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MI PERMETTA, PROFESSOR FIORI…
(alcune riflessioni su “Tutto bene, professore”?)
di Maria Grazia Ciaghi
Si chiede Ernesto Galli della Loggia, in un articolo comparso sul Corsera
del 20/11 (Il futuro dei professori), quale sarà il futuro dei professori
nella scuola italiana, dove sta montando la marea di neo-pedagogismo che ormai
metterà in soffitta il sapere e lo sostituirà con il “saper comunicare”. E
quindi sarà la fine, testualmente, anche dell’ultima roccaforte della scuola
italiana, la Facoltà di Lettere.
L’articolo non sarà certo sfuggito ai colleghi, che sicuramente vi troveranno
elementi preziosi di analisi e di riflessione.
Al contrario, non troveranno niente di simile in un libretto, peraltro
accattivante nel titolo e nella veste tipografica, che compare in questi
giorni nelle librerie specializzate. Si tratta dell’opera prima del collega
Fiori, approdato all’insegnamento dopo una non breve esperienza nel mondo
dello spettacolo e della canzone milanese: Tutto bene, professore? (130
pagine, ed. Baldini&Castoldi).
Dopo aver dichiarato che non intende fare un’indagine sociologica, e dopo
essersi con orgoglio definito “professore”, l’autore snocciola ben 42
disinvolti capitoletti, che si segnalano più per quello che tacciono che per
quello che affermano, ma al termine dei quali (in verità non ci vuole molto a
leggerli), si evince, attraverso accenni ben piazzati e dissimulati da uno
stile distratto e da un tono buonista, l’originale tesi che a rovinare
l’immagine del professore, e quindi la scuola, è stata la continuità e
contiguità del presente governo con il craxismo e il fascismo, senza
dimenticare, nel finale, una menzione all’eccessiva presenza femminile tra i
ranghi della docenza, che anche per questo risulta socialmente squalificata.
In tale situazione, Fiore si pone come un eroe di teatro al centro dell’aula,
isolato dal mondo e solo assorto nella recita del proprio copione, della cui
validità solo il pubblico-scolaresca può giudicare.
Eh, no, professore, così non va affatto bene!
Mi permetta di dire che...
un libro che consiste unicamente di annotazioni del tutto personali e
soggettive, senza il minimo sforzo di contestualizzazione, potrebbe scriverlo
qualunque insegnante di italiano con qualche anno di servizio nella scuola
statale: perché dunque non io? –mi sono detta. In fondo ho le carte più in
regola del collega Fiori, dal momento che dopo 10 anni di gavetta e di
militanza nella CGIL – scuola, dopo tre corsi abilitanti, tre concorsi a
cattedra e decine di corsi di aggiornamento di tutti i tipi, sono finalmente
approdata al termine della carriera e da un anno circa sono un’ex docente di
Scuola secondaria (insegnavo Lettere al Liceo Classico ). Posso quindi
tracciare un bilancio, se non di portata generale, almeno completo e utile
come testimonianza per i colleghi più giovani. Anzitutto va detto che per fare
l’insegnante occorre una solida preparazione unita ad una sincera spinta
interiore verso i giovani; doti che nessuna appartenenza politica o sindacale
può sostituire se non ci sono. Anzi, l’esperienza dimostra che più cresce la
preparazione e sale la motivazione, più si acquista indipendenza dai sindacati
che applicano alla scuola logiche di livellamento e di falsa uguaglianza. Sono
gli stessi sindacati che poi tengono corsi di aggiornamento sulle didattiche
individualizzate e fanno ricadere sulle spalle dei docenti la responsabilità
degli insuccessi scolastici degli alunni; in modo che si arriva alla perdita
di ogni autorità e quindi prestigio della figura dell’insegnante, complici
anche le politiche ministeriali di almeno un cinquantennio.Tutte le riforme
della scuola sono andate in un’unica direzione: distogliere l’insegnante dal
suo compito delicato e non condizionabile, di educatore e testimone di
cultura, per calarlo in ruoli marginali e impropri, la cui modesta
retribuzione oltretutto non lo remunera per la perdita della sua dignità
personale. Perciò, vedere come pretende Fiori, il crollo della scuola italiana
solo a partire dal governo Berlusconi, è per lo meno riduttivo, e la sua
critica da sinistra del tutto illegittima. Vero invece che fino al 1985,
l’appartenenza ai Confederali e specie alla CGIL, è stata pagante in termini
di superamento di concorsi sia a cattedre sia per i presidi. Io ho superato
con la massima facilità il concorso regionale del Veneto nel 1985, lo stesso
che ha superato Fiori, per la classe di concorso 51 (adesso i codici sono
cambiati), e cioè Italiano negli Istituti Tecnici: ricordo benissimo che i
commissari avevano la mano assai leggera con i tesserati, e non ricordo alcun
ricorso a domande nozionistiche.
