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Numero 1 - Gennaio 2013
Numero 1 Gennaio 2013

"Io, docente in un liceo pubblico, volontario in una scuola primaria familiare"

Fulvio Iachelini* racconta di un'esperienza interessante dal punto di vista umano e professionale come volontario nella scuola familiare di Pejo


27 Dicembre 2012 | di Flavio Tabanelli

"Io, docente in un liceo pubblico, volontario in una scuola primaria  familiare"
Come anticipato su Professione Docente di settembre ci occupiamo del fenomeno delle scuole famigliari. Anche il nostro Paese, infatti, vede aumentare il numero dei genitori che si lasciano tentare dall'idea di educare i proprî figli autonomamente.
Diversi sono i motivi della crescente affezione per la scuola famigliare o paterna, ma il comune denominatore è certamente l'insoddisfazione per come è ridotta ad operare la scuola pubblica, nel declino sociale che fa da contorno a tagli e disinvestimenti nell'azione educativa.

D: Quali sono i motivi che spingono un docente di scuola superiore a dedicare per un anno intero il proprio 'giorno libero' ad un gruppo di fanciulli, in una valle distante decine di chilometri dalla propria sede e dalla propria abitazione?
R: Sono stato colpito dall'identificazione scuola-vita che questo inedito progetto ha voluto promuovere e mi sono commosso per la tenacia e la caparbietà con le quali queste famiglie hanno saputo sviluppare l'idea di una scuola autonoma autogestita; mi sarebbe dispiaciuto che un progetto che elevava la scuola a metafora della sopravvivenza di un paese dovesse dipendere da un'agenzia di formazione a pagamento. Sarebbe stato come dire: 'Se paghi, hai tutto quello che vuoi', ma non era di certo questo il messaggio che le famiglie volevano mandare.
Mi sono immaginato nove bambini schierati sulla porta di una scuola chiusa in attesa di un insegnante che non sarebbe mai arrivato e a quel punto, per me, dare la disponibilità ha smesso di essere una scelta ed è diventata una necessità. A posteriori, dopo che il primo anno di vita della Scuola Pejo Viva si è concluso, mi sento in obbligo di rendermi nuovamente disponibile a collaborare con questo gruppo educativo per il profondo rispetto che nutro nei confronti delle scelte che queste famiglie hanno operato: l'impegno e gli sforzi messi in atto da genitori, bambini e volontari, il fatto di non voler fare ricorso a sponsor nè economici nè politici per la realizzazione dell'impresa, il fatto di non aver gravato su nessun ente nè associazione per sostenere le spese vive, l'orgoglio e l'umiltà dei protagonisti dell'esperienza hanno fatto sì che essa mettesse in evidenza le sue caratteristiche più vere: l'umanità, la solidarietà e lo spirito di collaborazione fine a se stesso.


D: I tuoi allievi di Peio non sono gli adolescenti coi quali sei solito lavorare. A parte questa ovvia differenza, che cambiamenti hai notato, dovuti alla particolare condizione della scuola paterna?
R: Paradossalmente, benchè l'attività che svolgo nei due contesti sia quella dell'insegnante e l'intensità con la quale cerco di trasmettere la matematica sia la stessa, non riesco a confrontare le due realtà, le considero due grandezze incommensurabili: ho dato la mia disponibilità a collaborare all'esperimento posto in essere da queste famiglie di Pejo, forte del mio mestiere di insegnante, per poi scoprire che le competenze che dovevo attivare distavano anni luce da quelle che impiego nel mio lavoro: grazie a questa esperienza ho capito che quello del maestro è uno dei mestieri più difficili e pregni di responsabilità che esistano. Lo studente di liceo è uno studente motivato, che ha già operato una scelta, paziente di fronte a forme di didattica terribilmente cattedratiche, diligente e rispettoso come si confà ad un adolescente già strutturato e quasi adulto; il bambino di Pejo è un cucciolo che cambia di giorno in giorno, che ha bisogno di essere stimolato e motivato, che non smette di 'torturarti' finchè non ha capito cosa deve fare, finchè non ha appagato la sua assetata curiosità. Amo operare in entrambi i contesti, consapevole del fatto che diversissimi sono i due ruoli che interpreto.
Ho percepito nella sua evidenza, la differenza tra la scuola dell'obbligo e la scuola che uno studente ha scelto in funzione del più o meno chiaro progetto di vita che ha stabilito per sè; mi sono sganciato dal mio ruolo di insegnante di matematica che vede lo studente sotto la lente della propria disciplina, cogliendo l'alunno in età evolutiva sotto un profilo globale; in sintesi, ho capito che l'insegnamento della matematica è tanto più efficace quanto più è chiaro all'insegnante lo status evolutivo della personalità dello studente destinatario del messaggio educativo.


