SCUOLA E COSTITUZIONE:  SERGIO AURIEMMA FA IL PUNTO

Il 28 febbraio scorso ha avuto luogo a Roma un Seminario di formazione con la partecipazione di Sergio Auriemma, Vice Procuratore Generale della Corte dei Conti. Il seminario romano, al quale hanno partecipato  28 province, è stato centrato su quattro punti principali: il confronto fra la Costituzione vigente (modificata dalla legge 3/2001) e  il disegno di legge 1187, la regionalizzazione, la sussidiarietà, le possibili, future,  modificazioni dello stato giuridico del docente.

Tutti i temi sono stati trattati con riferimento specifico alla scuola e con un approccio squisitamente tecnico.

La difficoltà dell’argomento si è stemperata nel rigore logico, nella rigida sequenzialità, in  una parola, nella chiarezza dell’intervento del relatore. Chiarezza ricca di verve e nutrita di una formidabile cultura umanistica. 

Preziosissimo il  lungo question time (ben oltre i 15 minuti…) nel quale i coordinatori hanno avuto la possibilità di porre  domande di vario genere.

 

Pubblichiamo il testo della relazione che il Dottor Auriemma – con grande disponibilità –  ha  messo a punto per la nostra Associazione.

 


PREMESSE  METODOLOGICHE

 

Confesso di incontrare non poche difficoltà nel partecipare a convegni ed incontri di studio della scuola    

Oltre alla scarsità del  tempo  – che a me, come a molti, manca -   altre ragioni  le intuirete dalle seguenti premesse  :  

 

1.      non appartengo né alla classe amministrativa, né alla classe politico-professionale :  nel vostro mondo, invece,  spesso si desiderano confronti con chi è direttamente deputato o preposto ad effettuare le scelte

 

2.      credo in analisi tecnico-normative che non siano strettamente autoreferenziali :  sotto questo angolo di visuale intravedo, nei documenti circolanti e nei dibattiti, varie difficoltà nel fare riferimento a nozioni  basilari di  diritto costituzionale o di diritto pubblico o ad altre regole generali, essenziali per i temi da affrontare 

 

3.      mi trovo talvolta a segnalare inconvenienti o difettosità presenti nella normativa :  siffatte considerazioni vengono frequentemente confuse con giudizi di valore espressi direttamente sulle scelte e  sui fenomeni riformatori  attivati  (quindi giudizi  “politici”  e  “soggettivi”)

 

4.      non fornisco soluzioni operative o applicative :  anche se ho convincimenti ed idee personali in proposito, non è il mio compito, non faccio parte degli apparati Ministeriali, dei sindacati o delle associazioni professionali, non sono un “consulente” e posso solo proporre chiavi di lettura, strumenti concettuali per l’interpretazione delle norme, dei quali ovviamente resta assolutamente libera la condivisione. Del resto,  il mio attuale mestiere doverosamente mi spinge ad evitare che si possa sospettare una qualsiasi ingerenza nelle determinazioni amministrative  (troppo spesso si parla della cd.  “supplenza dei magistrati”) 

 

5.      affronto questioni di non facile ascolto,  perché mi occupo di una tematica   -  la  “norma”, le regolazioni giuridiche  -     frequentemente percepita come  un  “problema”, talvolta anche fastidioso e di impaccio.

 

Sperando che teniate conto delle mie difficoltà

§         nella prima parte dell’incontro affronterò, dal punto di vista strettamente giuridico, i temi proposti      

§         nella seconda parte, risponderò a richieste di precisazioni ed altre domande

 

Sono stato invitato a ragionare con voi sui  seguenti  temi  :

 

 

FATTORI  DA ASSUMERE IN CONSIDERAZIONE   

 

Nel ragionamento da svolgere insieme entra, prima di tutto, in gioco un fattore che potremmo definire   lessicale  o  semantico. 

E’  spesso riscontrabile,  sul piano della comunicazione  : 

§         l’uso  di       vocaboli  slogan     (pensate alla “partecipazione” degli anni 70)             

§         l’uso di   vocaboli -contenitori.  Pensate alle “stop-word”  informatiche, cioè a quelle parole che, in un motore di ricerca informatica ben congegnato, vengono inibite perché troppo generiche, poco significanti, capaci di provocare il cosiddetto “rumore”,  cioè di dare come risposta alla ricerca una serie interminabile di documenti, sol perché questi contengono la “parola” usata.  Se, ad esempio,  ricerco la normativa nella quale si faccia riferimento alla centralità che assume l’alunno nel sistema scolastico ed uso il vocabolo “alunno”, riceverò in risposta una miriade di testi normativi (leggi, decreti, regolamenti, ordinanze, circolari, note ministeriali) nelle quali compare il vocabolo, ma nulla di significante si dice sulla centralità della figura.  

