IN QUESTO NUMERO
Numero 1 - Gennaio 2020
Numero 1 Gennaio 2020

Imparare lavorando, e imparare a lavorare

Di fatto tutti i componenti il consiglio di classe diventano tutor, progettisti di UDA e compilatori di format, modelli di valutazione e certificazione delle competenze, definitori di diagrammi di Gantt. Con la stessa retribuzione, gli stessi orari e oneri contrattuali dei colleghi dei licei e dei tecnici.


29 Dicembre 2019 | di Fabrizio Reberschegg

Imparare lavorando, e imparare a lavorare Sono recentemente uscite le linee guida per gli Istituti Professionali in attuazione del D.Lgs 61/2017 previsto dalla Legge 107/15 (Buona Scuola) e dai successivi regolamenti e decreti di applicazione e organizzazione.  I contenuti di queste linee appaiono confusi, contraddittori, incoerenti e spalmati su ben 53 pagine provocando nei docenti un senso di smarrimento, sconforto e demansionamento. La filosofia delle scelte operate nel documento è del tutto curvata sulle esigenze del “mondo del lavoro” globalizzato e sul presupposto della centralità astratta dello studente che può entrare, uscire, ritornare nei percorsi IP (Istruzione Professionale) con docenti costretti a tutoraggi personalizzati per costruire il mitico  curriculum della  studentessa  e  dello  studente. Il tutto mentre diventa sempre più centrale l’Istruzione e formazione professionale offerti dalle regioni che possono erogare qualifiche triennali o diplomi quadriennali.
Il D.Lgs 61/2017 aveva giustamente potenziato l’attività laboratoriale a partire dal primo biennio, ma aveva altresì introdotto principi pedagogici e didattici all’art.5 assolutamente discutibili (personalizzazione del percorso di apprendimento, introduzione degli “assi culturali” nel biennio, metodologie   didattiche   per l'apprendimento   di   tipo    induttivo, all'organizzazione per unita' di apprendimento -UDA). Le scelte didattiche imposte hanno come effetto una mole enorme di lavoro di progettazione, programmazione, valutazione e monitoraggio che si scarica sulle scuole e soprattutto sui docenti con risultati concreti presumibilmente vicino allo zero. Non è un caso che in tutti questi anni di riforme che hanno avuto per oggetto l’istruzione professionale si è determinata una progressiva riduzione delle iscrizioni con la corrispondente immagine dell’istruzione professionale  come una sacca di contenimento di fenomeni di disagio sociale e marginalizzazione giovanile. Di fatto si è arrivati, inseguendo le più strampalate teorie pedagogiche, alla cristallizzazione di una scuola di classe, ancora più classista dei quanto era la visione gentiliana, in cui al gradino sociale più dequalificato e in difficoltà spetta solo  una formazione al lavoro senza alcuna prospettiva certa di lavoro. Si pensi solo alle percentuali di studenti stranieri, di bes, di DSA, ecc. che frequentano gli istituti professionali, percentuali abnormi se confrontate con licei e istituti tecnici. Come rispondono la politica e la pedagogia “innovativa” a tale sfascio? Introducendo le Unità di Apprendimento al posto delle troppo tradizionali Unità Didattiche e gli assi culturali al posto delle vetuste discipline di insegnamento. Cosa sono le UDA?
Il Regolamento di attuazione riporta all’art. 2 la seguente definizione di UDA: “insieme autonomamente significativo di competenze, abilità e conoscenze in cui è organizzato il percorso formativo della studentessa e dello studente; costituisce il necessario riferimento per la valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti, soprattutto nel caso di passaggi ad altri percorsi di istruzione e formazione. Le UdA partono da obiettivi formativi adatti e significativi, sviluppano appositi percorsi di metodo e di contenuto, tramite i quali si valuta il livello delle conoscenze e delle abilità acquisite e la misura in cui la studentessa e lo studente hanno maturato le competenze attese”. L’UdA metterebbe quindi l’accento sull’attività del soggetto che apprende, mentre l’UD (la tradizionale Unità Didattica) – almeno terminologicamente – sarebbe stata maggiormente centrata sull’attività del formatore e sulla sua professionalità nella programmazione e valutazione. Vi invitiamo ad andare in internet e divertitevi a vedere le proposte di UDA dei tanti formatori creativi che le presentano con linguaggi pseudoscientifici (spesso con strampalati termini anglosassoni) mediante dei format predefiniti che assomigliano ad una dichiarazione dei redditi per la complessità e opacità. Si va dall’alimentazione nell’area mediterranea, ai cambiamenti climatici, al cibo e al territorio, ecc.  Alcune UDA sono bizzarre. Un esempio: UNITÀ DI APPRENDIMENTO: “Finchè c’è pesto... c’è speranza” (totale ore 22). Preparazione e presentazione di un piatto tipico: trenette al pesto. Elaborazione ricetta in L1 e L2. Relazione individuale.
