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Numero 4 - Settembre 2019
Numero 4 Settembre 2019

Passate le elezioni europee manca ancora l’Europa. Ma forse possiamo cercare di essere europei

Fare la nuova Europa significa non solo ascoltare i giovani, ma anche obbligarli a prendere coscienza che è nelle loro mani il futuro di una idea che non può essere trattata solo dal punto di vista tecnico-istituzionale. Per fare questo bisogna studiare, studiare, studiare.


27 Agosto 2019 | di Fabrizio Reberschegg

Passate le elezioni europee manca ancora l’Europa. Ma forse possiamo cercare di essere europei Le recenti elezioni per il Parlamento dell’UE hanno di fatto confermato i rapporti di forza politici già esistenti nell’Unione. I cosiddetti partiti sovranisti, pur avendo avuto un incremento dei consensi, non hanno modificato gli equilibri, mentre la novità vera è il successo dei partiti verdi in molti paesi europei, divenuti uno degli aghi della bilancia per le future coalizioni nel Parlamento dell ‘UE. Paradossalmente tutto è rimasto quasi come prima senza le grandi rivoluzioni paventate. La campagna elettorale italiana, e di tanti paesi dell’Unione, ha dimostrato in modo sconfortante come il tema dell’Europa fosse sono il pretesto per trattare questioni interne, conflitti tra partiti su problemi globali affrontati in maniera superficiale e in un’ottica localistica. Si pensi alla questione dell’immigrazione, dei rapporti con USA, Russia e Cina, dei diritti dei lavoratori, ecc. In campagna elettorale nessuno ha mai citato l’istruzione e la formazione come uno dei capisaldi per la creazione di una nuova Europa, da tutti evocata senza definirne i contenuti. Non basta promettere vagamente di rafforzare il progetto Erasmus per essere europei: nessuno ha posto il tema di una nuova visione della scuola che superi il dogma delle “competenze” finalizzate ad un vago inserimento in un mercato del lavoro precarizzato, nessuno ha proposto una armonizzazione dei saperi essenziali e delle conoscenze all’interno di una Europa che non sia solo una sommatoria di stati in perpetua competizione, sempre più fragili e deboli di fronte al crescere di potenze multilaterali. Preoccupa la retorica europeista scollegata da una realtà economica e sociale che percepisce da anni l’organizzazione e la funzione dell’Unione Europea come “altro”, come mera struttura tecnica del potere economico e finanziario. Il caso della Brexit dovrebbe insegnarci che l’Europa deve avere valori simbolici e culturali forti per non diventare il facile bersaglio di chi cerca un “nemico” da combattere. Preoccupa che la retorica autoreferenziale europeista possa diventare uno dei capisaldi della nuova “Educazione Civica” imposta nella scuola italiana nel segno dell’improvvisazione e della mancanza di risorse. I nostri studenti sono europei nell’immaginario collettivo, ma spesso sono solo preda di confuse ideologie che devono trovare in un “nemico” (migranti, èlite, ecc.) il comune sentire. Nessuno ha il coraggio di scoperchiare il vaso di Pandora delle nuove generazioni in Italia. Dalle ultime statistiche (2018) risulta che il 58% dei giovani interpellati concorda con l’affermazione che l’Unione Europea appare un esperimento sostanzialmente fallito. Chi la boccia senza appello è uno su quattro (il 22,4% è “Del tutto d’accordo” con tale affermazione) ma molti sono i dubbiosi (35% si dichiara “Abbastanza d’accordo”). Esistono però forti differenze sociali e per titolo di studio. Chi concorda con il fallimento sono circa due giovani su tre tra chi ha titolo basso e tra i Neet (66%), invece meno della metà tra i laureati. La rapida riduzione dei livelli di qualità dell’istruzione determinati dalle tante “riforme” che hanno decostruito, governo dopo governo, non solo nel nostro Paese, i concetti di studio, conoscenza e capacità rischia di favorire nel futuro una visione disfattistica che confonde l’attuale Unione Europea con il concetto di un’Europa intesa come laboratorio di politiche comuni sostenute da una governance diversa da quella esistente.
Per fare questo è necessario porre al centro dell’attenzione della scuola lo studio della Storia contemporanea. I nostri studenti sono nati dopo il trattato di Maastricht, il trattato di Lisbona, l’introduzione dell’Euro. Sanno poco della guerra fredda e non si rendono conto delle tensioni geopolitiche che stanno ridisegnando un mondo ancora ingessato da steccati e frontiere definiti dalla prima e seconda guerra mondiale. Non conoscono il funzionamento, complicato e per tanti versi poco democratico, delle istituzioni europee. Non comprendono perché tutti gli Stati dell’Unione siano a parole amici e solidali senza affrontare a livello comune il problema delle migrazioni e della crisi economica che perdura da ormai dieci anni. Non capiscono perché Francia e Germania, da sole, pongano le basi di un loro esercito “europeo” e di una politica economica e finanziaria che sembrano sempre penalizzare le economie più deboli e fragili.
La soluzione non può essere quella di uscire stupidamente dall’Euro, l’unica moneta senza sovranità statuale, o alzare muri e barrire doganali. Serve una Europa che esprima sovranità nel senso inteso da Bobbio (cittadinanza, moneta, monopolio della forza, fiscalità). Bisogna ricominciare a studiare il nostro mondo con tutte le sue contraddizioni partendo dalle prime idee “europeiste” che proponevano gli “Stati Uniti d’Europa” nate nel XIX (si pensi a Hugo,Cattaneo, Garibaldi, Mill), secolo per arrivare al Manifesto di Ventotene con la sua utopia di un’Europa unita e fondata su politiche socialiste e alla nascita della CEE. Servono ancora anni per creare una nuova coscienza europea che sia lontana dalle visioni, si spera, dell’Europa formata da una grande potenza che con la guerra conquisti quello che i geografi intendono come Europa. La scuola e i docenti hanno un ruolo fondamentale in questo percorso senza essere gli utili idioti delle retoriche dell’Unione Europea, dei suoi riti e delle sue ricorrenze. Fare la nuova Europa significa non solo ascoltare i giovani, ma anche obbligarli a prendere coscienza che è nelle loro mani il futuro di una idea che non può essere trattata solo dal punto di vista tecnico-istituzionale. Per fare questo bisogna studiare, studiare, studiare. E fare studiare. Bisogna affrontare criticamente la Storia superandone i limiti nazionali e gli approcci ancora inutilmente nozionistici con il coraggio di immaginare il futuro senza ricadere nelle tristi esperienze del passato.
 
 
 


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Numero 4 - Settembre 2019
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Giovanni Carosotti, Alberto Dainese, Frank Furedi, Marco Morini, Adolfo Scotto di Luzio, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.