Ebbene vocaboli di tal fatta,  ai fini del nostro ragionamento,  sono i seguenti :

autonomia

federalismo

sussidiarietà

devoluzione

E’ sufficiente osservare il primo. 

Il vocabolo “autonomia”, privo di aggettivi ed altre specificazioni, può significare un po’ tutto  (o nulla).

Se si aggiunge un aggettivo (“contabile” o “finanziaria” o  “amministrativa”  o “gestionale”  o “didattica”, ecc.), la locuzione inizia ad assumere significato più circoscritto e meglio comprensibile, anche se ancora insufficiente a comprendere, ad esempio,  quali limiti  incontri l’esercizio dell’autonomia.

Se si procede oltre e si riempie il vocabolo-contenitore con specifiche e dettagliate “funzioni” o “facoltà” autonomistiche,  si comprende, per ciascuna di esse,  di quale autonomia effettivamente si sta ragionando.

Diventa a questo punto evidente che se si intende esaminare ciascuno dei quattro temi proposti  – autonomia, federalismo, sussidiarietà e devoluzione – dal punto di vista tecnico giuridico sarà indispensabile  analizzare  quale significato  il singolo vocabolo abbia assunto nel diritto positivo vigente. 

I giuristi ben conoscono la necessità (ed anche la difficoltà) di cogliere la cosiddetta “ratio” di una norma o disposizione, cioè il significato che si è obiettivizzato e cristallizzato nella stessa.

E’ evidente, infatti, che quale sia stata la cosiddetta “mens legis”, cioè l’intento soggettivo di chi materialmente ha formulato il testo normativo ed usato alcuni vocaboli,  quel testo assume una sua oggettività ordinamentale, si inserisce sistematicamente nell’ordinamento giuridico vigente, diventa suscettibile di interpretazione (ad esempio ad opera della Corte costituzionale o di singoli giudici in fase giudiziale), secondo notorie regole di interpretazione.     

Ecco, allora, che le norme cosiddette “elastiche”o polisenso o polisemiche lasciano spazio per una   variabilità  interpretativa,  cioè  per la possibilità che l’interprete, nel ricavare dal testo scritto la norma o “regola astratta” da applicare, entro certi limiti possa cogliere significati concettuali diversi da quelli desumibili da altro interprete o, addirittura, difformi rispetto a quelli originariamente voluti dallo stesso legislatore.

Le disposizioni polisemiche, nel contempo, hanno anche un pregio, specialmente a livello costituzionale, perché lasciano spazio affinché l’interpretazione divenga evolutiva, dinamica, capace di star dietro all’evoluzione della società e delle dinamiche che si verificano nei rapporti tra “gli interessi” e le “forze” che vivono nel tessuto sociale e politico.

Se così accade, peraltro, si riafferma in tal maniera la possibilità che solo attraverso la mediazione “politica” degli interessi (il cd. “primato della politica”) si possano risolvere, via via, perplessità nascenti dal testo polisenso.  

Nel nostro ragionamento entra  in gioco anche   un  “fattore politico” in senso stretto, caratterizzato da :

§         evidenti contrapposizioni e radicalizzazioni in atto (particolarmente intense nella materia di cui ci occupiamo)

§         l’esistenza di talune idee a monte  che però,  nel momento in cui si traducono in  regolazioni normative  concrete ed oggettivizzate, diventano per ciò stesso suscettibili di  “interpretazione giuridica”. 

Entra, infine, in gioco un  “fattore  dinamico”, considerato che :   

§         la riforma del titolo V è già in atto

§         la devoluzione è un’ ipotesi riformatrice ancora in corso

§         già si parla di un nuovo disegno di legge di revisione costituzionale “unificato”,  che cioè condensi ed armonizzi le due riforme

§         i   livelli essenziali   per settore scolastico sono tutti da concretizzare  in termini normativi (disegno di legge Moratti e decreti attuativi) 

Si può dire, quindi, che ragioniamo mentre  “le bocce non sono ancora ferme”.

