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Numero 2 - Marzo 2016
Numero 2 Marzo 2016

La chiamata diretta migliora la qualità dell'insegnamento?

Oltre a ledere la libertà d’ insegnamento, sancita dalla nostra Costituzione all’ art. 33 ( e non è poca cosa), la chiamata diretta porterà probabilmente un peggioramento della qualità degli apprendimenti degli alunni, anche nelle indagini internazionali


14 Febbraio 2016 | di Gianluigi Dotti

La chiamata diretta migliora la qualità dell'insegnamento? La chiamata diretta dei docenti da parte del dirigente scolastico è il principio fondante, il nucleo essenziale, della legge 107/2015, cosiddetta “buonascuola”. Una lettura attenta della legge e un'analisi approfondita delle argomentazioni dei decisori politici e degli sherpa ministeriali svela, al di sotto della patina di retorica utilizzata in grande quantità, il paradigma dell'intero impianto riformatore di Renzi e Giannini, cioè l'idea che le insufficienze del sistema scolastico italiano derivino dalla mancanza di competizione tra gli insegnanti.
Infatti, assecondando, nella migliore delle ipotesi, la campagna denigratoria e diffamatoria, per principio, verso tutto ciò che è “pubblico”, senza entrare nel merito di ciò che funziona e di ciò che invece andrebbe cambiato, gli estensori della legge 107/2015 hanno scelto per la scuola italiana e per i suoi docenti l'archetipo gerarchico-manageriale, che ha come obiettivo aumentare e diffondere la competizione, e di conseguenza le differenze stipendiali, tra gli insegnanti.
Sin dal titolo dato alla legge: “buonascuola”, con un metamessaggio si crea presso l'opinione pubblica (di cui fanno parte anche gli insegnanti) il prerequisito che il sistema scolastico italiano sarebbe “obsoleto” e “cattivo”, insomma da “rottamare” al fine di introdurre la “buonascuola” che solo il Governo “innovatore” può realizzare.
L'innovazione consiste nell'assegnare “nuovi poteri” al dirigente scolastico che nella fattispecie si concretizzano con la chiamata diretta (scelta) dei docenti della “sua” scuola (cc. 78-82), con l'individuazione di un proprio staff fino al 10% dell'organico dell'autonomia (c. 83) e con la distribuzione delle somme di denaro dell'accessorio cosiddetto “bonus” (cc. 127).
Come si può leggere nel testo dei commi citati il dirigente scolastico diventa una sorta di “gestore” privato di un'istituzione pubblica, che è la scuola pubblica statale. La motivazione che è stata utilizzata più spesso dai decisori politici e dagli sherpa ministeriali è che affidare i dirigenti scolastici questi poteri svilupperebbe la competizione tra i docenti e questo porterebbe un miglioramento della qualità dell'intero sistema e del processo insegnamento-apprendimento. Insomma il paese avrebbe alunni più preparati e in grado di concorrere meglio nel futuro mercato del lavoro mondiale.
Queste affermazioni vengono sostenute con argomentazioni che utilizzano gli esempi europei, in particolare del mondo anglosassone dove è diffuso il modello scolastico “privatizzato”.
Per l'opinione pubblica, che conosce in modo sommario il mondo scolastico, queste argomentazioni spesso sono sufficienti, ma per chi è, come i docenti, professionista dell'istruzione queste argomentazioni non sono convincenti prima di tutto perché il sistema scolastico italiano per storia e contesto risulta differente da quello anglosassone.
Prima di tutto, non si ricorda mai abbastanza che nella nostra Costituzione esiste l’ art. 33 che riconosce la libertà d’ insegnamento, considerata una tutela per educare i nuovi cittadini alla libertà Questa libertà è rivolta al metodo di insegnamento ed è evidente che, quando i docenti dipendono per il loro posto di lavoro, non da criteri oggettivi- come i punteggi o i concorsi- ma da scelte soggettive di un Capo, si creino inevitabilmente condizioni di un non libero “ adattamento” alle scelte didattiche e alle preferenza culturali del Dirigente.
Inoltre, se guardiamo al sistema scolastico italiano le scuole che hanno un dirigente che sceglie i docenti, sceglie i suoi collaboratori e sceglie infine quanto pagarli ci sono sempre state e sono le scuole private.
Si tratta di vedere allora se grazie alle rilevazioni degli apprendimenti degli studenti queste scuole garantiscono una qualità migliore dell'insegnamento rispetto a quelle pubbliche statali.
Ma proprio in questo caso, però, se proviamo ad approfondire l'argomento scopriamo che le indagini nazionali sui risultati conseguiti dagli studenti dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado effettuate dall'INVALSI (1) dimostrano che le performance degli allievi delle scuole private italiane sono fortemente inferiori a quelle della scuola pubblica statale.
Questi risultati, a scanso di equivoci, sono confermati a più riprese anche dalle indagini internazionali, come quella dell'OCSE-PISA 2009 (2), sugli apprendimenti dei quindicenni italiani che dimostrano come gli studenti delle private si collochino ben 20 posizioni sotto quelli della pubblica statale. Questa situazione risulta essere in controtendenza nel panorama dei paesi OCSE, infatti nella media media dei paesi OCSE gli studenti “privati” sono più bravi di quelli “pubblici”.
Proprio questi dati dimostrano che il contesto e la storia del sistema di istruzione italiano sconsigliano l'applicazione di modelli importati dall'estero e studiati a tavolino, probabilmente anche male, dai nostri politici e dai loro consiglieri senza ascoltare chi nella scuola lavora tutti i giorni.
Assegnare ai dirigenti scolastici i poteri che la 107/2015 affida loro facendogli scegliere i docenti, lo staff e quanto retribuirli non porterà risultati positivi decantati dalla “buonascuola” e dai suoi creatori, ma più probabilmente un peggioramento della qualità degli apprendimenti degli alunni, anche nelle indagini internazionali.
 
