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Numero 1 - Gennaio 2019
Numero 1 Gennaio 2019

Concorsi riparatori vs concorsi zombi

Il Ministro della Pubblica Istruzione aveva promesso interventi innovativi per il problema del precariato. Il percorso inserito nella Legge di Bilancio non sembra affatto innovativo


14 Dicembre 2018 | di Antonio Antonazzo

Concorsi riparatori vs concorsi zombi Negli ultimi 15 anni, gli interventi legislativi approvati riguardanti la scuola sono stati molteplici e variegati, ma non hanno affrontato efficacemente le problematiche strutturali che affliggono il mondo della scuola. In particolare sono ormai tre anni che il Parlamento ha approvato la legge 107, (la cosiddetta Buona Scuola) ed è ormai chiaro a tutti che più che risolvere i problemi già esistenti, essa ha contribuito all’insorgere di nuove problematiche al punto che la nuova maggioranza ha espressamente inserito nel suo contratto di Governo l’intenzione di intervenire su aspetti quali la chiamata diretta, la valutazione monocratica del dirigente scolastico o l’alternanza scuola lavoro e, soprattutto, la volontà di una revisione del sistema di reclutamento dei docenti capace di superare il fenomeno abnorme del precariato scolastico. Si tratterebbe di una modifica ad un sistema di reclutamento appena modificato dalla legge 107 (il cosiddetto FIT ) e non ancora andato a regime, ma di cui già sono prevedibili i limiti e le pecche.
D’altra parte, anche il piano straordinario di assunzioni di 100.000 docenti previsto dalla legge 107 è stato fallimentare e non ha minimamente intaccato il dilagare del precariato scolastico al punto che i precari della scuola sono addirittura aumentati invece di diminuire.
Il fallimento dell'obiettivo di riduzione del precariato risiede evidentemente nel fatto che i provvedimenti previsti dalla legge 107 non si basavano sui bisogni della scuola reale, ma erano frutto dell'incompetenza di chi, lontano dal mondo della scuola, ha pensato di eliminare il precariato con una bacchetta magica. Le 100.000 assunzioni, infatti, non hanno inciso sul numero di precari in quanto, invece di andare a coprire i posti realmente esistenti e disponibili e di cui sussisteva una reale necessità, hanno innescato un meccanismo di svuotamento di graduatorie vecchie anche decenni assumendo a tempo indeterminato persone che per lavorare nella scuola avevano accettato supplenze su posti di sostegno, pur non avendo il titolo di specializzazione, o addirittura non erano mai entrate in un’aula scolastica. Risultato di tutto ciò: assistiamo ad una miriade di posti vacanti causa mancanza di candidati abilitati inseriti nella “giusta graduatoria” e ad un numero ancor più elevato di posti di sostegno che sono stati assegnati a neo laureati con pochi anni di servizio o, addirittura, del tutto privi di esperienza di insegnamento.
Il percorso FIT, avviato solo quest’anno limitatamente alla fase “una tantum” del concorso riservato agli abilitati, potrà dare una parziale risposta a qualche migliaio di docenti abilitati della scuola secondaria che, procedure concorsuali permettendo, hanno potuto occupare posti reali sin da settembre, ma è illusorio sperare che nel futuro un percorso triennale fatto da crediti formativi aggiuntivi, da un concorso lungo e costoso, da un percorso pieno di paletti e ostacoli da superare e da uno stipendio da stagista per i primi due anni, possa risolvere veramente il fenomeno del precariato docente, in presenza di bisogni della scuola reale che corrono molto più velocemente di questa farraginosa procedura.
La Gilda degli Insegnanti ha sempre sostenuto che per incidere realmente sul fenomeno del precariato e ridurre a quantità strettamente fisiologiche il numero di precari, occorra un intervento strutturale con meccanismi che, da una parte, garantiscano un ingresso nel mondo della scuola in tempi certi e, dall’altra, siano idonei a valutare, oltre alle conoscenze disciplinari, soprattutto le competenze professionali che sono richieste a chi vuole diventare un insegnante.
Un intervento strutturale non può fare a meno di tenere conto di alcuni aspetti molto evidenti:
