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Numero 2 - Marzo 2019
Numero 2 Marzo 2019

La storia, una maestra senza allievi

La storia compare oggi nel discorso pubblico relativo all’ educazione solo come memento, come monito di natura morale... Ma la storia è cosa diversa dal ricordo... è una forma della conoscenza e richiede metodi e procedure rigorose e soprattutto esige la lotta politica, la fiducia nella capacità di agire nel proprio tempo


24 Febbraio 2019 | di Adolfo Scotto di Luzio

La storia, una maestra senza allievi Il punto di partenza di una discussione sulla storia nei programmi di insegnamento della scuola secondaria italiana sembra debba essere, obbligatoriamente, la soppressione della relativa prova scritta nel nuovo esame di maturità. Uso questa forma cautelativa perché dubito fortemente che questa cancellazione aggiunga qualcosa di nuovo ad un quadro, purtroppo, già definito da anni. La prova di storia all’ esame di maturità non ha mai goduto di nessun richiamo presso gli studenti. Pochi e sempre di meno sono stati coloro che l’hanno scelta in questi anni. Piuttosto che indignarsi della scomparsa formale di una prova scritta bisognerebbe, allora, chiedersi più opportunamente come si insegnano, ad esempio, la letteratura italiana nella nostra scuola o la filosofia, la pedagogia, nei famigerati licei psico-pedagogici, o anche le scienze.
 
Un tempo ognuna di queste discipline era a sua volta una storia. C’era la storia della letteratura, così come gli studenti liceali studiavano la storia della filosofia e così via. Questa costituzione storica dell’ insegnamento disciplinare nella nostra scuola era frutto di una antica tradizione, edificata in stretta relazione con la formazione dello Stato unitario e con la cultura che l’ aveva accompagnata e sostenuta nel corso del diciannovesimo secolo. In termini più generali e culturalmente più ampi si può anche considerare il passaggio, di grande rilevanza epistemologica, che avviene tra XVIII e XIX secolo delle scienze naturali sul terreno della temporalizzazione delle forme di rappresentazione del proprio oggetto conoscitivo e la successiva separazione della storia dalla storia naturale. Il modello storico-evolutivo si impone in questo frangente come la forma più adeguata per gestire un’informazione crescente incapace ormai di stare all’interno delle cornici classificatorie tradizionali. Per non dire, dell’altro grande fattore che, a partire dalla seconda metà del secolo diciannovesimo, accompagna il trionfo del mondo di intendere storicamente il mondo, mi riferisco alla conquista del movimento operaio da parte del marxismo. Da quel momento in avanti i grandi movimenti sociali si esprimeranno per mezzo di un linguaggio culturale che assume la prospettiva storico evolutiva facendone una sorta di religione secolarizzata di massa.
 
È in un quadro del genere, ancorché troppo sommariamente caratterizzato, che educarsi, per le giovani generazioni, ha significato innanzitutto acquisire una forma mentis di tipo storico.
 
Per aver una nozione chiara e immediata dell’implicazioni pedagogico civili del modello culturale che, a lungo, ha presieduto a questa forma mentis basta rileggersi le celebri pagine conclusive del capitolo XIII dedicato all’ Orlando furioso da Francesco De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana: quel mondo «dove non è alcuna serietà di vita interiore, non religione, non patria, non famiglia, e non sentimento della natura, e non onore e non amore», il mondo insomma della «pura arte». Per non dire, dell’altrettanto celebre «interruzione» desanctisiana: «In questo momento che scrivo, le campane suonano a distesa, e annunziano l’entrata degli Italiani a Roma. Il potere temporale crolla. E si grida il viva all’ unità d’Italia. Sia gloria a Machiavelli»: è il momento in cui la storia in atto irrompe nella scrittura della storia dando profondità a ciò che accade e insieme senso e prospettiva a tutto quello che è stato scritto finora. È per questa via che la storia della letteratura si fa storia della coscienza nazionale italiana.
 