 

 

I  DATI  OGGETTIVI  DA  ESAMINARE

 

Sono i seguenti :

§         3  scenari di fondo   (gli assetti di ordinamento)   :   prima della riforma costituzionale del  2001  –  oggi  –    in futuro, dopo la ulteriore riforma della devoluzione

§         3  attori      (i soggetti)    :   amministrazione scolastica   – regioni ed enti locali  -   scuole

§         3  copioni   (le funzioni):    la  funzione legislativa    –  la funzione amministrativa –  la funzione di erogazione del servizio istruzione, che è  funzione di tipo fondamentalmente “tecnico” 

 

Tutti gli altri risvolti, pur importanti e di largo ed indubbio interesse, sono elementi accessori o consequenziali, talvolta anche variabili.

Gli interrogativi che oggi appassionano il dibattito interno al mondo della scuola  -  chi gestirà il reclutamento del personale ? chi gestirà la scuola ?  i docenti saranno statali, regionali, di istituto ?  -   sono indubbiamente importanti e pressanti, ma ai fini dell’analisi giuridica preliminare (che dovrebbe consentire una corretta comprensione del quadro costituzionale ed ordinamentale) rappresentano solo domande secondarie,  successive,  conseguenti. 

Perdonate la mia estrema franchezza :  se nostro unico desiderio fosse avere veloce e succinta risposta alle  domande, forse sarebbe meglio non sforzarsi di analizzare e capire il quadro d’insieme e, semmai, predisporre velocemente un quesito da inoltrare via internet al Ministero, restando in attesa dell’esito (una FAQ).

 

 

NEL  VIVO  DELL’ANALISI

A questo punto  è possibile iniziare l’analisi dei  3 dati oggettivi:

§         gli assetti  costituzionali  esistenti sullo sfondo                              

§         i  soggetti che operano nello scenario normativo di volta in volta considerato                        

§         le  funzioni che ciascun soggetto o attore  esercita                    

 

 

Gli ASSETTI  COSTITUZIONALI  da confrontare  

 

Corrispondono sostanzialmente a tre diversi quadri normativi

§         il vecchio articolo 117 ed il vecchio riparto di funzioni (legislative, ma anche regolamentari ed amministrative) tra Stato e Regioni                             

§         la riforma del Titolo V,  passata anche  con referendum popolare                    

§         l’ipotesi di devoluzione                                        

 

 

I  SOGGETTI  O  POLI-ATTORI  

 

Essi sono, rispettivamente con riferimento a ciascuna funzione :

§         stato, regioni, province, comuni

§         amministrazione scolastica centrale e periferica

§         singole istituzioni scolastiche  

 

 

Le tre  DIVERSE  FUNZIONI   

 

Esse sono distinguibili in :

§         legislazione                                   (cioè la  normazione regolatrice)

§         governo- amministrazione         (cioè la gestione amministrativa  del sistema)

§         servizio pubblico erogato           (cioè la prestazione destinata a soddisfare il diritto

                                                            all’istruzione) 

 

Nel riflettere sulle tre funzioni, suggerisco di immaginare la presenza, sulla parete qui accanto, di una sorta di luce intermittente, di un avviso di allarme.

La luce ci avverte costantemente che la distinzione fra le  tre funzioni      - e quella della singola  scuola è solo la terza -      rappresenta l’aspetto più importante e decisivo per comprendere il quadro d’insieme e poi valutarlo, ciascuno secondo i propri convincimenti.

La scuola è il polo di erogazione della “istruzione”, dove si attiva il cd. processo di apprendimento, è il luogo o soggetto-attore chiamato a fornire la  “prestazione” destinata a soddisfare il diritto all’istruzione.

Credo che la precisa consapevolezza in ordine alla suddetta distinzione “funzionale” sia l’aspetto che, purtroppo, dà luogo alle maggiori confusioni concettuali e, quindi, può rendere talvolta giuridicamente fragili i convincimenti personali. 

 

 

 

DUE RIFORME COSTITUZIONALI A CONFRONTO  (per la parte riferita alla scuola)

 

La già realizzata riforma del Titolo V della Costituzione, ispirata a principi già largamente presenti nella cosiddetta legislazione diventata nota come “Bassanini”,  ha  :

§         lasciato intatto l’art. 33 Cost. (nel quale si parla di “norme generali” sull’istruzione dettate dalla “Repubblica” , la quale istituisce scuole  “ statali”)

§         modificato l’art. 114 Cost., precisando innovativamente che “Repubblica”  è nozione comprendente sia le Regioni,  sia  lo Stato  (quindi la Repubblica   – cioè oggi lo Stato, ma anche la  Regione –    può istituire scuole  statali ?)