- Ci sono oltre 100.000 docenti precari che lavorano regolarmente nel mondo della scuola statale.
- A causa di evidenti lacune legislative, è esplosa la problematica legata al valore abilitante del diploma magistrale conseguito prima del 2001/02 che ha consentito decine di migliaia di nomine con clausola di raffreddamento in seguito a dispositivi giuridici che ora hanno avuto definitivamente esito negativo.
- I docenti di ruolo italiani sono tra i più “vecchi” del mondo occidentale e nel prossimo quinquennio il numero di pensionamenti previsto si aggira, con stime prudenti, tra i 150 e i 200 mila. Numero destinato ad aumentare qualora la legge Fornero venisse modificata con la cosiddetta “quota 100” o, ancor più, con la reintroduzione dell’opzione donna.
- Il numero di posti vacanti si trova in larga misura in regioni del centro – nord Italia.
- Il numero di posti destinati ad alunni bisognosi di sostegno è predominante ed in continua crescita
Sulla base di queste considerazioni risulta evidente che, pur nella previsione della riduzione del numero degli studenti, ci sono ampi gli spazi per un piano di assunzione pluriennale che possa assorbire un gran numero di docenti precari attualmente in servizio senza intaccare le speranze dei futuri laureati. E’ evidente inoltre che il sistema di accesso ai ruoli da attivare deve essere snello ed automatico in modo da poter sostituire in maniera indolore i docenti che nel frattempo andranno in pensione.
Per ultimo, sarebbe auspicabile una maggiore flessibilità nell’indizione di procedure concorsuali in modo da consentire un rapido ed efficace intervento utile ad occupare i posti in organico che risulteranno liberi e disponibili. Ciò al fine di evitare la riproduzione di ulteriore precariato.
Di fronte a questa problematica il neo Ministro del MIUR si era impegnato ad effettuare un intervento innovativo che oggi sta prendendo effettivamente vita per mezzo di un bando di concorso già pubblicato in Gazzetta ufficiale e che riguarda la scuola primaria e dell’infanzia e di un articolo inserito nella legge di bilancio relativo alle modifiche del percorso FIT della scuola secondaria. Ma il percorso è veramente così innovativo? E risponde ai requisiti necessari sopra descritti ?... Pare proprio di no.
Infatti per cercare di porre parziale rimedio al ping - pong di sentenze in contrasto tra di loro relative alla questione del valore abilitante del diploma magistrale con conseguente immissione in ruolo diretta di chi aveva acquisito il titolo entro il 2001/02, il ministro ha predisposto un concorso “riparatore” straordinario.
Per accedere a questo concorso straordinario per la scuola dell’infanzia e primaria, occorre che gli interessati abbiano oltre a una laurea in scienza della formazione primaria o un diploma magistrale conseguito entro il 2001/02 anche due anni di servizio specifico in una scuola statale entro gli ultimi otto anni scolastici. L’anno in corso non vale ai fini del computo.
Il concorso straordinario, per 12.000 posti tra scuola comune e sostegno, non ha carattere selettivo ed è composto da una sola prova orale durante la quale verrà chiesto al candidato di preparare ed illustrare un’unità didattica e dimostrare di avere competenze in campo informatico ed in una lingua europea. Per la prova orale è previsto un punteggio massimo pari a 30/100. Gli ulteriori 70/100, potranno essere acquisiti dal candidato per mezzo di titoli professionali (massimo 20 punti con punteggio abilitazione, dottorato, laurea ecc) e grazie a titoli di servizio (5 punti per ogni anno per un massimo di 50 punti ).
Al termine della procedura concorsuale, verrà stilata una graduatoria regionale che sarà utilizzata- fermo restando la precedenza per chi è inserito in GAE o nelle graduatorie dell’ultimo concorso ordinario- per le immissioni in ruolo del prossimo anno scolastico.
Per quanto concerne la scuola secondaria, le modifiche promesse al percorso FIT sono state inserite, in maniera del tutto inusuale, all’interno della legge di bilancio rendendo così ardua una reale e fattiva discussione su di un argomento così delicato.


