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Numero 5 - Novembre 2020
Numero 5 Novembre 2020

Formazione d’attacco

Chi vuole davvero dichiarare “guerra al precariato” dovrebbe cominciare a fare ragionamenti progettuali a medio/lungo termine anche approfittando dell’occasione offerta dalle risorse che proverranno dal così detto Recovery Fund


03 Novembre 2020 | di Antonio Antonazzo

Formazione d’attacco Se tra qualche decennio, uno storico del futuro devesse descrivere l’anno che sta volgendo al termine, sicuramente lo descriverebbe come l’anno della pandemia legata al COVID-19; se però lo stesso storico si volesse concentrare su altri aspetti riguardo al nostro paese e alla nostra scuola, non potrebbe che rimarcare come questo 2020 sia stato caratterizzato da un lungo braccio di ferro tra l’attuale Ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, e l’intero mondo sindacale sulla questione legata allo svolgimento delle procedure concorsuali previste per l’anno in corso.
 
Il Ministro è stato abile a descrivere sui media e, soprattutto, sui social questa diatriba come il confronto tra chi, come lei, ha a cuore la qualità del nostro sistema scolastico contrapposta a chi invece, indifferente a questioni meritocratiche, difende diritti di posizione acquisiti sul campo.
 
Una sorta di battaglia tra cruna di un ago e todos caballeros. Ma è veramente così? Ovviamente no.
 
Nessuno, e men che meno un’associazione professionale come la Gilda degli Insegnanti, si sognerebbe mai di affermare che il lavoro dell’insegnante sia un mestiere che tutti indistintamente possono fare. Sappiamo benissimo quale ruolo delicato abbia un docente nei confronti delle future generazioni e siamo convinti che una selezione sia non solo necessaria, ma indispensabile per un buon funzionamento della nostra scuola pubblica statale.
 
È proprio per questo, però, che riteniamo di dover fare un serio ragionamento su di un sistema di reclutamento che, numeri alla mano, si è dimostrato essere fallimentare.
 
Chi sostiene che fare un concorso oggi sia l’unico mezzo per selezionare i docenti per merito e l’unica strada per avere una cattedra dice il falso.


Per fare l’insegnante non è assolutamente necessario superare un concorso, ordinario o riservato che sia, ma basta fare una semplice domandina ed inserirsi nelle graduatorie di istituto senza che ci sia alla base nessuna selezione se non quella legata ai titoli di accesso.
 
Le attuali GPS che tanto hanno fatto discutere questa estate, oltre ai precari storici e ai neo laureati, sono piene di aspiranti che hanno scelto la scuola come ripiego, magari dopo un lungo periodo lavorativo svolto altrove, e che hanno pensato bene di poter entrare nel mondo della scuola vista la grande disponibilità di posti vacanti ( 200.000 supplenze per il 2020/21 ).
 
Sicuramente si tratta di persone degne di rispetto e volenterose che si adopereranno al massimo per svolgere al meglio la loro funzione, ma nessuno di loro è stato selezionato in qualsivoglia maniera né sono state valutate le loro competenze disciplinari né tanto meno la loro attitudine all’insegnamento disciplinare o, caso ancor più comune, le loro capacità di gestire alunni con disabilità che, per legge, avrebbero diritto a personale specializzato.
 
I concorsi previsti dal Ministro Azzolina prevedono circa 80.000 assunzione nei prossimi tre anni, e non intaccheranno quindi minimamente questa situazione destinata a dilatarsi visto l’alto numero di pensionamenti previsti nel prossimo triennio.


In altre parole, nei prossimi tre anni, si potrà andare comunque in cattedra a prescindere che si vinca o meno un concorso che servirà solo a distinguere tra chi avrà i diritti legati ad un rapporto di lavoro stabile e chi invece avrà gli stessi doveri, ma con diritti e stipendio ridotti.
 
Analizzandolo razionalmente e basandosi sui risultati degli ultimi 25 anni, si vede che il sistema di reclutamento attuale si è rivelato un vero e proprio generatore di precari storici.
 
La trafila è molto semplice, si comincia con il fare una domandina di messa a disposizione e si accumula qualche mese di servizio in attesa di entrare nelle graduatorie di istituto che, specialmente in molte regioni del Nord, consentono agevolmente di conseguire supplenze per l’anno intero e con una continuità tale che gli anni di servizio aumentano sempre più.
 