§         introdotto “due velocità” (art. 116: regionalismo differenziato), che possono condurre a diversificazioni della scuola sui vari territori regionali

§         fatto diventare “istruzione” una materia di legislazione concorrente.  Questo significa che le regioni possono fare proprie leggi in materia di istruzione, salvo il rispetto dei cd. principi fondamentali.  Quindi sono state poste altre premesse costituzionali , oltre quelle già in precedenza esistenti, che di per sé non escludono ad esempio, sin d’ora, la possibilità di conferire alle regioni “quote” dei piani di studio o curricoli, oppure di regionalizzare anche “organizzazione” e  “personale”, quali funzioni amministrative svolte dagli apparati in relazione alle competenze di cui  sono titolari  (v. art. 118 Cost.)

§         esplicitato in Costituzione la cd. “autonomia scolastica” (concetto, evidentemente, da riferire alla  “funzione” svolta  dalle scuole, cui abbiamo fatto cenno nel parlare delle tre funzioni e della famosa luce intermittente sulla parete) 

 

 

La ipotizzata (almeno per ora) modifica dell’art. 117  in senso devolutivo,  proposta dal senatore  Bossi :

§         ritaglia tre   “materie” esclusive  (che, invero, appaiono essere “pezzi” o  “frammenti”  o “sub-materie”  enucleate dalla materia  “istruzione”, se si presta attenzione alla giurisprudenza costituzionale che tradizionalmente identifica nella “materia” una nozione necessitante di una sua autosufficienza concettuale)

§         enuncia l’organizzazione scolastica (una sub-materia che, però, comprende competenze attribuite agli enti territoriali,  già presenti in previsioni di legge vigente, contenute nel decreto legislativo Bassanini n. 112 del 1998)

§         enuncia la “gestione”  degli istituti   (ma la “gestione” , almeno per una parte, è già autonoma e localizzata nei singoli istituti) 

§         prevede la definizione di “parte” di programmi di interesse specifico della Regione (ma la definizione di programmi è mera potestà regolamentare  -  v. art. 205 T.U. n. 297/1994 - correlata alla materia  “istruzione” e quest’ultima, a sua volta, è già oggetto di legislazione ripartita tra Stato e Regione, ai sensi dell’art. 117 ora vigente, oltre che di potestà regolamentare regionale)  

§         afferma che le regioni   “attivano”   la loro competenza legislativa esclusiva, dunque   al  regionalismo differenziato  “concertato”  (art. 116) si  aggiunge anche un regionalismo differenziato  “unilaterale”, cioè su iniziativa autonoma delle Regioni.  

 

L’esame comparativo dei due assetti costituzionali (riforma già in vigore e riforma ipotizzata), lascia così  trasparire  :

-  non marginali difficoltà interpretative (e qualche oggettiva incongruenza) riguardanti il testo della riforma già varata nel 2001

 - l’esistenza, nella riforma già varata, di vasta attribuzione di funzioni e compiti in materia di “istruzione” (legislativi, regolamentari, amministrativi) alle regioni. Trattasi, quindi, di funzioni e compiti comprensivi di attribuzioni che qualcuno, invece, ritiene conseguiranno solo alla ulteriore devoluzione. Poiché, invece, il passaggio di compiti è già avvenuto,  rimane difficile comprendere molte tra le censure ed i timori che vengono riferiti  e riservati alla sola  ipotesi devolutiva futura.

-  le oggettive disarmonie interne che caratterizzano il nuovo testo integrato dell’art. 117, che a sua volta dovrebbe scaturire dal varo della seconda riforma.

 

 

ULTERIORI   RIFLESSIONI

 

 

I   “principi fondamentali”

 

Chi legge il testo della Costituzione  (nelle tre forme, rispettivamente antecedente alla riforma del titolo V, attuale e futura) rinviene questa espressione a proposito di  legislazione concorrente regionale. 

