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Numero 2 - Marzo 2020
Numero 2 Marzo 2020

Il dito e la luna

Dimissioni del ministro Fioramonti: un'occasione persa per discutere della qualità della nostra scuola, dell’università e della ricerca. Invece ci si è persi in una "realpolitik da quattro soldi"


17 Febbraio 2020 | di Gianluigi Dotti

Il dito e la luna La sera di Natale 2019 Lorenzo Fioramonti ha consegnato al Presidente del Consiglio Conte la lettera di dimissioni dalla carica di ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ad onor del vero, fin dal momento dell’insediamento, il 5 settembre, e poi in diverse occasioni pubbliche Fioramonti aveva affermato in modo categorico che, senza un forte investimento nell’istruzione, che significava anche, ma non solo, aumentare gli stipendi dei docenti per recuperare il potere d’acquisto perso con il blocco dei contratti dal 2009 al 2018, avrebbe rassegnato le dimissioni da ministro.
 
Così, dopo l’approvazione della legge di Bilancio 2020, la n. 160/2019 avvenuta il 23 dicembre, Fioramonti ha preso atto che i suoi sforzi per raggiungere il minimo indispensabile per mantenere a galla l’Istruzione, l’Università e la Ricerca erano falliti e, coerentemente con quanto fino ad allora dichiarato, si è dimesso. Per inciso, lo stanziamento per il rinnovo del CCNL della scuola, e quindi per gli stipendi degli insegnanti, previsto dalla legge 160/2019 non supera un misero 3,5%, poco meno di 80,00 euro lordo Stato al mese a regime nel 2021. Le stesse cifre del rinnovo del CCNL 2016/2018 (manca oltre 1 miliardo di euro per gli aumenti a tre cifre). Senza tralasciare che, con quella legge, si è intervenuti sottraendo ai docenti la somma complessiva del bonus per ridistribuirla a tutto il personale della scuola. (cfr. Come il bonus diventa un malus).  La Gilda ha subito commentato con le parole di Rino Di Meglio puntate sulla vera essenza di questo atto: la trascuratezza di tutti i governi verso la scuola: "Le dimissioni del ministro dell´Istruzione confermano che purtroppo in Italia i Governi, di qualunque colore politico siano, non ritengono istruzione e ricerca leve strategiche per lo sviluppo e la crescita del Paese.” (Rino Di Meglio, 27/12/2019).
 
In un paese normale, come ha scritto Concita De Gregorio il 27 dicembre 2019 su “La Repubblica”, i media della carta stampata e delle televisioni avrebbero obbligato la politica a parlare dei “milioni di insegnanti, ricercatori, precari della docenza e dello studio che eroicamente e per cifre ridicole portano avanti un’idea di futuro. Della scuola che cresce i figli nati qui da chi è arrivato da altrove, e che da sola potrebbe «fare politica» di integrazione, se solo avesse i mezzi. Di scuole che scompaiono dai paesi, palestre inesistenti nelle città, di carta igienica nei bagni e insegnanti di sostegno per chi può farcela se qualcuno lo aiuta, di chi sperimenta l’impensabile e inventa il tempo che verrà. Si parlerebbe di musica nel Paese del bel canto, di lingue antiche che sono la radice della nostra e di teatro, il gioco della vita e del mondo. Di scienze, di tecnologie, di come capire e governare il futuro. Di noi fra trent’anni.”
 
Si poteva, si doveva, cogliere l’occasione delle dimissioni di Fioramonti per mettere in primo piano, tra le priorità, “l’emergenza istruzione”, e chiedere conto alla politica e alle istituzioni: Governo, Parlamento, partititi del perché in Italia da decenni l’investimento rapportato al PIL nell’istruzione è tra i più bassi del mondo e perché gli stipendi dei docenti italiani non solo sono tra i più bassi tra tutti i paesi occidentali, ma sono perfino inferiori anche alla media degli stipendi dei dipendenti pubblici del nostro paese.
 
Si poteva, e si doveva, approfittare per discutere della qualità della nostra scuola, dell’università e della ricerca.
 
Delle cause per le quali una percentuale significativa di studenti in uscita dalla scuola secondaria di secondo grado non raggiunge gli obiettivi minimi di lettura e comprensione di semplici testi e che tipo di cittadinanza questi giovani saranno in grado di esercitare. Del valore delle conoscenze e del contributo che la scuola, attraverso i docenti, può dare alla società contemporanea. Del perché tanti nostri diplomati e laureati hanno successo in tutti i campi del sapere solo quando emigrano, tra l’altro Fioramonti è uno di questi giovani che ha vinto la cattedra universitaria in Sudafrica.
 
Invece, così come nell’adagio orientale che recita “quando il saggio indica la luna lo sciocco guarda il dito” nel paese del complottismo e della dietrologia, non si parla dell’emergenza istruzione. Gli “opinion maker” nostrani invece si arrovellano e si dividono sulla strategia sottesa alle “mosse” di Fioramonti: con chi si è già accordato? Con Conte per formare l’avanguardia di un nuovo partito del premier? Perché proprio a Natale? E poi il toto successore ... come se dietro ad ogni sospetto ci fosse una cattiva intenzione.
 
Il giudizio, assolutamente condivisibile, di Roberta De Monticelli sul ruolo dell’informazione e su come si è comportata la maggioranza dei professionisti della comunicazione è severissimo: “E’ un vizio antico, lo pseudomachiavellismo, la «realpolitik» da quattro soldi, che questi commentatori riproducono. Si chiama cinismo, e nasce da uno scetticismo morale e civile talmente aggrovigliato in se stesso, nella sua dogmatica miseria e nella sua inerzia borbonica, da meritarsi la peggior rovina che possa colpire una democrazia: la perdita totale di fiducia dei cittadini nelle loro istituzioni, il disprezzo di sé, la rassegnazione a un presente e a un avvenire da servi. Forse ce lo siamo meritati noi: ma non i nostri figli e i nostri nipoti”.
 
La filosofa, pur consapevole che è un vizio antico del nostro paese non capire che il nostro futuro dipende da noi, chiede uno scatto d’orgoglio a tutti coloro che vivono di cultura e di ricerca, a tutti coloro che hanno una qualche influenza sull’opinione pubblica per “far crescere una protesta ragionata, ferma, pacifica e quotidiana, una protesta che si levi in tutte le case, in tutte le strade, contro questa eterna umiliazione dello spirito, opposto, e quanto stupidamente, alla pancia.” 
 
Il compito non è di quelli semplici e a basso costo, ma è l’unica strada che gli insegnanti possono percorrere nella consapevolezza che solo creare e trasmettere cultura ci permette di lasciare ai nostri giovani un mondo migliore.
 
 


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Numero 2 - Marzo 2020
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