 
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(1) Sui risultati dell'indagine INVALSI 2012 si si veda l'articolo pubblicato da Orizzonte scuola il 30/12/2013 che si trova in http://www.orizzontescuola.it/news/ocse-pisa-2012-peggiori-private-finanziate-dallo-stato-e-divario-indirizzi-studio
(2) Saverio Giulini, docente Università di Genova, ha commentato così i risultati dei test di comprensione del testo, di matematica e scienze dei ragazzi di 15 anni OCSE PISA 2009 (http://pisa2009.acer.edu.au/interactive.php). “In tutte e tre le “specialità” (Reading, Mathematics, Science) la scuola statale italiana naviga un po’ al di sopra di metà classifica, tra la 25-esima e la 28-esima posizione (su 64 paesi); il punteggio medio dei nostri studenti è da 1 a 3 punti al di sopra della media, anche se non mancano delle sorprese: nella Matematica i nostri studenti sopravanzano di 4 punti i colleghi USA. Sul versante privato la situazione precipita: nelle paritarie perdiamo oltre 20 posizioni, oscillando tra la 47-esima e la 49-esima posizione (su 61 paesi) ma, cosa assai più grave, gli studenti delle scuole private ottengono punteggi tra i 70 e i 73 punti inferiori alla media OCSE (relativamente al settore privato). Ancora più istruttivo è paragonare la differenza di rendimento tra gli studenti “privati” e quelli “pubblici”. Nella media dei paesi Ocse esteri gli studenti “privati” sono più bravi di quelli “pubblici”, ottenendo in media punteggi di 34/35 punti superiori. In Italia la situazione si inverte: gli studenti delle scuole private ottengono un punteggio (medio) tra i 37 e i 41 punti inferiore ai loro colleghi della scuola statale.” http://matematica.unibocconi.it/articoli/pubblico-e-privato-nellistruzione-superiore
 
Si veda anche Salvo Intravia, “Nella scuola pubblica si impara di più L'Italia in basso per colpa delle private”, Repubblica del 10/12/2010; http://www.repubblica.it/scuola/2010/12/10/news/pubbliche_private-10029837/





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Numero 2 - Marzo 2016
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
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Hanno collaborato a questo numero:
Rosario Cutrupia, Tommaso de Grandis