La regione, nelle materie di legislazione concorrente (dunque in materia di istruzione) deve rispettare i    principi fondamentali   stabiliti dalle leggi dello Stato   

Dovrebbe  essere almeno  chiaro  che l’espressione  :  

1)  riguarda solo  la legislazione regionale concorrente (dunque l’istruzione e,  in futuro, l’istruzione meno le sub-materie  di cui alla riforma Bossi) 

2)    indica   un limite  da rispettare   

3)  è stata  lungamente (e non senza difficoltà)  interpretata da dottrina e da giurisprudenza Corte costituzionale, sicché solo leggendo e conoscendo tale giurisprudenza è possibile dedicarsi a cogliere il significato della espressione 

4)    è stata presa in considerazione da due vecchie leggi :

legge n. 62 del 1953 (legge Scelba)

l’articolo 9  consentiva alle  regioni  di legiferare (in legislazione concorrente)  solo se fossero state  emanate le  cosiddette  “leggi cornice”

cioè   “…leggi  della  Repubblica contenenti,  singolarmente,  per   ciascuna   materia,  i  principi  fondamentali cui deve attenersi  la legislazione regionale.”

 

legge n. 281 del 1970

ha sostituito l’articolo 9 della precedente legge :  dal 1970 (ed ancora oggi),  quindi,  i principi fondamentali sono quelli che   “… risultano da leggi che  espressamente  li stabiliscono per le singole materie o    si desumono    dalle leggi vigenti”

 

E’ su questo terreno che si muove il cd. disegno di legge “La Loggia”,  che mira all’emanazione di testi normativi che racchiudano i “principi fondamentali”. Fino a quando il disegno di legge non diverrà legge, i principi fondamentali continuano a potersi desumere  “dalle leggi vigenti”  per i vari settori o materie.

In particolare, i principi riferibili all’autonomia scolastica devono essere desunti dalla vigente legislazione.

Principi sono sicuramente quelli recati dall’art. 21 della legge n. 59 del 1997 (in particolare, quelli contenuti nei commi 5,7,8,9 e 10).   

Resta a mio avviso  discutibile    –  e la giurisprudenza costituzionale sinora è stata per la negativa sul punto –   che “principi” possano essere desunti dalle prescrizioni di dettaglio incluse nel d.P.R. n. 275/1999  che, come è noto, non  è  “atto legislativo in senso stretto”  ed è privo di   “forza di legge”.

 

 

Le   “norme generali sull’istruzione”

L’espressione si trova :

1)   nell’art. 33    Cost. , rimasto invariato   

2)   nell’art. 117  Cost.  ora riformato

3)   nell’art. 117 ipotizzabile dopo la devoluzione  

 

L’espressione,  in tutti i tre  casi suelencati,  si riferisce ad una  materia  di competenza esclusiva statale,  nel senso che solo lo Stato può dettare “norme generali sull’istruzione”.

Essa costituisce, dunque,  un  area di attribuzione positiva (non un “limite” posto alle attribuzioni regionali). 

Essa non viene  superata neppure nella ipotesi di riforma Bossi,  perché la materia “istruzione” resta di competenza statale, eccetto le ipotizzate sub-materie o “frammenti” (organizzazione scolastica, gestione degli istituti,  definizione  parte  programmi  scolastici e formativi di interesse specifico della Regione)

 

 

I   “livelli essenziali”

 

I cosiddetti “livelli essenziali di prestazioni” non sono una “materia” riservata allo Stato, quanto piuttosto  una competenza  trasversale, esercitabile su tutte le materie coinvolgenti diritti e prestazioni da garantire.

Il legislatore statale, in altre parole, può individuare il contenuto essenziale di taluni diritti civili e sociali (tra cui è annoverabile il diritto all’istruzione), valido per l’intero territorio nazionale ed il legislatore regionale, pur esercitando proprie potestà legislative piene ed esclusive, non potrà limitare o condizionare tale contenuto.    

La sentenza della Corte costituzionale n. 282/2002 si sofferma sul concetto dei  “livelli essenziali”,  precisando tra l’altro  - per un settore specifico come quello della pratica medica, presidiato però da principi di autonomia “professionale” similari, entro certi limiti, alla “libertà di insegnamento”  spettante ai docenti –  che interventi legislativi nel merito, statali o regionali, non possono “…nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore”, ma devono  “...prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite”. 

E’ forte, allora, il richiamo a linee generali  di indirizzo e di guida in tema di  “standard”,  che siano basate su conoscenze e acquisizioni oggettive e scientifiche, valutate e dettate anche con l’apporto proveniente da appositi organismi,  non rimesse in via esclusiva né alle mere definizioni legislative, né, di contro,  alla libera iniziativa dei singoli operatori.        

