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Numero 3 - Maggio 2016
Numero 3 Maggio 2016

Mi ha sfiorato l’ ala dell’ infelicità…

Davvero l’ impegno scolastico crea stress e infelicità? O non è piuttosto che il compito dell’educazione viene aggirato nel nome della felicità del bambino che solitamente corrisponde a fargli fare tutto quello che vuole?


17 Aprile 2016 | di Renza Bertuzzi

Mi ha sfiorato l’ ala dell’ infelicità… Da poco è stato reso pubblico il rapporto quadriennale dell’ OMS sulla salute psicofisica degli adolescenti europei. Ne è risultato che gli studenti italiani sarebbero i più stressati e i meno felici a scuola. Franco Cavallo, ordinario di epidemiologia dell'Università di Torino e curatore della parte italiana, ha commentato così il rapporto: “Questi dati sono un segnale preoccupante, era già così nella scorsa edizione del rapporto . Non è da sottovalutare questa pressione che viene sentita dal ragazzo. La sensazione è che sia legata soprattutto alla richiesta in termini di impegno, di ore di lavoro, all'ottenimento di determinati voti. Probabilmente vanno ritarati i programmi, che sono ancora legati alle superiori di una volta che selezionavano molto. La pressione viene condizionata sia dal rapporto con gli insegnanti sia dal rapporto che i genitori hanno con i docenti e la scuola stessa". Qualcosa non torna e non solo nel fatto che un medico, pur se primario, si ritenga in diritto di suggerire un alleggerimento (?) dei programmi, ignorando che questa funzione appartiene al Parlamento ( senza chiedersi se la ragione dello stress sia questa e non altro, per esempio una scarsa abitudine dei giovani all’ impegno) ma soprattutto nel fatto che la stessa OMS, nel 2013, aveva indicato tra i fattori di burnout dei docenti- che risultano tra le categorie più esposte- anche il livellamento del ruolo dei docenti rispetto a quello degli studenti. Ora, o l’ una o l’ altra: o sono i docenti a stressare gli studenti o il contrario. L’ OMS non ha pensato di incrociare i dati e di porsi qualche domanda. Noi invece sì e come capita spesso con certe indagini ci chiediamo perché qualcosa non ci convinca in quella condizione di stress che lamentano gli studenti.
 
Stress da prestazione, da compiti e da valutazioni. Forse ci siamo persi qualcosa, ma a cosa servirebbe la scuola se non si valutasse, non ci si esercitasse, non si studiasse? C’ è modo e modo, diranno alcuni, certo c’ è anche il modo- ed è quello che sta vincendo- di abolire la scuola dall’ interno e di lasciare i giovani liberi di cercarsi la felicità nel nulla, magari nel mondo di Google e Facebook, dove si accumulano e moltiplicano le centinaia di scelte che ogni giorno, si operano sul web, e che costituiscono un profilo che è una guida sicura e fruttuosa per la pubblicità. Massimo Recalcati, ne “ La Repubblica” del 27 marzo 2016 fa il punto su questa tendenza : [...] L’elevazione del bambino a nuovo idolo di fronte al quale, al fine di ottenere la sua benevolenza, i genitori si genuflettono, è un effetto di questa erosione più diffusa del discorso educativo. Nella pedagogia falsamente libertaria che oscura il trauma benefico del limite come condizione per il potenziamento del desiderio, l’educazione stessa è diventata un tabù arcaico dal quale liberarsi, una parola insopportabile che nasconde e giustifica subdolamente il sadismo gratuito degli adulti verso l’innocenza dei figli. In realtà, questa dismissione del concetto di educazione è un modo con il quale gli adulti – che, come ricorda Lacan, sono, in realtà, i veri bambini – tendono a disfarsi dal peso della loro responsabilità di contribuire a formare la vita del figlio. Ne è una prova il sospetto coi quali molti genitori osservano gli insegnanti che si permettono di giudicare negativamente i loro figli o, peggio ancora, di sottoporli a provvedimenti disciplinari. Il compito dell’educazione viene aggirato nel nome della felicità del bambino che solitamente corrisponde a fargli fare tutto quello che vuole: il soddisfacimento immediato non è solo un comandamento del discorso sociale, ma attraversa anche le famiglie sempre più in difficoltà a fare esistere il senso del limite e del differimento della soddisfazione.
 
Ecco cosa non va in quel rapporto: le domande poste, l’ ideologia della felicità come un diritto da pretendere da un ente esterno e non come una tensione a cui aspirare e da conquistare con impegno e fatica. L’ illusione che l’ esterno debba essere facile e cedevole. La caduta dell’ idea di educazione. Non ci pare un mondo libero quello che pone domande di quel genere, ma solo un mondo ingannevole e subdolo che non prepara alla felicità ma all’ imbroglio e alla sudditanza . Il problema sarà quando qualcuno dirà a questi giovani “ infelici” che è stato solo uno scherzo. E allora comprenderanno tutto l’ inganno di avere aspirato a frottole e non a diritti veri. Speriamo solo che non sia troppo tardi.
 
 


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Numero 3 - Maggio 2016
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