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Numero 4 - Settembre 2019
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I vecchi muri che non servono a nulla

L’idea di barriere, fili spinati, muri, fossati, palizzate per tenere fuori “gli altri” è tutt’altro che nuova. Dobbiamo tornare a guardare Storia e Geografia come strumenti indispensabili per comprendere il presente. Resistere alla politica dell’odio basata su “sangue e suolo” è un dovere a cui non possiamo sottrarci.


27 Agosto 2019 | di Fabrizio Tonello

I vecchi muri che non servono a nulla "Non stupisce che dal recente passato europeo siano rispuntati questi due vecchi fantasmi, il suolo e il sangue, da sempre cardini della discriminazione” scrive in "Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione”,  Donatella Di Cesare. Sono fantasmi potenti e crudeli, capaci di trasformare un paese di accoglienza e di ospitalità in una fortezza difesa da mercenari libici che fanno il lavoro sporco di tenere lontani i migranti dalle nostre spiagge.
I migranti poveri, naturalmente, cosa che si sapeva già ai tempi delle baleniere: “Il peccato che paga può viaggiare liberamente e senza passaporto, mentre la virtù, se è povera, viene fermata a tutte le frontiere” (Herman Melville in “Moby Dick”). Le donne col burka vengono guardate con sospetto, e magari insultate, se vanno al supermercato, ma trovano tappeti rossi e accoglienza servile se fanno shopping in via della Spiga o sugli Champs-Elysées.
Il colore della pelle ha importanza solo se si arriva in gommone, non sulla Costa crociere. Chi ha fame e sete sarebbe una minaccia, mentre chi concretamente, ogni giorno, rischia di far crollare la basilica della Salute a Venezia è ringraziato per il suo contributo alla crescita del turismo.
L’idea che il Mediterraneo ci possa “difendere” dalle migrazioni può essere creduta solo da un popolo di vecchi impauriti e creduloni quale quello che siamo diventati. Rimbecilliti dalla televisione, prendiamo sul serio gli imbonitori da  baraccone che nascondono alcune semplici verità, riassumibili in questi numeri: l’Europa in pochi anni sarà un continente di anziani, l’Africa è sempre più un continente di giovani.
Cinquecento milioni da una parte, due miliardi dall’altra. Su questa sponda godiamo di una discreta  sicurezza (benché i mass media facciano del loro meglio per convincerci del contrario). Sull’altra sponda infuriano guerre decennali  (Congo), conflitti etnici senza fine (praticamente ovunque, gli ultimi sono quelli in Camerun, Repubblica Centrafricana), guerre civili (dalla Siria alla Somalia, senza dimenticare la troppo vicina Libia) mentre regimi dittatoriali fanno fuggire chi può, dall’Eritrea come dallo Zimbabwe. Questa semplice realtà è ciò che fa migrare centinaia di migliaia di persone verso Nord. Quali muri le fermeranno?
L’idea di barriere, fili spinati, muri, fossati, palizzate per tenere fuori “gli altri” è tutt’altro che nuova: la Grande Muraglia cinese è visibile perfino dalla Luna ma non servì a impedire ai mongoli di scendere verso Sud. La capitale della finanza mondiale si trova a Wall Street, una strada sulla punta meridionale di Manhattan dove sorgeva una palizzata destinata a proteggere la minuscola colonia olandese, e poi inglese, che si era insediata laggiù.
Il muro di Berlino è stato abbattuto nel 1989: da allora circa 30.000 chilometri di nuovi muri sono stati creati nel mondo e molti di più sono in progetto, a cominciare da quello promesso da Trump al confine con il Messico. Ci sono muri tra Israele e i Territori palestinesi occupati; tra il Marocco e le zone del Sahara rivendicate dal Fronte Polisario; tra le enclave spagnole di Ceuta e Melilla e il Marocco. E decine di altri in Asia, per esempio tra India e Pakistan in Kashmir.
Ne parla ampiamente “Borders, Fences And Walls”, un prezioso volume curato da Elisabeth Vallet.
Nell’immediato i muri producono un effimero senso di sicurezza, ma il nostro compito, come educatori, è spiegare che nel lungo periodo sono destinati a fallire, quasi sempre più presto di quanto ci si aspetti.
La linea Maginot non impedì l’invasione della Francia da parte della Germania, nel 1940. Le barriere il Rio Grande non hanno fermato l’afflusso di latinoamericani negli Stati Uniti. Le mura di Costantinopoli non salvarono la città dai turchi.
Dobbiamo tornare a guardare Storia e Geografia come strumenti indispensabili per comprendere il presente. Dobbiamo invitare i demografi nelle nostre classi, per spiegare cosa significa vivere in un continente di vecchi (per esempio, non avere la pensione perché non ci sono abbastanza lavoratori attivi). Dobbiamo tornare a spiegare che il mondo è complicato, che non ci sono soluzioni semplici ai problemi difficili, che i tweet dei ministri sono un imbroglio e i porti chiusi un’infamia, oltre che una violazione dei diritti umani e della Costituzione. Le migrazioni sono un banco di prova della nostra civiltà, guardare in profondità a questo problema, resistere alla politica dell’odio basata su “sangue e suolo” è un dovere a cui non possiamo sottrarci.
 
 
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Fabrizio Tonello è docente di Scienza politica presso l’università di Padova, dove insegna, tra l’altro, un corso sulla politica estera americana dalle origini ad oggi. Ha insegnato alla University of Pittsburgh e ha fatto ricerca alla Columbia University, oltre che in Italia (alla SISSA di Trieste, all’università di Bologna).
Ha scritto L’età dell’ignoranza (Bruno Mondadori, 2012), La Costituzione degli Stati Uniti (Bruno Mondadori, 2010), Il nazionalismo americano (Liviana, 2007), La politica come azione simbolica(Franco Angeli, 2003).
Da molti anni collabora alle pagine culturali del Manifesto.
 
 
 
 


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Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Giovanni Carosotti, Alberto Dainese, Frank Furedi, Marco Morini, Adolfo Scotto di Luzio, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.