Nulla osta che in un alberghiero si impari a cucinare, ma dedicare 22 ore di lezione per imparare a fare le trenette al pesto e a comunicarne la preparazione in italiano e inglese ci pare una grande presa in giro. Soprattutto perché tutti gli insegnamenti (non più discipline) dovrebbero adottare la metodologia UDA in tutto il percorso senza un ambito di riflessione e conoscenza specifica disciplinare.
Nelle linee guida si valorizzano gli “assi culturali”. Ricordiamo che essi sono stati introdotti già dal D.M. 139/2007 (riforma Gelmini). Nel documento tecnico di accompagnamento si legge testualmente: "I saperi e le competenze per l'assolvimento dell'obbligo di istruzione sono riferiti ai quattro assi culturali (dei linguaggi; matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale). Essi costituiscono il tessuto per la costruzione di percorsi di apprendimenti orientati all'acquisizione di competenze chiave che preparino i giovani alla vita adulta e che costituiscano la base per consolidare e accrescere saperi e competenze in un processo di apprendimento permanente anche ai fini della vita lavorativa".
 Coniugare l’organizzazione in assi culturali (per il biennio) con la scomparsa delle discipline sostituite da “insegnamenti” predisposti in UDA provoca lo sgretolamento di qualsiasi livello di conoscenza all’inseguimento delle “competenze” (saper cucinare e presentare le trenette la pesto?) finalizzate al positivo inserimento nel mercato del lavoro. Anzi, nelle indicazioni sull’istruzione professionale si punta in tutti i contesti ad una sorta di metodo induttivo che parte dal lavoro come elemento maieutico di tutte le conoscenze. Lavorando si impara, ma così le conoscenze diventano specialistiche, frammentarie e aleatorie e si riproduce di fatto la filosofia del vecchio avviamento al lavoro. Non serve studiare, importante è partecipare ai processi produttivi di valore aggiunto dai quali discendono “competenze” centrate non sulla cittadinanza e l’autonomia del soggetto, ma sull’idea del lavoratore-consumatore come base della piramide sociale.
In questo bailamme i docenti sono impegnati non solo ad essere creativi, ma a compilare modulari vari per la progettazione delle UDA, la verifica della competenze e per l’organizzazione della personalizzazione degli apprendimenti e alla realizzazione del Progetto Formativo Individuale (P.F.I.), in base alle esigenze formative rilevate, alle potenzialità da valorizzare o alle necessità di recupero di eventuali carenze riscontrate. Ciò significa che devono essere identificati tutor che seguano i percorsi individuali affiancati dal tutor per il PCTO (ex alternanza scuola-lavoro). Di fatto tutti i componenti il consiglio di classe diventano tutor, progettisti di UDA e compilatori di format, modelli di valutazione e certificazione delle competenze, definitori di diagrammi di Gantt. Con la stessa retribuzione, gli stessi orari e oneri contrattuali dei colleghi dei licei e dei tecnici. Si riconosca loro almeno a livello retributivo il maggiore onere lavorativo o, meglio, si riduca il peso orario frontale (da 18 a 15 ore settimanali).  Ad un’ora di lezione corrisponde ormai in tale contesto almeno un’ ora di lavoro burocratico senza contare il tempo per la preparazione “creativa” dei contenuti delle UDA. Il rischio è che il docente si affidi ai modelli precompilati delle case editrici o faccia il copia e incolla da siti ormai specializzati nella creazione di uda diventando così semplice manovale e impiegato. I colleghi dei Licei e dei Tecnici facciano attenzione. Quello che sta accadendo negli Istituti professionali è solo un esperimento che potrà essere trasferito anche nei loro istituti. Per questo chiediamo che si apra un confronto per rimettere mano ad una riforma sbagliata e per combattere l’ideologia totalizzante delle competenze che tanto danno sta facendo alla scuola italiana.
Sui temi della riforma dell’Istruzione Professionale e delle indicazioni nazionali abbiamo intenzione di aprire in questo giornale un dibattito laico e serio. Bisogna non solo lamentarsi, ma soprattutto reagire con controproposte credibili e di buon senso se su queste sfidare la politica e le baronie dei pedagogisti.
 
 
 


Condividi questo articolo:

Numero 1 - Gennaio 2020
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Valeria Ammenti, Ave Bolletta, Giovanni Carosotti, Rosario Cutrupia, Alberto Dainese, Giovanni De Luna, Danilo Falsoni, Marco Morini, Rocco Antonio Nucera, Adolfo Scotto di Luzio, Fabrizio Tonello, Sergio Torcinovich, Ester Trevisan, Maurizio Viroli.