 

 

 

Quale rapporto  tra le diverse  nozioni :   principi fondamentali,  norme generali,  livelli essenziali

 

Ascrivere i singoli aspetti della vigente normazione scolastica nell’uno o nell’altro concetto non credo possa essere considerata un’operazione connotata da  possibilità   “aperta”  o  “discrezionale”.

 

§         le norme generali  sono   “materia”   (secondo la nozione costituzionale)   riservata allo Stato

 

§         i principi fondamentali  sono   “limiti negativi”  apposti  alla legislazione regionale  concorrente,   desumibili dalle leggi statali di settore

 

§         i livelli essenziali   sono una   “competenza trasversale   a più materie,  che in concreto  fissa

     contenuti  positivi di alcune prestazioni di servizi 

      

Ovviamente per stabilire se un singolo aspetto normativo di volta in volta preso in esame vada  ascritto all’uno o all’altro concetto occorre svolgere un’analisi puntuale, in qualche caso imbattendosi in difficoltà  ed opinabilità  (come attestano, in passato ma anche oggi, i conflitti davanti la Corte Costituzionale).

 

Resta, tuttavia, giuridicamente possibile stabilire se  si tratti di  : 

“materia”                               (cioè sfera di competenza rigorosamente e concettualmente  delimitabile)                           

“principio fondamentale”      (cioè limite desumibile dalle leggi statali) 

“livello essenziale”                (cioè contenuto minimo della  prestazione)

 

 

 

La  sussidiarietà verticale 

 

Se volessi esprimere una succinta considerazione, potrei dire che la sussidiarietà permette di individuare le  “funzioni”   esercitabili ad un  “livello territoriale”  ottimale.

Essa, dunque, investe il tema della  “localizzazione”  delle funzioni.

Basterebbe ricordare, a titolo esemplificativo : 

§         la vecchia discussione sulle Province

§         la vecchia discussione sui  Distretti scolastici

Per altro verso la   “sussidiarietà”   affatto è concetto moderno.

Spulciando tra gli atti del Parlamento Italiano nella lontana sessione del 1861,  nella relazione al progetto di legge relativo alla istituzione (anch’essa riformata) della Corte dei conti è possibile  leggere frasi concernenti la necessità  “..di speditezza dei servizi pubblici”,   di creare uffici delegati di riscontro in ogni città “…a rendere più sollecito, e a dir così, più locale il pubblico servizio”, di  “…per portare l’occhio del controllore  più vicino  alle persone o alle cose che devono essere controllate”

Più recentemente, il principio  viene esplicitato  in ambito comunitario.  

Trattato del 1957 – art. 3B - Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.

Il principio è stato, poi, ampiamente  ripreso   nei lavori della Bicamerale D’Alema

Esso è stato poi   inserito    nell’art. 4 della legge n. 59/1997  (Bassanini), con  attribuzione di compiti e funzioni alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina  ai cittadini interessati.   

Sul principio si ritrovano alcune utili riflessioni in :  

Sentenza Corte costituzionale  n. 408/1998

La questione presa in esame in quella occasione nasceva da una preoccupazione avanzata da una regione che, nella legge (legge 59 e decreto legislativo 112 del 1998) e nel riferimento al  principio  di sussidiarietà rinveniva uno scopo  "in funzione antiregionalista"

Stralciando i passi più significativi, la sentenza afferma  che

§         Non si può dire che  il  richiamo  ripetuto  al  principio  di  sussidiarietà  venga utilizzato   in   modo  contrastante  con  le  regole  costituzionali sull'autonomia  regionale  :  in  particolare,   nelle   materie dell'art. 117 della Costituzione    - cioè nell'ambito delle competenze proprie  delle  Regioni,  ad  esse  garantite  dalla  Costituzione  -  l 'attuazione  del  principio  in  relazione  ai  livelli  di  governo sub-statali  è  fondamentalmente  rimessa  alla  Regione stessa,  cui spetta disciplinare il conferimento agli enti locali  delle  funzioni  che  non  richiedono l'unitario esercizio a livello regionale

§         La logica è che anziché  individuare  nominatim  gli  ambiti  materiali  cui  attengono le  funzioni da conferire, si procede - in conformità al principio di sussidiarietà, non  a  caso indicato al primo posto tra i criteri direttivi della delega   - alla elencazione delle materie e dei compiti esclusi dal decentramento.

