IN QUESTO NUMERO
Numero 5 - Novembre 2016
Numero 5 Novembre 2016

Il porto delle nebbie

Ricordiamo che le scelte sulla formazione dei docenti spettano sempre al Collegio dei Docenti. Siamo noi che dobbiamo riappropriarci della libertà di scegliere i percorsi di aggiornamento e formazione che ci servono realmente


23 Ottobre 2016 | di Fabrizio Reberschegg

Il porto delle nebbie Dopo una serie di annunci è stato finalmente partorito dal MIUR il "Piano per la Formazione dei Docenti 2016-2019". Parto lungo e difficile che consiste in un documento di ben 89 pagine diviso in 10 parti, nel quale sono scomparsi i riferimenti quantitativi alle ore obbligatorie di formazione che erano stati menzionati nella prima bozza dove si parlava di 5 unità formative (UF) costituite da un minimo di 25 ore per ogni segmento da effettuarsi entro il triennio. Avevamo calcolato un carico di lavoro di ben 125 ore di formazione aggiuntive all'orario di lavoro dei docenti nel corso del triennio. Di queste 125 ore almeno 8 per ogni UF (40 ore nel triennio) dovevano essere organizzate in presenza per poi concludere il percorso dell'UF con "sperimentazione didattica e ricerca/azione, lavoro in rete, approfondimento personale e collegiale, documentazione e forme di rendicontazione/restituzione con ricaduta nella scuola, progettazione". In alternativa erano previsti corsi totalmente on line. Le nostre proteste al tavolo di informazione cui il MIUR ha invitato le organizzazioni sindacali hanno avuto l'effetto di eliminare in questa fase la quantificazione spostandola all'interno della futura contrattazione per il rinnovo del CCNL scuola, promesso da Renzi, Madia e Giannini. Ciò non toglie che a pag. 67 del piano si faccia riferimento alla definizione di unità formativa mutuandola con gli standard universitari (CFU universitari e professionali) e facendo rientrare di soppiatto le 125 ore triennali dalla finestra. Ovviamente le UF sono programmabili solo in coerenza con gli obiettivi del Piano Nazionale e dei Piani delle singole scuole. Sempre a pag 67 si conclude " andrà posta particolare attenzione ...alla necessità di garantire ai docenti almeno una Unità Formativa per ogni anno scolastico" partendo da questo.
 
Sembrano tecnicismi, ma si tratta di una modifica unilaterale dello status dei docenti che distorce i principi riconosciuti nell'attuale CCNL dove si riconosce il diritto/dovere per i docenti di partecipare ad iniziative di formazione senza definire quantitativamente e qualitativamente indirizzi, modalità e percorsi. A pag. 7 addirittura si accenna "alle prospettive di carriera dei docenti" con la costruzione di una "storia formativa e professionale" certificabile mediante un portfolio professionale.
Non solo questo. Si definiscono le priorità della formazione 2016-19 ponendo di fatto le basi a opzioni guidate dal MIUR che riducono gli spazi di libera scelta dell'ambito della formazione da parte dei singoli docenti. Le priorità sono relative alle "Competenze di sistema" (autonomia didattica e organizzativa, valutazione e miglioramento, didattica per competenze e innovazione metodologica), alle "Competenze per il 21 secolo" (lingue straniere, competenze digitali, scuola e lavoro) e alle "Competenze per una scuola inclusiva" (integrazione, cittadinanza globale, inclusione e disabilità, coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile). Manca gravemente qualsiasi accenno all'aggiornamento disciplinare e della didattica per discipline o interdisciplinare. Di fatto si cerca di costruire l'insegnante del 21 secolo come mediatore e facilitatore culturale, inclusivo, poliglotta globale, coerente con i bisogni del sistema produttivo. Non serve più un insegnante preparato e aggiornato nelle discipline che deve conoscere prima di applicarle nella gestione della classe e negli ambienti di apprendimento. Il metodo è più importante dei contenuti.
 