D: Se consideriamo la pedagogia una scienza, allora i centocinquant'anni di scuola postunitaria sono un grande esperimento di massa, come gli ultimi cinquanta della 'rivoluzione' che introdusse il paradigma insiemistico nell'insegnamento della matematica (la cosiddetta 'New Math'), il dogma maltusiano nell'insegnamento della geografia, l'apertura alla controcultura, ecc. La crisi in cui viviamo richiederebbe una valutazione di questi esperimenti, con la mente aperta ad ammetterne, se ne fosse il caso, il fallimento. Proviamo, infatti, a ipotizzare che il disastro scolastico non dipenda soltanto dalla penuria di soldi, ma anche da errate impostazioni metodologiche e curricolari, cioè dai contenuti e da tempi e modi di presentarli. La libertà goduta nella scuola paterna di Pejo ti ha permesso di sperimentare metodi alternativi, che possano fungere da apripista, nel caso di necessarie revisioni del curriculum nazionale?
R: Non sono d'accordo sul concetto di 'disastro scolastico': dopotutto, dal confronto con i risultati di altre nazioni, scopriamo che la scuola primaria italiana si difende piuttosto bene e, per tenere accesa la speranza, è anche opportuno segnalare che in Italia vi sono molte realtà che danno ottimi risultati scolastici in tutti gli ordini di istruzione. Mi trovi invece d'accordo quando parli di una sorta disorientamento derivante da una selvaggia sovrapposizione di sperimentazioni e metodologie che hanno investito la Scuola; spesso anzichè avere il coraggio di operare una scelta, si è proceduto per giustapposizione: per la paura di abbandonare il paradigma didattico-metodologico precedente, si è deciso di aggiungerne uno nuovo, con il risultato che, teoria dopo teoria, progetto dopo progetto, la Scuola è diventato un contenitore onnivoro che, anzichè contrastare lo schizofrenico 'mordi e fuggi' culturale del quale la società sta diventando vittima, sta rischiando di assecondarlo diventandone una complice. Ci si lamenta spesso del fatto che i nostri studenti non riflettono, che non sono speculativi, che non rielaborano, io mi chiedo quando i nostri studenti potrebbero dedicarsi a queste formative e nobili attività, vista la frenetica e incessante giornata 'lavorativa' che abbiamo cucito loro addosso.
L'esperienza di Pejo ha fatto di necessità virtù: una revisione del curricolo si è resa necessaria, dal momento che il tempo scuola era ridotto rispetto a quello ordinario; tuttavia posso affermare che, nonostante una riduzione dei contenuti sia stata resa obbligatoria, la qualità del risultato può essere considerata ottima, in vista di una sperata permanenza dei risultati dell'apprendimento: la cura e la pazienza con le quali sono stati somministrati gli argomenti, l'attenzione nell'assecondare i ritmi di apprendimento del fanciullo, i tempi dedicati alla riflessione, al ragionare insieme ed alla rielaborazione dei concetti fanno sperare che questi bambini siano stati i destinatari di una efficace esperienza di apprendimento.


D: Che cosa hai potuto sperimentare delle novità che i corsi di aggiornamento ci inviterebbero ad attuare, ma che avverse condizioni ci impediscono?
R: Annovero questa esperienza tra le più professionalizzanti del mio curriculum, anche se non credo che mi verrà rilasciato un attestato :-))
In questo momento sto pensando a me in qualità di insegnante di matematica e fisica in un liceo: il fatto di assistere al processo durante il quale il bambino passa da esperienze tattili-corporee al concetto di numero, di operazione o di forma geometrica, per me, ha significato impadronirsi di un segmento dello sviluppo cognitivo del fanciullo al quale non mi sarei mai potuto avvicinare nel corso della mia attività lavorativa: ho scoperto la gioia di vedere un bambino illuminarsi dopo che aveva afferrato un concetto, dopo che si era impadronito di un meccanismo di calcolo o dopo che aveva colto la bellezza di un ragionamento, ho avuto la fortuna di poter sperimentare l'assenza di competizione tra i ragazzi e la solidarietà che si instaura tra i fanciulli nel momento dell'apprendimento, l'imparare per l'imparare e non l'imparare per il voto.
Ho avuto conferma del fatto che questo 'corso di aggiornamento a Pejo' mi aveva giovato quando, verso la fine dell'anno scolastico, i miei studenti di liceo mi hanno detto che mi trovavano diverso dagli anni passati; ho chiesto loro in che cosa consistesse questa mia diversità ed essi mi hanno risposto che ero più chiaro nelle spiegazioni, che ero più incline ad agganciarmi ai loro saperi pregressi e che sembrava che andassi a ripescare concetti e parole che appartenevano al loro passato matematico, dando loro il senso della continuità di ciò che avevano appreso: il più bel complimento che io abbia ricevuto in tredici anni di insegnamento.


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* Fulvio Iachelini è un docente di Matematica di un liceo della Provincia di Trento che ha accettato di insegnare, come volontario, nella scuola familiare di Pejo ( di cui abbiamo parlato nel numero di settembre 2012 di questo giornale) In questa intervista - pubblicata integralmente in www.gildacentrostudi.it - ci racconta di un'esperienza interessante dal punto di vista umano e professionale.


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Numero 1 - Gennaio 2013
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Gina Spadaccino.
Hanno collaborato a questo numero:
Stefano Borgarelli, Giovanni Cadoni, Flavio Tabanelli.