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Abbiamo chiesto al dottor Sergio Auriemma,  vice procuratore generale della Corte dei conti,  cos’è, appunto,   la Corte dei conti .  Così egli ci ha risposto
 
 

 
 

E’ arduo accettare di rispondere, con poche battute, ad una domanda che investe i soggetti ed i modi di funzionamento in Italia dei complessi strumenti ordinamentali di controllo sulla spesa pubblica.

Nella migliore delle ipotesi, si corre il doppio rischio di far storcere il naso a studiosi ed esperti di contabilità e di risultare scarsamente comprensibile per gli inesperti.

Rassegnato e pronto a subire le inevitabili critiche, inizio aiutandomi con un aneddoto.

Nell’antica Roma fu creata e funzionò, come raccontano gli storici, la figura dei questores, dediti al controllo della spesa che incideva sull’Aerarium (allocato presso il tempio del dio Saturno), anche nel periodo in cui lo stesso (detto anche Fisco) si confondeva con il patrimonio personale dell’Imperatore. Gli antesignani degli odierni magistrati contabili controllavano finanche le spese sostenute durante le campagne militari e, talvolta, si sentivano rispondere dai comandanti che la nave recante le carte di contabilità, per avverse tempeste, era purtroppo naufragata nel Mare nostrum.

Sarebbe avvincente, per bravi palombari, scandagliare le profondità del Mediterraneo che, se sono veritiere le giustificazioni a suo tempo rese dai militari romani e se il trascorrere di due millenni non è stato inclemente, dovrebbe essere stracolmo di forzieri contenenti i documenti contabili dell’epoca.

Fuori dall’aneddoto un po’ irriverente, credo tutti siamo in grado di comprendere, specie nel mondo d’oggi in cui la spesa pubblica si traduce in significativi apporti fiscali (torna il vocabolo Fisco) provenienti dai cittadini contribuenti, l’importanza collettiva e sociale dei controlli sulla spesa.

La Corte dei conti, pur essendo il massimo organo di controllo conosciuto nel nostro ordinamento giuridico, a seguito di varie innovazioni normative succedutesi nel tempo non può, oggi, più dirsi deputata a realizzare un controllo accentrato e puntuale sulle erogazioni di spesa, specie per una parte che diviene sempre più consistente, cioè la spesa locale o decentrata.

Inoltre, le riforme normative dell’ultimo quindicennio hanno profondamente trasformato la struttura intrinseca del controllo, quasi interamente passato da preventivo di legittimità o conformativo o interdittivo (cioè tale da impedire ad un atto, se non conforme a norma giuridica, di produrre l’effetto di spesa e legittimare l’erogazione di soldi) a controllo successivo sugli esiti complessivi e finali, cioè su andamenti globali delle pubbliche gestioni dopo che le stesse sono state realizzate e quasi sempre anche concluse.

Rimane in essere un controllo di contabilità sui titoli di spesa svolto all’interno della stessa Amministrazione dello Stato, prevalentemente attraverso le Ragionerie dello Stato facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze (che è divenuto, perciò, cointestatario di competenze sia in materia di spesa, sia in materia di entrate), nonché continuano ad essere svolte verifiche di regolarità amministrativa e contabile da parte di altri organismi (corpi ispettivi, revisori dei conti).

L’approssimativa descrizione che ho enunciato mette in risalto i seguenti aspetti:

- il termine controllo (originariamente derivato dal francese contre-rôle, che indicava un documento chiamato contro-ruolo o doppio registro nel quale erano ripetuti i dati contenuti in un atto ufficiale relativi a tributi da riscuotere, a prestazioni d’opera dovute allo Stato, ovvero a beni inventariati e da gestire e consentiva la verifica sui corretti adempimenti contabili) assume oggi il significato di verifica dell’attività descritta nel documento

- la Costituzione ha tracciato le linee essenziali del controllo nei confronti dell’Amministrazione statale nell’articolo 100

- l’amministrazione, sia statale, sia regionale o locale, ha subito un processo di trasformazione, con devoluzione di molti compiti gestionali al sistema territoriale diffuso e conservazione al centro (ora da intendersi statale o regionale) di compiti di programmazione e di indirizzo-regolazione generale.

Un profilo cruciale delle riforme, cui ho già fatto cenno, è stato quello di ridurre fortemente per lo Stato, e per gli enti territoriali interamente sopprimere, i controlli di “legittimità”, con il dichiarato intento di liberare l’esplicarsi di autonomie gestionali e, in tal maniera, favorire lo scorrere vitale di nuove energie, non più paralizzate o compresse da oramai vetusti centralismi.

La produzione normativa degli anni ’90 culminata nella legge n. 59 del 1997 (dai più conosciuta come legislazione “Bassanini”), integra un punto fondamentale di snodo del processo riformatore.

Peraltro è da notare che nello stesso terreno anche culturale di quel vasto processo, che ha interessato innumerevoli aspetti nevralgici per il funzionamento della macchina pubblica (attraverso privatizzazioni, entificazioni spesso ibridate tra “pubblico” e “privato”, esternalizzazioni o outsourcing, nuovo e più ampio rilievo del terzo settore o del no-profit, privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego, ampliamento della contrattualistica sindacale, riordino della dirigenza amministrativa, diverso riparto delle competenze tra le varie giurisdizioni e, ovviamente, nuovi sistemi di controllo di cui stiamo parlando), affonda le proprie radici anche la successiva riforma costituzionale del 2001.

Credo sia utile segnalare che non sono mancate in passato e non mancano oggi (anzi, vanno riprendendo rinnovata intensità), in vari ambienti tecnici e dottrinari, valutazioni in qualche misura critiche rispetto alla scelta soppressiva dei controlli esperibili sugli enti locali.

Le critiche nascono dalla constatazione che la soppressione è uno – non il solo - tra gli elementi probabilmente all’origine di un lievitare non sempre “virtuoso” della spesa pubblica sostenuta ai livelli decentrati.

Ciò, senza nessuna nostalgia di assetti organizzativi burocratizzati, formalistici e orientati verso la mera regolarità “cartolare” oramai fuori dal tempo, significa soltanto nutrire motivate e preoccupate perplessità in ordine alle reali capacità di funzionamento dei modelli innovativi di controllo che sono stati previsti ed ingegnerizzati negli anni ’90, in sostituzione di quelli preesistenti.

Le perplessità non revocano in dubbio le correzioni che bisognava apportare ai preesistenti controlli, divenuti proceduralmente disarmonici e obsoleti rispetto alle evoluzioni maturate nel Paese, né l’indispensabilità dell’autonomia decisionale sovrana spettante agli Enti territoriali e neppure l’irreversibile decentramento amministrativo verso livelli territoriali subnazionali, finalizzato alla modernizzazione di un sistema che, indiscutibilmente, non era più in grado di proseguire sulla strada del monolitismo quasi di stampo napoleonico.

Il decentramento, del resto, positivamente si è incrementato con la riforma costituzionale del Titolo V varata nel 2001, anche se, pure per questa parte, le costruzioni dell’ingegneria normativa in prosieguo di tempo hanno mostrato talune disfunzioni progettuali, alle quali si è dovuta industriare a porre rimedio la giurisprudenza della Corte costituzionale, in sede di risoluzione di conflitti tra Stato e Regioni, i due principali livelli in cui si articolano le decisioni programmatiche di spesa.