Quanto dura questo modello e quanta fortuna avrà nella scuola italiana? Anche qui contano le parole e gli echi che sono capaci di suscitare. Nelle pagine finali della sua Storia, che è bene ricordarsi De Sanctis concepisce nel 1870 come manuale per la scuola secondaria, l’autore, nel tratteggiare la «Nuova letteratura», scrive: «La rivoluzione arrestata e sistemata in organismi provvisori ripiglia la sua libertà, si riannoda all’ Ottantanove, tira le conseguenze. Comparisce il socialismo nell’ ordine politico, il positivismo nell’ ordine nell’ intellettuale. Il verbo non è più solo Libertà, ma Giustizia, la parte fatta a tutti gli elementi reali dell’ esistenza, la democrazia non solo giuridica ma effettiva». La resistenza antifascista si esprimerà ancora in questo linguaggio.
 
A partire dagli anni Sessanta comincia un lungo processo alla tradizione culturale italiana. La protesta giovanile ha il vento in poppa e si sente forte abbastanza per mettere tutto in rivoluzione. Poi verranno tempi diversi e qualche dubbio sull’avventatezza di così impietosa liquidazione culturale. Fatto sta, che nella scuola si fanno largo altre epistemologie che a fatica si lasciano piegare dentro il vecchio schema storico-storicista. Le forme, la struttura, i segni, il ritorno prepotente della storia naturale (pensate solo alle urgenze ambientali, al cambiamento climatico e così via), che apre a prospettive di tale ampiezza da superare i tempi della storia umana ma soprattutto da ridurre l’agire stesso degli uomini a ben poca cosa dinanzi all’imponenza della natura. Anzi, la capacità di agire dell’ uomo che sta, inevitabilmente, alla base di ogni fiducia nella storia, appare comprensibile in questo mutato quadro teorico solo come «impronta», è la ferità inferta al pianeta. Nessuna storia, allora, si dà sulla base di così negativa comprensione dell’ operosità umana.
 
Fateci caso, ma la storia compare oggi nel discorso pubblico relativo all’ educazione solo come memento, come monito di natura morale. Bisogna studiare il passato per impedire agli uomini di commettere di nuovo le stesse nefandezze. La storia diventa così un capitolo della giornata della memoria. Ma la storia è cosa diversa dal ricordo. Il ricordo è sempre legato ad un gruppo. Inevitabilmente è caldo, carico di passioni, circoscritto dentro l’orizzonte di una prospettiva radicalmente soggettiva. La storia è un’altra cosa. La storia è una forma della conoscenza e richiede metodi e procedure rigorose.
 
Ma c’è un altro aspetto che bisogna considerare. La storia non sopravvive a lungo nel chiuso delle università. La storia esige la lotta politica, la fiducia nella capacità di agire nel proprio tempo. De Sanctis scrive le pagine che conosciamo della sua Storia della letteratura italiana non solo perché la rivoluzione nazionale si sta combattendo negli stessi momenti in cui egli si dedica alla propria impresa intellettuale ma nella convinzione che la più grande impresa politica, l’ Unità, per compiersi richieda uno sforzo concomitante, un impegno nella sfera della lotta intellettuale. La storia è, allora, la posta in gioco degli uomini che credono nella possibilità di trasformare il mondo. Ogni altra considerazione è un appello retorico, del tipo dell’antico cliché della storia come maestra di vita. Ma come diceva qualcuno, se la storia è una maestra, sicuramente è una maestra senza allievi.
 
 
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Adolfo Scotto Di Luzio insegna Storia della pedagogia, Storia delle istituzioni scolastiche ed educative e Letteratura per l'infanzia nell'Università di Bergamo. Si è occupato a lungo di storia del fascismo e, in particolare, della costruzione del suo apparato culturale e anche di storia delle istituzioni culturali e della scuola (con un'attenzione mai smessa per l'editoria e la stampa).
Ha pubblicato diversi volumi, tra cui ricordiamo, per il Mulino, «Il liceo classico» (1999), «La scuola degli italiani» (2007) e «Napoli dei molti tradimenti» (2008), «Senza Educazione. I rischi della scuola 2.0» (2016); per Bruno Mondadori «La scuola che vorrei» (2014).
 
 
 


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Numero 2 - Marzo 2019
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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