fisionomia relativa "ai tanti tempi delle logiche che si esaminano", in sostituzione della storia politica.
In piú, si intrattennero sui metodi e sulle tecniche dellinsegnamento delle materie.
Se i nuovi esperti si comporteranno nello stesso apodittico modo, ci sará il giustificato timore che nuovi fondamenti, nuove metodologie vengano tradotte, letteralmente, in nuovi programmi, dai burocrati ministeriali, poco abituati ai codici di discussione del dibattito culturale.
Se ciò dovesse avvenire, i docenti si troverebbero a svolgere programmi già prederminati in senso epistemologico e in direzione obbligata di certi metodi e di certe tecniche.
In quel momento si aprirà un ambito, a mio parere, inquietante.
Infatti, la "libertà di insegnamento"( art. 33 della Costituzione) rientra con alcuni limiti nella "libertà di pensiero"( art. 21) , ed è intesa come "libertà da"e "libertá di".
Nella prima accezione, è intesa come "libertà da pressioni o intromissioni da parte di altri soggetti", in primo luogo lo Stato, ma più concretamente le autorità scolastiche.
Tale libertà si sostanzia nella possibilità, per linsegnante, di esercitare la sua funzione in conformità alle proprie convinzioni in ordine alle discipline che insegna, senza essere condizionato né da una verità ufficiale alla quale adeguarsi, né da una dottrina, elaborata in altra sede e elevata a dogma, da riferire agli studenti.
In questo senso, il 1° comma dellart. 33 della Costituzione viene visto come volto a salvaguardare il docente dalla possibilità che lo Stato gli imponga una "dottrina ufficiale" da trasmettere ai discenti. Si tratta di un punto particolarmente sottolineato dagli studiosi, anche sulla scia di quanto emerso nel corso del dibattito in sede di Assemblea Costituente (cfr. Atti Assemblea Costituente, vol. IV, p. 3146 e SS.)
In assenza (voluta) di una scienza e di una coscienza di Stato, la libertà di insegnamento mira a garantire la libertà del docente, per se stesso, come libertà di manifestare il proprio "sapere" nella scuola.
La predisposizione ministeriale dei programmi di insegnamento per i vari ordini di scuola tocca soltanto laspetto oggettivo dellinsegnamento e non quello qualitativo relativo alle concrete modalità con cui linsegnante svolgerà i programmi (cfr. Caretti-De Siervo, Istituzioni di Diritto Pubblico, p. 570).
Allora, di fronte alla sostituzione delle discipline "storiche", con i nuovi ipotetici "saperi" di opinabile costituzione, come potrà e dovrà reagire il docente? Quale rapporto potrà egli instaurare tra un ipotetico, impositivo testo che contenga una vera e propria "rivoluzione (involuzione?) epistemologica" e la libertá dinsegnamento?
E vero che egli è professionista in senso etico e non giuridico, poiché in una scuola di Stato si trova nella condizione di pubblico dipendente, collegato allAmministrazione da un rapporto gerarchico, per ciò che attiene agli aspetti organizzativi, di direzione e controllo per laspetto tecnico della sua prestazione, ma, in ogni caso e comunque, egli è indipendente per gli aspetti culturali ed ideologici dellinsegnamento (A. Mura, La Scuola della Repubblica, pag. 117).
È forse precoce ipotizzare una svolta autoritaria in un operazione, ancora ipotetica, tuttavia se dovesse verificarsi , il risultato potrebbe determinare un arretramento culturale e, al di là delle intenzioni, diventare oggettivamente pericoloso.
Qui, le associazioni professionali dei docenti molto potrebbero fare in direzione parlamentare e in direzione della società civile.
Sarebbe un impegno per la salvaguardia della professionalità docente, per conservare la funzione formativa della scuola, ma soprattutto per mantenere attivo quel principio contenuto nellart. 21 della Costituzione che la stessa Corte Costituzionale riconosce come la "pietra angolare dello sviluppo democratico in quanto condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale." (Sentenze 31/12/1982, n. 257 e 23/05/1985, n. 159).
Ci sembra questo un valore per cui varrebbe la pena di impegnarsi.
Renza Bertuzzi.
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Bibliografia
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