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Numero 5 - Novembre 2017
Numero 5 Novembre 2017

“Dalla scuola della Costituzione alla Buona Scuola passando per Don Milani”

5 ottobre 2017, tradizionale convegno della Giornata Mondiale dell'Insegnante. Grande partecipazione, dibattito e discussione


28 Ottobre 2017 | di Ester Trevisan

“Dalla scuola della Costituzione alla Buona Scuola passando per Don Milani” Tre ore di interventi e dibattito per discutere, confrontarsi e riflettere sulle profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali che hanno cambiato il volto della scuola italiana in 70 anni di storia repubblicana. Ha riscosso ampio successo il convegno nazionale “Dalla scuola della Costituzione alla Buona Scuola passando per Don Milani”, promosso dalla Gilda degli Insegnanti e dall'Associazione Docenti Art. 33 in occasione della Giornata Mondiale dell’Insegnante, che si è svolto il 5 ottobre al palazzetto delle Carte Geografiche a Roma. All’iniziativa, moderata da Alessandro Giuliani, direttore responsabile del quotidiano on line Tecnica della Scuola, hanno partecipato Frank Furedi, professore emerito di Sociologia all’Università del Kent, Canterbury (UK), Ermanno Bencivenga, professore di Filosofia all’Università della California, Irvine (USA), Adolfo Scotto Di Luzio, professore di Storia della Pedagogia all’Università degli Studi di Bergamo, Fabrizio Reberschegg, presidente dell’ Associazione Docenti Art. 33, e Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda degli Insegnanti.
A prendere per primo la parola è stato Furedi che ha posto in relazione la crisi dell’istruzione con l’autorità del docente sempre più erosa dalle mode educative e dalle pressioni della politica. Secondo il sociologo ungherese, “ormai è diffusa la convinzione che, se si riuscirà a motivare i ragazzi, si risolveranno i problemi legati alla didattica. Ciò assume forme di caricatura grottesca: in Inghilterra, per esempio, sono stati introdotti i cani in alcune classi per far sentire i ragazzi a loro agio”. “Il trend attuale - ha proseguito Furedi - consiste nel trasmettere competenze invece di conoscenze, ma le competenze hanno a che vedere con la formazione, non con l’istruzione che è l’unico strumento in grado di innalzare il livello intellettuale dei ragazzi. L’attività del docente è decisiva. In Europa la pedagogia trova ispirazione da ambiti estranei all’esperienza organica degli insegnanti la cui autorità è sminuita, mentre si deifica l’autorità dell’allievo”. Per l’accademico dell’ateneo inglese, “l’insegnante deve avere la capacità di comunicare con autorevolezza e questa capacità è basata sulla fiducia che l’insegnante ha nella propria disciplina: non servono trucchetti motivazionali perché la passione per la materia diventa la chiave per l’autorevolezza”. Ma i politici intralciano il lavoro dei docenti: “Essi - ha spiegato Furedi - rispondono tutti allo stesso dogma: non possiamo fidarci degli insegnanti perché, se vengono lasciati liberi di dare giudizi, possono commettere errori. Dunque, bisogna controllarli. Il docente, invece, deve essere lasciato libero di esercitare la propria capacità di giudizio, la sua autorità deve essere riconosciuta e rispettata, e dobbiamo dire no a soggetti esterni che pensano di poter colonizzare le menti dei ragazzi attraverso la didattica”.
Di crisi, anzi, di scomparsa del pensiero ha parlato invece Bencivenga: “Pensare è ragionare, cioè tracciare collegamenti necessari fra idee e contenuti mentali. Vedo questa capacità molto a rischio, minacciata dal prevalere degli strumenti informatici. La logica ha prosperato in una lunga era di carenza informativa in cui avevamo pochi dati a disposizione e dovevamo compiere la magia di dedurne altri che non avevamo. Oggi invece - ha evidenziato il filosofo - i dati sono a disposizione costantemente in tempo reale, quel bisogno che ci aveva spinto alla deduzione si perde e quando si perde la necessità di una funzione di solito gli esseri umani perdono anche l’abilità”. Per salvare il pensiero, Bencivenga ha esortato a “istituire una pratica utile, concreta, costante, quotidiana di esercizi di ragionamento che ci consentano di supplire a quello che non ci è più dato automaticamente dalle nostre abitudini quotidiane. Quindi propongo l’insegnamento della logica nelle scuole di ogni ordine e grado”.
Nel suo intervento, invece, Scotto Di Luzio ha posto l’accento sulla crisi della scuola democratica, individuandone la causa nello sradicamento dell’istruzione dalle sue basi politiche: “Oggi la scuola è un ‘affare’ delle famiglie che con le loro scelte replicano nell’istituzione scolastica le differenze che attraversano il corpo della società italiana”. Di Luzio si è poi soffermato sulla delegittimazione della funzione dell’insegnante: “Pensiamo, per esempio, all’alternanza scuola-lavoro che parte dal presupposto per cui ciò che conta è fuori dalla scuola e che un datore di lavoro, una cooperativa, una piccola impresa hanno da dire ai giovani molto più di un insegnante. Ciò pregiudica l’autorevolezza, e di conseguenza l’autorità, del docente”. Di Luzio ha lanciato poi un appello a tutti i docenti italiani affinché si oppongano con forza a ogni tentativo di introdurre nella scuola lo smartphone: “Si tratta di uno strumento tecnologico che non ha nessuna funzione educativa e serve soltanto a rendere gli studenti più distratti e insolenti. Stiamo assistendo a una inspiegabile deriva digitale assolutamente priva di senso che va contrastata”.
Leggendo alcuni passi di “Lettera a una professoressa”, Reberschegg ha invitato docenti e intellettuali a rileggere in chiave critica il famoso testo di Don Milani per capire che “è difficile definire il sacerdote di Barbiana un grande esponente della pedagogia e punto di riferimento della storia della scuola italiana. L’opera di Don Milani - ha sottolineato il presidente dell’Associazione Docenti Art.33 - deve essere contestualizzata nel particolare momento storico in cui è stata scritta: la sua posizione difende le classi proletarie in favore di una loro emancipazione e attacca la scuola cosiddetta ‘di classe’ di cui l’insegnante era un rappresentante”. Secondo Reberschegg, “troppe persone citano Don Milani come se fosse ancora attuale: non può essere così e alcune riforme della scuola scopiazzano concetti espressi da Don Milani senza rendersi conto che sono passati 50 anni”.
La conclusione dei lavori è stata affidata a Di Meglio il quale ha parlato, fra l’altro, dell’autonomia dei programmi scolastici definendola folle, “perché - ha spiegato - consente alle scuole di farsi concorrenza fra di loro, creando profonde diseguaglianze. La scuola non può garantire il successo formativo ma deve assicurare a tutti gli studenti lo stesso punto di partenza. Poi ogni allievo raggiungerà un diverso traguardo a seconda delle proprie capacità individuali. Il ruolo culturale del docente non viene più riconosciuto ed è necessario riappropriarsene per essere protagonisti e non subire riforme che non hanno alcun risvolto utile per la scuola e per il Paese”. 
 
 


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Numero 5 - Novembre 2017
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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