La tipologia dei concorsi nella Legge di Bilancio
Il testo, art. 58, prevede una riduzione ad un solo anno del percorso FIT triennale e un concorso ordinario ad impronta prettamente disciplinare uguale per tutti i candidati a prescindere che abbiano o meno tre anni di servizio. Per accedere alle prove concorsuali è richiesta, oltre ad una laurea magistrale, anche il possesso di 24 crediti CFU in ambito pedagogico, antropologico, psicologico e metodologico. Ai docenti con almeno tre anni di servizio negli ultimi otto anni scolastici, viene “concessa” soltanto la possibilità di derogare a tale requisito per una sola classe di concorso e soltanto per questa tornata concorsuale.
Malgrado le affermazioni di vari esponenti dell’attuale maggioranza, rimane quindi il “pizzo” legato al mercimonio dei titoli di accesso con un peggioramento rispetto a quanto previsto dalla 107 in quanto anche chi ha prestato servizio per tre anni e pensava di essere esente da tale vincolo, sarà costretto ad acquisire i famigerati 24 crediti se vorrà concorrere su più di una classe di concorso.
Per tutti, le prove concorsuali consisteranno in due scritti ed un orale (chi aveva servizio doveva fare una sola prova scritta ). Per chi possiede un titolo di specializzazione per il sostegno, è previsto un’ulteriore prova scritta e un’altra orale. Il concorso ha natura selettiva e per accedere alla prova successiva, occorre superare ogni singola prova con un punteggio pari a 7/10 o equivalente. Per coloro che supereranno tutte le prove selettive, è prevista la valutazione dei titoli professionali (non del servizio ) nella misura del 20% del punteggio complessivo.
Nulla di innovativo quindi, si tratta di una “riesumazione” dei vecchi e desueti concorsi ordinari in grado di selezionare sulla base di elementi prettamente disciplinari e che non tengono assolutamente conto della professionalità docente acquisita in anni di servizio. Unico “contentino” per i docenti con servizio, è l’aver riservato loro il 10% dei posti disponibili...ben poca cosa rispetto a quanto promesso in campagna elettorale.
Se vogliamo cercare le innovazioni in tale proposta, le troviamo nel fatto che le graduatorie conterranno soltanto gli effettivi vincitori di concorso in quanto è previsto che non ci sarà nessun scorrimento oltre il numero fissato nel bando con il risultato che spariranno i cosiddetti “idonei”, e nell’obbligo di permanere per 5 anni nella stessa scuola in cui si verrà assegnati all’atto della nomina in ruolo.
Al momento della stesura di questo articolo, la proposta è all’esame del Parlamento e quindi auspichiamo che venga profondamente modificata. A tal fine la Gilda ha chiesto che la questione venga stralciata dalla legge di stabilità in modo da consentire un necessario e proficuo dibattito con chi nella scuola ci vive, ne conosce le reali necessità e si rende conto che, con queste modalità di reclutamento, si va incontro ad un altro flop simile a quello derivante dal piano straordinario della 107.
Un reclutamento imbastito sui vecchi concorsi ordinari di natura prettamente disciplinare, ha senso quando si ha necessità di selezionare drasticamente i candidati che ambiscono ad un numero limitato di posti. Nel caso attuale però, questa necessità non sussiste. Nei prossimi anni ci sarà un ricambio generazionale totale con ulteriori 150/200 mila posti che si aggiungono agli attuali 100 mila oggi occupati da precari. C’è bisogno quindi di attuare una procedura di reclutamento snella e idonea a sostituire senza traumi chi sta completando il proprio percorso lavorativo.
Usare una procedura lunga, costosa e selettiva non consentirà di rispondere a queste esigenze e si rischia, come sta avvenendo da diversi anni, di arrivare al termine dei concorsi con un numero di docenti nettamente insufficiente rispetto alle esigenze. Con il paradosso che chi non avrà superato le prove concorsuali verrà chiamato lo stesso da una scuola a fare quel lavoro per il quale non è stato ritenuto “sufficientemente bravo”.
Quello di cui la scuola ha bisogno è di personale formato alla professione docente. Si tratta quindi di mettere in piedi un sistema di reclutamento che consenta agevolmente l’accesso programmato ad un percorso formativo durante il quale il docente viene avviato alla professione e magari seguito da colleghi prossimi alla pensione che hanno ancora tanto da insegnare alle future generazioni di docenti. Solo alla fine di questo percorso si potranno effettivamente valutare e selezionare i candidati sulla base di quanto hanno dimostrato di valere sul campo con la certezza che chi sarà avviato all’insegnamento avrà acquisito oltre alle conoscenze disciplinari - certificate dall’università mediante una laurea- anche le competenze didattiche e umane richieste a chi intende fare un lavoro così delicato.
Perseverare sulla vecchia strada, significa continuare a commettere gli stessi errori senza incidere veramente sulla riduzione del numero di precari a livello fisiologico con la prospettiva di ritrovarci, tra un anno o due, a scrivere un ulteriore articolo sulla modifica del sistema di reclutamento che un futuro ministro intenderà attuare.
Forse sarebbe il caso di essere veramente innovativi...
 
 
 
 
 


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Numero 1 - Gennaio 2019
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Francesca Balsano, Roberto Casati, Alberto Dainese, Giuseppe Falsone, Michela Gallina, Marco Morini, Adriano Prosperi, Adolfo Scotto di Luzio, Liliana Segre, Fabrizio Tonello, Paola Tongiorgi, Ester Trevisan.