§         Il ricorso a clausole generali, come quella della organicità, completezza, efficienza economicità, responsabilità,  unicità,   omogeneità, adeguatezza, differenziazione dell'amministrazione costituisce un disegno di decentramento o delocalizzazione  che mira a  ridisegnare  complessivamente ed in  modo coerente l'allocazione  dei  compiti  amministrativi  fra  i  diversi  livelli territoriali di governo.

 

 

La  sussidiarietà  nel Sistema scolastico   

Tenendo accuratamente presente quanto sin qui  detto, si può desumere che la sussidiarietà verticale, nel sistema scolastico come per qualsiasi altro settore pubblico, è  la localizzazione delle funzioni  (legislativa, di governo-amministrativa e di erogazione del servizio) a  diverso livello :

§         nazionale

§         regionale

§         sub-regionale  (provincia, comune e  singola scuola)

Sinora abbiamo passato in rassegna, succintamente e  secondo il dettato costituzionale,  l’allocazione della funzione legislativa e, per certi versi, quella del governo-amministrazione.

E’ possibile ora analizzare il concetto con riferimento alla singola scuola.

 

 

La  sussidiarietà  per la singola scuola  :  è  la cd. “autonomia funzionale”     

 

Vi invito ad osservare che la  locuzione “salva autonomia istituzioni scolastiche”, già presente nell’art. 117 vigente (a proposito di  legislazione regionale concorrente in materia di istruzione), nel testo dell’art. 117 che potrà scaturire dalla devoluzione e dopo il noto emendamento “Bassanini” risulterà ripetuta ben  due volte. 

Poiché è difficile immaginare che un’identica espressione possa assumere, nel medesimo articolo, due significati diversi, il tipo di “autonomia” che limita oggi la legislazione regionale “concorrente” in materia di “istruzione”  limiterà anche la legislazione “esclusiva” esercitabile nel caso della ulteriore devoluzione.

In buona sostanza, il limite (uguale in entrambi i casi) sarà costituito dalla cosiddetta autonomia “funzionale”  (tale giuridicamente  è l’autonomia scolastica).

Tutto questo altro non significa che necessità di salvaguardare l’esercizio da parte della scuola di  facoltà autonomistiche nella erogazione del servizio prestato,  da effettuare nel quadro della legislazione (statale o regionale)  di  riferimento.      

Alcuni giuristi  escludono si tratti di  “costituzionalizzazione”,  esistendo già  (in quanto desumibile da art. 33 Cost.). Sarebbe espressione ridondante, di semplice chiarificazione. 

Altri, all’opposto,  ritengono sia assurta a   “principio fondamentale”   di rango costituzionale.

Personalmente penso che l’espressione vada letta alla luce del quadro normativo complessivo presente al momento della  modifica del titolo V,  che per la prima volta ha inserito la locuzione.

Quel quadro conosceva l’autonomia della singola scuola, ma anche le funzioni autonome (legislative ed amministrative, quest’ultime proprie o conferite) spettanti agli enti territoriali, secondo il decreto legislativo n. 112 del 1998,  anch’esse espressione di autonomia (ma a fini generali) e che in qualche misura intersecano l’autonomia delle scuole.   

Tra autonomia della scuola (non attribuita a fini generali, né espressione di “sovranità ordinamentale”) ed autonomia dell’ente territoriale, quindi,  esisteva ed esiste tuttora una consistente e radicale differenza.

L’autonomia indicata nel testo costituzionale è  l’autonomia funzionale dell’istituzione scolastica : non è un principio costituzionale fondamentale, quanto piuttosto un  livello già individuato ed esplicitato di sussidiarietà (cioè di allocazione territoriale di alcune funzioni).  

Nell’assegnare, con norma costituzionale, funzioni “legislative” (concorrenti per l’attuale titolo V – esclusive per l’ipotesi di devoluzione) e funzioni “amministrative” (vedi art. 118) alle Regioni,  nella piena consapevolezza per tutti che questo significa anche assegnare correlate funzioni di  organizzazione e gestione alle Regioni, sono state fatte salve funzioni già  situate  a livello di singola scuola (che non sarà possibile localizzare ad un livello territoriale diverso).

Il problema, allora, sta tutto e solo nel cogliere esattamente (senza ridondanze) quali siano le “funzioni autonome”  che la legislazione ha assegnato alle scuole e sono da esse esercitabili.

Ebbene tali funzioni sono quelle  indicate  dalla legge   (oggi art. 21 legge n. 59).

