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Numero 3 - Maggio 2019
Numero 3 Maggio 2019

In un mondo globalizzato, le piccole patrie non servono a nessuno

Occhi aperti sulla Autonomia differenziata. I no per capire e reagire con forza. Intervista a Massimo Villone


15 Aprile 2019 | di Ester Trevisan

In un mondo globalizzato, le piccole patrie non servono a nessuno ► Professor Villone, cominciamo dal merito. Tre Regioni hanno chiesto l’Autonomia Differenziata su molte materie, pur con rivendicazioni diverse. Come si collocano giuridicamente queste azioni nei confronti dei principi della Carta costituzionale?
Dal mio punto di vista, sono richieste che devono rientrare pienamente nel quadro generale dei principi costituzionali, non sono richieste attraverso le quali si può arrivare a rotture o deroghe dei diritti fondamentali e del principio di uguaglianza. Vanno costruite in modo tale da essere compatibili con i principi costituzionali. Questo compito spetterebbe a chi conduce la trattativa e, in particolare, il Governo, a fronte delle richieste delle Regioni, avrebbe dovuto garantire la compatibilità di sistema del quadro complessivo. Ma non mi pare che questo sia accaduto.
 
► Quali sarebbero le conseguenze dell’Autonomia Differenziata per due diritti fondamentali della cittadinanza come Istruzione e Salute?
Si tratta di due diritti che più di qualsiasi altro danno la misura di una Costituzione che, guardando alla centralità della persona, non può che tradurla in termini di eguaglianza. Quando la Costituzione assume il principio personalistico come uno dei suoi fondamenti, è chiaro che non c’è spazio per una diversità: non si può avere la centralità della persona che ha più o meno diritti a seconda di dove nasce. Il diritto all’Istruzione e quello alla Salute sono immediatamente posti a rischio da una diversificazione che non sia costruita in chiave di compatibilità: se si trasferisce alla Regione la potestà legislativa in materia di norme generali sull’istruzione, è evidente che alla fine il diritto eguale all’Istruzione viene in qualche modo compromesso. C’è la dimensione regionale dell’interesse in ciò che si trasferisce alle Regioni e se si prendono pezzi di quello che è geneticamente di interesse nazionale e li si disperde sul territorio, è chiaro che si dissolve la sostanza stessa della potestà statale e del diritto che su quella potestà si fonda.
 
► Rispetto al metodo, è corretto che tutto il processo si svolga esclusivamente con trattative bilaterali tra Governo e Regioni?
Io credo di no perché sono scelte che comunque impattano su tutto il Paese. Certamente ci vuole un momento di confronto a due tra amministrazione centrale e locale, ma l’articolo 116 della Costituzione non impedisce né vieta, anzi, a mio modo di vedere, richiede che ci sia anche un confronto generale proprio sulla compatibilità, sulla logica di sistema che deve essere salvaguardata. È l’esito ultimo che deve essere personalizzato, non il procedimento dall’inizio, come invece è stato fatto con una sorta di trattativa privata tra i singoli governatori e la ministra leghista che era lì a tutelare non le ragioni dello Stato ma, come lei stessa ha detto, a raccogliere le richieste delle Regioni.  
 
► Più in generale, come valuta il protocollo operativo previsto per una svolta così importante?
Lo ritengo il peggiore possibile, costituzionalmente sbagliato e costruito in modo tale da generare a sua volta un’illegittimità costituzionale del risultato al quale porta, perché si va a incidere non in chiave di limatura per l’efficienza su singole fattispecie, come secondo me andava interpretato l’articolo 116, ma per capovolgere l’architettura del rapporto tra Stato e Regioni. L’articolo 116 va interpretato, non lo si può assumere a copertura di qualunque strafalcione, bisogna saperlo leggere e, come al solito, c’è chi ne fa una lettura distorta.  
 
► Cosa si può fare per ricondurre la procedura dell’autonomia differenziata al rispetto dei passaggi formali e sostanziali previsti dalla Costituzione?
Io non so se, a questo punto, la situazione sia recuperabile semplicemente innestando qualcosa di nuovo su una procedura che mi sembra ampiamente compromessa. Sono dell’opinione che bisognerebbe azzerare e ripartire da capo, riacquisire il confronto con tutte le regioni, iniziare a ragionare in modo diverso, senza fare lo shopping al supermercato delle competenze. In Italia ormai la questione del regionalismo o federalismo, come dir si voglia, è diventata una questione di fede, è come essere cattolici o protestanti. In un mondo globalizzato, le piccole patrie non servono a nessuno; quindi un conto è avere una dislocazione verso il basso dell’amministrazione completa, altra questione è avere tanti piccoli stati che poi trovano in qualche modo pezzetti di sovranità. La strada da seguire non è questa.


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Massimo Villone attualmente è professore emerito di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II". È stato direttore del dipartimento di diritto costituzionale italiano e comparato.
Laureatosi in giurisprudenza presso l'Università di Napoli nel 1966; consegue poi il Master of Laws presso la Harvard Law School nel 1971. Ha insegnato a Macerata (1973-1980), Salerno e Napoli.
È autore di saggi e monografie e membro della direzione di Costituzionalismo.it e del comitato scientifico di Astrid, oltre che socio fondatore di Mezzogiorno Europa.
È il presidente del Comitato per l'abrogazione dell'Italicum. Si é schierato a favore del no alla riforma costituzionale del governo Renzi.
Editorialista Il manifesto, pubblica periodicamente articoli nei quali, attraverso la lente del diritto costituzionale italiano e comparato, analizza i temi politici di più grande attualità del panorama italiano.
 
 
 


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Numero 3 - Maggio 2019
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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