Ogni tanto il Ministro di turno pensa di intervenire per risolvere la questione del precariato modificando leggermente l’operato del suo predecessore e garantendo, a parole,  che la soluzione proposta sia la migliore tra tutte quelle precedenti; Immancabilmente poi, le discussioni politiche sulle procedure si allungano così come le operazioni concorsuali vere e proprie che spesso durano anni.
 
A tutto ciò si aggiunga che il numero di posti messi a concorso è sempre risultato essere inferiore al numero di pensionamenti con la conseguenza che al termine di una procedura concorsuale che avrebbe dovuto eliminare il fenomeno del precariato, il numero dei precari risulta al contrario essere maggiore rispetto all’anno precedente e l’esercito dei precari storici aumenta a dismisura al pari delle loro pressioni per un giusto riconoscimento della professionalità acquisita sul campo.
 
È chiaro che tutto ciò non funziona e non può funzionare e che continuare su questa strada significa continuare a sbagliare senza nemmeno migliorare di una virgola la qualità della nostra scuola che, a fronte di qualche migliaio di vincitori di concorso, si troverà ad avere sempre più bisogno di docenti precari, la maggior parte dei quali saranno quegli stessi che non avranno superato i concorsi.
 
Sicuramente nessuno può dire di avere una bacchetta magica per risolvere in via definitiva la questione del precariato scolastico, ma un po’ di buon senso ci suggerisce che, a prescindere dal sistema di reclutamento prescelto, sarebbe opportuno che si trovasse un accordo politico-sindacale per fissare delle regole stabili e non cangianti nel tempo in modo che si possa costruire un percorso di stabilizzazione che, da una parte sia lineare con certezza dei tempi e delle procedure e, dall’altra, garantisca una selezione che tenga conto anche del percorso professionale dei docenti con servizio pregresso.
 
Con le regole attuali, l’anno di prova viene fatto solo dopo aver superato una procedura concorsuale e non è inusuale che quest’anno venga svolto da docenti con anni e anni di esperienza alle spalle.


Sarebbe molto più logico che l’anno di prova coincidesse con il primo incarico in assoluto in modo da poter distinguere da subito chi ha le caratteristiche e le competenze giuste richieste per fare l’insegnante da chi invece andrebbe orientato diversamente.
 
Solo a chi superasse questo anno di formazione/prova, al massimo ripetibile una volta, dovrebbe essere consentito di avere in mano il futuro delle prossime generazioni e di poter proseguire lungo un percorso prefissato che sia prima abilitante e poi di stabilizzazione attraverso una procedura concorsuale automatica da effettuare annualmente su tutti i posti vacanti che si libereranno di anno in anno.
 
D’altra parte, lo stesso Parlamento nel Decreto scuola approvato questa estate ha legiferato l’istituzione di un tavolo tecnico con l’obiettivo di individuare una procedura abilitante ordinaria da avviare entro 60 giorni dalla data di approvazione della legge....60 giorni che ormai sono abbondantemente passati.
 
Un discorso particolare riguarda i docenti che lavorano senza titolo su posti di sostegno a causa di una gestione dei corsi di specializzazione a dir poco scellerata. Tutto è demandato alle Università che, in mancanza di investimenti specifici da parte dello Stato, fanno partire dei corsi con un numero di candidati ridicolo rispetto alle reali necessità della nostra scuola con il risultato che attualmente i docenti specializzati su sostegno sono del tutto insufficienti rispetto alle richieste.


Tale situazione andrebbe ribaltata facendo in modo che il numero di docenti di sostegno sia stabilito dalle reali esigenze e non sulla base dell’esiguo finanziamento che il Ministero assegna alle Università.
 
La vera riforma di cui la scuola ha bisogno si può riassumere quindi in tre parole: FORMAZIONE, FORMAZIONE e FORMAZIONE.
 
Chi vuole davvero dichiarare “guerra al precariato” dovrebbe cominciare a fare ragionamenti progettuali a medio/lungo termine anche approfittando dell’occasione offerta dalle risorse che proverranno dal così detto Recovery Fund; intestardirsi a parlare solo di concorsi da effettuare in piena recrudescenza sanitaria con la concreta possibilità che diversi tra i candidati ne rimangano esclusi causa contagio o, peggio ancora, per quarantena significa invece continuare su di una strada a vicolo cieco dando l’impressione che si vuole fare non tanto la guerra al precariato, ma ai precari stessi.
 
 
 


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Numero 5 - Novembre 2020
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Vincenzo Balzani, Stefano Battilana, Alberto Dainese, Frank Furedi,Marco Morini, Rocco Antonio Nucera, Luca Ricolfi,
Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.
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