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Numero 1 - Gennaio 2012
Numero 1 Gennaio 2012

Manovra “Salva-Italia”: così non va


20 Dicembre 2011 | di Fabrizio Reberschegg

Manovra “Salva-Italia”: così non va Dopo ben quattro provvedimenti dall'estate all'autunno del 2011 a firma Berlusconi-Tremonti, provvedimenti che hanno colpito ancora una volta scuola di stato, formazione e insegnanti, appare oltremodo inaccettabile la grande manovra ''Salva Italia'' imposta con decreto legge dal governo Monti.
Chi paga è ancora una volta il lavoro dipendente e il pubblico impiego. Ancora una volta pagano gli insegnanti che vengono assimilati a lavoratori impiegatizi senza prendere in considerazione la specificità e la delicatezza della loro professione. Quali sono i punti che consideriamo inaccettabili?
L'aumento dell'età pensionistica che colpisce duramente gli insegnanti costretti ad una vecchiaia tra i banchi di scuola con trattamenti palesemente differenti rispetto a quelli che già sono andati in pensione e rispetto ad altre categorie che vedono fatti salvi i cosiddetti ''diritti acquisiti'', in primis i parlamentari.
L'aumento delle soglie di anzianità di servizio a 41 anni per le donne e 42 per i maschi uniti all'innalzamento dell'età minima di vecchiaia a 66 anni per gli uomini e 62 per le donne per arrivare tutti nel 2018 a 66 anni determina di fatto il blocco dei pensionamenti per tutti i docenti che non hanno raggiunto i requisiti entro il 31/12/2011. La massa di docenti interessata è enorme. Tutti coloro che ormai contavano i pochi anni per andare in pensione vedono ancora una volta slittare il termine. I docenti nati negli anni '50 e '60, e che sono la massa più rilevante degli insegnanti in servizio, avevano iniziato la loro carriera quando le regole prevedevano la possibilità di andare in pensione con 15 anni sei mesi e un giorno per le donne e 20 anni sei mesi e un giorno per gli uomini con calcolo completamente retributivo.
Dopo trent'anni di lavoro si trovano con regole completamente diverse: con il ritorno coattivo al contributivo, vanificando anche le ultime garanzie offerte dalla riforma Dini; con l'obbligo di avere almeno 41-42 anni di contribuzione; con la prospettiva di essere penalizzati se non si rispettano i limiti di età previsti dal decreto e con la bella norma del precedente governo che prevede il differimento di due anni del TFR.
Forse tutto questo servirà, come dicono i soliti noti, per dare una mano per salvare l'Italia e l'euro, ma sarà la pietra tombale per la qualità dell'insegnamento e della scuola italiana.
Non può esistere una scuola fatta da insegnanti prevalentemente anziani, senza un adeguato turn over, senza una prospettiva di inserimento per i precari e i giovani che intendono intraprendere la professione di insegnante.
Forse Monti e tutti i professori universitari che hanno affollato le aule parlamentari e di governo in questi anni credono che insegnare alla Bocconi a settant'anni sia la stessa cosa che insegnare a settant'anni in una scuola dell'infanzia, o in un bell'istituto comprensivo in zone disagiate, o in un istituto professionale che presenti molti e diversi problematiche. Ci vengano loro al nostro posto!
L'inglobamento dell'INPDAP nell'INPS è un'altra misura che assume caratteristiche demagogiche. Si è tentato in più occasioni di inglobare INPDAP nell'INPS dimenticando che i versamenti fatti dallo Stato sono sempre virtuali e non reali. L'inglobamento nell'INPS pone seri problemi contabili allo stesso Stato. Ma è anche chiaro che la finalità è altra: fare cassa con i contributi anche delle categorie che per loro stessa natura non evadono e che hanno avuto coefficienti di calcolo più elevati che altre per rimpinguare, forse solo virtualmente, le casse dell'INPS, istituto che a differenza di quello che accade in altri paesi dell'UE non è preposto ad erogare solo le pensioni dei lavoratori, ma a provvedere alla cassa integrazione, alla disoccupazione, alle pensioni sociali e di invalidità. In pratica sostiene tutto il welfare sociale.
Le misure sulla casa, sul promesso aumento dell'IVA, sulle addizionali regionali, delle accise sulla benzina, ecc. diminuiscono drasticamente il potere di acquisto dei lavoratori.
Nel caso dei lavoratori della scuola ci troviamo inoltre di fronte ad un blocco dei contratti da anni e alla prospettata eliminazione dei gradoni. Nel prossimo contratto vengono minacciate misure a favore del ''merito'' senza che vi siano risorse e senza chiarire che cosa sia effettivamente il ''merito'' nella scuola. Tutto ciò doveva essere compensato con misure di equità che avrebbero colpito anche altre categorie. Nulla di tutto questo.
Non c'è una vera patrimoniale che colpisca i più ricchi, non ci sono i promessi provvedimenti di liberalizzazione delle categorie professionali, si è introdotta una parvenza di tracciabilità solo sopra i 1000 euro che salvaguarda ancora una volta il lavoro autonomo e professionale in nero.
Si colpiscono sempre demagogicamente le giunte e i consigli provinciali, non si pagano i ''ricchi'' consiglieri di quartiere e di municipalità, ma non si toccano i privilegi dei parlamentari. Non c'è un cenno alla riduzione delle ingentissime spese militari che l'Italia intende fare per acquistare nuovi cacciabombardieri e portaerei. Non si toccano come sempre le rendite in capo al Vaticano (rendite immobiliari, rendite determinate dalla gestione di attività commerciali, ecc.). E l'elenco potrebbe continuare...


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