Tale approccio ha attraversato tutta la pedagogia degli ultimi trent'anni e sta ottenendo ora il riconoscimento ufficiale di una politica subalterna ai dettami dell'economia e della sua visione unidimensionale del mondo.
A insegnanti in possesso delle "competenze del 21 secolo" corrisponderanno studenti e cittadini senz'altro meno consapevoli, più disponibili a curvare la loro conoscenza e abilità al contesto produttivo e sociale di riferimento, meno preparati e meno capaci di usare autonomamente la critica come strumento di libertà e emancipazione. In sintesi i futuri studenti saranno meno cittadini. E forse più ignoranti.
Ma è questo che vogliamo?
Tornando al Piano della Formazione sintetizziamo alcune posizioni che, crediamo, possano essere condivise da tanti colleghi:
- Questo piano per la formazione è uno dei tanti frutti del virus della bulimia burocratica e pedagogica che sta strangolando insegnanti e dirigenti. Sarebbero bastate 20 pagine ben scritte per comunicare gli elementi essenziali delle scelte operate e delle modalità attuative proposte/imposte. In parte è illeggibile, ridondante e inutile.
- La formazione sicuramente deve far parte del bagaglio culturale e professionale dei docenti. Ben venga quindi la sua valorizzazione all'interno dei percorsi professionali di tutti i docenti, ma deve riconoscere maggiori e più adeguati spazi di libertà per l'aggiornamento disciplinare e culturale dei docenti. Dopo la laurea nessuno può dirsi "cultore della materia". Il long life learning deve valere anche per i docenti ed è per questo che la Gilda da sempre ha proposto periodi sabatici in cui approfondire e sperimentare la propria preparazione finalizzandola anche dal punto didattico operativo. La legge 107/15 (Buona Scuola) impone invece un modello di formazione obbligatoria inserendolo nella funzione docente senza alcun riconoscimento stipendiale e senza considerarlo come attività accessoria o inserita direttamente nell'orario di lavoro come accade nelle altre professioni o negli altri comparti del pubblico impiego.
- L'accento sui temi della didattica per competenze, del'innovazione digitale, dell'astratto studio delle lingue straniere pone sempre l'accento sulle modalità e il metodo della didattica proposta/imposta per essere considerati "buoni e meritevoli insegnanti in carriera". Siamo convinti che conoscere le metodologie sia necessario per ogni docente, ma non esiste una metodologia applicabile in tutti i contesti. Gli insegnanti, da bravi artigiani quali sono, devono sapere utilizzare le metodologie didattiche più adeguate al contesto in cui devono lavorare. Una sorta di cassetta degli attrezzi a loro disposizione per raggiungere i migliori obiettivi con i loro allievi. Nelle tre gambe della società delle competenze ci accontenteremo di sviluppare almeno il sapere. Sul saper fare (che cosa e per chi?) ancora troppi sono i problemi aperti. Sul saper essere, stendiamo un velo pietoso. Nella cosiddetta società cognitiva e delle competenze essenziali, dopo anni di "saper essere" qualcuno ci può spiegare perché i giovani "competenti e che sanno essere" nelle nostre società tendono a non votare, a sostenere movimenti autoritari o populisti, ad accettare passivamente condizioni inique di lavoro precario senza fiatare, ecc.? Non è che forse stiamo sbagliando qualcosa?
 
Anche per questo non possiamo che assistere con preoccupazione al piano per l'aggiornamento che, con il sostegno dei 500 € della carta del docente, può trasformarsi in una sorta di supermercato di corsi inutili e autoreferenziali che servono soprattutto ai formatori e alle agenzie di formazione che si stanno aggirando come avvoltoi sulla montagna di soldi che potenzialmente saranno spesi per la formazione (380 milioni con la carta del docente, più i PON, più il finanziamento alle scuole di circa 40 milioni, ecc.).
Ricordiamo che le scelte sulla formazione dei docenti spettano sempre al Collegio dei Docenti. Siamo noi che dobbiamo riappropriarci della libertà di scegliere i percorso di aggiornamento e formazione che ci servono realmente senza farci intimidire dagli specialisti della didattica e della pedagogia che vorrebbero continuare a dirci come insegnare e cosa insegnare senza essere mai stati in una classe reale o esserne fuggiti per "ricercare". Che cosa non si sa...
 
 


Condividi questo articolo:

Numero 5 - Novembre 2016
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Gina Spadaccino.
Ha collaborato a questo numero:
Ester Trevisan