 

 

 

Quale rapporto tra Costituzione  e  “provvista” di personale :    l’opzione del docente regionale

Mi sembra sia  il tema più sentito, ricercato,  forse da qualcuno anche temuto, prima ancora di capire se esso scaturisca dal testo costituzionale vigente  o dalla ipotesi della devoluzione. 

Anche a questo proposito mi sembra siano ancora da maturare, nel mondo scolastico, alcuni  chiarimenti concettuali di base. 

Il tema,  dal   punto di vista giuridico,  non riguarda

 

§         le       potestà legislative       (statali o regionali)

§         la      organizzazione            (dunque il vocabolo usato nella ipotesi di devoluzione )  

§         il      carattere statuale delle scuole

§         le     garanzie fondamentali  dello status docente  

§         ma solo ed unicamente le    “funzioni amministrative”    (e  “i rapporti di lavoro”) 

 

Se proprio si desidera andare in cerca di un’origine costituzionale, occorre rammentare che l’opzione affinché la  provvista e dipendenza lavorativa possa trasmigrare da  onere gravante sullo Stato    ad   onere gravante sulle Regioni  è già possibile al cospetto del vigente titolo V della Costituzione (che, a sua volta, rispecchia idee presenti e abbondantemente note al momento dell’emanazione del decreto legislativo n. 112 del 1998).

Lo scoglio tuttora, sta solo nel notevole trasferimento di risorse finanziarie dallo Stato alle regioni. 

Ci si può interrogare sul fatto se sia riscontrabile una riprova di tutto questo.

Vi propongo di fare  un esperimento   “da laboratorio giuridico”  :  

Leggiamo insieme  un testo normativo    – che potrebbe essere un  testo già pronto nella prospettiva della devoluzione  -   e poi interroghiamoci :    rispetta esso  il vigente  titolo V della Costituzione?   

La lettura del testo potrebbe indurre qualcuno ad affermare che questo testo è in contrasto con il titolo V e  potrà essere adottato solo quando, tramite la devoluzione, si  trasferiranno alle Regioni competenze  legislative esclusive  in materia di   “istruzione”  

Purtroppo non è così !

Il testo che ho letto riguarda la Provincia di Trento, risale al 1996  ed è stato adottato nel momento in cui la Provincia autonoma  non aveva certo  competenze legislative esclusive  in materia di istruzione.

 

 

 

Cosa si può  unicamente  immaginare in prospettiva

 

La riforma del titolo V ha inserito in Costituzione elementi affaticati da oggettive e non secondarie  disarmonie e contraddittorietà,  che devono essere al più presto possibile e  necessariamente  sanate. 

La successiva, ipotizzata  riforma aggrava e non semplifica il quadro già oggi esistente.

Entrambe le riforme, forse risentendo della contrapposizione politica e di qualche frettolosità e superficialità redazionale, hanno posto e mantengono le premesse per una conflittualità permanente Stato-Regioni. 

Devo, quindi, per onestà intellettuale dissentire da coloro che valutano in negativo unicamente  l’ipotesi devolutiva ulteriore e semmai solo ad essa addebitano ogni ambiguità, paradosso o contraddizione.  

Di converso,  non mi pare irragionevole la soluzione che sembra si stia finalmente concordemente  delineando, di un nuovo ed unitario strumento giuridico (disegno di legge costituzionale?) di conclusivo raccordo tra le due ipotesi

Per il momento ed in attesa delle vostre domande,  posso solo osservare che le riforme globali,  pure quella costituzionale già in vigore, da tutti  -  sinistra,  centro e  destra -  sono state considerate e sono tuttora considerate indispensabili   (il che già rappresenta una precisa scelta di campo, che non è certo ineluttabile per definizione).  

Se proprio si deve riformare, è utile allora che tutti e ciascuno per la sua parte si faccia carico di capire bene la portata delle innovazioni,  si rimbocchi le maniche e si adoperi per la realizzazione attuativa, ricordando semmai il racconto di Calvino in Palomar, sulla   “pantofola spaiata”.

A volte     - come quando da un mucchio di pantofole se ne tirino su due  “scompagnate” –    è arduo stabilire immediatamente se l’errore commesso nel compiere l’atto è veramente tale oppure ha beneficamente cancellato un errore precedente e preesistente.

La verifica matematica, se proprio si è curiosi, sarà possibile smaltendo il mucchio, quando resteranno le due ultime pantofole.