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Numero 5 - Novembre 2020
Numero 5 Novembre 2020

La scuola e l’università hanno bisogno innanzitutto di verità

Il dovere delle istituzioni formative non è solo di trasmettere sapere, ma è anche di non illudere. Intervista a Luca Rifolchi


03 Novembre 2020 | di Stefano Battilana

La scuola e l’università hanno bisogno innanzitutto di verità Domanda: Professor Rifolchi, nel suo brillante saggio, presentato in questo numero del nostro giornale, lei affronta anche la questione della scuola di massa e dei suoi non incoraggianti risultati: una visione sconsolante, sotto gli occhi di tutti, la cui analisi è condotta secondo i rigorosi criteri della Pars destruens. Non a caso lei parla proprio di “distruzione della scuola”, eppure dalla scuola di massa non si poteva e non si può prescindere e, anche se essa andasse tutta ripensata dalle fondamenta, vorremmo la sua opinione sulla direzione verso cui ricostruire. 


La ricostruzione della scuola è impossibile, perché alla stragrande maggioranza della popolazione va bene così com’è: per i genitori è un luogo in cui parcheggiare i figli, per gli studenti è un luogo in cui socializzare. Solo per gli insegnanti (e una minoranza delle famiglie) è soprattutto un luogo in cui trasmettere conoscenza.
Il problema fondamentale della scuola oggi in Italia è che in troppi casi rilascia falsi certificati, che illudono i giovani e le loro famiglie, ma non sono spendibili sul mercato del lavoro: i datori di lavoro ormai hanno capito perfettamente che un diploma o una laurea, di per sé, non significano nulla. La pratica delle false certificazioni è profondamente ingiusta nei confronti dei giovani che hanno studiato seriamente e che, non a caso, quando si spostano all’estero spesso conseguono risultati lusinghieri. 
 
Domanda: lei dice che l'attuale dequalificazione di titoli di studio troppo facilmente ottenibili si scontra con la realtà del mercato del lavoro, dell’accesso universitario e persino con la stessa selezione dei concorsi della pubblica amministrazione: ora, si può conciliare la scuola di massa con il merito e la disciplina, che, secondo un recente articolo (di Galli Della Loggia), sarebbero necessari per ridare credibilità e autorevolezza al corpo insegnante? 


Il problema non è la scuola di massa, che è una conquista da difendere. Il problema è che la consapevolezza che, alla fine, quasi tutti saranno promossi rende automaticamente non autorevoli gli insegnanti. 
Anche se va detto che il problema dell’autorità, della disciplina e del merito è molto più vasto. La nostra società è “evoluta” (?) attraverso la rinuncia delle istituzioni ad esercitare le loro prerogative: i genitori non educano i figli, i mass media (specie la tv) diseducano il pubblico, i giudici non comminano sanzioni, i politici forniscono esempi devastanti; più in generale il senso del dovere ha lasciato il posto al vittimismo.
Sarebbe strano che, in un contesto in cui sono quasi completamente sparite le sanzioni, la scuola riuscisse ad andare in controtendenza. 
 
Domanda: lei lamenta la fittizia corrispondenza fra i titoli di studio conseguiti e la realtà che attende i diplomati, a questo punto non sarebbe più opportuno una certificazione per livelli di apprendimento conseguito, uscendo così dalla nozione di classe per passare a quella di corsi di livello? Cosa ne pensa?


La scuola è irriformabile, perché qualsiasi riforma seria sarebbe impopolare. Ma se si deve immaginare una riforma, penso che quella dei livelli sia l’unica che potrebbe dare frutti significativi. L’idea è semplice: nessuno è obbligato a raggiungere la sufficienza (e tanto meno l’eccellenza) in tutte le materie, nessuno viene bocciato, nessuno deve ricuperare alcunché, ma nel titolo di studio che rilascia la scuola scrive, materia per materia e senza sconti, a che livello lo studente è effettivamente arrivato. Il che ovviamente comporta che, entro ogni scuola, sussistano corsi e moduli di differente livello, cui si accede con esame interno.
Se accompagnata da premi e generose borse di studio per i “capaci e meritevoli”, questa sarebbe una autentica rivoluzione, che finalmente farebbe cessare la ingiustizia più grande: rilasciare il medesimo titolo di studio ai bravi e agli ignoranti. 
 
Domanda: la scuola negli ultimi anni è andata sempre più verso la personalizzazione dei percorsi di studio, e allora perché non personalizzare anche i profili in uscita? Cose ne pensa?  
 
Dipende da che cosa si intende per personalizzazione. Se per personalizzazione si intende la possibilità, per lo studente, di acquisire (e veder riconosciute) conoscenze in ambiti particolari, diversi da quelli tradizionali, sono d’accordissimo. Ma se personalizzazione significa poter evitare di essere valutati anche sulle 4-5 materie fondamentali (fra cui ovviamente italiano e matematica), allora no, penso che sarebbe sbagliatissimo.
La scuola e l’università hanno bisogno innanzitutto di verità: il dovere delle istituzioni formative non è solo di trasmettere sapere, ma è anche di non illudere i giovani e le loro famiglie con le false certificazioni.




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Luca Ricolfisociologo, insegna Analisi dei dati presso l’Università di Torino,  attualmente è presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume di cui è stato uno dei fondatori insieme a Piero Ostellino e Nicola Grigoletto.E’ stato editorialista  de La Stampa (2005-2014) e del Sole 24 Ore (2015-2016),  collaboratore di Panorama. Ad oggi è editorialista del Messaggero. Con la pubblicazione nel 2005 di Perché siamo antipatici? (Longanesi) ha inaugurato una lunga stagione di accesi dibattiti sulle politiche della sinistra, sulla questione settentrionale e sul ristagno dell’economia italiana. Fra i suoi libri: Tempo scaduto. Il contratto con gli italiani alla prova dei fatti (Il Mulino 2006), Illusioni italiche (Mondadori 2010), Il sacco del Nord (Guerini e Associati 2012), La sfida. Come destra e sinistra possono governare l’Italia (Feltrinelli 2013), L’enigma della crescita (Mondadori 2014) , Sinistra e popolo (Longanesi 2017), La società signorile di massa, ( La nave di Teseo, 2019).
 
 
 


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Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
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Hanno collaborato a questo numero:
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