A questo punto la mia strada prende una direzione diversa. Affronto e supero
anche il concorso della Classe 52 (Latino nei Licei ) e questa volta la
tessera non mi servì a nulla, dovetti dimostrare anche una discreta
preparazione e ci fu anche del nozionismo. Al Liceo poi arrivarono ope legis
sindacale molti colleghi politicizzati, senza aver affrontato il concorso,
perché erano rimaste vacanti molte cattedre alle Superiori. E qui cominciai a
riflettere e a capire l’ingiustizia del doppio canale di reclutamento. Uscii
dal sindacato, dal quale non avevo peraltro mai avuto niente, e cominciarono i
guai con i Presidi. Guai dovuti al mio tentativo di affermare la mia autonomia
di giudizio nelle questioni di mia competenza, cioè la didattica e la
valutazione del profitto. In seguito a pesanti attacchi di mobbing mi iscrissi
alla Gilda, e tuttora pago la tessera con versamento volontario. Sul mobbing
che i Presidi esercitano a danno dei docenti non supini, potrei scrivere dei
libri, e non è escluso che lo faccia, se qualcuno me li finanziasse! Magari il
Centro Studi Gilda.
Ecco perché non posso prendere sul serio il libretto di Fiori; perché è troppo
reticente da un lato, ignorando il ruolo deleterio dei Confederali nella
distruzione della nostra immagine, e nell’introduzione di logiche conflittuali
del tutto estranee all’ambiente scolastico; dall’altro perché usa in modo
sistematicamente erroneo i tempi verbali, retrodatando tendenze attuali e
viceversa attualizzando scelte datate e passate; il che è imperdonabile in un
professore di Italiano. Entrando nel merito, accusare Craxi di aver introdotto
nella scuola la logica dell’efficienza e dell’aziendalismo, è semplicemente
falso: la scuola italiana è stata rovinata dalla logica contraria. Accusare la
scuola di nozionismo e portare ad esempio la critica strutturale della
Cavallina Storna, è pure falso, perché dal ministero Berlinguer in poi dai
programmi sono sparite perfino le coordinate spazio-temporali, e gli studenti
portano alla Ex- maturità “percorsi” in cui si parcellizzano i contenuti dei
classici facendoli dipendere dagli autori contemporanei, e non viceversa, come
sarebbe logico; quanto al Pascoli, dopo la stroncatura arbitraria di
Sanguineti, non è certo un autore gettonato, e solo nel 2002 è comparso un bel
saggio, ma non certo strutturalista, che ripropone del Pascoli appunto la
famosa (e dimenticata) poesia.
Può bastare, credo, anche se gli appigli per continuare sarebbero ancora
numerosi e ghiotti; ma credo di aver dato un’idea sufficiente della situazione
reale in cui si trova in questo momento la scuola italiana, e l’insegnante in
essa. Io auspico una presa di coscienza dei giovani colleghi, perché tengano
alta la fiaccola del sapere vero, umano, disinteressato e libero. Torneranno
allora tempi migliori.